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M@gm@ vol.7 n.1 Janvier-Avril 2009
IL DIABETE CHE MIGRA [1]
Angela Infante
angela.infante@email.it
Counselor Familiare, formatrice e specializzata in Counseling e Terapie Interculturali, lavora presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata di Roma su alcuni progetti innovativi intorno alla multiculturalità all'interno dell'ambulatorio di medicina delle migrazioni, con un progetto legato al ben-essere delle popolazioni migranti.
Il “cliente”
che mi sta di fronte non è giallo o nero, non è musulmano
o buddista, non è marocchino o cinese, non è ricco o povero,
non è profugo o residente, non è maschio o femmina, non è
connazionale o straniero, non è potente o diseredato, non
è colto o analfabeta, non è bello o ripugnante. Chi mi sta
di fronte è, prima di qualsiasi specificazione, un essere
umano, la cui umanità è denominatore comune di ogni diversità.
Introduzione
Nel gennaio 2007 ha avuto inizio il “Corso di Counseling e
Terapie Interculturali”; nello stesso gennaio il Servizio
di Diabetologia Pediatrica dell’Azienda Universitaria Ospedaliera
Policlinico Tor Vergata di Roma ha richiesto la mia collaborazione
per un progetto relativo all’alleanza e all’aderenza terapeutica
del minore straniero affetto da diabete mellito. Ho avuto
l’opportunità di partecipare a questo progetto, poiché avevo
avuto precedenti esperienze nel Servizio di Medicina Solidale
e delle Migrazioni, progetto del medesimo Policlinico.
Questo progetto riguarda tutti i minori autoctoni e migranti
affetti dalla suddetta patologia, in cura presso l’Unità Operativa
di Diabetologia Pediatrica.
Il mio ruolo principale all’interno del progetto è quello
di apportare un doppio ascolto medico-counselor durante le
visite di controllo, che possono variare a seconda dell’andamento
della patologia, da una cadenza mensile ad una quindicinale.
Durante questi colloqui il mio primo intento è quello di approcciarmi
alla famiglia in un’ottica sistemica, in seguito di affrontare
una ricostruzione autobiografica della storia familiare e
del processo migratorio.
In questi mesi ho seguito dieci casi con un range di età dai
10 ai 17 anni, di nazionalità prevalentemente rumena; sono
presenti anche due fratelli marocchini e una ragazza moldova.
Di non secondaria importanza è il mio impegno nella formazione
del personale medico, infermieristico e amministrativo del
Servizio di Diabetologia Pediatrica, sul tema dell’accoglienza
e della relazione con il paziente migrante.
In questo lavoro ho deciso di affrontare il caso di Ioan,
un ragazzo rumeno di 12 anni, il primo nucleo familiare che
ho incontrato; inoltre, nel maggio di questo stesso anno,
un viaggio di piacere mi ha portato in Transilvania, forse
la parte più bella e più colta della Romania, a Sibiu, e,
non per coincidenza, la città di provenienza della famiglia
di Ioan.
1. L’identità mista
L’identità è un sistema aperto costituito da una molteplicità
di elementi che interagiscono tra loro: genere, ruolo sociale,
religione, famiglia di appartenenza, nazionalità, età, popolazione,
professione, ecc.
E’ un processo unico che ciascun individuo compie nel momento
in cui vive e organizza la sua esistenza, narrandola a se
stesso e dando un significato alla propria esperienza. L’identità
nasce dalla relazione con l’ambiente e la cultura in cui ciascun
individuo vive: non c’è identità senza relazione, non c’è
relazione senza identità.
Essa indica un “Io” che si costituisce, a partire da un plurale,
attraverso un movimento di andata e ritorno, di integrazione,
ma anche di rigetto. Pensare, agire, educare secondo una logica
relazionale significa, quindi, mettersi subito nella reciprocità.
Il migrante vive un processo di trasformazione che lo colloca
in bilico tra due mondi distinti, sia sul piano geografico,
sia sul piano temporale.
Nell’esperienza migratoria il livello più intaccato è la dimensione
identitaria, tenendo conto che l’identità è un risultato,
proveniente dal crearsi del proprio culturotipo, è un prodotto,
è un’energia psichica soggettiva che metabolizza le informazioni
provenienti dall’esterno.
