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    Barbara Poggio - Orazio Maria Valastro (sous la direction de)

    M@gm@ vol.10 n.1 Janvier-Avril 2012

    GIOVANI MIGRANTI SI RACCONTANO: UNA RICERCA ALL’INTERNO DI UN CENTRO DI AGGREGAZIONE GIOVANILE


    Caterina Rizzo

    caterina.rizzo@unicatt.it
    Dottoranda in Sociologia e metodologia della ricerca sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con un progetto di ricerca sul Servizio Volontario Europeo, giovani e processi di costruzione sociale dell’Europa. Laureata in Consulenza pedagogica e ricerca educativa presso l’Università degli Studi di Bergamo, con un tesi sulla socializzazione dei giovani migranti nel no schooling. Attualmente è Cultore della materia in Sociologia generale e in Modelli di pensiero delle scienze sociali, e collabora al corso di Laboratorio di ricerca sociale presso la Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

    1. Nuove generazioni e identità plurali

    In Italia non si distingue sempre e chiaramente tra minori stranieri, minori immigrati o migranti, figli di immigrati e seconde generazioni. È frequente che queste tipologie siano assimilate alla categoria generica dei minori stranieri o di origine immigrata. Queste espressioni hanno conosciuto negli ultimi anni una rapida diffusione e attualmente sono divenute di uso comune. A ciò hanno contribuito anche avvenimenti internazionali che hanno conquistato la ribalta mediatica, come il fenomeno delle ‘bande’ dei giovani latinos in città come Genova, Barcellona e New York o come le rivolte nelle banlieus parigine avvenute nel 2005. Altri fenomeni, invece, come la costituzione in Italia del network G2 - Generazioni seconde [1], di Anolf Giovani di 2^ Generazione3 e le molteplici collaborazioni di questi gruppi con alcuni enti governativi e non, non hanno trovato nei media nazionali lo stesso risalto, ma hanno comunque contribuito a focalizzare l’attenzione sul fenomeno. Più in generale, la tematica delle seconde generazioni risulta centrale per la presenza ormai strutturale di ragazzi con cittadinanza non italiana nel territorio e nelle scuole del nostro Paese. Tuttavia, definire questi soggetti non è scontato come può apparire. L’accezione di seconde generazioni tende ad essere abbastanza ampia, coincidendo spesso con quella dei figli della prima generazione di immigrati presenti in Italia. Ma secondo la letteratura, questo termine in senso stretto sta ad indicare “i figli degli stranieri nati nel nostro Paese o i ragazzi immigrati che hanno qui compiuto la formazione scolastica primaria e oltre” (Demarie, Molina, 2004:IX). Essi si differenziano da coloro che hanno cominciato il processo di scolarizzazione e la scuola primaria nel Paese d'origine, e lo hanno completato all' estero, che Rumbaut (1997) definisce ‘generazione 1,5’, e che distingue dalla ‘generazione 1,25’, composta, invece, da coloro che emigrano tra i 13 e i 17 anni e altresì dalla ‘generazione 1,75’, formata da coloro che si trasferiscono all'estero in età prescolare (0-5 anni). Dunque, appare importante sottolineare come al di là del luogo di nascita, sia il processo di socializzazione a costituire il tratto caratteristico che diversifica la categoria. Infatti, questi giovani si trovano a compiere il loro percorso di socializzazione in ambienti diversi, a seconda che siano nati in Italia o all’estero, che abbiano compiuto o meno il viaggio di migrazione e a seconda dell’età in cui è avvenuta la migrazione. Puntare il fuoco di analisi sui percorsi di socializzazione e sulle pluriappartenenze di questi giovani consente di mettere in luce i limiti di una concezione lineare e unidirezionale del processo di integrazione sociale, aprendo la possibilità di una visione dinamica che permette di andare oltre il criterio della temporalità utilizzato da Rumbaut. I figli dell’immigrazione rappresentano a tutti gli effetti una pluralità di condizioni e situazioni, e sono portatori di esperienze specifiche che evidenziano una loro differenziazione interna importante che non può essere trascurata. Essi si fanno portatori di un progetto di vita che si fa stabile, non più temporaneo e precario come quello familiare, ma ben radicato e proiettato in un futuro che nella maggior parte dei casi si prospetta in questo Paese e non altrove. Nel sito web della Rete G2, per esempio, si legge che “G2” non sta per “seconde generazioni di immigrati” ma per “seconde generazioni dell’immigrazione”. Ed è interessante notare come il concetto di immigrazione venga declinato dai giovani della Rete: “un processo che trasforma l’Italia, di generazione in generazione” [2]. Sempre in quest’ottica intergenerazionale Elena Besozzi, sociologa che da anni si occupa di giovani migranti, parla di generazione ponte [3], riferendosi con questo termine a una generazione composta da giovani che stanno costruendo il passaggio tra i primo-migranti e le generazioni successive, affrontando direttamente il passaggio dal progetto migratorio familiare a un insediamento stabile nella società di arrivo. Una generazione intenta a sviluppare nuove e concrete strategie per l'inclusione, l'appartenenza, ma anche per la convivenza tra più mondi. Infine Enzo Colombo (2010) in una recente pubblicazione sul tema torna a utilizzare il termine “figli di migranti” definendoli come componente importante e attiva di una "nuova generazione di italiani", contraddistinta dalla necessità e dalla capacità di vivere in un contesto di crescente globalizzazione.

