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    M@gm@ vol.0 n.0 Octobre-Décembre 2002

    NOTA A TOBIE NATHAN: MEDICI E STREGONI MANIFESTO PER UNA PSICOPATOLOGIA SCIENTIFICA


    (Tobie Nathan, Medici e Stregoni, Torino, Bollati Boringhieri, 1996)


    Claudia Bartolini

    clodycattivi@libero.it

    L'indagine etnopsichiatrica di Tobie Nathan e il suo utilizzo delle fonti

    Introduzione

    I repentini cambiamenti avvenuti all'interno del panorama socio-politico europeo nell'ultimo secolo, hanno determinato un diverso tipo d'approccio da parte delle società occidentali nei confronti dell' "altro". Parlare di multiculturalismo, riconoscendone l'importanza effettiva, significa avviarsi ad una quanto mai necessaria ridefinizione dell'intero sistema culturale. Il confronto coatto con culture decisamente estranee ai codici dell'occidente europeo ha suscitato differenti reazioni: tralasciando i frequenti episodi d'intolleranza etnica, spesso sottesi nella politica, nell'economia, fin'anche nel vivere quotidiano, il processo d'integrazione d'immigrati provenienti da differenti nazionalità - ma in gran parte africani - rischia di mettere in crisi alcune delle certezze radicate nell'essere umano occidentale. Tuttavia, se gran parte della società europea in ambito professionale ha sviluppato una sorta di "chiusura" nei confronti di tali dinamiche, convinta dell'assolutezza dei propri parametri di giudizio, quest'atteggiamento è stato affiancato da un diverso progetto culturale, attuato in parte da antropologi ma anche da psicologi e sociologi, il quale agisce con l'intento di ottimizzare gli sforzi di un'integrazione già di per sé traumatizzante. Un'intensa operatività in questo senso, è stata riconosciuta nello studio e nell'esercizio della medicina alternativa in opposizione alle pretese disarmanti della medicina ufficiale.

    Malattia e cura costituiscono parti fondamentali del mondo sociale, culturale e simbolico di qualsiasi comunità; non sempre la medicina ufficiale riesce a soddisfare pienamente la domanda di guarigione e per questo in tutte le società essa convive con pratiche terapeutiche parallele. Inoltre, la presenza d'immigrati appartenenti ad altre culture, rafforza il riconoscimento dei limiti della terapia scientifica e richiama una percezione più complessa delle cause della malattia e dei processi attraverso i quali essa si manifesta. La malattia è "tradizionalmente" definita come rottura dell'armonia e interruzione del processo che lega l'individuo al gruppo e all'ambiente. Se ci si appella a questo principio nella valutazione delle pratiche esistenti, è inevitabile conferire un'importanza fondamentale alla dimensione culturale intesa come vincolante delle cause e degli effetti presenti nei disturbi psichici. L'incapacità di comprendere con i soli strumenti occidentali le motivazioni di un particolare disturbo di un immigrato senegalese o della cabila, ha stimolato l'edificazione di un progetto nuovo: il bisogno di salute non sempre coincide con la sua parte manifesta ma vi è una dimensione latente che difficilmente il comportamento riesce a testimoniare.

    Tutto ciò s'inserisce quasi in un'esistenza parallela che i pazienti vivono in seguito all'abbandono della propria terra, in quanto pregna della loro cultura d'origine. Le modalità terapeutiche della medicina ufficiale costringono il paziente nella condizione di non poter trasmettere il proprio malessere, ne alterano la "verità culturale" riducendola ad una linearità propria - come direbbe Tobie Nathan - di una società a "universo unico" quale, appunto, quella occidentale. Tra le varie pratiche alternative l'etnopsichiatria contribuisce in modo determinante alla formazione di un nuovo paradigma. Questa disciplina pone il suo oggetto di studio sia su un piano antropologico sia su un piano psicopatologico e si basa profondamente sugli effetti del contatto interculturale. Tale indagine, opera quindi con l'intento di "costruire una responsabilità individuale sulla salute e sulla malattia non svincolata dal sociale e di adottare nell'azione metodologica una dimensione simbolica basata sulla non linearità" (Natale Losi). Ovviamente non poche difficoltà si affacciano all'interno di un progetto di così ampio respiro, non solo nella comprensione ed interconnessione di culture differenti a confronto ma nel tentativo di costruire un linguaggio nuovo, che destrutturi sia quello della medicina ufficiale sia quello delle pratiche alternative. La lingua è uno degli elementi che maggiormente riconosce e legittima l'appartenenza di un individuo al suo gruppo sociale, instaurando un legame sia fisico sia emotivo; cosicché, laddove la cultura è considerata un semplice "abito" da indossare e non parte integrante dell'individuo, risulta comprensibile il disagio manifestato da un immigrato nella spiegazione del proprio malessere. L'etnopsichiatria ha molto da dare in questo ambito, riconoscendo quali caratteristiche fondamentali della propria indagine la pluralità di chiavi interpretative, di linguaggi e di tecniche utilizzate. Tra le varie possibilità risolutive di queste problematiche, figura il progetto sperimentale di Tobie Nathan.