Spesso il “qua” e il “là” diventano due realtà diverse, lontane,
incompatibili, antagoniste. Di conseguenza, diventa sempre
più difficile appartenere a tutti e due i posti e impossibile
sceglierne uno. Bambini e ragazzini figli della migrazione
si sentono sempre più destinati a non essere “né di qua né
di là”, perdendo il senso del sé, i punti di riferimento,
la possibilità di dare un senso alla propria identità (Edelstein,
2007a).
La doppiezza crea dicotomie, inserisce nell’ottica di “o-o”,
come sostiene la Edelstein (2007b) “le dicotomie chiudono
e costringono a pensare e sentire:
• in modo limitante: ci sono apparentemente solo due possibilità;
• in modo polarizzato: sulle due estremità di un asse, anziché
su un continuum;
• in modo superficiale: senza lo spessore della complessità
e della pluralità;
• in modo dualista: lo sguardo dell’occhio destro si mantiene
separato da quello del sinistro, e non si costruisce una visione
d’insieme.”
Inoltre, due identità o appartenenze portano facilmente a
paragoni e inevitabilmente si arriva alla conclusione che
una cultura sia meglio dell’altra. I bambini si trovano a
dover scegliere, costretti a rinunciare ad una parte della
loro appartenenza, a rifiutarla, a rimuoverla, a dimenticarla,
spesso “vince” la cultura dominante (Edelstein, 2007a).
Il concetto di identità mista permette di uscire dal dualismo,
dalla dicotomia e dalla prospettiva normativa e consente di
entrare in una prospettiva pluralista.
Quest’ultima prospettiva ha come punto di riferimento la molteplicità:
considera ogni modello e ciascuna cultura viene analizzata
in base alle proprie caratteristiche e funzioni senza essere
oggetto di paragone con nessun modello ideale (Fruggeri, 2001;
Edelstein, 2007b).
In questo modo si aprono molteplici possibilità e le micro
culture o appartenenze consentono ai bambini di essere contemporaneamente
tutti uguali e tutti diversi. Ogni singolo individuo appartiene
a più gruppi e tutti sono portatori di culture coesistenti.
Nell’intervista intitolata “Verso un’identità complessa”,
Morin (2003) parla dell’identità culturale all’interno dell’identità
umana:
Io parto dall’idea della poliidentità umana e fra queste multiple
identità, parlo di identità concentriche. Noi abbiamo un’identità
individuale, che peraltro non è isolata e fa parte dell’identità
familiare, un’identità culturale, cioè un’etnia, poi un’identità
nazionale, religiosa, un’identità planetaria, un’identità
strettamente umana. Allora, dal momento che ognuno vive svariate
identità, tutte queste identità devono coabitare o affermarsi
senza rifiutarne alcuna.
2. Il diabete
L’organismo ha la necessità di mantenere il livello di glucosio
nel sangue (glicemia) in un ambito relativamente ristretto
(tra i 100 e i 200 mg/ml), per garantire da un lato un sufficiente
apporto energetico al sistema nervoso, dall’altra di evitare
una serie di problemi che insorgono quando la glicemia supera
il livello previsto. La glicemia è regolata da una serie di
ormoni, di cui solo uno ne provoca l’abbassamento, l’insulina.
Il diabete mellito è un disturbo della regolazione dei livelli
glicemici, dovuto a carenza di insulina per atrofia delle
isole del Langerhans, aggregati di cellule all’interno del
pancreas.
Questa atrofia può essere lenta e progressiva, presentandosi
come una malattia degenerativa, favorita da un’iperalimentazione,
nel qual caso si parla di diabete adulto o di tipo II, oppure
può essere acuta e quasi totale, verificandosi nell’infanzia
o nell’adolescenza, in questo caso si parla di diabete giovanile
o di tipo I.
