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Thrinakìa septième édition: prix international d'écritures autobiographiques, biographiques et poétiques dédiées à la Sicile / Sous la direction de Orazio Maria Valastro / Vol.23 N.1 2025

La premiazione

DOI: 10.17613/7vbmw-zw864

Pierpaolo Fiore

magma@analisiqualitativa.com

Pierpaolo Fiore (Acri, Cosenza) | La premiazione | Terza opera classificata ex aequo Sezione Diari di viaggio| Thrinakìa Settima edizione Premio internazionale di scritture autobiografiche, biografiche e poetiche, dedicate alla Sicilia | Motivazione della giuria: Nel ricordo dell’emozione vissuta in occasione della cerimonia di premiazione della sesta edizione di Thrinakìa, l’autore ci rende intensamente partecipi di un sogno a occhi aperti, raccontato e scritto con viva sensazione, ricreando immagini come intuizioni sensibili dell’autenticità dell’incontro con sé stessi e gli altri.

 

 

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Thrinakìa septième édition: prix international d'écritures autobiographiques, biographiques et poétiques dédiées à la Sicile | 31 mai 2024 | Le Mai des Livres | Palais de la Culture | Ville de Catane

La sveglia del cellulare, quando mancava un quanto d’ora alle sei, si attivò come in una qualsiasi giornata lavorativa, essendomi dimenticato di disattivarla visto che, invece, quello per me era un giorno di ferie. Nella nottata appena trascorsa mi ero impegnato a fare la trottola e, come tale, l’avevo passata a rigirarmi nel letto in un tormentato dormiveglia. Ormai era consuetudine in prossimità di qualche evento che mi vedeva tra gli attori e non nel ruolo, a me più congeniale, di spettatore, parte che mi s’addiceva perché mi permetteva di essere uno del gruppo nel quale mimetizzarmi diventando invisibile. Non ho mai amato apparire, mettermi in mostra, fare il solista. Il mio posto è nel coro, uno dei tanti, e, possibilmente, quello che occupa l’ultima fila. Forse ne è espressione il mio amare le atmosfere brumose che avviluppano cose e persone celandole alla vista.

Dal momento che non sarei più riuscito a prender sonno, mi alzai, seguito da lì a poco da mia moglie che sarebbe stata la mia compagna di viaggio. Dopo aver fatto una doccia rigenerante e una distratta colazione ascoltando le solite notizie date dal telegiornale, accesi il computer. Quella era la prima volta che ci apprestavamo a partire senza aver programmato nulla per tempo come, invece fino a quel momento, avevamo sempre fatto. Nessun biglietto era stato acquistato e nessuna stanza d’albergo era stata prenotata, le uniche cose abbozzate erano le valigie. La mia testa voleva non partire ma il cuore insisteva per farlo, mi suggeriva che me ne sarei pentito come era già successo in passato per cose a cui avevo rinunciato e che poi rappresentarono dei rimorsi. Questa volta il piatto della bilancia sembrava pendere dalla parte del sentimento.

Cercai di avere un atteggiamento ottimistico rispetto all’evento che avrebbe caratterizzato la giornata successiva, consapevole del fatto che sarei stato uno dei protagonisti. Mi immaginai spigliato, brillante, calmo, emozionato ma non troppo. Tuttavia, questa prospettiva si rivelò inefficace. Tutti quegli aggettivi non si confacevano a me, non mi erano mai appartenuti e, forse mai, lo sarebbero stati. Iniziai a rimproverarmi per la scelta di mettermi in gioco, di farmi giudicare attraverso ciò che, con grande sforzo per essere la mia prima volta, ero riuscito a creare. Quando ricevetti la telefonata che mi comunicava il risultato raggiunto per un po’ rimasi attonito. All’interlocutore, sicuramente, venne un dubbio sulla mia presenza dall’altro capo del filo, tanto che a un certo punto chiese se fossi ancora in linea.