    Al termine di questa rassegna terminologica, che non ha certo pretese di esaustiva, ci sembra doveroso precisare che a nostro avviso il concetto di seconde generazioni, così come gli altri concetti affini sopra richiamati, non sono certo da rifiutare, bensì da puntualizzare e da usare con accortezza. In un panorama etimologico così vasto, che implica situazioni di vita molto diverse tra loro, il concetto di seconde generazioni impone necessariamente l’adozione del plurale, che dà meglio conto di una situazione complessa, dettata dalla compresenza di caratteristiche e situazioni diversificate. Ciò che quindi può risultare utile ai fini di una comprensione del fenomeno è tener conto dei processi di socializzazione in cui queste nuove generazioni sono coinvolte. Certamente appare utile rimarcare la nuova fase dei processi migratori, segnata da forme di insediamento più durature e pertanto dall'emergere di una generazione di giovani che non possono più dirsi immigrati né tantomeno stranieri, ma che anzi, presumibilmente assomigliano sempre più ai coetanei italiani con cui sono cresciuti e con cui condividono i passaggi cruciali della crescita in una società complessa, globalizzata e fortemente contraddittoria. Come questi giovani rielaborano il progetto e l’esperienza dei genitori, come compiono i loro percorsi di socializzazione in ambienti diversi, e come guardano al futuro, costituiscono a nostro parere elementi essenziali per trarre indicazioni plausibili sui possibili scenari futuri di questa nuova generazione della società italiana. Ed è a partire da questa consapevolezza che ha preso origine la ricerca qui presentata.

    2. Raccontare, ascoltare, comprendere i luoghi educativi extra-scolastici: tra sostegno scolastico e percorsi di socializzazione

    L’idea è stata quella di procedere a partire da un contesto sociale che, per quanto riguarda le dimensioni che si intendono esplorare, appare molto significativo, benché purtroppo ancora scarsamente esplorato da parte degli scienziati sociali. L’ambito in questione è quello delle agenzie di socializzazione informali, in particolare la realtà dei cosiddetti luoghi educativi extra-scolastici. In un tempo segnato da un eccezionale pluralismo culturale è evidente, infatti, come i due ambienti tradizionalmente deputati ai processi di socializzazione, quali la famiglia e la scuola, vengano affiancati da molte altre istanze: basti pensare a tutti i luoghi dell’extra-scuola, alle associazioni di vario tipo, ai vecchi e nuovi media, ma anche al gruppo dei pari, agli adulti di riferimento e a tutta quella pluralità di legami, relazioni e appartenenze che nell’odierna società globale è possibile intrecciare. All’interno di questa complessità i percorsi di socializzazione odierni assumono tratti differenti e perdono le loro caratteristiche di formalità, stabilità e conformità al modello di riferimento, divenendo plurali, dinamici e in continua riformulazione. Dunque, la significatività dei luoghi educativi extra-scolastici diviene ancor più rilevante e degna di interesse all’interno di un tessuto sociale in cui si moltiplicano gli aspetti informali della socializzazione, aspetti altrettanto importanti poiché, come afferma Besozzi (2006) definiscono “l’insieme di relazioni sociali che producono l'effetto socializzante, vale a dire l'assunzione, da parte del soggetto, di orientamenti e significati e un suo adattamento a norme e regole definite dalla situazione o dall'ambiente sociale in cui si scrive la sua esperienza” (ivi:39). Con la creazione di spazi educativi extra-scolastici (in particolare doposcuola e Centri di Aggregazione Giovanile) [6] si vuole sopperire innanzitutto all’insuccesso scolastico, ma essi mirano a risolvere anche difficoltà di altro genere che riguardano i più ampi processi di socializzazione e quindi la ricomposizione delle diverse istanze culturali e sociali con cui i giovani si trovano a fare i conti, la negoziazione di regole e valori, l’aggregazione con i pari, la gestione del tempo libero, la partecipazione sociale e l’orientamento verso il futuro. Come ricordano Ambrosini e Cominelli (2004) i primi luoghi dell’extra-scuola nascevano per sopperire alle carenze scolastiche e ai problemi relazionali dei minori italiani, “ma con l’arrivo dei minori migranti si è assistito all’ampliamento della missione originaria attraverso l’apertura di questi servizi ai nuovi destinatari, che in qualche caso hanno addirittura sostituito i beneficiari italiani” (ivi:24). Certamente i minori stranieri manifestano, forse in maniera più pressante rispetto ai loro coetanei italiani, la necessità che particolari attenzioni siano rivolte ai loro processi di inclusione sociale. Tali luoghi provvedono dunque principalmente alla mancanza di spazi che tengano conto di questi giovani e del fatto che oltre la scuola spesso essi non frequentano nessun altro luogo che assuma un’impronta educativa. L’obiettivo generale è quello di contrastare i processi di esclusione sociale a cui questi soggetti si sentono spesso esposti e che rischiano di farli precipitare in spirali di marginalità e devianza. Da non trascurare, infine, il radicamento di tali luoghi nel territorio; infatti, questi spazi nascono in risposta a esigenze ben definite e localizzate, e presentano confini indefiniti con il territorio circostante, collocati come sono dentro le pieghe dei quartieri più a rischio isolamento della città.

