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    Barbara Poggio - Orazio Maria Valastro (sous la direction de)

    M@gm@ vol.10 n.1 Janvier-Avril 2012

    LE NARRAZIONI COME METODO DI INDAGINE SOCIOLOGICA


    Rita Bichi

    rita.bichi@unicatt.it
    Professore ordinario di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Metodologia della ricerca sociale e Modelli di pensiero delle scienze sociali.

    Lara Maestripieri

    lara.maestripieri@polimi.it
    Ricercatrice post-doc fa parte dello staff del Laboratorio di Politiche Sociali/DIAP del Politecnico di Milano. Presso la facoltà di architettura, insegna sociologia della società post-industriale.

    L’incontro trentino ha dimostrato l’interesse crescente dei giovani sociologi per lo sviluppo dei metodi narrativi e la capacità che questi hanno di essere efficaci nell’analisi di svariati temi, dai racconti di malattia alle narrazioni identitarie, dallo studio di lavoro e organizzazioni a quello delle migrazioni, di genere e memoria. Tuttavia, l’interesse della sociologia italiana va visto in un quadro di sviluppo più ampio a livello europeo e americano dove, a partire dagli anni ’90, l’intervento di alcuni autori come Lyotard, Bruner e Macintyre (Czarniawska, 1997), ha sancito quella che alcuni autori hanno definito svolta narrativa (Kohler Riessman, 2001 e 2008).

    La sociologia, infatti, tende sempre più a valorizzare la narrazione come processo di conoscenza peculiare che è attivato costantemente nella vita quotidiana; la “rivoluzione” risiede nel fatto che la narrazione diventa oggetto della sociologia e la disciplina stessa valorizza il suo uso sia come strumento di indagine scientifica, sia come modo di conoscere che come modo di comunicare, rivendicando la legittimità scientifica all’ascolto della parola diretta degli individui coinvolti all’interno delle ricerche di stampo sociologico (Poggio, 2004).

    Ma che cos’è una narrazione? Una narrazione in sociologia è definita come tale nel momento in cui un narratore connette eventi in una sequenza (cronologica, logica, argomentativa) che sia consequenziale per le argomentazioni successive e per il significato che il parlante vuole comunicare a chi ascolterà la sua storia (Atkinson, 1998): gli eventi che sono considerati rilevanti dal narratore sono selezionati, organizzati, connessi e resi significativi per l’audience che in quel momento lo sta a sentire (Kohler Riessman, 2008). Gli esseri umani hanno una tendenza naturale a rappresentare la propria esperienza rispetto al mondo in forma narrativa: le storie che raccontano sono in grado di offrire coerenza e continuità alla propria biografia e sono lo strumento privilegiato che consente loro di comunicare con gli altri (Lieblich e altri, 1998). Esse hanno un carattere sia personale che sociale, in quanto consentono di trarre informazioni sul contesto nel quale l’intervistato ha vissuto le sue esperienze e il modo con cui le interpreta informa il ricercatore della cultura del mondo sociale nel quale è inserito.

    Il raccontare è una pratica sociale e discorsiva che incorpora un proprio sapere detto sapere narrativo: questa fonte di informazione è custodita nell’esperienza contestualizzata delle storie che sono raccontate al ricercatore in un particolare momento/contesto. Le narrazioni sono dunque uno strumento potente: hanno la funzione di organizzare il mondo dal punto di vista del soggetto che narra, fornendo connessioni e schemi di interpretazione, che sono un modo per riaffermare e costruire in modo narrativo la propria identità all’interno di una storia che la contestualizzi. Infatti, le storie non possono essere colte nella loro individualità narrativa a prescindere dal contesto nel quale sono raccolte: si situano in un panorama che è costruito narrativamente da più soggetti, oggetti e eventi che fanno parte del mondo sociale del soggetto (Connelly, Clandinin, 2000).

    Se raccontare è la forma principale attraverso cui si esprime la comunicazione umana (Bichi, 2000) diventa anche comprensibile l’interesse crescente verso questo tipo di riflessioni metodologiche, che focalizzano la loro attenzione a come studiare sociologicamente il sapere narrativo. Come dicono Clandinin e Connelly (2000): “We might say that if we understand the world narratively, as we do, then it makes sense to study the world narratively” (Clandinin, Connelly: 17).

