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    M@gm@ vol.5 n.2 Janvier-Mars 2007

    SOCIOLOGIA QUALITATIVA E INTERAZIONISMO SIMBOLICO: RECENTI SVILUPPI NEGLI U.S.A.


    Giuseppe Toscano

    g.toscano11@virgilio.it
    Dottorando di ricerca in Sociologia e Ricerca Sociale presso l'Università degli Studi di Trento; ha partecipato al progetto Cofin "La ricerca qualitativa: teorie metodi ed applicazioni"; cultore in Sociologia Generale presso l'Università degli Studi di Catania; Master in Teoria e Analisi Qualitativa, Università degli Studi di Roma La Sapienza; Laurea in Scienze Politiche, indirizzo politico-sociale, Università degli Studi di Catania.

    Andrea Fontana
    Sociologia qualitativa e Interazionismo simbolico: recenti sviluppi negli U.S.A.


    Roma, 19 ottobre 2006, Università degli Studi Roma Tre
    Facoltà di Scienze della Formazione
    Dipartimento di Scienze dell’Educazione


    Catania, 24 ottobre 2006, Università degli Studi di Catania
    Facoltà di Scienze Politiche
    Dipartimento di Studi Politici e Corso di laurea in Scienze Sociologiche


    Quando la società, come un palazzo di cristallo, cade in frantumi si procede alla studio dei frammenti. Con questa immagine Andrea Fontana, direttore del dipartimento di Sociologia della University of Nevada, ha descritto l’approccio degli interazionisti più inclini all’eterodossia che rifiutano le metanarrazioni e, senza porsi il problema di costruire una teoria generale, rivolgono la loro attenzione all’analisi dell’interazione e ai dettagli della vita quotidiana.

    Gli studiosi, che ruotano intorno alla figura di Norman Denzin e che si definiscono postmodernisti, sono accomunati dall’esigenza di cambiare radicalmente il modo di fare sociologia in tutte le fasi in cui si articola il percorso di studio: dalla formulazione del problema fino all’esposizione. È soprattutto nella fase della stesura del rapporto di ricerca che la nuova ondata di sociologi solleva polemiche, scandali e perplessità. I risultati dello studio sono infatti tradotti in performance teatrali, narrazioni, racconti, poesie che sostituiscono la più tradizionale forma della dissertazione scritta.

    Nell’introdurre i suoi interventi, Fontana ha ripercorso sinteticamente la storia della sociologia qualitativa negli Stati Uniti: dallo sviluppo nella Chicago degli anni Trenta, fino alla recente svolta postmoderna dell’interazionismo simbolico realizzata da Norman Denzin. La piena legittimazione raggiunta oggi negli Stati Uniti dalla corrente è testimoniata dal fatto che nei manuali americani l’interazionismo simbolico rappresenta, accanto al positivismo e al marxismo, uno dei tre approcci sociologici principali.

    Nell’affrontare il tema della metodologia Fontana prende atto di come le persone in America siano ormai assuefatte alla survey. L’intervista è diventata una pratica talmente diffusa che l’America si potrebbe definire la società dell’intervista. La gente comune si aspetta di essere intervistata, ha già pronto un repertorio di risposte per tutte le occasioni e una facciata accuratamente studiata da esibire. Solo un tipo di intervista priva di struttura che si definisce nel corso dell’interazione e quindi imprevedibile come l’intervista etnografica, riduce il problema della reattività del soggetto studiato, perché l’intervistatore ha solo un’idea molto generale di partenza e lascia l’intervistato assolutamente libero di esprimersi.

    Fontana riassume quindi in una serie di punti cosa bisogna fare per realizzare una ricerca etnografica. Se l’oggetto di studio è un gruppo, è importante che il ricercatore venga accettato dai componenti. Come testimonia il caso di Hunter Thompson, non si può studiare una subcultura come quella degli Hell’s Angels se non si guida una Harley Davidson, se non si frequentano gli stessi bar e luoghi di ritrovo, se cioè non si riesce a diventare uno di loro. Un problema che fa sorgere anche questioni etiche. Cosa fare se il gruppo compie dei reati? Fino a che punto è ammissibile rendersi indirettamente complice o testimone e non denunciare i colpevoli pur di non tradire le persone di cui si è guadagnata la fiducia? A volte è necessario sviluppare un’etica situazionale. Come per gli antropologi è fondamentale capire la lingua e le maniere dei soggetti studiati: se, per esempio, lo studio ha per oggetto un’organizzazione medica, è opportuna la conoscenza del linguaggio specialistico dei medici. Un’altra questione riguarda il modo di presentarsi Mimetizzarsi nel gruppo o rivelarsi in vesti ufficiali? Fontana cita la sua esperienza durante una ricerca realizzata in una casa per anziani quando aveva adottato lo stratagemma di farsi assumere come addetto alle pulizie (cfr. Fontana, The Last Frontier). È importante che il ricercatore trovi un informatore: cioè un individuo che, pur essendo un membro del gruppo, lasci trapelare le notizie generalmente nascoste agli estranei. Infine è necessario annotare tutto, sia le cose importanti che le cose che apparentemente sembrano meno rilevanti, solo successivamente si potrà valutare il materiale che è realmente interessante.