    Un esempio di luogo educativo extra-scolastico che presenta insieme caratteristiche di doposcuola e di centro aggregativo, in quanto riunisce in sé le attività tipiche di entrambi gli ambienti [7], è costituito dal campo della nostra ricerca: il CAG S.Giorgio, che è uno dei tanti luoghi ‘in frontiera’, localizzato all’interno di una zona della città di Bergamo caratterizzata da un’alta concentrazione abitativa di famiglie migranti. Tale realtà si è rivelata interessante ai fini della ricerca, in quanto risorsa importante per l’accoglienza dei minori stranieri nella città bergamasca, che, si ricorda, rappresenta una delle provincie italiane con la più forte concentrazione di minori non italiani. Il Centro S. Giorgio è un’organizzazione di volontariato che si è costituita formalmente come Onlus nel 2003, acquisendo il nome di Fabbrica dei Sogni, e divenendo luogo di incontro, di studio e di gioco per giovani in prevalenza stranieri. Il Centro vanta la presenza di più di un centinaio di bambini e adolescenti di età compresa tra i 6 e i 21 anni, distribuiti per ordini scolastici (primarie, superiori di primo grado e superiori di secondo grado) e appartenenti a etnie diverse: africane (con provenienze da Costa d'Avorio, Ghana, Senegal, Burkina Faso, Marocco); sudamericane (soprattutto da Argentina, Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Santo Domingo); asiatiche (Cina, India, Pakistan, Bangladesh) ed europee (Albania, Moldavia, Romania, Ucraina, Italia).

    3. La ricerca sul campo. Un’indagine tra azioni, relazioni e narrazioni di senso

    Gli obiettivi generali della ricerca sono stati quelli di studiare le logiche d’azione, le pratiche e le dinamiche relazionali osservabili all’interno del Centro e di comprendere il punto di vista dei giovani che lo frequentano, principalmente rispetto alla funzione che esso svolge all’interno dei loro percorsi di vita. A tal fine, ci si è proposti di leggere la realtà del campo attraverso due tecniche di indagine: un’osservazione partecipante durata una decina di giorni e la realizzazione di alcune interviste biografiche. In particolare, tra tutti i minori di ogni fascia d’età che frequentano il Centro, la ricerca ha scelto di focalizzare l’attenzione sul gruppo dei più grandi. Si tratta di adolescenti di età compresa tra i 14 e i 19 anni che frequentano le scuole superiori e che sono giunti in Italia in età preadolescenziale, cominciando a frequentare qui le scuole medie, con tutte le problematiche relative all’apprendimento della nuova lingua e all’inserimento in classe che questo passaggio comporta. Più nello specifico, quindi, durante la prima fase della ricerca si è adottata la tecnica dell’osservazione partecipante, che ha implicato lo studio e l’esplorazione delle pratiche quotidiane, nonché l’osservazione dei processi relazionali in atto tra i ragazzi, sia all’interno dell’aula studio che fuori da essa. Tuttavia questa parte della ricerca non sarà oggetto del presente articolo, nel quale si intende invece rendere conto della seconda fase dello studio sul campo: quella che ha visto la raccolta delle narrazioni di alcuni tra i giovani adolescenti che si era avuto modo di conoscere durante la prima fase dell’osservazione. La tecnica di rilevazione adottata è stata quella dei “racconti di vita” tematizzata da Daniel Bertaux e Rita Bichi. Più precisamente, i colloqui sono stati realizzati con dieci adolescenti: sei ragazzi e quattro ragazze appartenenti a etnie differenti, facenti parte principalmente dell’Africa maghrebina e sub-sahariana, dell’Europa dell’Est e dell’America Latina. Tra i maschi due fratelli marocchini di 19 e 17 anni, un ghanese di 19 anni, un albanese e un argentino di 19 anni e un senegalese di 18. Tra le ragazze una boliviana e una peruviana di 19 anni, e infine una ucraina e un’ecuadoregna di 14 anni.