Di esserci c’ero ma non riuscivo ad articolare le parole. Avvertendo la mia incertezza, mi strappò una promessa, che poi era il motivo di quel viaggio. Avevo raggiunto un traguardo significativo e inaspettato, ma non riuscivo a goderne appieno. I miei pensieri erano già proiettati in avanti, anticipando il giorno in cui avrei dovuto parlare in pubblico e che non sarebbe stato sufficiente limitarsi a dire grazie. Nel corso degli anni, ho sempre cercato di evitare situazioni che richiedessero di farlo, forse contribuendo ad alimentare la mia bassa autostima, l'insicurezza e il timore di fare brutta figura.

Alle quindici in punto, come indicato nell'invito ricevuto via email, eravamo davanti al civico n. 121 di Via Vittorio Emanuele II, di fronte l’ingresso di Palazzo della Cultura, nella cui sala convegni si sarebbe tenuto l’evento. Oltrepassato il portone ci siamo ritrovati in un'ampia corte centrale, in quel momento occupata da un palco e da tante sedie per qualche manifestazione culturale già tenutasi o ancora da venire. Da quella posizione spiccava la perfetta fusione di differenti stili architettonici che caratterizzavano gli edifici che delimitavano lo spazio. Solo successivamente, leggendo un opuscolo sulla storia della struttura, capimmo che non ci eravamo sbagliati. I resti dell’antica dimora dell’aristocratica e ricca famiglia Platamone e quelli dell’ex Monastero di San Placido, sorto per una donazione della stessa casata, furono, a seguito del devastante terremoto del 1693, ristrutturati e integrati andando a costituire l’attuale complesso.

La sala dell'evento, situata al primo piano, era quasi completamente piena. Sul tavolo dei relatori era possibile scorgere un’ordinata serie di targhe. Riconobbi la persona che, insieme all'associazione di cui faceva parte, aveva organizzato il tutto. Era stato lui a telefonarmi qualche settimana prima per invitarmi alla manifestazione. Mi avvicinai a lui presentandomi. La sua reazione fu autenticamente positiva; gli occhi, si sa, non tradiscono mai. Quando ci eravamo sentiti, gli avevo comunicato che avrei cercato di partecipare, senza tuttavia dargli certezze. La sua risposta era stata che, alla luce dei risultati, la mia presenza era, fortemente, richiesta. Quando la sua voce, attraverso il microfono, iniziò a diffondersi in sala, ci accomodammo. Non so se fosse merito del farmaco o della tranquillità che quel breve scambio di battute mi regalò, ma l'ansia che mi aveva stretto il cuore fino a quel momento perse un po’ della sua morsa soffocante. La cerimonia si svolgeva con partecipazione, e man mano che coloro che erano stati invitati a salire sul palco rivelavano la loro provenienza, rimasi stupito nel constatare che non solo la maggior parte delle Regioni italiane erano rappresentate, ma c'era chi, addirittura, proveniva dall'estero.

Concluse le sezioni dedicate alle Autobiografie, alle Biografie e ai Racconti autobiografici, giunse il momento dedicato ai Diari di viaggio. I battiti del mio cuore cominciarono ad accelerare e qualcosa si bloccò tra la gola e la base dello stomaco. Era il momento cruciale, il mio turno, e della breve esposizione che avevo cercato di preparare non rimaneva più nulla nella mia memoria. Quando pronunciarono il mio nome, mi alzai così repentinamente dalla sedia che la stessa per la spinta ricevuta, rumorosamente, indietreggiò. Sperando, intensamente, di non incappare in una buffa caduta come un novello Charlot, accolto da uno scroscio di mani battenti, raggiunsi colui che mi aveva chiamato, eravamo di fronte la prima fila degli intervenuti, proprio al centro della scena. Da lì le persone in sala sembravano ancora più numerose, i loro occhi erano puntati tutti su di me, me li sentivo conficcati addosso come una miriade di spilli. Nominandomi, mi avevano fatto perdere l’attributo di essere uno fra tanti, di potermi camuffare nel pubblico.