    Il suo lavoro psicoterapeutico con gli immigrati è tuttora oggetto di discussione in Europa e soprattutto in Francia, dove ha sede il Centre Georges Devereux da lui diretto per l'aiuto psicologico alle famiglie immigrate. Salvatore Inglese, divulgatore dell'opera di Nathan in Italia, nell'introduzione al testo "Principi di etnopsicoanalisi" (Nathan 1993), sostiene che "l'avventura scientifica di Tobie Nathan non sarebbe forse mai cominciata se un giorno non avesse riconosciuto la sua realtà d'immigrato in un paese straniero senza alcuna possibilità di ritorno alla terra degli antenati". Questa dichiarazione evidenzia il lato umano di uno studioso il quale, nonostante le polemiche e l'opinabilità dei metodi, si rivela schiettamente anticonformista rispetto all'ordine costituito. Nato nel Cairo nel 1948, nel'77 lavora sugli effetti psicopatologici dell'ideologia sessuale comunitaria praticata dalla generazione libertaria del Maggio francese. Dopo due anni sposta l'oggetto di studio sull'esplorazione degli insetti, un decentramento del tipo di indagine tanto rapida e "inquietante" da spingerlo successivamente a riflettere sulle modalità di sviluppo e sulle qualità specifiche dei transfert all'interno del processo psicoanalitico (fantasie bisessuali, cannibalesche e aggressive, rinuncia e perdita dell'identità). Segue una fase di apprendistato scientifico che lo prepara, dice Inglese, "a spiccare il salto che gli permetterà di sviluppare una tecnica psicoterapeutica applicabile a soggetti provenienti da altri mondi culturali". Allievo di Georges Devereux, egli cerca di comprendere il rapporto esistente tra psiche e cultura e di applicarlo in quei casi clinici in gli immigrati, avendo abbandonato la famosa terra degli antenati, sopravvivono ad un'esistenza in cui mancano loro i punti di riferimento socio-culturali. Alla base del progetto nathaniano vi è quindi la profonda convinzione che ogni dispositivo clinico specifico, contiene una teoria culturalmente condizionata e che nell'approccio psicoterapeutico, bisogna tener conto dell'appartenenza culturale del paziente.

    "MEDICI E STREGONI"

    Gli esiti del confronto tra la medicina ufficiale e la medicina alternativa operato da Nathan, sono in parte riportati nel saggio "Medici e stregoni: manifesto per una psicopatologia scientifica", testo scritto dallo studioso francese in collaborazione con la filosofa Isabelle Stangers, e edito a Parigi nel 1995. Il libro ci conduce spesso, attraverso la descrizione-cronaca delle stesse sedute psicoanalitiche, verso il risultato di una ricerca dai riscontri antropologici inaspettati, che sancisce definitivamente l'inadeguatezza della cultura medica occidentale in certi ambiti di psicopatologia. Gli strumenti tramite i quali Tobie Nathan ha plasmato questo tipo di indagine, hanno radici antiche e sono di diversa natura. Di fondamentale importanza è innanzi tutto la sua filiazione culturale, che ha contribuito a rendere decisivo il suo intervento in ambito psicopatologico ed etnopsichiatrico; egli infatti si è "servito" di fonti antropologiche come le teorie di Levi-Strauss, Devereux e in particolare Marcel Mauss e delle scoperte, in psicoanalisi, di Sigmund Freud, Donnald Winnicott, Didier Anzieu e Sandor Ferenczi.

