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    Barbara Poggio - Orazio Maria Valastro (sous la direction de)

    M@gm@ vol.10 n.1 Janvier-Avril 2012

    PRIMO CONTATTO: SPAZI E PRATICHE NARRATIVE NELL'ACCESSO AI SERVIZI SOCIALI


    Paolo Rossi

    paolo.rossi@unimib.it
    Ricercatore in sociologia dell'organizzazione presso la Facoltà di Sociologia dell'Università di Milano Bicocca. Si occupa di organizzazione dei servizi sociali, con un interesse specifico per le nuove modalità organizzative di gestione dei servizi socio-assistenziali.

    Introduzione

    In un articolo di alcuni anni fa, Catherine Kohler Riessman e Lee Quinney [2004] osservarono come, sorprendentemente, le ricerche compiute nel campo dei servizi sociali che trattavano espressamente di narrazioni fossero relativamente poche. Il loro stupore era riconducibile a due ragioni principali: da un lato, la consapevolezza che già all’epoca si potesse parlare di una “svolta narrativa” nelle scienze sociali; dall’altro, il fatto che occuparsi di narrazioni è, nelle parole degli autori, il “pane quotidiano” nel lavoro di molti social workers [1] [2005: 396].

    Per spiegare questa lacuna, Kohler Riessman e Quinney evidenziarono come il concetto stesso di narrazione sia molto controverso e di difficile definizione, al punto da risultare vago e sfuggente. Ciò ne ostacolerebbe il riconoscimento come proprio oggetto di lavoro da parte di numerosi professionisti. D’altra parte, la difficoltà di individuare e rappresentare il proprio oggetto di lavoro è particolarmente sentita dai social workers, immersi in un continuo flusso di relazioni delle quali faticano spesso a individuare presupposti e finalità [Olivetti Manoukian, 1998].

    La dimensione narrativa del lavoro sociale è tuttavia significativa anche sul piano della configurazione organizzativa e istituzionale di molti servizi sociali. Difatti, l’implementazione di una serie rilevante di servizi socio-assistenziali si costruisce attorno all’interazione diretta tra due attori (cittadino-utente e social worker), il cui fulcro è una dinamica relazionale di matrice narrativa, che lega tali attori e che funge da perno per l’evoluzione dello sviluppo di tale relazione. Questa caratteristica identifica quelle aree del sistema di welfare che si snodano essenzialmente attraverso dei meccanismi di personal service delivery [Prior e Barnes 2011]. Da questo punto di vista, i servizi socio-assistenziali si differenziano (anche in termini organizzativi) da quei servizi di welfare (come, per esempio, il sistema pensionistico) che vengono implementati mediante processi amministrativi che, generalmente, non richiedono una consistente interazione diretta tra utenti ed operatori.

    Nei contesti organizzativi dei servizi sociali, la narrazione assume quindi funzionalmente il senso di una “transazione sociale” [Poggio, 2004: 42] tra il soggetto narrante e l’organizzazione che funge in questo caso da audience. Questa audience non è però neutra rispetto alla storia che è oggetto di una narrazione ma, viceversa, ne può influenzare e condizionare trama e sviluppo. Il valore della narrazione come forma di transazione sociale è particolarmente importante nelle fasi di primo contatto tra cittadino e istituzioni: è in queste fasi che si decide l’eventuale avvio di una relazione, vale a dire un intervento assistenziale da parte delle istituzioni.

    L’analisi delle narrazioni si rivela dunque un terreno di ricerca proficuo da più punti di vista: in primo luogo, perché in esse risiedono le informazioni discriminanti per l’erogazione (o meno) di un intervento socio-assistenziale; in secondo luogo, perché esse veicolano non solo vissuti e problematiche individuali, ma anche le prefigurazioni, le interpretazioni e le aspettative che i cittadini hanno rispetto ai servizi socio-assistenziali. A partire da tale presupposto, si intende sviluppare una riflessione sulle rappresentazioni dei servizi socio-assistenziali e, parallelamente, sulle strategie che, in virtù di specifiche rappresentazioni e interpretazioni, gli utenti mettono in atto nel rapportarsi a simili servizi. L’analisi verrà svolta esaminando la fase del primo contatto tra cittadini e servizi socio-assistenziali, fase che si rivela preliminare ma, al tempo stesso, cruciale per l’accesso ai servizi e all’eventuale sviluppo di un intervento assistenziale.

    Nell’attuale architettura dei servizi socio-assistenziali, il servizio che, sia in termini professionali che organizzativi e istituzionali, sovrintende al primo contatto con i cittadini è il servizio di segretariato sociale. Questo servizio è stato il locus di un percorso di analisi etnografica svolto in tre differenti contesti territoriali. I risultati della ricerca metteranno in luce come, a prescindere dalle diverse caratteristiche organizzative di ciascun setting organizzativo, la percezione della valenza istituzionale del servizio (e, di conseguenza, dell’accesso ai servizi socio-assistenziali) si può descrivere distinguendone tre diversi declinazioni.