    Attraverso le interviste, si è chiesto ai ragazzi di parlare di sé e di raccontarsi liberamente e più specificamente in questo momento della loro vita, collocati come sono all’interno del frammento di mondo sociale che abitano, costituito appunto dal Centro di aggregazione. Seguendo la prospettiva etnosociologica di Bertaux (2003) infatti lo scopo dei racconti di vita è proprio quello di “studiare un piccolo frammento di realtà storico-sociale” (ivi:32), concentrando l’attenzione su “un mondo sociale […] o su una categoria di situazione, ossia l’insieme delle persone che si trovano in una situazione sociale data” (ivi:33). E’ questo il caso dei giovani migranti che frequentano il CAG. Dal punto di vista metodologico essi possono infatti essere definiti una categoria di situazione, in quanto condividono una situazione sociale che, in quanto tale, genera processi e logiche di azione, rappresentazioni e valori comuni e peculiari che possono quindi essere studiati. Ne sono emersi dei racconti che, prendendo in prestito le parole di Jedlowski (2000), oscillano tra due poli: da un lato tendono alla presentazione di sé, dall’altro a una costante e mai compiuta ricerca della propria identità. Dalle trame biografiche, infatti, riaffiorano le specifiche traiettorie migratorie e l’auto-definizione del sé in una dimensione diacronica, ma anche le pratiche e le dinamiche relazionali nel qui ed ora, le quali si esplicano all’interno di quello spazio insieme fisico e simbolico che è il Centro di aggregazione. Luogo divenuto fortemente significativo all’interno del percorso di vita dei ragazzi, nonché spazio che apre al ri-conoscimento e alla ri-significazione della loro esperienza biografica. Non a caso, esso è anche il luogo prescelto per la relazione d’intervista, spazio in cui gli avvenimenti narrativi si svolgono attraverso una nuova presa di coscienza dei vissuti che si gioca tra i narratori e chi ascolta. E dove il racconto e l’ascolto sono finalizzati alla ricostruzione degli universi di senso degli intervistati, mentre si costruiscono e si esplicitano nell’interazione d’intervista. Entriamo dunque nel merito dei racconti di vita dirigendoci al cuore stesso della ricerca.

    I ragazzi intervistati, come si diceva, riconoscono fortemente nei loro racconti la peculiarità del Centro San Giorgio [5], che si rappresentano, a seconda dei casi, come casa, consultorio, centro compiti, luogo di incontro, spazio-gioco, luogo diverso da ogni altro ambiente extra-scolastico conosciuto. Dalle interviste emerge, in particolare, come essi tendano a investire molte energie nella ricerca del soddisfacimento dei loro bisogni relazionali e affettivi, ricerca che si indirizza all’interno del Centro stesso e che consente loro di sviluppare un forte senso di appartenenza e di continua interazione, fortemente connotata nel tempo presente, ma anche base solida per l’orientamento al futuro. Gli elementi ricorrenti nei racconti di vita sono quindi il senso di appartenenza a un luogo in cui ci si sente accolti senza sentirsi stranieri, spazio fidato in cui poter incontrare l’Altro, costruire pratiche relazionali, legami, e progettare per il futuro, avvalendosi sia del sostegno degli educatori, sia del confronto con il gruppo dei pari.

    Qui a San Giorgio noi ci sentiamo sicuri, possiamo incontrare i nostri amici, ma soprattutto parlare, discutere di noi e fare quello che vogliamo, cioè sempre nel rispetto delle regole. Si può ballare, giocare, parlare e persino urlare. Se facessimo queste stesse cose per strada o in centro a Bergamo arriverebbe subito la polizia a portarci via. Noi stranieri diamo sospetto anche solo se ci raduniamo in gruppo a parlare e così. Invece qui ci sentiamo liberi e protetti, come in una grande casa. (ragazzo albanese, 19 anni)
    E poi San Giorgio è un posto meraviglioso e io voglio che tutte le persone esterne possono vedere quello che c'è qua, ci sono tanti come me là fuori, tanti come me che devono usufruire... devono avere la possibilità che ho avuto io qua, perché non va bene che loro stanno sulle strade mentre possono venire qui per studiare, per stare insieme ai ragazzi, per parlare… per imparare l’italiano, per parlare con gli educatori. (ragazzo senegalese, 18 anni)

    Si legge tra le righe, del primo brano in particolare, anche la difficile scoperta che un'identità auto evidente per sé risulta invece tutta da costruire e negoziare dentro un contesto sociale più ampio che la percepisce come diversa e critica. E per far fronte a tali criticità le interviste confermano l'importanza strategica delle relazioni col gruppo dei pari e con gli educatori del Centro quale elemento fondamentale nei processi di identificazione e socializzazione.

    Quando sono arrivato qua, la prima volta ho visto qualcosa che non avevo MAI VISTO negli altri oratori. E qualcosa mi spingeva a venire tutti i giorni, venivo sempre, sempre anche da solo, stavo con tanti ragazzi e così… avevo visto che ci sono tante nazionalità diverse, ma ho visto che tra di loro non c'era odio, non c'era… cioè, non è che arrivava uno e non era ben accetto, anzi accettavano tutti e sono entrato anch'io. Negli altri oratori l'amicizia tra i ragazzi e il gioco non erano molto divertenti, non lo trovavo molto simpatico. C'è chi ti prende in giro, c’è chi non ti vuole nel gruppo, c’è chi fa in modo che tutta la tua vita va male e c'è anche chi fa il figo prendendoti in giro, dicendoti negro di merda, marocchino e cose del genere, no? A questo punto sei disposto a reagire o a star lì sempre. In questo oratorio non permettiamo… Uno: non ci si può permettere di fare una cosa del genere, perché prima di tutto siamo tutti uguali. Non c'è differenza con l'altro: uno nero, uno bianco, uno marrone, uno giallo, ma siamo tutti uomini! Due: ci sono gli educatori che ci aiutano a far rispettare questo. (ragazzo marocchino, 17 anni)

    Dal punto di vista interpretativo della ricerca, il CAG appare quindi uno spazio di socializzazione in cui una molteplicità di relazioni e pratiche discorsive quotidiane rinsaldano i legami tra i ragazzi e gli educatori, tra i pari, e tra questi e il più complesso contesto sociale nel quale sono inseriti. Infatti, i giovani partecipanti condividono nel corso del tempo quotidiano non solo i racconti delle esperienze vissute all’interno del Centro stesso, ma anche di quelle esperienze vissute al di fuori, per es. in ambito scolastico o in famiglia; esperienze che quotidianamente vengono scambiate e ri-significate attraverso una narrazione partecipata che rinsalda e ribadisce la comune appartenenza.