Quello era il risultato dell’essermi fatto giudicare, di aver voluto competere. Il desiderio era diventato realtà. Una grande soddisfazione per aver raggiunto un così importante risultato con uno dei miei racconti, soprattutto, pensando che una prestigiosa giuria di letterati l’avesse ritenuto, fra tanti, meritevole di stare sul podio. Ma lo scotto da pagare era doloroso. In piedi, davanti a quell’insieme di sguardi scrutatori, mi sentivo come un attore improvvisato su un palcoscenico imprevisto. Il vero ostacolo stava ora materializzandosi: il discorso di ringraziamento. Con la mente vuota di formule di cortesia, fissai intensamente il magnifico trofeo che mi era stato consegnato, sperando che le parole potessero materializzarsi miracolosamente da lì. Tuttavia, quella targa, così profondamente legata al territorio per essere stata realizzata con materiale lavico, oltre a riportare i dati propri del premio, non poteva colmare il vuoto che si era creato nella mia mente. Mentre la tensione cresceva e il silenzio diventava sempre più imbarazzante, presi fiato e iniziai a dire qualcosa. Aveva le sembianze di un goffo tentativo, tanto che la voce tremolante e impacciata suscitò qualche sorriso benevolo nella platea.

Continuando a incepparmi a ogni parola, cresceva dentro di me la consapevolezza di essere il protagonista di uno spettacolo comico. Tuttavia, quando, finalmente, con un sospiro di sollievo ritornai al mio posto, un'ondata di applausi, che sentii essere solidali per via della mia mancanza di disinvoltura, mi accompagnò. Ancora oggi, dopo tanto tempo trascorso, non sono riuscito a visionare il video registrato quel giorno da mia moglie. Dopo gli scatti individuali durante la premiazione, seguirono le fotografie di gruppo alla conclusione della stessa. Avvertivo una sensazione di estraneità, chiedendomi cosa ci facesse una persona come me tra coloro che, indubbiamente, si distinguevano per essere esperti di cultura e scrittura. La mia atavica modesta autostima amplificava, notevolmente, tutto ciò.

Appartengo a quella categoria di individui che faticano a gustare appieno i propri successi. Ciò non è avvenuto né per i buoni risultati conseguiti con lo studio né per l’ottenimento di buoni impieghi lavorativi, e, forse, per la mia natura di essere costantemente critico nei confronti di me stesso, non mi accadrà mai di apprezzare completamente qualsiasi conquista. Ci spostammo sulla spaziosa e incantevole loggia che, complice una giornata quasi estiva, si trovava immersa in un'atmosfera calda e avvolgente, che riuscì a sciogliere la precedente tensione, lasciando spazio a una connessione più autentica con gli altri partecipanti. Quel luogo, tra risate e chiacchiere, si trasformò in uno scenario ideale per continuare a catturare istantanee di gioia condivisa.

Quel clima mite ci dissuase dal nostro precedente intento di rientrare in hotel. Con la mappa digitale in funzione ci mettemmo in cammino alla ricerca dei principali punti d’interesse della città. Di fronte a noi, un vivace flusso di persone elegantemente vestite catturò la nostra attenzione, portandoci ad avvicinarci a loro. Scoprimmo essere gli invitati a un matrimonio che si stava celebrando nella chiesa di San Placido, la quale si faceva ammirare per la facciata concava, le decorazioni barocche e la bella torre campanaria, la cui sommità posteriore si poteva scorgere dalla loggia che avevamo appena lasciato. Proseguendo lungo quella strada, giungemmo in Piazza del Duomo, dove, al centro, spiccava la Fontana dell’Elefantino, simbolo della città. In qualsiasi direzione volgessimo lo sguardo, la magnificenza di quel luogo ci catturava. Uno dei lati era dominato dal maestoso complesso del Duomo, dedicato alla patrona della città, Sant'Agata.