    Senza l'apporto scientifico di queste due discipline (psicoanalisi e antropologia), l'indagine nathaniana non avrebbe avuto luogo. Egli avvia la sua ricerca partendo dalla concezione che gli individui possiedono una doppia natura, caratterizzata dall'integrazione funzionale dell'apparato psichico e del dispositivo culturale. Tale struttura riconosce e legittima l'individuo all'interno della comunità. Questa metodologia s'inserisce nella tradizione francese rispettandone in un certo senso la continuità: a differenza di ciò che avviene in Canada e negli Stati Uniti, infatti, i rapporti tra antropologia e psicoanalisi non sono mai venuti meno. Più specificatamente, analizzando il testo in esame, risulta evidente che il modo in cui l'autore utilizza le fonti rappresenta esso stesso la principale chiave d'accesso per comprendere le motivazioni della sua indagine. Nathan vuole illustrare il diverso approccio terapeutico della medicina istituzionalizzata-ufficiale da un lato e di quella alternativa-tradizionale dall'altro, riconoscendo quest'ultima come vera e propria disciplina medica e agendo nel rispetto delle sue regole di applicabilità. Nelle sedute terapeutiche procede all'utilizzo di azioni culturali significative quali il dono, la preghiera, il sacrificio e l'uso di oggetti apotropaici; può inoltre contare su fonti "dirette": guaritori tradizionali, psichiatri antropologi e linguisti.

    1° parte: sui benefici delle terapie selvagge

    Nel testo Nathan immagina di discutere sull'esercizio delle pratiche alternative con "un critico avveduto e interessato alle differenze culturali" (Nathan). Nella prima parte egli cerca di convincere il suo interlocutore della reale valenza positiva e dei benefici delle terapie selvagge rispetto alle terapie scientifiche; la dimostrazione risiede nel diverso trattamento di alcuni casi specifici, come lo svenimento di una donna o il mutismo di un bambino, da parte delle suddette terapie. Analizzando queste situazioni cliniche alla luce degli studi antropologici da lui condotti sulle popolazioni nere africane, egli traccia linee di sviluppo di disturbi mentali in cui l'uso delle eziologie tradizionali si rivela provvidenziale. Nel primo caso ad esempio - svenimento di una donna - l'autore sostiene che mentre da parte dei medici occidentali è diagnosticata un'isteria, che ghettizza la donna nella schiera dei malati isolandola e degradandola di fronte allo stato, nelle società tradizionali essa è affidata al "detentore del sapere segreto", una sorta di guaritore, affinché la liberi dallo spirito dal quale ritengono sia posseduta.

    Riconoscere nell'attacco di uno spirito la causa di un disturbo significa per altro pensare quella donna quale informatrice eletta e inconsapevole di un mondo invisibile; inoltre intervenendo tramite la divinazione, che si propone come cerimonia collettiva, l'interesse generale non è più diretto alla persona ma è spostato verso la malattia che la possiede, divenuta oramai segno comunicativo, e soprattutto verso il guaritore il quale conferisce alla donna il nuovo ruolo di "strega", riconosciuto dall'intera comunità. Al contrario l'opera compiuta dalla diagnosi è quella di applicare al paziente l'etichetta di diverso (nel significato negativo del termine!), separandolo dal suo universo e costringendolo in "categorie statistiche dalle quali egli si dissocia. Lo stesso Nathan sostiene che non esistono gruppi riconosciuti di ossessivi o di paranoici ma esistono i guaritori, le streghe, gli spiriti in quanto produttori efficaci di felici appartenenze. La costruzione della verità si deve basare su ciò che è necessario per comporre un sistema culturale concreto, il ché paradossalmente comprende anche e soprattutto il mondo dell'invisibile.

    La visualizzazione di queste dinamiche è strettamente utile per capire l'applicazione di sistemi così estranei all'interno di sedute psicoanalitiche. Nella sua ricerca, i cui esiti non possono essere interamente riducibili a quelli descritti nel testo in esame, Nathan riconosce gli strumenti di indagine nell'ospedale Avicenne di Bobigny, dove ha la possibilità di incontrare pazienti del Nordafrica, dell'Africa nera, dell'Europa meridionale, delle Antille francesi e delle isole francofone dell'Oceano Indiano e dove inoltre può contare sugli stimoli innovativi dell'Unità di Formazione e Ricerca sperimentale di medicina e biologia umana. Si tratta ancora di fonti dirette, che dimostrano come pazienti provenienti da culture non occidentali svolgano anche solo il semplice "pensare" secondo le teorie eziologiche tradizionali. Le eziologie tradizionali costituiscono una sorta di ponte tra pubblico e privato nella sfera emotiva del paziente, cosicché il sistema di cura della patologia dipende da un insieme di personaggi che costruiscono il contesto psicologico e sociale del paziente stesso. Nathan delinea in modo specifico le modalità di applicazione delle eziologie tradizionali trattando la possessione e il marabuttaggio, ed evidenziandone l'importanza nello studio della pediatria e della psichiatria infantile. Nelle pagine conclusive di questa prima parte, vi è l'illustrazione clinica di una seduta etnopsicoanalitica.

