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    M@gm@ vol.7 n.1 Janvier-Avril 2009

    GIACOMO BRESA: I CAN SERVE DRINK AFTER HOURS, FOR YOU, ONLY FOR YOU



    Augusto Debernardi

    augudebe@gmail.com
    Collaboratore Scientifico Osservatorio dei Processi Comunicativi, Associazione Culturale Scientifica (www.analisiqualitativa.com); Membro del Comitato Scientifico della rivista M@gm@; Laureato in Sociologia all'Università degli studi di Trento; è stato componente dell’équipe del Prof. Franco Basaglia all’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste; diplomato all’INSERM di Pargi in epidemiologia Psichiatrica; coordinatore dell’équipe sociopsicologica dell’Alloggio Popolare Gaspare Gozzi di Trieste; componente dell’équipe O.M.S. per la psichiatria; collaboratore Unità Operativa dell’istituto di Psicologia del CNR per la prevenzione malattie mentali ed autore di parecchie pubblicazioni; editor del Centro Studi per la salute Mentale, Collaborating Center W.H.O.; fondatore dell’U.O. per l’epidemiolgia psichiatrica ed autore di numerose ricerche e valutazioni; specializzato in statistica sanitaria e programmazione sanitaria; esperto nel settore della cooperazione nel campo della salute mentale nella Repubblica di Argentina e del Cile; Coordinatore Sevizi Sociale presso l’ASS Isontina; direttore servizi minori Comune di Trieste; Collaboratore dell’Associazione Oltre le Frontiere per le questioni dell’immigrazione; collaboratore della CARITAS della diocesi di Gorizia per la questione del manicomio di Nis (Serbia); Direttore di Area Provincia di Trieste; Presidente dell’ITIS (Istituto Triestino per Interventi Sociali); componete dello staff del direttore generale ASS Triestina; Presidente Co.Ri. (Consorzio per la riabilitazione); animatore dell’associazionismo in temi culturali e dell’integrazione europea.

    Il 2008 è stato fatale. Davvero. Chissà se nel tramonto o all’alba del mondo oltre o nel mezzo del suo dì oppure all’happy hour o alla sera in un’osteria dove il buon barbera o il buon merlot o forse il buon “tocai”, visto che nell’oltre certe regole di bottega dovrebbero valere assolutamente nulla (oggi, in terra friulana, il tocai si dice “friulano” in ottemperanza alle burocrazie europee, ma a New York si dice tranquillamente “tocai”) Lucio (Luison) incontrerà mai Franco, Michele oppure Bruno, Piero e perché no Giacomo. É proprio di Giacomo che desidero ricordare. Un altro sociologo. Di quelli giunti accademicamente da poco tempo ma forse sempre stato realmente tale: dottore in sociologia.

    Ho conosciuto Giacomo come vicino di casa. Poliziotto si diceva. Ispettore di polizia in realtà. Dentro fino al collo alla competenza del vero investigatore. Giorno, notte, in rapporto coi colleghi, a seguire la pista, quella del terrore nostrano e quella del terrore che viene da lontano: criminalità dice in maniera sbrigativa il cronista. Un lavoro forte ma Giacomo era specialista in anacrusi: sapeva levare l’ictus della sua professione. Una moglie, Rosaria, una figliola, piccola, di nome Deborah, oggi quasi psicologa. Ci siamo conosciuti. Era molto rispettoso del mio sapere - me ne attribuiva anche troppo - e spesso mi chiedeva interpretazioni su questioni generiche ma, si capiva, erano attinenti al logo ed alla psiche del suo lavoro e dei suoi pensieri. Aveva bisogno dello sguardo di chi è lontano, di chi tratta casi diversi. Senza saperlo inventava ed usava il benchmarking che rende vitali e prosperi molti management. Ma aveva sempre tutto dentro, mai una parola che desse adito a turbamenti né rivelasse i suoi. Sennò come poteva mantenere l’arte dell’anacrusi? Notte, giorno… la sicurezza altrui, una società migliore erano il suo imperativo categorico. E poi dicono dei napoletani, dei poliziotti! Un giorno venne da me angosciato, terribilmente angosciato. Aveva provato un impulso fino a quel momento a lui estraneo, impensabile, indicibile: usare violenza - le maniere forti - verso una persona più che indagata, più che sospettata. Si era fermato, ma non se ne dava pace: aver provato un simile sentimento, ripeto a lui fino allora estraneo, era inammissibile, terrorizzante.

    Un vero e proprio segnale di allarme. Il “levare” poteva diventare impossibile. Ne parlammo a lungo, e per alcune sere. La strategia era quella di fargli prendere una distanza, una liberazione, un’epoché. Capire e permettere al flusso del represso, della paura di trovare un canale di sfogo, di liberazione, di rielaborazione. Già, come è facile vivere sonni tranquilli se il lavoro sporco lo fanno altri! Una bella lezione per coloro che negano il magma contemporaneo. Si discuteva di tutto, si parlava di tutto, si stava insieme, anche con i reciproci familiari. Un po’ come con Lucio, anche se il divario delle due esperienze era significativo. Poi conflitti familiari, dovuti più alla venerazione che aveva del proprio amore che, forse, voleva semplicemente essere amata e non venerata. Non c’entravano affatto come potrebbe pensare l’invidioso attrazioni di talami fatali, niente affatto. Quella della venerazione - “therapeia” - è una cosa che i maschi adulti spesso confondono con l’amore e li fa soffrire e fa contagiare della stessa sofferenza proprio l’oggetto d’amore. Sempre però la professionalità al massimo, a salvaguardia dell’istituzione e per onorare il suo sé e la sua venerata moglie… fino all’iscrizione all’Università degli Studi di Teramo, corso di laurea ‘sociologia’. Se prendete “Pergamene in concerto del 2005” edito dall’Università di Teramo troverete a pag.46 - scienze sociologiche - la sua fotografia: Giacomo Bresa.

