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    Maria Immacolata Macioti - Orazio Maria Valastro (sous la direction de)

    M@gm@ vol.10 n.2 Mai-Août 2012

    MEMORIA E IMMAGINAZIONE: UN CONTRIBUTO PER CHI SI OCCUPA DI ‘RI-COSTRUZIONE’ DELLA STORIA INDIVIDUALE E SOCIALE


    Santo Di Nuovo

    s.dinuovo@unict.it
    Professore ordinario di Psicologia, Università degli Studi di Catania; Presidente della struttura didattica di Psicologia dell’Università degli Studi di Catania.

    Immaginazione e memoria

    Nei dizionari si trova la definizione di immaginario nella duplice accezione di facoltà di “immaginare cose non percepite sensorialmente” ma anche “di interpretare in maniera originale i dati del senso comune”. Il termine immaginazione è entrato a far parte del pensiero filosofico e psicologico designando una capacità di oltrepassare la semplice ricezione ed elaborazione degli stimoli e degli eventi che si presentano alla nostra esperienza.

    La definizione aristotelica dell’immaginazione la colloca nella costituzione stessa dell’anima, la quale è appunto formata da «senso, immaginazione e intelletto» (De Anima). L’arte è la «produzione di cose che possono sia esserci sia non esserci e di cui il principio è in chi crea e non in ciò che è creato». Per questo l’attività artistica non ha, secondo Aristotele, capacità conoscitiva né fondamento oggettivo (Etica a Nicomaco).

    Kant assegnava una funzione conoscitiva all’immaginazione, distinguendo capacità riproduttiva, intesa come ripresentarsi di oggetti percepiti in precedenza, e capacità produttiva che è fonte delle intuizioni pure del tempo e dello spazio. L’immaginazione ha dunque una duplice funzione: una che ci consente la rievocazione di percezioni passate, e un’altra capace di produrre una sintesi del molteplice che ci permette di costituire oggetti complessi dalle percezioni isolate.

    La psicologia moderna ha dimostrato empiricamente che entrambe queste capacità – già bene illustrate da Ribot nel 1900, anche nei suoi versanti patologici - contribuiscono all’immagazzinamento e al richiamo degli stimoli, costituendo una delle basi fondamentali della memoria.

    Le componenti essenziali di questo processo di uso delle immagini per la memoria, a partire dai modelli sperimentali della Farah (1984) e di Kosslyn (1980, 1994), sono:
    * La generazione dell’immagine dalla memoria a lungo termine (il ricordo della mia casa dell’infanzia) oppure dalla percezione di stimoli esterni (per esempio, appena visti in televisione);
    * il mantenimento di essa inserendola nel buffer di memoria d’immagine (visuo-spatial sketch pad o “taccuino visuo-spaziale” secondo Baddeley, 1986);
    * l’ispezione dell’immagine e il confronto con altri elementi presenti in memoria: ciò consente di attribuire denominazioni linguistiche e i relativi significati;
    * la possibilità di trasformazione ed elaborazione dell’immagine prodotta (per esempio, ruotandola o modificandone i contorni e la forma);
    * la interpretazione e descrizione, mediata linguisticamente, del contenuto del buffer d’immagine e delle sue trasformazioni;
    * l’attivazione psicofisiologica correlata o conseguente al processo immaginativo: eccitamento, emozioni positive o negative, ecc.
    * l’eventuale risposta somatica o comportamentale, che può variare a seconda della specifica situazione e del contesto.

    Quando la conoscenza mediata dall’immagine si deposita nella memoria a lungo termine, essa è il frutto di questo complesso processo: il richiamo successivo si riferirà all’esito di questo processo, non già puramente allo stimolo originario.

    Questo è di grande rilevanza per il clinico, per il giurista, per lo storico, per il pedagogista: ricostruzioni sono l’anamnesi, la testimonianza, la narrazione storica, le storie di vita dei ragazzi; e ricostruire vuol dire ripescare nella memoria dei contenuti, nella formazione dei quali l’immagine mentale ha giocato un ruolo essenziale nelle varie possibili trasformazioni / interpretazioni / assimilazione delle interferenze motivazionali ed emotive.

