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  • Itinerari visuali
    Marco Pasini - Giorgio Maggi (sous la direction de)

    M@gm@ vol.7 n.2 Mai-Août 2009

    SOCIOLOGIA VISUALE: STORIA, CARATTERISTICHE, STRUMENTI



    Marco Pasini

    paso74@libero.it
    Master Teoria e Analisi Qualitativa. Storie di vita, biografie e focus group per la ricerca sociale, il lavoro e la memoria - Università di Roma La Sapienza; Stage a Biblioteche di Roma, L’album di Roma. Fotografie private del Novecento; Ricercatore ne Le borgate di Roma come luoghi significativi della memoria urbana, come risorse umane e premessa per il superamento della dicotomia centro-periferia, diretta dalla Prof.ssa Maria Immacolata Macioti; Ricercatore presso Labos – Fondazione Laboratorio per le politiche sociali; Relatore in Conferenze italiane e europee; Autore di pubblicazioni nazionali e internazionali.

    “Dei 5 sensi l’occhio è l’unico ad avere una funzione sociologica”
    (G. Simmel, Sociologia. Ricerca sulle forme di associazione, p. 358, 1908)

    Metodologia dell’osservazione: l’osservazione come approccio teorico-metodologico


    Il mondo in cui viviamo si fonda su una civiltà visiva, di immagini, che privilegia la vista, su cui l’individuo pensa di possedere un controllo maggiore, agli altri sensi. Sin dall’antichità, le varie culture hanno espresso le loro idee/ideali attraverso le rappresentazioni visive. È attraverso la percezione visiva che l’uomo principalmente entra in rapporto con il mondo esterno. Ci sono molte e importanti citazioni a testimonianza che l’occhio permette all’uomo di riconoscere il mondo come altro da sé, di costruire la propria identità culturale, il proprio senso di appartenenza sociale ed esprimere la propria soggettività. Sin dalla polemica filosofica fra Aristotele e Platone, quindi fra il primato della conoscenza sensibile del primo verso la conoscenza intellettiva del secondo, si può evincere che l’osservazione era già considerata l’attività cognitiva primaria per l’acquisizione di conoscenza: “Non è possibile conoscere intellettualmente qualcosa di cui prima non si abbia avuto sensazione” (Aristotele, De Anima, 354 a.C.) e qualche secolo più tardi “Le cose mentali che non sono passate per il senso, sono vane e false” (Leonardo da Vinci, Quaderni di anatomia, 1510). E’ però giusto e corretto pensare alla percezione sensoriale e al ragionamento come momenti distinti di un unico processo in cui una necessita dell’altra; successione dove però l’osservazione precede e conduce al pensiero e alla classificazione, infatti “Non si può mai pensare senza un’immagine” (Aristotele, De Anima, 354 a.C.).

    Prefazione dovuta per introdurre la parte propriamente scientifica, di metodo, anzi di survey method. Nell’ambito delle scienze sociali esiste una procedura di indagine, l’osservazione partecipante, in cui la relazione che si crea tra osservatore e osservato è un momento privilegiato e consente una conoscenza più intima dell’“oggetto” di studio. L’obiettivo principale per il quale viene adottata è quello di osservare la realtà studiata, colta in ogni suo aspetto e a contatto con essa. Non sono importanti i fenomeni oggettivi, bensì i significati attribuiti a essi.


    M. Mead and G. Bateson, The balinese character, 1942

    Fotografia e sociologia: cenni storici

    La macchina fotografica rappresenta il prolungamento “naturale” dell’occhio umano ed una fotografia, per le scienze sociali, può essere considerata una fonte. Questo potrebbe bastare per intuire i motivi del suo utilizzo. La fotografia, che letteralmente significa scrivere con la luce, è un prodotto culturale e un atto selettivo, nonché una forma di comunicazione con funzioni informative, documentarie e descrittive. Proprio per queste sue caratteristiche ha avuto, fin dalla sua nascita (approssimativamente la stessa data della sociologia, prima metà dell’800), contatti con le scienze sociali anzi, è stata utilizzata da queste per rilevare e far emergere le anomalie urbane delle società industriali e le contraddizioni dello sviluppo economico quali la migrazione, la sovrappopolazione, il lavoro, il lavoro minorile, l’alienazione, l’emarginazione dei contesti poveri e sub - culturali, la devianza e la marginalità (tutte questioni aperte all’interno dei primi slums) fino a far nascere l’equivalenza fotografia = documento = testimonianza.