L'interno ci affascinò con i suoi affreschi, la cappella che custodisce le reliquie della Santa e il monumento funebre del musicista Bellini. A destra di Palazzo Chierici si faceva ammirare la Fontana dell’Amenano, superata la quale e scendendo una breve scalinata arrivammo alla famosa Pescheria, l'antico mercato cittadino. Purtroppo, essendo chiuso in quel momento, non potemmo godere del suo tipico spettacolo folkloristico, visto in molte occasioni in televisione, caratterizzato dalla vuciata dei venditori, che non è solo un richiamo per i potenziali acquirenti ma è un continuo susseguirsi di detti popolari, stornelli, proverbi, una vera e propria commedia popolare che crea un'atmosfera unica.

Tornando indietro ci incamminammo lungo Via Etnea, fermandoci ad ammirare i bellissimi palazzi formanti il quadrilatero di Piazza dell’Università, ripromettendomi di approfondire le leggende che stanno alla base dei candelabri in bronzo installati ai quattro angoli della piazza. Eravamo consapevoli che Via Etnea conteneva lungo il suo percorso tante sorprese, aprendosi a continui spazi di grande attrattiva bellezza. Come scoprimmo essere Piazza Stesicoro, con il monumento al Bellini contornato da quattro statue che, allegoricamente, rappresentano le sue opere più famose. Più in là, proprio di fronte a essa, si poteva ammirare, in uno scavo del manto stradale, una porzione di un anfiteatro romano di epoca imperiale e di fianco a questo la Chiesa di San Biagio costruita sul luogo in cui la tradizione vuole che fosse ubicata la fornace legata al martirio di Sant’Agata. Camminando, osservando e ammirando, la sera ci venne incontro. Visto il pranzo abbondante nessuno di noi avvertiva fame, ma avevamo la curiosità di assaporare qualche preparazione di uno storico locale ai piedi della Villa Bellini, caldamente consigliato da numerosi blog. L'insegna comunicava con orgoglio che la storia di quell’attività aveva avuto inizio nel lontano 1897.

Appena entrati, fummo accolti da un'atmosfera elegante e da un'ambientazione che sembrava armonizzare il fascino dei tempi passati con elementi moderni. Banconi di meravigliosi dolci si susseguivano a quelli di ricette salate. Un impeccabile cameriere ci guidò verso un tavolo all'aperto, strategicamente posizionato per godere di una vista suggestiva sulla Villa illuminata dalle luci dei lampioni. Dopo aver sfogliato il menu ricco di specialità, optammo per la tipica granita siciliana. Caffè, pistacchio e mandorla furono i gusti da noi scelti. Ci furono servite, senza che nessuno ne ebbe fatto richiesta, con la tipica brioche col tuppo. “A granita câ brioscia” va mangiata ci disse il cameriere, volendo sottolineare che l’abbinamento era d’obbligo per gustarla al meglio. Alla fine, non potemmo che concordare pienamente con lui. Quella fu la nostra prima esperienza con questa prelibatezza, scoprendo che le granite assaporate fino a quel momento non erano altro che semplice ghiaccio tritato e aromatizzato. Insieme al conto il ragazzo ci portò un vassoietto contente tre dolcetti di forma ovale, di colore verde, ricoperte di zucchero semolato e con una foglia di ulivo conficcata a un’estremità. Ci informò che si trattava delle olivette di Sant’Agata e che erano un omaggio per noi. La pasta di mandorla di cui erano fatte si sciolse piacevolmente in bocca.

Con il palato soddisfatto, ci inerpicammo lungo la scalinata fiorita di Villa Bellini. Posta in una posizione elevata, la location si rivelò suggestiva, avvolta da luci soffuse che creavano un'atmosfera magica. Con il quadrante costituito da piante sempreverdi, particolarmente scenografico era l’orologio posto alla fine delle scale. Ponticelli, sottopassaggi, vialetti bordati da siepi e alberi secolari si aprivano in prati erbosi e in piazzole dotate di piccole grotte e da fontane con giochi d'acqua. Questo luogo si presentava come un angolo paradisiaco incastonato all'interno della città. Le persone intorno a noi condividevano racconti e risate passeggiando o restando seduti sulle panchine. Da un punto panoramico, godemmo di una vista incantevole sull'Etna. Dalla sua maestosa silhouette, illuminata dalla luce della luna, potemmo distinguere una sottile colonna di fumo che si alzava verso il cielo. In seguito venimmo a sapere che qualche giorno dopo si aprì una bocca effusiva nella parte alta della Valle del Bove.