    L’articolo è suddiviso in cinque paragrafi. Nel primo si presentano le principali caratteristiche dello scenario di fondo nel quale si è mossa la ricerca, ossia l’articolata configurazione istituzionale, organizzativa e professionale che sottende all’accesso ai servizi socio-assistenziali. Il secondo capitolo è invece dedicato alla costruzione di un quadro interpretativo complessivo per cogliere le peculiarità e le sfaccettature della dimensione narrativa dei percorsi d’accesso. Nel terzo capitolo si introduce la ricerca, presentandone metodologia e contesti. Il quarto capitolo offre un’analisi dei risultati conseguiti attraverso l’indagine etnografica, mentre nelle conclusioni si discutono alcuni spunti per riflettere sul cambiamento in atto nelle dinamiche d’accesso ai servizi socio-assistenziali.

    1. L’accesso ai servizi socio-assistenziali: livelli di regolazione e attori in gioco

    La regolazione dell’accesso ai servizi socio-assistenziali si snoda lungo una serie di livelli istituzionali e organizzativi. Saraceno [2004] evidenzia al riguardo che la richiesta e la conseguente erogazione di un intervento assistenziale sono l’esito di un percorso molto articolato che, sotto molti aspetti, può essere interpretato come un processo di “istituzionalizzazione” [2] dei cittadini che ne saranno beneficiari. Al contempo, occorre considerare che le finalità degli interventi di assistenza sociale possono essere diverse e articolate. In termini generali, si può sostenere che esse mirino a favorire l’inclusione sociale dei cittadini [Madama 2010; Ferrera 2006] e prevenire (oltre che fronteggiare) i rischi legati ai vari fenomeni (povertà, emarginazione, malattia, disabilità ecc.) che possono dare adito a situazioni di esclusione sociale.

    L’erogazione di un intervento assistenziale è pertanto un’operazione che si articola su più piani e che, pur nell’ipotesi di una linearità e coerenza complessiva, assume progressivamente significati e presupposti peculiari e talvolta discordanti. In tal senso, è possibile identificare tre principali livelli di azione: il livello istituzionale, il livello organizzativo e il livello professionale. Sul piano istituzionale, gli interventi socio-assistenziali si pongono in primo luogo come il riconoscimento di un diritto sociale: è per questa ragione che l’assistenza socio-assistenziale si distingue dall’assistenza intesa in senso generico [Madama, 2010: 20]. Le istituzioni pubbliche, di carattere nazionale, regionale e locale, hanno quindi il compito di definire i quadri legislativi e regolamentari che predispongono l’attuazione degli interventi. In Italia, l’attuale configurazione degli assetti istituzionali di governo delle politiche socio-assistenziali si distingue per la sua accentuata enfasi verso la regionalizzazione e la territorializzazione dei livelli decisionali e programmatori [Kazepov 2009; Costa, 2009]: per effetto di una serie di riforme legislative (tra le quali è possibile citare la Legge 328/2000 e la Legge di Riforma Costituzionale 3/2001), le competenze in materia di servizi socio-assistenziali sono infatti assegnate alle Regioni, mentre il ruolo dello Stato risulta residuale.

    Tali tendenze si riverberano sul piano organizzativo, delineando una pluralità di modelli di accesso ai servizi socio-assistenziali. Peraltro, la progressiva affermazione di logiche di governance [Martelli, 2007; Bifulco, 2006; Bobbio, 2005] nella programmazione dei servizi sociali (contrapposte a forme più chiuse e verticistiche di government), ha ulteriormente amplificato l’eterogeneità delle soluzioni organizzative preposte alla regolazione dell’accesso all’assistenza sociale: sebbene il Comune rimanga l’ente nel quale si concentrano le competenze per l’organizzazione e l’erogazione di numerosi servizi socio-assistenziali (e, in particolare, la gestione dell’accesso a tali servizi), negli ultimi anni si è assistito a una proliferazione di forme di innovazione istituzionale, volte sia a favorire politiche di gestione associata dei servizi [Pesaresi 2006,; Rossi G. e Boccacin, 2009], sia a promuovere e istituzionalizzare raccordi e collaborazioni con gli stakeholder locali [Centemeri et al, 2006; Borghi, 2006]. Tutto ciò ha alimentato la differenziazione delle opzioni organizzative per il presidio e il governo dell’accesso ai servizi socio-assistenziali, esacerbando la tensione tra l’esigenza di garantire uniformità e universalità nel riconoscimento di un diritto sociale (l’accesso ai servizi socio-assistenziali) su scala nazionale e la plasticità e flessibilità delle soluzioni implementative a livello locale.