    In particolare, gli educatori del Centro rivestono una notevole importanza in questo processo di aggregazione. Essi rappresentano figure adulte significative “altre” rispetto alla famiglia e alla scuola e svolgono un ruolo non certo secondario nei processi di crescita dei giovani. Questi ultimi li riconoscono principalmente per la loro funzione di orientamento valoriale e di sostegno, sia per quanto riguarda la loro vita quotidiana e il rendimento scolastico, sia in riferimento ai problemi familiari o con i coetanei. Le situazioni familiari che caratterizzano questi adolescenti, infatti, sono spesso problematiche e per loro gli educatori di S. Giorgio rappresentano figure di riferimento indispensabili, punti di contatto per la negoziazione di idee e valori, poli di identificazione e modelli di riferimento per il presente e per i compiti di sviluppo ad esso connessi. I ragazzi stessi rimarcano la peculiarità di questi agenti di socializzazione che si rappresentano, a seconda dei casi, come educatori, consulenti, assistenti nei compiti, amici adulti, compagni di gioco, e talvolta come familiari.

    Qua ho anche una grandissima famiglia… La famiglia San Giorgio che sono tantissime persone, è la stessa cosa che ho nel mio Paese. Ci sono persone qua che io considero come mamma, persone che considero come mio padre. M. [educatore] è come il mio secondo padre, perché lui mi è sempre stato vicino, è un grandissimo amico e un grandissimo educatore, è bravo. In tutta la mia vita lui c'è sempre stato, mi ha sostenuto in tutte le cose. Quando sono giù mi tira su, mi dà dei consigli che ce la farò, se non ci fosse stato lui sarebbe stato difficile per me, anche con questa scuola e poi tutte le persone con cui lavoro me le ha fatte conoscere lui, è grazie a lui se lavoro. (ragazzo ghanese, anni 19)
    E poi qua troviamo… dipende anche dagli educatori eh? educatori che negli altri posti non li abbiamo mai visti in giro! Ad esempio, aiutare una persona che ha difficoltà a vivere, questo sono in pochi che lo fanno negli altri oratori… dico, aiutare qualcuno che ha problemi con la famiglia, aiutare qualcuno che ha problemi con la scuola: questo in tanti oratori non c'è. Cercare di unire le forze, unire... cioè allargare l'amicizia, il gruppo di amicizia, in questo oratorio ESISTE. Negli altri… in tanti no. Questa è la differenza. E qui le regole valgono per tutti. (ragazza peruviana, 19 anni)

    Se si prendono in considerazione le risorse valoriali fatte proprie dai ragazzi, si nota come essi mettano sovente in primo piano l'amicizia, l'amore e quindi le dimensioni affettivo-relazionali. Come richiamato da questo stralcio di intervista, ad esempio, l'amicizia viene posta dagli intervistati come elemento imprescindibile all’interno delle loro vite, a conferma quindi di quell'enfasi sul bisogno di relazionalità e desiderio di socialità di cui si diceva. Le modalità di trascorrere il tempo con i propri amici sono peculiari: tendono a diventare sempre più consistenti i momenti di comunicazione e quelli in cui, comunque, la finalità dello stare insieme diventa predominante insieme a quella del fare qualcosa, che siano i compiti di scuola, il ballo, l’organizzazione di feste ecc. Tra le motivazioni in base alle quali gli intervistati considerano importante l'amicizia, quelle che chiamano in causa la condivisione di idee e interessi e la possibilità di parlare dei propri problemi risultano indicate subito dopo il sostegno nei momenti di difficoltà. Altrettanto importante risulta la possibilità di passare in maniera più piacevole il proprio tempo, all'interno di un luogo che risulta significativo dal punto di vista educativo.

    Io sono una persona sentimentale, riesco a percepire a volte quello che le persone provano e per quello voglio stare sempre in mezzo alle persone, stare in mezzo agli amici, per quello che io non voglio che nessuno sia lontano da me e neanche da S. Giorgio. Stando insieme siamo un gruppo… Se diciamo tutti: dai, dobbiamo unire le nostre forze, riusciremo a fare qualcosa ed è questo che io voglio non solo qua a S. Giorgio, anche quando usciamo stiamo sempre amici, legati. (ragazza boliviana, 19 anni)
    Noi siamo qua a San Giorgio più perché abbiamo bisogno e non solo per la scuola. Quando qualcuno sta male verrà qui a San Giorgio, perché c'è sempre qualcuno che ti può appoggiare; questa cosa c'è sempre stata: se un amico ha avuto il cuore spezzato, noi amici gli stiamo addosso, gli diciamo di stare tranquillo... noi siamo sempre qui a raccogliere tutti quanti. E poi qua si balla, si gioca, si ride e tutto passa. (ragazza ecuadoregna, 14 anni)
    Mi trovo bene qua. Non siamo parenti, ma alcuni sono diventati i miei fratellini adottivi. Anche quando hai problemi, ad esempio in famiglia, qui puoi parlarne e siamo sinceri. La sincerità, per me, è capire gli altri quando hanno bisogno di aiuto Un mio amico beveva e fumava e io l’ho aiutato a rimettersi sulla buona strada, ma è stato difficile. (ragazza ucraina, 14 anni)