    Il metodo sperimentale di Tobie Nathan

    Il lavoro di consultazione etnopsichiatrica è svolto da un gruppo in cui il terapeuta è circondato da un certo numero di co-terapeuti di diversa lingua e nazionalità.La comunicazione verbale avviene nella madrelingua del paziente, tramite l'intervento di un traduttore o mediatore culturale. Si instaura così un doppio legame, quello tra paziente e mediatore e quello tra paziente e gruppo, in quanto ciò permette al gruppo di discutere sul significato che ha una determinata cosa all'interno delle lingue materne.In tal modo il paziente può cristallizzare il sintomo nel significato in cui più si identifica. In questo caso la problematica linguistica è di fondamentale importanza, perché il criterio usato permette a tutti di mettersi d'accordo. Torna utile citare Natale Losi il quale definisce la lingua come "un oggetto fabbricato da un gruppo che a sua volta fabbrica gli individui". Di solito alla seduta non partecipa solo l'individuo che accusa il disturbo ma anche il suo gruppo familiare, e ciò permette l'attuazione di rappresentazioni eziologiche tradizionali che fanno parte della cultura d'origine del paziente e che traducono la sua sofferenza in modo da renderla comunicabile agli altri. Risulta evidente che l'interazione terapeutica così pensata da Nathan sia possibile solo grazie all'esercizio della medicina tradizionale e che i criteri medici occidentali non farebbero altro che collocare l'individuo e il suo disturbo in una condizione di marginalità. Inoltre il gruppo di co-terapeuti, oltre che alla costruzione di un valido confronto culturale, contribuisce a rassicurare il malato che vive in maniera assolutamente negativa la condizione di dualità medico-paziente tanto cara alla maggior parte degli psicologi occidentali.

    Nel Centre Georges Devereux di Parigi è esaminato il caso di Bintou, adolescente del Mali di etnia bambara che lamenta disturbi quali svenimento, cecità temporanea,ansia e inquietudine. Nathan la accoglie assieme ad altri dieci individui, psicologi, psicanalisti,medici e antropologi: ognuno di loro ha origini diverse, ognuno di loro è depositario, dispensatore e interprete di un tipo di cultura differente. Ciò che è importante sottolineare sono le modalità di cura menzionate nella seconda parte della seduta ed applicate secondo l'uso di divinazione, prescrizione ed esecuzione del sacrificio. Queste azioni permettono la restaurazione di un legame prima precario, sia con la madre della paziente che con l'intero gruppo etnico di cui fa parte. Non appena introdotta nel mondo dell'invisibile, Bintou ha sentito l'appoggio della sua cultura d'origine e si è affidata consensualmente ad una terapia in forma di prescrizione. Nathan si è servito dell'illustrazione di questo caso clinico (ma molti altri riferimenti diretti potrebbero essere descritti) per dimostrare che ciò che conta nell'applicazione di una cura è innanzi tutto la ricerca di un sistema di pensiero idoneo alla costruzione di legami psichici efficaci.

    2° parte: sui medicamenti delle culture non occidentali

    Nella seconda parte del testo Nathan compie inizialmente una critica a quegli psicologi che sostengono vi sia una netta separazione tra il pensiero occidentale e le credenze delle popolazioni cosiddette selvagge, in quanto tali popolazioni "spostano sul piano simbolico quello che gli scienziati conoscono direttamente". L'opposizione tra coloro che credono e coloro che pensano ha radici piuttosto estese: Nathan si è riferito ai grandi pensatori del XIX secolo, Johann J. Bachofen , Edward B. Tylor, Lewis H. Morgan, Karl Marx, Frederick Engels, e alla descrizione di tale opposizione offerta da Bruno Latour nel 1994. Nell'intento di affermare e poi smentire il pregiudizio occidentale sul concetto di credenza, egli infine si serve rispettivamente - utilizzandole in maniera differente - di due fonti autorevoli: le teorie freudiane e l'intervento della studiosa Mary Douglas nel suo testo "Un'analisi dei concetti di contaminazione e tabù" del 1981. Del primo cita il celebre paragone del bambino che, canticchiando di notte ha meno paura del buio nonostante non abbia cambiato nulla intorno a sé; questo tipo di illusione è comparata a quella dei selvaggi che si illudono (appunto) di dominare le forze della natura tramite l'invenzione di alcune credenze.

