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M@gm@ vol.3 n.2 Avril-Juin 2005
LA RICERCA QUALITATIVA: TEORIE, METODI ED APPLICAZIONI
Giuseppe Toscano
g.toscano11@virgilio.it
Laureato
in Scienze Politiche indirizzo politico-sociale presso l'Università
degli Studi di Catania discutendo una tesi in Sociologia 2° corso
dal titolo 'Immaginazione sociologica e creazione artistica', relatrice
Prof.ssa Rosalba Perrotta; Corsista del master in Teoria e Analisi
Qualitativa organizzato presso il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione
dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza.
Nei giorni 3 e 4 giugno 2005 si è tenuto, presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Roma Tre, il Seminario Internazionale La Ricerca Qualitativa: teorie, metodi ed applicazioni, organizzato in collaborazione con l'AIS, nell’ambito dell’indagine COFIN.
La relazione introduttiva del convegno è stata di Howard Becker. Becker ha analizzato le tre fasi fondamentali del processo di ricerca in sociologia, fasi che costituiscono altrettanti momenti critici e problematici per il ricercatore. I tre grandi problemi che qualunque ricerca deve risolvere riguardano l’inizio, la conclusione e lo svolgimento concreto dell’analisi.
Nel corso di un intervento estremamente chiaro e in cui non sono mancati spunti ironici, il sociologo di Chicago ha posto l’accento sulla necessità di un’estrema libertà da parte del ricercatore. La creatività, le intuizioni, la capacità di essere colpiti da ciò che appare insolito e che invece generalmente è dato per scontato, così come l’abilità di improvvisare, sono le qualità essenziali per intraprendere una ricerca sociologica. Al tempo stesso è necessario rifiutare qualsiasi forma di rigidità e di condizionamento a priori determinato da pre-conoscenze dell’oggetto di studio.
Generalmente si sostiene che l’inizio della ricerca consista nella definizione del problema, nella formulazione delle ipotesi, nella scelta delle tecniche d’indagine ritenute più idonee, in realtà l’inizio effettivo della ricerca è piuttosto vago, e si può collocare perfino prima della proposta di ricerca. Quello che è certo è che ciò che si sa a priori del problema che si vuole studiare è quasi sempre sbagliato. È inoltre fondamentale trovare prima il posto fisico in cui concretamente il problema è incarnato, e solo successivamente iniziare l’indagine, non viceversa. Il punto di partenza di qualsiasi elaborazione teorica deve, inoltre, essere dato dagli appunti che si prendono sul campo.
Altrettanto vaga e indefinita è la conclusione dell’iter di ricerca. Ad un certo punto ci si deve fermare semplicemente, perchè la ricerca è potenzialmente infinita. I limiti sono determinati solo dalle concrete contingenze che sono essenzialmente di tipo economico. La ricerca, così come una performance jazzistica, è un work in progress, ha un carattere di processo così come la realizzazione di un’opera d’arte.
Alla domanda: “cosa fare tra l’inizio e la fine?” Becker risponde semplicemente: “guardare tutto ciò che non si capisce”. Si è partiti da un problema, ma non si ha ancora la risposta. Per procedere nell’analisi è necessario un modello analitico di riferimento, ma questo modello non deve essere rigido e deve permettere al ricercatore di improvvisare, di ritornare sui suoi passi, di effettuare l’analisi da una prospettiva differente, al limite anche di ridefinire il proprio oggetto di studio.
Becker, per chiarire questo modo di procedere, fa riferimento alla sua esperienza di pianista jazz ed evidenzia l’analogia tra la musica improvvisata e la ricerca sociale: in generale i musicisti conoscono dei pattern che una volta appresi permettono di analizzare velocemente un dato brano e di ricondurlo ad un dato schema armonico, in questo modo è possibile improvvisare e realizzare un interplay con gli altri musicisti facendo implicito riferimento a dei pattern condivisi senza essere legati rigidamente ad una data struttura melodica predefinita.