    A questo approccio etnografico tradizionale se ne sono recentemente aggiunti nuovi come l’Oral History in cui l’obiettivo è riscrivere i grandi eventi storici “dal basso” e le interviste sono rivolte a ricostruire le storie della gente comune. In questo caso il confine con la ricerca storica è molto tenue. Un tipo speciale di ricerca è dato dalle autoetnografie in cui il ricercatore rivolge introspettivamente l’attenzione a se stesso e parla della propria esperienza nel relazionarsi al soggetto studiato. Carolyn Hellis, per esempio, affronta il tema della morte del fratello in un incidente aereo concentrandosi sulle proprie emozioni. Un altro approccio innovativo consiste nel realizzare interviste creative, ovvero dove si stabilisca come presupposto tra intervistatore e intervistato, un rapporto molto intenso che vada oltre i limiti dell’intervista e si protragga nel tempo.

    Il filo conduttore che lega queste nuovi strumenti d’indagine è l’esigenza di eliminare per quanto possibile l’influenza del sociologo. Sebbene l’approccio qualitativo tradizionale abbia spesso ostentato lo slogan “far parlare i nativi”, il ricercatore continua a mantenere un ruolo dominante anche se inconsapevolmente. La semplice scelta di ciò che si vuole osservare, del momento in cui osservare, la selezione di ciò che è rilevante e ciò che non lo è, hanno l’effetto di alterare la realtà e di imporre la propria prospettiva a quella dei soggetti studiati. Per questo è sorta l’esigenza di effettuare interviste polifoniche, cioè di riportare fedelmente le voci degli individui permettendo loro di esprimersi in assoluta libertà senza alcuna intrusione da parte del ricercatore. Denzin, per esempio, ha realizzato molti studi polifonici sugli alcolisti; Susan Krieger, in Mirror dance, ha messo assieme più voci di donne (tuttavia Fontana sostiene che anche la scelta delle voci che si riportano è una alterazione della realtà). Sono inoltre nati i Gender Studies, ovvero sulla base della constatazione che gli studi sociologici sono realizzarti da maschi bianchi che condizionano la prospettiva di osservazione. Se si vuole studiare la condizione femminile è necessario che siano donne sociologhe a studiare altre donne.

    L’idea di fondo di queste pratiche di ricerca è che non si può fare finta di essere neutrali. Visto che il ricercatore esercita sempre un potere e impone una prospettiva di osservazione, la necessità di scrivere riportando in maniera non solo fedele ma anche priva del proprio orientamento, implica che il punto di vista del ricercatore sia esplicitato realizzando una sorta di confessional style. A ciò si aggiunge una forte propensione alla praxis: bisogna approfittare dello studio per aiutare i gruppi oppressi e intervenire per migliorare la realtà studiata.

    Altre questioni vengono sollevate: cosa fa parte dello studio? Alcuni ricercatori includono non solo quello che si vede ma anche quello che si sogna. In un contesto postmoderno in cui il simulacro è diventato la realtà e la realtà un suo riflesso, diverse opere si rivolgono a quella che Jean Baudrillard chiama l’iperrealtà: i film, la letteratura o i dipinti diventano oggetto di analisi (lo stesso Fontana ha realizzato l’analisi di un quadro di Bosch). Quale deve essere il livello di coinvolgimento? È opportuno assumere un certo distacco dalla situazione osservata ma a volte non è possibile, come dimostra un episodio drammatico citato in The Last Frontier: durante una crisi di un degente della casa per anziani in cui svolgeva la sua ricerca, Fontana non è potuto rimanere un osservatore distaccato e la dinamica della situazione lo ha coinvolto.