La mancanza di insulina provoca una iperglicemia che risulta
tossica per l’organismo e che può portare anche al coma e
alla morte. Nei casi gravi di carenza di insulina la sopravvivenza
può essere assicurata soltanto per somministrazioni quotidiane
di insulina esogena (il diabete di tipo I viene infatti chiamato
insulino-dipendente), che necessita di essere attentamente
dosata in rapporto all’assunzione di alimenti, in più somministrazioni
quotidiane. Si tratta di sostituire una regolazione esterna
ad una regolazione interna, in un delicato equilibrio tra
il paziente, il medico e l’ambiente familiare. Il diabete
viene considerato instabile quando la regolazione glicemica
che si riesce ad ottenere non è soddisfacente, con ripetuti
episodi di iper- e ipoglicemia.
L’ipotesi patogenetica attualmente più accreditata è quella
di una malattia autoimmune che porta alla progressiva distruzione
delle cellule del pancreas, in cui se è certa una componente
genetica, è anche certa un’interazione con altri fattori.
Come esposto da Solano (2001) diversi studi sostengono l’influenza
di fattori psicosociali sia sull’insorgenza del diabete, sia
sulle oscillazioni della glicemia:
- l’insorgenza in stretta contiguità con eventi reali di perdita,
soprattutto separazioni precoci dai genitori;
- un’influenza sui livelli glicemici da parte dei vissuti
inerenti la relazione con l’oggetto, soprattutto nei termini
di regolazione della distanza;
- il riscontro in soggetti diabetici di una storia di relazioni
primarie non sintoniche, in specie nei riguardi dell’alimentazione;
- il riscontro di differenze nel tipo di accudimento precoce;
- sul piano clinico si trovano diverse descrizioni che depongono
per una situazione di disregolazione nei soggetti diabetici,
che si esprime sia nella sfera affettiva che nella regolazione
della glicemia.
3. Il caso di Ioan
Ioan ha 12 anni, è nato in Romania, è di religione ortodossa
e frequenta, oggi, la seconda media a Roma. Suo padre emigra
in Italia nel 1996, quando Ioan ha un anno e mezzo; dopo otto
mesi lo segue anche la madre e il ragazzo rimane in Romania,
affidato ai nonni, in particolare alla nonna paterna. I suoi
genitori riescono però a tornare in Romania due volte l’anno
e ad essere comunque relativamente presenti nella vita del
figlio.
Quando Ioan ha quattro anni, il 30 aprile, la nonna paterna
muore e lui rimane solo con il nonno. Due mesi dopo, il 1°
luglio, sviluppa un diabete di tipo I, ed entra in coma diabetico.
I genitori volano in Romania e lo portano con loro in Italia.
Inserito nella scuola italiana prima all’asilo e poi in prima
elementare, la vita familiare viene nuovamente “infastidita”,
problemi burocratici legati alla sospensione del passaporto
fanno rimanere la madre un anno in Romania e quindi Ioan è
solo a Roma, con il padre. Quando la madre torna, all’inizio
della seconda elementare, la vita familiare diventa solida,
ma non il diabete che invece in questi anni è quasi sempre
instabile. Una volta l’anno provano a tornare, tutti insieme,
in Romania per le vacanze.
Il lavoro dei genitori in Italia è di un livello socio-economico
più basso rispetto a quello che avevano in Romania, la madre
ha un diploma superiore in meccanica e in Italia lavora come
colf, il padre ha un diploma in elettrotecnica e viene da
una famiglia agiata di costruttori edili, qui lavora nell’edilizia
ma come manovale; mi raccontano che tra i motivi della migrazione
vi è anche una motivazione politica.
Ho incontrato per la prima volta l’intero nucleo familiare
il 26 febbraio 2007, li ho visti di seguito per cinque incontri
prima della pausa estiva, con cadenza mensile, e per altri
tre incontri in autunno. È l’unica famiglia che si presenta
sempre al completo ai controlli ospedalieri; secondo il parere
dei medici Ioan ha una buona aderenza terapeutica ed è autosufficiente
nel controllo del diabete, pur avendo una madre accudente
adeguata. La scuola e i compagni ne sono informati e Ioan
si sente tranquillo a questo riguardo.
Fin dal primo colloquio ho potuto riscontrare una sostanziale
adeguatezza dei genitori, con un buon processo educativo,
che riescono a dare regole e al tempo stesso ad avere un buon
dialogo con il figlio, che sta sviluppando un sano processo
di autonomia. Come figlio unico è stato molto seguito dalla
madre, che è riuscita a bilanciare bene le sue ore lavorative
con le esigenze del figlio.