Si pone solo un problema di conoscenza, alcuni brani, infatti, si basano su nuovi pattern e non tutti i musicisti conoscono gli stessi schemi di riferimento. Lo studio costante delle formule per suonare brani che non si conoscono permette di sapere cosa fare quando ci si trova davanti ad un dato problema. Così avviene nella ricerca sociale: i modelli analitici di partenza, i concetti devono avere una flessibilità tale da limitarsi ad indicare un primo percorso ma anche di lasciare libero il ricercatore di improvvisare e devono essere condivisi da tutti i ricercatori.
Tra i diversi esempi riportati da Becker uno particolarmente efficace è stato tratto da Boys in White (Becker, 1961), ed aveva per oggetto l’utilizzo dell’espressione crock da parte degli studenti di medicina del Medical Center dell’Università del Kansas. Gli studenti definivano crock alcuni malati. Per indagare la natura effettiva di questo termine, Becker fece numerose domande e arrivò alla conclusione che quando una persona che fa parte del gruppo A definisce crock una persona del gruppo B, questa persona sta facendo qualcosa contro gli interessi del gruppo A. Un crock è un paziente che si lamenta continuamente, che richiede molto tempo, ma che non ha alcun male e viene definito tale perchè interferisce con gli interessi dello studente. I crocks sono in realtà molto comuni tra i pazienti ed è sufficiente aver avuto a che fare con pochi casi per imparare come comportarsi nei loro confronti, ma trattare continuamente con crocks non aggiunge niente all’esperienza degli studenti, mentre questo interferisce con l’interesse a cercare casi nuovi e differenziati per arricchire la propria conoscenza.
Dall’esempio è evidente come l’inizio della ricerca sia stato vago e indefinito, lo stesso Becker non sapeva precisamente su cosa indagare quando si è trasferito al Medical Center, (“I knew next to nothing about the organization of medical education”), ma al tempo stesso ha individuato un luogo fisico ben preciso per la sua ricerca. È stato nel corso della sua interazione con gli studenti che l’espressione crock è emersa e ne è stato compreso il ruolo nevralgico in quella che si potrebbe definire la rete complessa di relazioni in cui erano inseriti gli studenti. La parola crock implicitamente rimandava alla carriera, agli obiettivi, ai valori del gruppo: i crocks infatti contrastavano l’esigenza degli studenti di una esperienza clinica diretta che non si può apprendere dai libri e per questo venivano stigmatizzati.
L’incontro con Becker si è concluso con numerosi interventi nel corso dei quali il sociologo ha avuto modo di chiarire la sua posizione nei confronti dell’Interazionismo Simbolico, definendosi un membro non leale di tale corrente, ma al tempo stesso considerando congruente con la sua posizione una teoria del processo quale quella interazionista.
Dal punto di vista dei concreti strumenti di ricerca, Becker, a cui piace definirsi etnologo urbano, rimane molto legato agli appunti presi sul campo, mentre mantiene una certa diffidenza nei confronti del registratore, non tanto per il condizionamento che può esercitare sull’intervistato, quanto per la difficoltà di gestire il materiale registrato, e le inevitabili alterazioni che, comunque, derivano dalla trascrizione. Becker ha in conclusione sottolineato come nei suoi studi abbia voluto consapevolmente confondere i limiti tra scienza ed arte ed ha citato alcuni testi fondamentali di autori come Italo Calvino e George Perec per le loro acute analisi sociali.
Il giorno successivo Giampiero Gobo ha esposto una relazione che aveva per oggetto l’importanza della prassi nella metodologia della ricerca sociale soprattutto d’impostazione qualitativa.
Secondo Gobo, negli ultimi venti anni nelle scienze sociali si sono verificate due svolte: una svolta linguistica e una svolta pratica.
La svolta linguistica si è verificata all’inizio degli anni ’80 e ha implicato una riflessione sul ruolo del linguaggio. In questa fase ci si è resi conto che il linguaggio, la comunicazione, le metafore, generalmente considerate semplicemente come strumenti letterari, sono essenziali nella vita quotidiana. Susan Sontag, per esempio, metteva in evidenza come nella medicina prevalesse la metafora militare (si parla infatti di difese immunitarie, bombardare con i raggi, ecc…), senza questa metafora molto probabilmente ci sarebbe stata una medicina differente.