    Nella sessione trentina sulla metodologia, tale interesse si è declinato nei modi più svariati, sia a partire da contributi squisitamente teorici ma anche da riflessioni più legate al campo empirico. Oltre agli interventi di Stagi e Coppola che seguiranno questa introduzione, la discussione si è focalizzata sul sottile confine tra verità e finzione nelle storie di trafficking, narrazioni in cui Emiliana Baldoni ha analizzato 16 biografie di donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale al fine di comprendere quale ruolo avessero le modalità di auto-rappresentazione, in particolare sulla delicata questione dell’affidabilità di racconti di persone a forte stigmatizzazione sociale. Un secondo intervento è stato quello di Andrea Sormano, in cui a essere indagato è stato il microcosmo delle mosse, nella convinzione che l’intervista non sia semplicemente uno strumento di raccolta di informazioni, ma soprattutto un oggetto sociologicamente rilevante in sé come contesto di interazione basato sul linguaggio. Irene Pellegrini ha, al contrario, riflettuto sul rapporto tra teoria e pratica della ricerca, analizzando in modo riflessivo gli strumenti metodologici da lei utilizzati nel corso della sua ricerca su omosessualità e famiglia nelle tre dimensioni epistemologica, metodologica e tecnica. In ultimo, la riflessione di Albertina Pretto ha chiuso il cerchio grazie ad una meta-indagine in cui gli stessi intervistatori e i loro approcci sono stati al centro dell’arena, nel tentativo di rispondere a quesiti su come sia possibile definire criteri che individuino il buon intervistatore e ancora qual è il tipo di approccio consigliabile tra narratore e ricercatore-intervistatore.

    Come è chiaro da questi pur brevi richiami, il punto nodale dal punto di vista teorico per i sociologi che riflettono sui metodi narrativi è rappresentato dalla relazione chiave tra intervistatore/narratore e da come sia possibile tradurre una relazione di intervista in un testo scientifico. Questo processo è ancora particolarmente delicato per lo statuto finora incerto che caratterizza questo approccio nella disciplina, purtroppo segnata in Italia da dibattiti intestini sulla validità empirica degli approcci che fanno riferimento all’insieme non standard (Marradi, 2007). Infatti, la narrazione come tale esula dallo statuto di verità per essere ricompresa in quello della verosimiglianza contrariamente a quanto sostenuto dal pensiero scientista: la natura stessa del racconto implica la necessità di accettare la sua indeterminatezza, riconoscendone il margine di soggettività e valorizzandolo in quanto rappresentazione della realtà del fenomeno che si sta studiando (Jedlowski, 2000).

    A parziale giustificazione dell’incertezza del suo riconoscimento, l’analisi di tipo narrativo è, infatti, composta da una famiglia di metodi, il cui (spesso) unico denominatore comune è l’interpretazione di testi che abbiano la struttura di una storia al fine di analizzarli e considerarli come un tutto unico. Scopo del ricercatore è cercare quanto possibile di evitare la tentazione di frammentare le interviste in una serie di citazioni slegate tra di loro, per recuperare la singolarità di ciascuna narrazione e tentare di comprendere le transizioni di un’esistenza nella loro unicità e nella loro generalità (Bourdieu, 1993). Fare ricerca narrativa è raccogliere l’esperienza sociale di chi racconta, intesa sia come attività cognitiva che come modo di costruzione, verifica e riproduzione del mondo sociale, in quanto il narrante non solo comunica gli avvenimenti di cui è stato protagonista ma attraverso il suo modo di raccontare è in grado di rendere conto del particolare mondo sociale di cui è membro, a partire dal punto di vista che propone per la sua narrazione.

    La discussione che si è svolta a Trento e i testi che sono stati presentati durante questo primo appuntamento hanno messo in luce come il problema centrale per un’analisi di tipo narrativo sia la comprensione dell’altro da sé e la co-costruzione del senso nel contesto di una relazione sociale particolare come è quello dell’intervista. Richiamando Dilthey, possiamo dunque affermare che la vera questione metodologica delle narrazioni è strettamente legata alla nozione di empatia, attraverso la quale un ricercatore è in grado di comprendere le motivazioni di un soggetto sulla base della comune natura umana e del linguaggio (Marradi, 2007).