    Con queste domande si conclude la prima parte dell’intervento che assume toni piuttosto scettici sul futuro: il timore espresso è che il postmodernismo, così come è avvenuto per l’etnometodologia, dopo la carica innovativa iniziale rischi di rientrare nei ranghi della sociologia main stream.

    Una domanda introduce la seconda parte: cosa fare dopo la raccolta dati? Si pone così al centro dell’attenzione la performance e il suo uso nella ricerca sociologica. Fontana sostiene che è necessario rendere la scrittura più interessante e ampliare l’audience, per questo motivo scrive racconti, recita brani teatrali, mostra fotografie. Il suo intento risponde a una duplice esigenza: maggiore profondità nel riportare i risultati ed estensione dell’uditorio.

    Se è innegabile che la forma saggio è in grado solo in maniera molto limitata di rendere e trasmettere realmente al lettore il capitale emozionale acquisito sul campo, l’uso di performance solleva una domanda: si tratta ancora di sociologia o piuttosto di un’improbabile invasione del sociologo nel mondo dell’arte? È sociologia, sostiene Fontana, finché dietro la finzione del racconto o del teatro c’è la realtà, persone vere e fatti realmente accaduti. Ma il leader del gruppo, Norman Denzin, sembra aver scelto la via della provocazione estrema, e senza curarsi della realtà dei fatti presentati, propone le sue rappresentazioni con l’intento esplicito di scandalizzare gli studiosi tradizionalisti e, con un certo autocompiacimento, si esibisce recitando senza fornire alcuna chiarificazione successiva. L’atteggiamento assunto da Fontana è molto più moderato. A conclusione dei suoi interventi ha dato una serie di esempi del suo personale modo di concepire il ruolo della performance. Si tratta di una tecnica innovativa, in quanto risponde al bisogno di introdurre l’emozione in una sociologia troppo razionale ed è uno strumento che rispetto alla forma della monografia ha il vantaggio di cambiare di volta in volta. Tuttavia deve rimanere un semplice complemento alla riflessione teorica ed deve essere sempre affiancata da una spiegazione chiarificatrice.

    La prima performance consisteva nella lettura di un breve racconto intitolato A casa alle 8:00 e aveva per oggetto uno spaccato di vita familiare. Il protagonista del racconto descrive alcuni episodi che caratterizzavano la sua infanzia in famiglia e la dimensione emotiva e interattiva che si creava ogni volta che la madre era picchiata dal padre. La seconda performance esponeva una ricerca su una comunità temporanea, cioè un gruppo di persone che si ritrova con cadenza periodica in occasione di un evento. Combinando sociologia visuale e narrazione, Fontana presenta la comunità di appassionati di corse automobilistiche che annualmente si incontra a Bonneville Salt Flats. Durante l’intervento romano il racconto Fuoco nel box della macchina è stato affiancato da un reportage fotografico.

    Il diverso atteggiamento assunto dai postmodernisti nell’adottare la tecnica della performance spinge a porsi una domanda sulla portata innovativa di questo tipo di approccio. Se la performance è presentata senza nessun tipo di spiegazione, emerge il carattere rivoluzionario della nuova corrente rispetto al modo tradizionale di fare sociologia, pur se di impostazione qualitativa. La performance infatti diventa il momento più intenso e importante di una ricerca che è iniziata con la presenza sul campo del ricercatore e che si è tradotta successivamente in un testo narrativo, teatrale, in un reportage fotografico o in un dipinto. Ma fino a che punto, senza una spiegazione, si può essere certi che il reale contenuto di ciò che si vuole trasmettere sia stato effettivamente recepito? L’input narrativo innesca un processo di sense making che varia da individuo a individuo, e ogni recettore può interpretare soggettivamente il testo presentato col rischio di fraintendere ciò che si vuole comunicare. Se invece è prevista una spiegazione, come sceglie di fare Fontana, la chiarezza espositiva è corroborata ma il carattere innovativo dell’approccio è ridimensionato. La performance, illustrando con immagini vive quanto verrà esplicitato razionalmente, diventa una componente chiarificatrice. La questione rimane aperta.

    Ciò che è certo è che la svolta postmoderna dell’interazionismo simbolico presuppone l’abbattimento delle barriere tra discipline differenti e non è da escludere che lo scandalo suscitato nella comunità degli studiosi più tradizionali tradisca l’esigenza di difendere l’identità della sociologia quale disciplina autonoma.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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