    Per lui la laurea non è stata un mero corso accelerato di studi, una facile modalità di upgrade. Tutte le sere, o quasi, per ben due anni e più veniva a trovarmi. Si discuteva del programma, dei libri, di quelli obbligatori e di quelli che gli suggerivo, di cosa aveva capito e di cosa ricordava, dei dubbi e delle perplessità, delle curiosità, degli approfondimenti. Delle letture che gli consigliavo: “leggi, leggi molto, non ti preoccupare della forma ma leggi e ne parliamo, vedrai che sistemerai tutto e farai bella figura” gli dicevo. Ah gli esami, che preoccupazione, ma aveva studiato e molto, davvero. Come poteva essere diversamente? Era lui, un essere onesto e quasi rigido nella sua onestà, timoroso dell’onestà stessa ed amava la sociologia forse per capire di più cosa gli stava accedendo attorno nel microcosmo come nel macro. Forse era poco avvezzo alle mediazioni ma sulla buona strada. Aveva avuto un’ammirazione per un “capo” che poi lui stesso dovette in qualche maniera indagare. Non so proprio come abbia potuto. Non me ne ha mai parlato, è stato un peccato. Credo che questo conflitto lo abbia portato alla rottura del suo cuore già provato da un infarto: un ennesimo stroke of distress. Se ne è andato mentre rientrava a casa, sull’uscio, con il braccio appoggiato alla porta. In silenzio, senza dare fastidio. Ma si era laureato e forse in onore al mio lavoro che avevo svolto e a certi suoi stati mentali aveva compilato una tesi dal titolo ”Minori: famiglia e violenza in una terra di confine”.

    Già, io avevo ricoperto il ruolo di dirigente del servizio minori a Trieste e potevo dargli indicazioni ma non troppe. Infatti, sapeva benissimo che uno come me non avrebbe potuto più di tanto, neanche accedere a certe documentazioni banali, perché era stato portato a scontrarsi con gli apparati, anche quelli illuminati dalla luce illyana. L’unificazione del servizio sotto l’egida del comune e non lasciarlo schizofrenicamente a mezzo servizio fra provincia e comune non fu una cosa facile, alla faccia delle propagande populistiche del tipo “il comune è la casa dei cittadini” che si sentivano in quegli anni. Non che l’unificazione abbia poi giovato molto (la politica è sempre quella cosa che mestiere non è e che amministrazione nemmeno) ma fu comunque un segnale forte e necessario. Che fatica! Non vi dico del resto. Con Giacomo decidemmo di mettere su un’attenzione - non un’investigazione - alla pedofilia on line. Coinvolgemmo una persona che mi era vicina e con la quale avevo un bon rapporto di riabilitazione. Ce lo arrestarono o quasi in men che non si dica! Giacomo, abbiamo provato che la ricerca, che lo studio, che l’analisi - che offriamo come dono - li fanno pagare a noi, ma, tutto sommato, siamo orgogliosi di questi nostri piccoli contributi di innovazione, di ricerca vera sul campo in nome di una solidarietà e libertà che ormai è tale perché fanno sì che si creda che le norme non ci siano più e che valgono solo per gli altri. Ha ragione Gorges Bertin quando ci ricorda che “l’a-priori governa i ragionamenti politici in base all’insignificanza generalizzata” e cita Jacques Ardoino con “…i campioni più sofisticati delle tendenza alla funzionalizzazione ed alla ingegneria organizzatrice dei tempi moderni ritrovano sotto un’altra forma gli aspetti più rigorosi del pensiero normativo arcaico e dei manicheismi primitivi”. Ecco là il m@gm@: nella tua tesi c’è un finale importante, a sorpresa. Si chiama “nel superiore interesse della minore”. Io e te sappiamo cosa è, ma anche chi volesse leggere questo report può recarsi in un’università della Repubblica Italiana, quella di Teramo e rendersene conto. Una bella ultima lezione.

    Giacomo, nel dolore un altro dolore: non ero a Trieste e dunque il tuo funerale non ha avuto la mia presenza. Ora tutti i sociologi sanno di te e di quanto eravamo vicini, tu sostituto commissario ma commissario ad honorem… e sociologo di qualità. E proprio per questo ti immagino a Capri, dove ti sei fatto portare come ultimo viaggio terreno, a cercare di capire da Salvatore Vuotto, quel socialista anarcoide dell’isola, come andò per davvero lo scherzo che fecero a Lenin durante il suo soggiorno caprese oppure ti immagino intento a chiedere a Norman Douglas (autore di Vento del sud) dei suoi anni fiorentini in quanto socio dell’editore e libraio Pino Orioli, come andò veramente la pubblicazione della prima edizione del libro “L’amante di Lady Chatterley”, sicuro scandalo se fosse uscito in Inghilterra. Ti vedo così… intento a continuare la ricerca della verità e della conoscenza magmatica in nome di una curiosità sempre più genuina e sicura. Stai costruendo, stiamo costruendo l’eterotopia: il luogo che comunica con altri luoghi, il luogo che apre ad altri luoghi e non li ingoia e non li annulla. Mai.



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