    L’immaginazione come mezzo di conoscenza riproduttiva e ri-costruttiva

    Il termine ‘immagine’ – al di là dell’etimologia - è riferibile anche a modalità uditive, olfattive, gustative, tattili, cenestesiche: possiamo ricostruire mentalmente non solo l’immagine visiva di una persona, ma anche lo squillo di un telefono, o il fischio di un treno; o ‘ascoltare’ mentalmente una melodia; possiamo riassaporare mentalmente il gusto del vino preferito, o il profumo di un particolare deodorante, o ancora la ruvidezza di un tessuto o la levigatezza di un marmo. Sul piano cenestesico, si può ricostruire la sensazione di cadere nel vuoto o di camminare in equilibrio su una trave. Tutto ciò senza che stimoli provenienti dagli oggetti citati siano realmente e attualmente presenti ai nostri sensi. Ma l’importanza della immaginazione mentale non si limita ad una ricostruzione dei dati sensoriali, o percettivi, o di memoria. All’immagine è spesso associata una emozione, per cui ricostruzioni o anticipazioni in immagine di particolari sensazioni in atto non presenti possono generare situazioni di piacere ma anche di disagio o in alcuni casi di vera patologia.

    Il richiamo di una immagine può eccitare o deprimere, così come, parallelamente, un affetto di entusiasmo o di depressione può attivare immagini corrispondenti all’umore. Da Shakespeare a Joyce a Virginia Woolf a tanti altri autori, la letteratura è ricca di esempi di questa valenza fortemente emotiva delle immagini: per fermarci solo all’emozione legata ad immagini non visive, basta richiamare il ricordo della giovinezza attraverso un sapore nella “Recherche” di Proust, o la ricostruzione dell’«odore essenziale dell’uomo» fatta da Grenouille protagonista del “Profumo” di Süskind, o ancora la emozione della scoperta di un mondo diverso associata al ricordo del fischio di un treno dall’impiegato Belluca, protagonista della celebre novella di Pirandello.

    In alcuni casi la ricostruzione per immagini di un evento complesso utilizza tutte le modalità di queste ‘sensazioni senza stimolo’, fino alle più raffinate elaborazioni ed esperienze cognitive ed emozionali: nel ricordo di una persona amata, immagini visive, uditive, olfattive, tattili si associano nel ricostruire esperienze di grande rilevanza ed intensità affettiva.

    L’immaginazione, questa particolare forma di rappresentazione della realtà che produce ed elabora un oggetto di conoscenza senza che gli stimoli relativi ad esso siano effettivamente presenti nel sistema senso-percettivo, gioca nella vita quotidiana un ruolo importante quanto - e forse più - delle idee e delle parole. Immaginare aiuta a ricostruire la memoria e a sostanziare l’auto-biografia. La conoscenza è troppo complessa per attuarla solo con le parole. Per conoscere occorrono strumenti diversi, concorrenti: e tra questi l’immaginario è tanto importante che, come diceva Federico Fellini, “nulla si sa, tutto s’immagina” .

    L’immaginazione è uno strumento potente per ridefinire i veri confini della dimensione passata, riscoprendo una dimensione essenziale della memoria, non solo attraverso le parole ma attraverso le immagini. Ed in effetti, il mental imagery è una associazione di linguaggio verbale e figurativo. L’antico dibattito sulle “immagini nella mente”, che metteva in contrasto la teoria proposizionale (basata su concetti e verbalizzazioni) e la teoria analogica (pittorica, analoga alla elaborazione percettiva), è stato superato dalla constatazione che entrambe le teorie sono valide in differenti condizioni (Pylyshyn, 1973; Finke, 1980; Ahsen, 1985; Kosslyn, 1994).

    E’ stata ridimensionata anche la teoria secondo cui esistono addirittura “stili cognitivi” basati sull’uso delle capacità immaginative piuttosto che di quelle linguistiche, capaci di differenziare le persone come dei tratti persistenti di personalità (Richardson, 1977; Rubini e Cornoldi, 1985): esiste una mescolanza continua delle due capacità, prevalente l’una sull’altra in relazione a specifici contesti di uso.

    Si è verificato che l’immaginazione su basi visive ha gli stessi fondamenti neurobiologici della visione stessa (Ishai e al., 2000), e le aree che controllano la percezione sono necessarie anche per mantenere le immagini mentali attive nella memoria di lavoro: lo stesso avviene per gli stimoli uditivi e verbali: canzoni preferite, dialoghi di un film, etc. Ma, come si è detto, l’immagine non va solo ‘vista’ o ‘udita’ con l’occhio o l’orecchio della mente: va anche denominata, classificata linguisticamente, ricordata, trasmessa. Difatti anche le aree verbali vengono attivate durante il recall e la qualificazione semantica di una immagine ai fini della sua memorizzazione (Farah, 1984, 1985; Kosslyn e al., 1999; Sala e al., 2003).