    Queste considerazioni richiamano ancora una volta l'attenzione sulla natura extra-parentale ed extra-scolastica del rapporto che si instaura con il gruppo dei pari e sulla funzione rassicurante e di sostegno che tale rapporto sembra svolgere proprio in una fase, quella adolescenziale, in cui i giovani tentano di costruire la propria identità. Durante l'indagine, abbiamo osservato come le relazioni ‘scelte’ e gli incontri ripetuti intenzionalmente coinvolgano in maniera sempre più stabile un certo numero di soggetti, dando vita a gruppi spontanei che diventano punto di riferimento estremamente importante per i loro componenti. Il noi, l'appartenenza al gruppo diventa l'occasione per sperimentare nuove e più complesse modalità di interazione con gli altri e allo stesso tempo sollecita la socializzazione. I ragazzi si pongono in empatia con gli altri, cercando di capire e vivere i loro problemi e, nello stesso tempo, lo spazio che vivono facilita la costruzione di un sistema di valori destinato necessariamente ad essere rivisto in situazioni così cariche di cambiamenti. Dunque, l’attenzione si focalizza sull'incremento delle chances di relazioni interpersonali possibili all'interno del gruppo di coetanei, sia nella direzione dei rapporti intimi (amicizia, amore) che in quella dei rapporti interpersonali improntati al divertimento e allo stare insieme sempre monitorato dagli educatori. Grazie al suo essere contemporaneamente luogo dell’aggregazione e della comunicazione, il gruppo sembra così fornire le premesse necessarie per l'inserimento nella società più ampia.

    Dall’analisi delle interviste è emerso inoltre come i processi educativi e di socializzazione non siano qualcosa di unico e definito, ma al contrario siano diretti e orientati da molteplici elementi e soprattutto appaiano in continua revisione e vengano fatti propri dalle nuove generazioni in maniera del tutto originale e personalizzata. Allo stesso modo anche i processi identitari di questi ragazzi, la cui rappresentazione sociale e mediatica, lo abbiamo visto, è spesso intrisa di termini quali “sradicati”, “in bilico tra due culture”, “potenziali devianti” ecc., sono riformulati in maniera inedita dai ragazzi stessi, che si inventano nuove identità e appartenenze.

    Io non so dirti cosa sono, ho una parte boliviana, ma ormai una parte di me è italianissima.. e poi con tutte le cose che ho visto, anche il viaggio per venire qui…. e le cose che ho letto, i viaggi che voglio fare nella mia vita, non so, credo di sentirmi più che altro, cittadina del mondo. E’un’espressione che va di moda, ma è così che io mi sento e voglio sentirmi sempre di più così”. (ragazza boliviana, 19 anni)
    Io vengo dal Perù e sì un po’ si vede che sono peruviana, ma mio nonno materno era italiano del Sud [ride] e io mi sento anche un po’ terrona e quindi sono un po’ italiana. Poi, non lo so, qui conosco tante persone che vengono da tutto il mondo e io per certe cose li sento come fratelli, sono uguali a me. Ho anche un’amica italiana e con lei mi diverto tantissimo. Io prendo un po’ di tutto questo e mi trasformo… e questa cosa mi da soddisfazione”. (ragazza peruviana, 19 anni)

    Si fa evidente in questi ultimi brani una concezione dell’identità come processo in continua definizione e ridefinizione, aperto, flessibile e plurale. Si passa da un’identità “che è” a un’identità “che si fa” rispetto alla quale i giovani migranti si rapportano definendo le modalità di passaggio da una cultura a un'altra e da un luogo a un altro, e ristabilendo nel presente il nesso tra nuovi significati e identità e tra identità e progetti di vita. Essi, da un lato, vivono il limite della possibilità di esercitare un controllo completo sulla propria biografia personale, che si deve confrontare con i vincoli familiari, scolastici e sociali; dall'altro, però, guadagnano la chance di sviluppare un proprio progetto di vita.