Ioan parla molto bene italiano, parla anche il “romanaccio”
e si sente perfettamente integrato in Italia, considerando
Roma la città più bella del mondo. Va molto bene a scuola,
dove sono presenti anche altri ragazzi di diverse nazionalità
(un altro bambino rumeno, una peruviana, una cinese e un austriaco),
nel futuro vorrebbe fare l’architetto. Attualmente fa sport,
gioca a pallavolo a livello agonistico e nei quattro anni
precedenti ha frequentato un corso di karate.
Nonostante l’abitudine ad andare in Romania per l’estate,
quest’anno Ioan è più negativo del solito a questo riguardo
e vorrebbe invece andare in Spagna con i genitori. Ha portato,
per me, una relazione che ha preparato per la scuola sulla
Spagna.
A maggio c’è stato un problema a scuola, i genitori di Ioan
sono stati convocati perché lui aveva fatto a botte con un
compagno. I genitori erano molto scossi e addolorati, anche
perché nonostante all’episodio avessero partecipato molti
ragazzi della classe, solo i genitori degli alunni rumeni
sono stati convocati. Erano molto preoccupati anche per i
valori del diabete, che stavano diventando elevati, il ragazzo
dava gravi segni di nervosismo e di stanchezza. Ho proposto
di andare anche io a scuola a parlare con i professori, i
genitori mi hanno ringraziata, ma hanno detto di preferire
di occuparsene da soli.
Ioan ha spiegato che è dovuto ricorrere all’aggressione fisica
come ultima scelta, dopo aver subito offese continue. Aveva
inventato e organizzato un gioco di ruolo con alcuni compagni
della sua classe e da quel momento, gli esclusi, hanno iniziato
a chiamarlo “frocio” e “capobanda rumeno”. Alla fine del colloquio
Ioan ha detto di essere rimasto colpito dal pianto dei genitori,
e di sentirsi sollevato, il diabete è sceso e si è stabilizzato
per alcuni giorni. La scuola è finita dopo poco e per la fine
dell’anno scolastico è stata organizzata una “pizza di classe”
dove le questioni tra i ragazzi sono andate bene, Ioan era
molto più sereno.
Nell’ultimo incontro prima dell’estate, due genitori orgogliosi
sono arrivati in consulenza portandomi a vedere la bellissima
pagella del figlio e mi hanno donato la felicità del fatto
che Ioan avesse cambiato idea sulle vacanze e avesse deciso
di andare, da solo, in Romania a trovare i nonni. Al ritorno
avrebbe poi trascorso una vacanza con i genitori in Spagna.
Mentre era in Romania Ioan mi ha telefonato raccontandomi
della sua partenza da solo, del viaggio che era andato bene,
del riuscire a regolare il diabete senza difficoltà, anche
senza la presenza della madre, della felicità di aver rincontrato
i nonni e il resto della famiglia, della strana sensazione
di parlare nuovamente una lingua “familiare” e della scoperta
di tutte le cose che poteva fare con i tantissimi amici, trovati
e ritrovati.
Al ritorno dalle vacanze in autunno Ioan mi ha raccontato
di quanto la vacanza gli fosse piaciuta, tanto da chiedere
ai genitori di poterla prolungare; è tornato, infatti, dopo
un mese e mezzo dalla sua partenza.
4. Discussione del caso
Il caso di Ioan sembra rispecchiare in modo abbastanza tipico
l’influenza dei fattori psicosociali nell’insorgenza del diabete.
Come sottolinea Taylor (1987), a partire dalle ricerche di
Spitz, fino agli studi più recenti, è stato dimostrato che
la separazione precoce del bambino dalla madre può provocare
modificazioni fisiologiche che possono portare all’insorgenza
di patologie nel bambino o influenzarne la successiva suscettibilità.
Una storia familiare complessa e i primi anni di vita soggetti
a diverse separazioni erano stati affrontati abbastanza bene
da Ioan fino a quando la morte improvvisa della nonna paterna,
che era rimasta l’unica figura stabile e continuativa nella
vita del bambino, ha influito significativamente sull’esordio
della malattia, avvenuto solo 60 giorni dopo questo lutto.