    Il mental imagery è un fenomeno neuropsicologicamente complesso che va oltre semplicistiche dicotomie o localizzazioni: proprio per questa complessità, agendo sulle funzioni di apprendimento e memoria, gioca nella vita quotidiana un ruolo importante quanto – e forse più – delle idee: riporta al ‘nostro’ passato e proietta nel futuro sorreggendo e modulando le emozioni connesse. Consente di vedere e rielaborare nella mente ciò che corrisponde alla realtà, o che, in altri casi, ri-costruisce e re-interpreta la realtà in modo produttivo e ‘creativo’, come già in tempi pionieristici precisava Ribot (1900).

    Questa seconda dimensione è certamente utile a sviluppare le caratteristiche creative della nostra mente: su di essa si basa la produzione artistica di tutti i tipi e a tutti i livelli, la capacità di progettare soluzioni nuove, di programmare un futuro diverso da quello che il ‘dato’ ci suggerirebbe; da essa derivano le produzioni artistiche di pittori, scultori, architetti; le traduzioni musicali di stimoli immaginativi; le messe in scena da parte di registi, attori, coreografi; molte invenzioni e scoperte scientifiche sono traduzioni di immagini generate nella mente. Il mental imagery è dunque per le scienze psicologiche ed educative una funzione da incrementare e potenziare nelle persone, per formare individui forniti di immaginazione creativa e non solo riproduttiva (Bruner, 1964; Piaget e Inhelder, 1966).

    Ma al tempo stesso questa capacità può essere vista dal clinico, dal giurista, dallo storico che cercano di usare la memoria per ricostruire la ‘verità’, come un ostacolo perché di fatto interferisce con il report obiettivo del ‘dato’, e il richiamo dalla memoria degli elementi percettivi e semantici ‘immaginati’, la loro manipolazione e ricombinazione in modo nuovo e originale, si scosta spesso da quella ‘verità’ che si vorrebbe apprendere nella diagnosi clinica, nel processo, nella narrazione storica.

    E non di rado questa forma di immaginazione creativa esita in vera e propria patologia: lo ricordava Ribot; altri hanno dimostrato come immaginazione, creatività e follia abbiano spesso le stesse basi (Nettle, 2001). Ma già Shakespeare nel Midsummer night dream faceva dire a Teseo che “il pazzo, l’innamorato e il poeta sono fatti tutti di immaginazione”. Naturale: è l’immaginazione che immette nella memoria forti dosi di emozioni, positive e negative, durante il processo che abbiamo sommariamente esposto, e dunque condiziona follia, amore e poesia.

    Psicologi sperimentalisti e psicodinamici, partendo da metodologie diametralmente opposte, arrivano alla stessa conclusione: la memoria del ‘reale’ è fortemente interferita dall’immaginazione e dalle emozioni ad esse connesse. Su questo dato si trovano d’accordo Wundt e Freud, Bartlett e Lacan: è forse l’unico caso di accordo pieno fra teorie psicologiche per altri versi contrapposte.

    E le neuroscienze non hanno mancato di confermare l’intensità e la qualità dei ricordi dipende dal grado di attivazione emozionale indotto dall’apprendimento, per cui eventi/esperienze vissute con una alta partecipazione emotiva vengono catalogati mente come “importanti” - attraverso il coinvolgimento di strutture cerebrali del sistema limbico - e hanno una buona probabilità di venire successivamente ricordati, come avviene nelle cosiddette “flash-bulb memories”e nelle memorie collettive di eventi (Bellelli, Backhurst e Rosa, 2000). E’ così che le immagini si espandono dalla memoria individuale alle rappresentazioni condivise nei contesti di socializzazione, da cui gli individui deducono referenze e inferenze simboliche emotivamente connotate (Moliner,1996).

    Quando si ricostruisce una traccia raccontata da un soggetto - individuale o gruppo sociale - al pari degli abili investigatori, bisogna essere abili nel ricostruire anzitutto il percorso mediante cui la traccia mnestica si è formata, e quali rappresentazioni sono state condivise dalla ‘mentalità’ prevalente di un certo contesto; per ‘depurare’ quanto più possibile l’alterazione della fonte. Queste abilità investigative vanno accuratamente individuate e formate in quanti si occupano di “costruzioni di storie”; su questo piano concreto e applicativo – più che su quello delle descrizioni della struttura della memoria nei suoi funzionamenti ‘standard’ e perciò stesso astratti – può avvenire l’incontro fecondo fra la ricerca sociale e quella neuroscientifica.

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