    In tal senso è sembrata altrettanto evidente, durante il corso della ricerca, la necessità di rileggere il fenomeno dei giovani migranti attraverso un modello di socializzazione diverso e più aperto in cui poter rintracciare l’assunto di base della prospettiva interazionista, secondo cui il soggetto umano è in grado non solo di rappresentarsi la realtà, bensì di elaborarla e rielaborarla, con un’attività simbolica e costruttiva che produce cambiamento e trasformazione. Questo assegna all’individuo un più ampio margine di libertà e protagonismo nella propria vita; egli diviene co-costruttore della realtà in un processo continuo e dinamico che si innesca tra esigenze poste dalla società e strategie individuali di ricomposizione del proprio percorso di socializzazione. Certo è che lo scarto tra socializzazione primaria, tipica della prima fase della vita, e socializzazione secondaria che mette in discussione questa prima esperienza della realtà, può comportare per questi ragazzi anche una crisi identitaria importante, “proprio per il fatto di dover riconoscere che il mondo dei propri genitori non è l'unico esistente ma ha una collocazione sociale molto precisa” (Berger, Luckmann 1969). Ma è proprio a partire da questa problematizzazione della realtà di senso comune, che si evidenzia la costruttività della realtà sociale e l'importanza della comunicazione. “Il soggetto mostra la capacità non solo di assumere le forme oggettivate interiorizzandole, bensì di conservarle o trasformarle, in sostanza di ricrearle continuamente attraverso lo scambio con gli altri” (ibidem). E questo processo non ha nulla di disfunzionale, contribuendo, al contrario, alla costruzione dell’identità del soggetto. La comunicazione diviene “al contempo, terreno per la costruzione di identità e di legami sociali e scopo dell’esperienza socializzante” (ibidem).

    Queste considerazioni forniscono dunque una visione diversa dei giovani migranti rispetto a quella che li riduce a ‘giovani in bilico tra due mondi’ o ‘soggetti a cavallo tra due culture’. In tal senso, essi non sono definiti da caratteristiche culturali comportamentali tipiche, bensì unicamente dal loro specifico percorso di socializzazione. Secondo questa prospettiva, essi non appaiono divisi tra due mondi, quello di provenienza e quello in cui approdano, ma diventano costruttori della propria identità che compongono e ri-compongono con elementi provenienti da entrambi i contesti e non solo. Infatti, non è neppure certo che il migrante si trovi immerso soltanto in due ambienti culturali, quello del Paese di origine e quello italiano. Innanzitutto, occorre considerare l'eterogeneità intrinseca ad ogni cultura: come sostiene Todorov (1991) infatti, l'interculturalità è un dato costitutivo di ogni cultura, proprio perché in tutte le società sono riscontrabili sedimenti provenienti da luoghi e da popoli diversi. Inoltre, è anche vero che le persone entrano spesso in contatto con culture e sub-culture di diversa provenienza e matrice, non ancorate necessariamente al territorio di un singolo Paese. I giovani migranti assumono anche stili, valori e comportamenti ispirati a modelli giovanili de-localizzati sia rispetto alla società italiana che a quella di provenienza. Tutto questo, lo abbiamo visto, può comportare negoziazioni e anche conflitti, ma come la ricerca ci ha ben mostrato ogni biografia si contraddistingue per la costante ricerca di compromessi originali e unici per ogni percorso di vita.

    Conclusioni

    Per concludere possiamo affermare che questo studio ci ha consentito di approfondire e, altresì, di rimettere in discussione i processi di socializzazione rivolti ai minori in un contesto formativo che si fa sempre più plurale e diversificato. Si è visto come, a maggior ragione, si possa parlare di allargamento delle opzioni nel caso dei giovani migranti, immersi come sono in una pluralità di modelli sociali e culturali di riferimento. Ma come considerare queste molteplici opportunità? Una chance [6] oppure un ostacolo? In questa trattazione si è inteso mettere in luce come la risposta a tale domanda dipenda molto dalle modalità con cui il fenomeno viene interpretato e conseguentemente gestito a livello sociale. La differenza potrebbe consistere, infatti, nell'interpretare il fenomeno della migrazione giovanile, e della migrazione in generale, non come una situazione di potenziale rischio sociale, bensì come una sfida e una questione di interazione dinamica tra risorse interne ed esterne ai soggetti, tra caratteristiche individuali e fattori sociali, alla ricerca continua di un equilibrio che preveda anche il conflitto, ma che tenti costantemente di ricomporre le diverse istanze. A partire da tale punto di vista, che rinvia a una concezione della socializzazione che, pur senza sottovalutare l'importanza delle esperienze precoci, considera come centrali tutte le interazioni sviluppate nei diversi momenti della vita, si è tentato di identificare alcune risorse in grado di innescare quei processi che permettono di far fronte alla sfida sopra richiamata. Nel corso della ricerca, tra queste risorse, si sono individuati alcuni contesti con i quali i giovani migranti interagiscono. L’intento è stato quello di evidenziare come attraverso l'accoglienza dei minori entro alcuni luoghi di importanza cruciale nel panorama educativo - tra cui il cosiddetto no schooling o extra-scuola - si possa far strada la possibilità di rafforzare i meccanismi che conducono a una buona riuscita dei percorsi socializzanti. Inoltre, si è compreso come la presenza di una pluralità di modelli possibili, se efficacemente accompagnata e orientata, possa offrire a questi ragazzi la possibilità di sentirsi attori protagonisti che scelgono la propria strada. Infatti, se da un lato la pluralità dei contesti potrebbe provocare disorientamento, solitudine e disagio, dall’altro essa può anche consentire ai giovani migranti in cerca della propria identità di ‘scegliere’ come e dove collocarsi all'interno del panorama sociale. Questa possibilità di allargamento delle scelte identitarie è certamente una chance, ma chiama in causa la progettazione e il ridimensionamento dei luoghi della socializzazione e delle istituzioni sociali in genere, oltre che l’ideazione di nuove possibilità educative che siano accessibili a tutti giovani, italiani e non, al di là del ceto, della religione e dell’ etnia di appartenenza.