    Successivamente, le considerazioni della Douglas sul rito della pioggia dei Boscimani Kung, sono riportate da Nathan allo scopo di demolire il concetto stesso di credenza. Mary Douglas racconta di come i Boscimani "derisero quegli antropologi che chiesero loro se pensavano che la pioggia cadesse grazie ai riti che svolgevano". Il riferimento a tale reazione documentata (quasi come se per questo popolo il rito della pioggia avesse poco a che vedere con il reale evento atmosferico), permette allo studioso francese di spiegare la realtà complessa in cui si innesca il meccanismo della credenza e soprattutto di come tale concetto sia irriducibile al pregiudizio occidentale. "Il rito è una negoziazione con delle potenze, (...) è un'azione culturalmente definita (...) dunque non ha bisogno di interpretazioni": questo postulato raggiunge i punti chiave del percorso antropologico nel quale Nathan cerca di coinvolgere il suo immaginario interlocutore. Per avvalorare la sua tesi egli cita gli interventi di Marcel Mauss raccolti nel "Saggio sulla teoria generale della magia" (1902), e gli studi approfonditi sul pensiero selvaggio per opera di Levi-Strauss (1962).

    Sul concetto di simbolo all'interno del pensiero selvaggio, Nathan conduce la sua indagine confutando le teorie reperite su alcuni testi (i cui autori non sono citati), riguardo all'ipotesi che i Wolof vogliano agire sulla rappresentazione del padre avendola spostata simbolicamente su quella dell'antenato, o che i Lari e i Bakongo proiettino la loro aggressività inconscia sulla figura dello stregone: l'autore sostiene che è il concetto stesso di simbolo ad impedire il riconoscimento dei sistemi terapeutici non scientifici come autentici sistemi di pensiero.

    I farmaci dei bianchi

    Per spiegare la complessità di sistemi cognitivi alternativi, l'indagine nathaniana si sofferma come di consueto sulle conseguenze dell'azione tecnica di tali sistemi, ma prima ancora non manca di trattare, criticandoli duramente, l'utilizzo e la validità dei "farmaci dei bianchi." Infatti, analizzandone gli effetti sia in psicofarmacologia sia in psicoanalisi, egli conclude che in entrambe le discipline - si tratti dell'intero organo celebrale o più propriamente della psiche - l'unico scopo di questi farmaci sarà di saldare il sintomo alla persona, rendendo quest'ultima diversa rispetto ai suoi simili. Il risultato è di confinare ogni altra azione culturale nel caro concetto di credenza. In quest'ambito, la documentazione inerente ad alcuni casi clinici, ha permesso a Nathan di sviluppare l'idea secondo la quale "la psicopatologia dovrebbe modificare la natura dei suoi rapporti con gli esseri umani, attraverso una teoria più coerente e rispettosa nei confronti dell'altro".

    All'estremo opposto di questo sistema Nathan colloca il sistema selvaggio, che opera con l'intento di dissociare la persona dal sintomo tramite quello che lui chiama il principio d'attribuzione all'invisibile. Egli sposta quindi la sua attenzione sul significato che hanno determinati oggetti concettuali e sembra risultare di carattere estremamente provocatorio l'affermazione secondo cui la "preghiera" e subito dopo il "pollo" (da sacrificare) sono i medicinali più utilizzati in tutto il mondo nonostante il dilagare della medicina ufficiale. Questa dichiarazione trova i suoi presupposti a partire dal riferimento all'indagine di Marcel Mauss che, all'inizio del '900 ha costruito il modello di quello che dovrebbe essere un manuale di psicopatologia, indicando quali elementi principali, la preghiera, il sacrificio, la magia e il dono. Nathan si è servito in parte di questa ricerca per dimostrare come non sia fondamentale il grado di verità delle interpretazioni, bensì la conseguenza della loro messa in atto. Egli porta l'esempio della concezione della morte da parte degli africani, riprendendo in particolare alcuni tratti dell'opera "La morte africana" di Louis-Vincent Thomas (1973): questa popolazione attribuisce il novantacinque percento delle morti alla malevolenza di un essere invisibile e nei riti funerari il morto è interrogato affinché dichiari chi è l'autore della sua scomparsa.