Forse si può addirittura osare ipotizzare che la malattia
fosse l’unica cosa che il bambino poteva fare per creare un
ricongiungimento familiare.
La coppia genitoriale ha reagito prontamente e molto bene
a questo evento, riorganizzandosi velocemente e decidendo
di portare Ioan in Italia, perché stesse con loro in un tale
momento di difficoltà e perché fosse curato nel modo migliore.
Certo i successivi eventi di vita, come la permanenza del
bambino per un anno da solo con il padre a Roma, con la madre
bloccata in Romania, e quindi l’ulteriore separazione, non
potevano non avere un’influenza sul diabete, che è stato infatti
soggetto a consistenti oscillazioni della glicemia.
In alcuni pazienti diabetici si presenta un aumento della
glicemia in presenza di una situazione stressante, per cui
è plausibile pensare che vi siano degli elementi psicologici
in grado di intervenire come mediatori tra lo stress e la
risposta fisiologica. E’ stato evidenziato che le strategie
di coping predicono il futuro controllo glicemico più efficacemente
di altre variabili, perché il coping agisce come buffer, effetto
tampone.
Proprio durante i colloqui abbiamo potuto sperimentare insieme
come le oscillazioni della glicemia fossero estremamente legate
alle oscillazioni dell’umore del ragazzo, e in più casi mi
è stato detto che dopo i colloqui per alcuni giorni il diabete
rimaneva estremamente stabile.
Il mio obiettivo istituzionale era proprio quello di lavorare
sulle oscillazione della glicemia, e questo contratto è sempre
rimasto implicito, ma estremamente presente, visto che gli
incontri si sono sempre svolti al’interno del Servizio di
Diabetologia Pediatrica.
L’obiettivo principale che mi sono posta durante questa consulenza,
e sul quale tutta la famiglia è stata d’accordo, è stato quindi,
quello di ricostruire una storia familiare, di avere un approccio
narrativo, di far parlare i genitori della loro terra e di
trasmettere questo amore al figlio, proprio in un momento
di rifiuto di quest’ultimo per le sue origini, nel tentativo
di ricucire insieme quello strappo che l’esperienza migratoria
aveva creato.
Ho cercato di ri-incorniciare il loro processo migratorio
alla luce degli aspetti positivi presenti, non solo come un
dover andare via da un paese in cui non erano più presenti
possibilità, ma come la ricerca di un futuro migliore per
se stessi e per il figlio, restituendo il coraggio della scelta
e la capacità di superare le difficoltà.
Ho lasciato che i genitori mi raccontassero della situazione
politica, dei loro ricordi, delle loro vite in Romania, chiedendo
di portare delle foto in consulenza, per ricostruire la storia
e la memoria, davanti e insieme al figlio, che è sempre rimasto
estremamente attento e interessato. Evidentemente questo ha
funzionato perché Ioan ha deciso di tornare nel paese natio,
e si è fermato per più tempo di quello previsto originariamente.
Per la ricostruzione della storia insieme a Ioan ho utilizzato
molto la tecnica del disegno. Ho voluto usare questa tecnica
in senso diagnostico, per esplorare le rappresentazioni del
ragazzo su di sé e sulla sua famiglia, i suoi modelli introiettati,
il suo bagaglio socio-culturale, e in senso narrativo, per
avere delle modalità non-verbali di raccontare, che ho immaginato
sarebbero state per lui più facili, considerando anche la
sua giovane età.
Gli ho chiesto di disegnare se stesso, la sua famiglia, la
sua casa, il suo posto a tavola, il suo posto a scuola e la
valigia dei suoi desideri, che conteneva la vacanza in Spagna
con i genitori. Nel tempo mi ha poi portato ogni tanto dei
disegni, come una cartina dettagliata della Romania e una
partita di pallavolo.
In tutti questi disegni Ioan mostra di essere molto adeguato
per la sua età e per la sua storia, è molto preciso, il tratto
è chiaro e distinto e ricco di particolari. Il ritratto di
sé stesso e della sua famiglia li mostra tutti vicini e sorridenti.
Il disegno della sua casa è fatto in pianta, in linea con
il suo progetto futuro di fare l’architetto.