Seduti su un muretto di fronte a quello spettacolo discutevamo su cosa fare il giorno successivo. Nonostante espressi il desiderio di fare un'escursione su quella montagna che respirava, le sorelle, desiderose di godersi l'ultimo giorno a Catania sotto il sole siciliano, insistevano per un’oziosa giornata in spiaggia, il loro entusiasmo per il mare prevalse e la mia proposta fu democraticamente bocciata. Scoppiarono in una fragorosa risata al mio fargli notare la mancanza del necessario abbigliamento. A mia insaputa avevano previsto tutto sin dal giorno della partenza. La mattina seguente, ci svegliammo presto e, dopo aver fatto colazione, mi apprestai a fare una telefonata. Alle nove in punto Turi si presentò davanti l’hotel, questa volta indossava una t-shirt su cui spiccava la stampa di un nero “Liotru”. Una volta in auto, dopo averci offerto un pezzo di squisita “giuggiulena”, che la moglie preparava anche al di fuori del periodo natalizio di cui era tipica, si diresse verso il litorale, che scoprimmo essere chiamato dai catanesi La Playa.

Era una giornata soleggiata, molto più calda della precedente. Turi ci lasciò dinnanzi a quello che, a detta sua, era uno degli stabilimenti più eleganti di quella lunga costa. L’ambia spiaggia ci accolse con la sua sabbia dorata che già a quell’ora faceva sentire il suo tocco scottante sotto piedi. Piccole onde si infrangevano dolcemente sulla riva, creando un sottofondo rilassante. La giornata trascorse tra bagni rinfrescanti nel mare cristallino, le mie consuete passeggiate lungo la battigia e momenti di puro relax sotto l'ombrellone. Verso mezzogiorno, al chiosco del lido, ci rifocillammo, abbondantemente, con cartocciate alla norma, crispelle con le alici, cipolline con prosciutto, formaggio e cipolla cotta. I freschi calici di Etna Bianco con cui li accompagnammo ci resero allegri, abbattendo le nostre già scarse forze, mentre il caldo pomeridiano si distese davanti a noi come un invito alla pigrizia. Il loro risultato sinergico ci indusse a fare un bel pisolino su sdraio e lettini.

Quando mi destai, il sole stava iniziando a calare alle nostre spalle, tingendo il cielo di tonalità calde e avvolgenti. Dalla borsa di mia moglie presi una penna e strappai dei fogli da un block-notes e mi avvia verso il bagnasciuga. Seduto su uno dei pattini di salvataggio i fogli bianchi iniziarono ad accogliere l’inchiostro della biro. Esordii con una serie di ghirigori, in quando, pur avendo in testa cosa volessi esprimere, come spesso mi capita non riuscivo a tradurlo in un discorso scritto. Forse perché erano pensieri sparsi, idee ancora in germoglio.

Probabilmente grazie a quell'atmosfera rilassata e al paesaggio incantevole, le parole piano piano iniziarono a prendere forma. La mia mente cominciò a intrecciare trame e personaggi che non poteva che dar vita a un nuovo racconto il cui palcoscenico doveva per forza essere Catania e quei pochi, ma intensi, giorni trascorsi lì. La speranza era quella di riuscire a rivivere quei momenti descrivendo quel viaggio e quell’esperienza, e, al contempo, di saper imprigionare in una narrazione tutte le sensazioni provate con l’intento che le stesse potessero essere facilmente trasmesse anche a coloro che non avevano vissuto, direttamente, quei momenti. Ma l’aspettativa più grande era che in forza del nascente racconto di poter tornare ad attraversare lo stretto per partecipare a una nuova premiazione.

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