    La storia delle immagini del sociale inizia nel XVIII secolo che, grazie alle fotografie, rende possibile registrare e restituire la realtà quotidiana anche se dinamica, sfuggente e inaccessibile. Inizialmente è uno strumento adottato dall’etnologia, dall’etnografia e dall’antropologia culturale. Il primo caso degno di nota, di istantanee non più considerate mero accompagnamento illustrativo ma come fonti originali, è quello dell’American Journal of Sociology, che tra il 1896 e il 1916 sperimenta il rapporto complementare e di reciproca stima, attraverso una fertile ma breve collaborazione tra sociologia e fotografia concerned, di due diverse modalità espressive quali il segno grafico e il segno figurale. Il direttore della rivista, A. Small, istituì nel 1892 il dipartimento di Sociologia dell’Università di Chicago, da cui si sviluppò quell’indirizzo di pensiero sociologico che comunemente viene indicato con la Scuola di Chicago e da cui prese le mosse la Sociologia visuale.

    Alla fotografia viene riconosciuta una grande utilità euristica, ma per confermarla ci deve essere un uso motivato della fotografia stessa; motivazioni dettate dagli scopi e dalle intenzioni del soggetto che fotografa. In effetti, ciò che differenzia le immagini iconografiche non è tanto il contenuto quanto le interpretazioni e gli utilizzi che se ne fanno: "La realtà umana, non può trovarsi nella fotografia, ma nell'intenzione del fotografo" (F. Ferrarotti, Dal documento alla testimonianza. La fotografia nelle scienze sociali, 1974). L’immagine fotografica rappresenta il prodotto tra la realtà e l’interpretazione di quella realtà da parte del fotografo. La fotografia, dotata della doppia natura mezzo di riproduzione e di espressione, non è l’esatta riproduzione della realtà. I significati che le immagini assumono, solo convenzionalmente possiamo definirli oggettivi, dato che dipendono da meccanismi percettivi interiorizzati socio-culturalmente. La fotografia non restituisce la realtà oggettiva, ma spezzoni soggettivi della realtà, una soggettività variabile nel tempo e nelle circostanze e che passa attraverso il fotografo e il fruitore del prodotto. Da qui la polisemia dell’immagine, legata ai valori culturali della società e all’interazione fra oggetto fotografato, soggettività del fotografo e caratteristiche tecniche della macchina, a cui va aggiunta la soggettività dell’osservatore. Come ogni forma di conoscenza, la fotografia, è un’impresa umana volontaria, storicamente e socialmente determinata. Proprio il contesto socioculturale, in cui l’atto del fotografare e quello dell’interpretare avvengono, può porre dei limiti a tali soggettività, dovuta al fatto che “per interpretare un documento iconico non occorre passare attraverso un codice” (R. Barthes, La camera chiara, 1980). I codici visivi, segni accettati convenzionalmente, sono suddivisibili in due dimensioni: una denotativa (l’oggetto rappresentato, il contenuto della foto) e una connotativa (gli scopi rappresentativi dai quali è possibile rintracciare il senso di chi ha scattato la foto).


    "La credibilità di cui la fotografia gode deriva non dalla sua analogia con il reale, ma dal suo impiego per usi sociali ritenuti oggettivi"
    (W. Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936/37).

    Sociologia visuale tout court


    Il precursore della Sociologia Visuale, colui che traccia le premesse teoriche dello stretto legame tra fotografia e sociologia, è Howard Becker. Esponente di spicco della Nuova Scuola di Chicago, dà un’identità alle tecniche visive qualificandole come tecniche qualitative e per primo tenta di definire la Sociologia visuale: “Think of a camera as a machine that records and communicates much as a typewriter does. People use typewriters to do a million different jobs: to write ad copy designed to sell goods, to write newspaper stories, short stories, instruction booklets, lyric poems, biographies and autobiographies, history, scientific papers, letters. The neutral typewriter will do any of these things as well as the skill of its user permits. Because of the persistent myth that the camera simply records whatever is in front of it (about which I will say more below), people often fail to realize that the camera is equally at the disposal of a skilled practitioner and can do any of the above things, in its own way. Photographers have done all of the things suggested above, often in explicit analogue with the verbal model” (H. Becker, 1974, Photography and Sociology, su “Studies in the Anthropology of Visual Communication” n°1, p. 3 1974).