    Note

    1] Coordinamento di giovani figli d'immigrati originari di varie etnie e continenti. Nel 2010 ha assunto la natura di associazione di volontariato e ha rappresentanza all'interno dell'Associazione Giovani CISL Nazionale.
    2] da wwww.secondegenerazioni.it. (consultazione in data 28.05.11).
    3] Il riferimento è al testo di Besozzi, Colombo, Santagati (2009) cit. in bibliografia.
    4] Per approfondimenti si veda il testo di Ambrosini e Cominelli (a cura di) (2004a) cit. in bibliografia.
    5] Oltre all’attività di sostegno scolastico, il CAG offre molteplici attività ludiche, che si caratterizzano per la partecipazione di tutti gli utenti: dai bambini agli adolescenti, in un momento di interazione che vede la presenza di generazioni differenti e degli educatori di riferimento. Si tratta di momenti di gioco libero, musica, ballo, organizzazione di tornei di calcio, pallavolo e basket, percorsi formativi ed esperenziali e attività sul territorio.
    6] Come si noterà anche in seguito, i giovani che frequentano la Fabbrica dei Sogni, pur essendo consapevoli della trasformazione del luogo da oratorio di San Giorgio ad associazione Fabbrica dei Sogni, continuano a preferire la denominazione S. Giorgio. Pertanto, nel testo i termini ‘Centro’, ‘CAG’, ‘Fabbrica dei Sogni’ e ‘San Giorgio’ verranno utilizzati come sinonimi.
    7] Secondo l’accezione di Dahrendorf (1981) il quale mette a punto il concetto di chances di vita, definendo la chance non come un attributo dei singoli, bensì come un fattore che rivela un potenziale di sviluppo per il soggetto, che tuttavia si ritrova a dover interagire tra opzioni (opportunità) e legature, quindi in presenza di condizionamenti culturali, sociali, ambientali, in positivo e in negativo.

    Bibliografia

    Ambrosini M., Cominelli C. (2004), Educare al futuro. Il contributo dei luoghi educativi extra-scolastici nel territorio lombardo, Ismu, Milano.
    Ambrosini M., Molina S. (2004), Seconde generazioni. Un’introduzione al futuro dell’immigrazione i Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino.
    Bertaux D. (2003), Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica, Franco Angeli, Milano.
    Berger P., Luckmann T. (1969), La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna.
    Besozzi E. (1999), Crescere tra appartenenze e diversità. Una ricerca tra i preadolescenti delle scuole medie milanesi, Franco Angeli, Milano.
    Besozzi E. (2006), Educazione e società, Carocci, Roma.
    Besozzi E., Colombo M., Santagati M. (2009), Giovani stranieri, nuovi cittadini. Le strategie di una generazione ponte, Franco Angeli, Milano.
    Bichi R. (2007), L’intervista biografica. Una proposta metodologica, Vita e Pensiero, Milano.
    Colombo E. (a cura di) (2010), Figli di migranti in Italia. Identificazioni, relazioni, pratiche, Utet Università, Torino.
    Dahrendorf R. (1995), La libertà che cambia, Laterza, Bari-Roma.
    Demarie M., Molina S. (2004), Le seconde generazioni. Spunti per il dibattito italiano in Ambrosini, Molina (a cura di), pp. IX-XXIII.
    Jedlowski P. (2000) Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, Bruno Mondadori, Milano.
    Rumbaut R. (1997) Assimilation and its discontents: between rhetoric and reality, in “International Migration Review”, vol.XXXI, n.4, pp.923-960.
    Todorov (1991) Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Einaudi, Torino.

    Sitografia

    www.anolf.it
    www.ismu.org
    www.fabbricasogni.it
    www.secondegenerazioni.it

    Allegato

    Sintesi della traccia d’intervista/ racconto di vita
    Tematica indagata: i processi di socializzazione degli adolescenti migranti all’interno di un luogo educativo extra-scolastico.
    Domanda iniziale: “Vorrei che mi parlassi di te e del tuo arrivo a S.Giorgio”
    Elementi da verificare durante l’intervista (traccia nascosta):
    Dati sociografici: età, sesso, luogo di nascita
    Scuola
    Famiglia
    Altri adulti significativi
    Gruppo dei pari
    Io e l’Altro (identità, alterità)
    Relazioni amicali significative
    Appartenenza etnica
    Appartenenza religiosa
    Altre eventuali appartenenze
    Attività del tempo libero, hobbies, passioni
    Luoghi extra-scolastici frequentati e vissuti (particolare riferimento al CAG S. Giorgio)
    Cambiamenti dovuti alla migrazione
    Caratteristiche e scelte personali
    Percezione di sé nel tempo e cambiamento
    Progetti per il futuro



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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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