Alla svolta linguistica è seguita, agli inizi del duemila, una svolta pratica. Una tendenza all’accettazione dell’aspetto pratico era in realtà già presente da tempo nelle scienze sociali, per esempio nel pragmatismo americano, in Habermas, in Bourdieu, in Giddens, nell’Etnometodologia. Nella metodologia della ricerca sociale gli effetti della svolta pratica hanno riguardato sia una maggiore attenzione rivolta alle pratiche degli attori sociali che una tendenza alla praticità.
Rivolgersi alle pratiche sociali significa abbandonare i concetti di sistema, struttura, teoria dell’azione e spostarsi a livello micro, concentrandosi sull’analisi dei rituali, sull’interazione di gruppo, concependo la società come un’arena di confronto di pratiche. Dalla società intesa come insieme di pratiche si passa quindi progressivamente alla scienza intesa come insieme di pratiche. Gobo sostiene che proseguendo questo percorso bisogna arrivare alla metodologia come insieme di pratiche.
La metodologia ha generalmente il ruolo di difendere la scienza dal senso comune, di permette di distinguere ciò che è scienza da ciò che non lo è. Se si utilizza il bagaglio teorico che proviene dalla svolta pratica è possibile rivedere questa impostazione metodologica tradizionale. Infatti, le norme metodologiche, a volte, sono difficili da applicare e può essere problematico definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, quello che è scienza e quello che non lo è. Le metodologie inoltre nascono sempre in contesti locali che poi vengono universalizzati nascondendo le proprie origini locali.
Che cosa non funziona allora in questo tipo di metodologia tradizionale? C’è una schizofrenia metodologica di fondo: un conflitto tra l’obiettivo di porre dei criteri di demarcazione tra scienza e non scienza, e l’obiettivo di fornire un aiuto al ricercatore. Nella storia della scienza ci sono numerosi esempi di affermazione di regole metodologiche molto rigide e, al tempo stesso, la loro sistematica trasgressione in segreto. Citando numerosi esperimenti Gobo dimostra come molto spesso le regole metodologiche per essere applicate devono essere trasgredite. Anche nelle scienze sociali ci sono esempi di questo genere (dati inventati, plagio, trucchi statistici…). Se la devianza è così alta ci devono essere delle ragioni. Secondo Garfinkel: “ci sono buone ragioni organizzative per una cattiva ricerca”.
Si fa, quindi, metodologia cercando di eludere una serie di controlli. Da queste premesse ci si è resi conto che, allora, la vita sociale è guidata da pratiche più che da regole e si sono affermate due tendenze nell’ambito dell’approccio qualitativo: alcuni qualitativisti hanno cercato di accattivarsi l’amicizia dei quantitativisti, attuando così una soluzione realista, altri studiosi, definiti postmoderni, hanno rifiutato la metodologia, assumendo una posizione antimetodologica, e sostenendo il primato di un tipo di ricerca più approfondita ma secondo Gobo, ottenendo spesso anche risultati mediocri, con uno scadimento della qualità.
Con una metodologia pratica si potrebbe superare questo dualismo. Una metodologia che rinunci agli automatismi e alle convenzioni applicabili localmente. Si afferma l’esigenza di una metodologia meno autoritaria e meno prescrittiva, ma più permissiva e situata, che fornisca una guida più che un controllo, che non sanzioni il ricercatore, che segua le pratiche sociali. Una metodologia pratica, quindi, culturalmente flessibile, più debole, meno precettiva dei metodi tradizionali che sono propri di una sociologia individualista, non di gruppo, atomizzata. Esempi di questa nuova metodologia orientata alla prassi si possono trovare, secondo Gobo, in Ways of hands di Sudnow e in Tricks of the Trade di Becker.
BILBLIOGRAFIA
Becker Geer, Hughes and Strauss: Boys in White, Chicago, University of Chicago Press, 1961.
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