    Nel 1983, successivamente alla fondazione dell’International Association of Visual Sociology che ha l’obiettivo di riunire e coordinare le esperienze scientifiche di continenti diversi, viene organizzato il primo Congresso Internazionale di Sociologia Visiva, per valutare e promuovere la produzione scientifica del campo visuale: filmati, proiezioni, documentari, mostre e dibattiti; tutto all’interno di un unico contesto disciplinare.

    Come definire sociologico l’uso delle immagini? Traducendo i concetti sociologici in immagini. Come si può usare la comunicazione visuale in una ricerca sociologica? L'immagine è entrata nella scena sociologica sia come oggetto di studio che come strumento di ricerca.

    In questi due quesiti con rispettive risposte si può racchiudere l’entità scientifica del metodo visuale: il vedere dei sociologi è sempre orientato da ipotesi teoriche. Per Sociologia Visuale, si intende una disciplina che abbia un apparato concettuale di riferimento capace di dare delle definizioni sistemiche. Per acquisire legittimità scientifica e quindi essere considerata sociologica, la fotografia deve attenersi ai criteri, con procedure teoricamente e metodologicamente fondate, di validità (principio di corrispondenza fra immagini e concetto) e attendibilità (credibilità tecnica) prima, di comparabilità, coerenza e convergenza poi (F. Mattioli, Sociologia visuale, 1991) [1]. Si può racchiudere come metodo orientato alla dimensione sociale dell’esperienza visiva, il cui obiettivo principale è cogliere l’oggetto studiato in ogni suo aspetto e con il punto di vista dell'altro. Nella storia della sociologia alcuni approcci teorico-metodologici l’hanno posta in un ruolo di forte predominanza: la Fenomenologia (Husserl e Schutz), l’Interazionismo simbolico (Mead), l’Etnometodologia (Garfinkel) e la Grounded theory.

    La Sociologia visuale lavora ‘con’ e ‘sulle’ fotografie. Il primo filone (metodologico) si può sintetizzare come la produzione o l’uso di immagini come dati per l'analisi delle informazioni o come strumenti per raccogliere le informazioni stesse; mentre il secondo (culturologico: analizza dati ‘visuali’ prodotti all’interno di una cultura e l’oggetto di studio è la comunicazione visuale) si può definire come l’analisi delle immagini che altri hanno fatto, per comprendere come i soggetti comunicano per mezzo di queste e per rintracciarne gli elementi indicativi della cultura e delle relazioni sociali.

    Sociologia con le immagini


    Tecniche

    Sociologia sulle immagini: aree metodologiche




    Conclusioni

    La Sociologia visuale è la registrazione, l’analisi e la comunicazione della vita sociale attraverso le rappresentazioni grafiche, le fotografie e i video. I sociologi visuali sono interessati alla funzione delle immagini nella società e ad usare i mezzi audiovisivi come strumenti di ricerca.

    The Pragmatic Organization of Visual Sociology (J.Grady, in Le potenzialità della sociologia visuale, 1999)



    Note

    1] Grado di iconicità: capacità di registrare la realtà sia di porsi come indicatore visivo rispetto al concetto di riferimento.

    Bibliografia

    Barthes, Roland, La chambre Claire. Note sur la photographie. Torino, Giulio Einaudi, 1980.
    Becker, Howard S., Photography and Sociology. Chicago, Chicago university press, [(“Studies in the Anthropology of Visual Communication”)], 1974 [n°1].
    Cipriani, Roberto, L'analisi qualitativa. Teorie metodi e applicazioni. Roma, Armando editore, 2008.
    Faccioli, Patrizia e Losacco, Giuseppe. Manuale di sociologia visuale. Milano, Franco Angeli, 2006.
    Ferrarotti, Franco, Dal documento alla testimonianza. La fotografia nelle scienze sociali. Napoli, Liguori, 1974.
    Mattioli, Francesco, Sociologia visuale. Milano, ERI, 1991.
    Mirzoeff, Nicholas, Introduzione alla cultura visuale. Roma, Meltemi, 2005.

    Sitografia

    www.sociologiadip.unimib.it
    www.visualsociology.org


    Collection Cahiers M@GM@


    Volumes publiés

    www.quaderni.analisiqualitativa.com

    DOAJ Content


    M@gm@ ISSN 1721-9809
    Indexed in DOAJ since 2002

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