    Tuttavia, questo assunto è da un certo punto di vista insufficiente: come afferma Bourdieu, lo scopo di una sociologia di questo tipo non si esaurisce nel solo comprendere ma anche nel cercare di capire quali sono le condizioni sociali alla base di un certo fenomeno (Bourdieu, 1993). La facoltà di riconoscere una storia come tale e interpretarla sulla base del linguaggio è spesso riconosciuta come innata nell’essere umano, ma i sociologi che usano le narrazioni devono fare di questa naturale tendenza un metodo che sia in grado di incrementare la nostra comprensione di un determinato fenomeno sociale, associando a ciascun agire sociale un significato coerente con le azioni che lo precedono e lo seguono nella trama narrativa (Jedlowski, 2000).

    In conclusione, conciliare questa esigenza di conoscenza e spiegazione con l’empatia e la comprensione è lo snodo a cui i metodologi sono chiamati a rispondere e che i sociologi intervenuti a Trento hanno cercato di risolvere nel corso delle loro indagini empiriche. Alla domanda se tale sintesi sia davvero un obiettivo raggiungibile non è possibile dare risposta. È tuttavia importante ricordare come il costante e crescente interesse nei confronti di questi approcci dimostri in negativo più che in positivo l’impossibilità di raggiungere il grado di comprensione dell’altro di questi metodi facendo ricorso ad altri strumenti di indagine e, in particolare, la necessità di usare strumenti narrativi quando i fenomeni sociali di studio si fanno più complessi e quando le persone con le quali i sociologi hanno a che fare raccontano biografie problematiche, dolorose, difficili e a forte stigmatizzazione sociale, come ben evidenziato da Stagi, Pellegrini e Baldoni.

    Per conseguire questi risultati è tuttavia necessario che il ricercatore/intervistatore si metta in gioco personalmente nella relazione di intervista e che sia pronto a riflettere seriamente sul ruolo che la sua stessa riflessività gioca nella co-costruzione del sapere narrativo. Come afferma Bourdieu nella conclusione della sua nota metodologica a margine della “Misère du Monde” lavorare sulla comprensione non significa semplicemente assumere una posizione d’ascolto, ma essere consci del ruolo che in prima persona si sta giocando nella costruzione del sapere scientifico.

    L’“innocenza epistemologica” non sta nella predilezione per uno o l’altro metodo, ma nell’uso consapevole che se ne fa, nei suoi limiti e nei suoi vincoli e nella presa in carico riflessiva del proprio punto di vista personale: è lo sforzo di costruire conoscenza scientifica nella piena consapevolezza che le proprie azioni e scelte, il proprio vissuto, la propria biografia generino un punto di vista specifico e particolare perché sociologico, che inevitabilmente comporta delle conseguenze sulla restituzione delle narrazioni raccolte durante il processo di ricerca ma che l’esplicitazione del metodo e la sua oggettivazione è il discrimine che garantisce scientificità alle procedure di ricerca (Bourdieu, 1993).

    Bibliografia

    Atkinson, R. (1998) The life story interview. Thousands Oaks: Sage Publications.
    Bichi, R. (2000) La società raccontata. Metodi biografici e vite complesse. Milano: Franco Angeli.
    Bourdieu, P. (1993) La misére du monde. Paris: Éditions du Seuil.
    Clandinin, J. e Connelly, F. M. (2000) Narrative inquiry. Experience and story in qualitative research. San francisco: Jossey-bass.
    Czarniawska, B. (1997) Narrating the organization. Dramas of istitutional identity. Chicago: The University of Chicago Press.
    Jedlowski, P. (2000) Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana. Milano: Bruno Mondadori.
    Kohler Riessman, C. (2001) ‘Handbook of interview research’, in Holstein, J. A. e Gubrium, J. F. (a cura di) Handbook of interview research. Thousands Oaks: Sage Publications.
    Kohler Riessman, C. (2008) Narrative methods for the human sciences. Thousands Oaks: Sage Publications.
    Lieblich, A., Tuval-Mashiach, R. e Zilber, T. (1998) Narrative Research. Reading, Analysis And Interpretation. Thousand Oaks: Sage Publications.
    Marradi, A. (2007) Metodologia delle scienze sociali. Bologna: Il Mulino editore.
    Poggio, B. (2004) Mi racconti una storia? Il metodo narrativo nelle scienze sociali. Roma: Carocci.



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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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