Poiché lo spazio di consulenza è stato sempre breve e a cadenza
mensile, spesso ho dato dei compiti ai diversi componenti
familiari, soprattutto delle narrazioni scritte, per raccontarmi
e raccontarsi meglio, cose che avevamo avuto il tempo solo
di accennare durante il colloquio. Si sono sempre mostrati
contenti e pronti ad eseguirli, e questo ha permesso di creare
una continuità al nostro rapporto anche al di fuori dei momenti
di consulenza.
Il legame tra noi è stato facile da instaurare e si è sempre
mantenuto più che buono, è stato inoltre notevolmente rinforzato
quando mi è capitato di andare per una breve vacanza proprio
in Romania e a Sibiu, la loro città natale, che è stata nominata
capitale europea della cultura per il 2007 e di condividere
colori, profumi, sapori e percezioni.
Il mio intervento e la presa in carico sono stati molto variegati
nel tempo, per esempio poiché avevano avuto dei problemi ad
eseguire la prenotazione con la carta di credito, per il volo
aereo per la Romania, mi sono occupata io di farlo e loro
ne sono rimasti stupiti e riconoscenti.
La mia più grande soddisfazione è stata la telefonata che
ho ricevuto da Ioan quando era in Romania, che mi ha voluto
raccontare come stavano andando bene le cose e, con grande
orgoglio, come parlava rumeno e come era stato in grado di
avere tanti amici anche in Romania. Mi ha voluto dimostrare
di aver capito le cose che ci eravamo detti e di come il migrare
gli avesse permesso di avere delle cose in più, non in meno:
due patrie, due culture, un’identità più complessa, più ricca.
5. Conclusioni
Ho deciso di portare questo caso per diverse ragioni: la prima
è sicuramente il fatto che ho sentito di potermi approcciare
a questa famiglia in un modo più consapevole, grazie proprio
ai discorsi affrontati nel “Corso di Counseling e Terapie
Interculturali”, soprattutto riguardanti il tema dell’identità
mista e la posizione pluralista d’inclusione anziché di esclusione.
La seconda è l’evidenza del buon risultato che è stato possibile
ottenere in pochi incontri. Ritengo che questo sia potuto
avvenire innanzitutto perché, nonostante la presenza del diabete,
la famiglia di Ioan è molto unita, attenta ed adeguata e ha
sempre mostrato capacità riorganizzative molto forti, proprio
perché ha dovuto affrontare molteplici difficoltà. Questo
depone per una buona alleanza e aderenza terapeutica di tutta
la famiglia al controllo della malattia e al progetto che
seguono presso il Policlinico.
Inoltre, ritengo che l’intervento si sia situato in un momento
favorevole dello sviluppo del ragazzo, l’inizio dell’adolescenza
e l’inizio di un rifiuto per le origini rumene. Solo l’inizio,
appunto, che ha permesso di riorientare il processo di sviluppo
identitario verso una maggiore accettazione delle differenze
e della complessità e di creare quella ricucitura, attraverso
la narrazione, che il trauma migratorio aveva costituito,
per Ioan e per i suoi genitori.
Note
1] Tesina di fine corso a
cura di Angela Infante: Corso Counseling e Terapie Interculturali,
Shinui - Centro di Consulenza sulla Relazione (Bergamo).
Bibliografia
Edelstein, C. (2007a), "L'identità mista di bambini e adolescenti" in m@gm@ - Rivista Elettronica di Scienze Umane e Sociali - Osservatorio di Processi Comunicativi, vol. 5, n°2. Numero tematico diretto da M. Giuliani: "Il counseling e le culture: le culture del counseling".
Edelstein, C., (2007b), Il Counseling sistemico pluralista. Erickson, Gardolo (TN).
Fruggeri, L., (2001), “I concetti di mononuclearità e plurinuclearità nella
definizione di famiglia”, in Connessioni, vol.8.
Morin, E., (2003), “Pour une identité complexe”, entretien avec Edgar Morin
par Giraud F., L’autre, cliniques, cultures et société, n.2, vol.4.
Solano, L., (2001), Tra mente e corpo. Raffaello Cortina, Milano.
Taylor, G.J. (1987), Medicina psicosomatica e psicoanalisi
contemporanea. Tr.it. Astrolabio, Roma 1993.
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