    Molti sono gli episodi descritti in cui l'intervento d'azioni rituali porta effetti corretti o comunque risolutivi; del resto la teoria che l'autore sembra tener costantemente presente in tutta l'opera è quella secondo cui se s'interroga l'invisibile, si finirà sempre con l'attribuire al malato una nuova filiazione che legittimi il suo ruolo. Tali filiazioni o appartenenze si unificano all'interno di certe cerimonie per lo studio delle quali Nathan riconosce l'esistenza di un enorme letteratura, soprattutto per quel che riguarda i rituali di possessione, ma fa riferimento in modo specifico al testo di Andràs Zempleni "Possessione e sacrificio" (1967) in cui emerge maggiormente la validità tecnica di questi rituali. Le modalità di affiliazione e di interrogazione dell'invisibile costituiscono quindi i concetti fondamentali del pensiero selvaggio in quanto non sono enunciati ma azioni che trovano riscontro concreto nella realtà.

    Stregoni

    Nathan passa ad elencare gli esseri sovrannaturali, visibili e invisibili che operano nei processi terapeutici tradizionali, soffermandosi particolarmente sugli stregoni per natura: l'autore li descrive come "esseri di apparenza banalmente umana ma dotati di un organo invisibile di stregoneria (...), trasgressori di tabù che commettono quasi sempre azioni malvagie". La loro forza è l'intenzionalità. La presenza di quest' "organo" rimanda ad una teoria che Nathan riprende dalla concettualizzazione dell'universo della stregoneria operato da Evans-Pritchard nel testo "Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azende" (1937). Le fonti inoltre forniscono diverse confessioni di stregoni riguardo ai loro poteri e in particolare è citata la narrazione raccolta da Geneviève N'Kossou durante una ricerca sul campo. Tali riferimenti permettono all'autore di individuare le capacità e l'influenza che la stregoneria esercita sulle persone comuni, la cui reazione è quella di tener conto dei sentimenti altrui non per bontà d'animo ma perché "l'offesa arrecata a uno stregone provocherebbe l'attivazione della sua sostanza di stregoneria" (Nathan): questo sistema è definito dall'autore un vincolo a pensare, e cioè considerare l'alterità in un modo che non ha nulla a che vedere con quei "sentimenti umani" che giustificano alcuni comportamenti della cultura occidentale.

    Oggetti attivi

    L'ultimo aspetto analizzato da Nathan in questa seconda parte riguarda gli oggetti attivi in uso nelle pratiche alternative. Essi sono oggetti protettivi e apotropaici (preghiere, amuleti, sacrifici), che disgiungono il sintomo dalla persona e costituiscono il "grado zero" del medicamento: secondo l'autore, infatti, il postulare l'esistenza di esseri non umani, è una sorta di prevenzione o reorganizzazione della cura; egli descrive le proprietà di questi oggetti, ampiamente documentate nei dati raccolti in Africa e specialmente in Costa d'Avorio, e nelle pagine finali si occupa anche del potere della parola, riprendendo alcune concezioni - "parole sacre", "parole all'inverso", "parole scomposte" - da un manuale guida per migliaia di stregoni francofoni delle Antille, della Rèunion, di Haiti e dell'Africa.

    Nelle conclusioni Nathan riassume gli esiti fondamentali della sua indagine e si congeda dal suo interlocutore sostenendo che "l'unico oggetto di una psicopatologia scientifica è la descrizione più precisa possibile dei terapeuti e delle loro tecniche, mai dei malati" Oggi Tobie Nathan ha cinquantadue anni. La descrizione dell'uso delle fonti all'interno della sua indagine potrebbe continuare all'infinito poiché si tratta di una ricerca sperimentale che tutt'ora si sta compiendo e si avvia verso nuovi sviluppi. Tuttavia egli sembra essere chiaro sull'intenzione di tentare un nuovo approccio nella comprensione dell'altro, e di strutturare un metodo di ricerca scientifica basato sull'analisi oggettiva degli effetti "aggreganti" delle pratiche alternative rispetto alle terapie proposte dalla medicina ufficiale.


    LINK


    Il Centro Georges Devereux:
    https://www.ethnopsychiatrie.net/CGD.htm.

    Tobie Nathan:
    https://www.ethnopsychiatrie.net/TobieNathan.htm.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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