    Sul piano professionale si gioca invece la partita dell’effettivo incontro tra cittadini e istituzioni, ossia tra domanda e offerta. Questo incontro, che nella prospettiva di Normann [1984] assume la veste del “momento della verità” nell’erogazione del servizio, viene mediato e costruito da una particolare categoria di professionisti, ossia gli assistenti sociali. Ad essi, in virtù delle loro competenze professionali, è infatti assegnato il compito istituzionale di accogliere le richieste dei cittadini, valutarne condizioni e requisiti e procedere eventualmente verso l’avvio di un intervento assistenziale. E’ evidente che l’azione degli assistenti sociali non è isolata e autonoma, ma si riconduce, da un lato, al contesto organizzativo locale nel quale operano e, dall’altro, al più ampio scenario istituzionale nel quale si colloca il loro intervento. Questi due ambiti introducono quindi una molteplicità di vincoli e risorse che, assieme alle culture professionali proprie di questa categoria di attori sociali e ai relativi assetti normativi (quali, per esempio, la presenza di un codice deontologico) plasmano e orientano le pratiche messe in gioco nell’interazione con gli utenti.

    Se quanto visto finora attiene alle dinamiche di regolazione dell’accesso, occorre considerare come stia mutando, in termini quantitativi e qualitativi, la domanda ai servizi socio-assistenziali. E’ infatti opportuno segnalare che l’aumentata fragilità sociale di molti individui e famiglie abbia esteso la gamma dei potenziali destinatari di interventi socio-assistenziali [Madama, 2010]: laddove fino a qualche anno fa l’esclusione sociale era una condizione circoscrivibile a una serie di categorie ristrette, ora essa può interessare un insieme più ampio di individui. In particolare, il rischio di cadere in una situazione di povertà si è notevolmente acuito e riguarda anche fasce di individui che, tradizionalmente, ne erano estranei. Più che come condizione ascrittiva e/o assoluta, la povertà si pone oggi come condizione di difficoltà che può scaturire a seguito di particolari eventi della vita (perdita del lavoro, divorzio, nascita di figli ecc.) che scardinano l’esistenza di un individuo e che faticano a essere assorbiti in assenza di un sostegno assistenziale. Questi mutamenti si manifestano e avvertono nei luoghi di accesso [Cutini 2010].

    1.1 L’organizzazione dell’accesso: i servizi di segretariato sociale

    L’accesso dei cittadini ai servizi socio-assistenziali, fatto salvo i casi di accesso coatto [3], passa generalmente attraverso i cosiddetti servizi di segretariato sociale. Questi servizi sono tendenzialmente offerti e predisposti dalle Amministrazioni Comunali (o, in aggiunta, da altre istituzioni locali, come Aziende Sanitarie, Consultori pubblici, strutture residenziali per anziani ecc.) e rappresentano la “porta d’accesso” alla rete dei servizi socio-assistenziali disponibili in un territorio [4].

    La funzione dei servizi di segretariato sociale è, per molti versi, ambivalente [Lippi, 2007]. Infatti, essi rappresentano sia una “sede di informazione e orientamento” per i cittadini che intendono richiedere e usufruire di un servizio socio-assistenziale, sia il primo luogo di filtro e verifica delle condizioni e dei requisiti per l’esigibilità di numerosi servizi socio-assistenziali. Di conseguenza, il segretariato sociale si presenta sotto una duplice veste: da un lato, esso è un servizio in sé, in quanto fornisce ai cittadini informazioni e assistenza per l’accesso a servizi e prestazioni socio-assistenziali più specifiche; dall’altro, esso si pone come una soglia per l’accesso a quei servizi che, per vincoli di risorse, implicano la selezione dei destinatari. In termini organizzativi, il segretariato si configura pertanto sia come sportello informativo, che come gateway per l’accesso ai servizi socio-assistenziali; da questo punto di vista, i professionisti che vi operano al suo interno (gli assistenti sociali, ma anche il personale amministrativo, responsabili e coordinatori, nonché i dirigenti) si pongono come gatekeepers, collocati sulla front-line nel contatto con l’utenza.

    La duplicità delle funzioni di questo servizio lo contraddistingue nel confronto con gli altri servizi di matrice socio-assistenziale. Questi sono infatti servizi rivolti generalmente a specifici target di utenza: anziani, minori, disabili, migranti ecc. Viceversa, il segretariato sociale, per vocazione storica [Lippi, 2007] e per esplicito mandato istituzionale [5], è un servizio ad accesso universale, del quale ossia possono usufruire tutti i cittadini, a prescindere dalle proprie condizionali sociali, famigliari, anagrafiche. La caratteristica di universalità attiene tuttavia esclusivamente alla funzione informativa del segretariato sociale, perché l’eventuale erogazione di interventi assistenziali più specifici (per effetto di una valutazione di idoneità e necessità da parte dell’assistente sociale) segue la tipica selezione e canalizzazione per aree di utenza.

    Dal punto di vista professionale, il servizio di segretariato sociale consiste in un colloquio tra cittadino e professionista [Fabbri, 2007]. Questo colloquio deve avere una durata contenuta, in quanto rappresenta un’occasione di primo contatto e non un momento di approfondimento della condizione complessiva di un utente. Tuttavia, esso diviene uno snodo fondamentale nella relazione tra cittadino e istituzioni, in quanto è a seguito di questo colloquio che l’assistente sociale valuterà, a seconda della richiesta posta da un cittadino e in base alle prime informazioni che gli consentono di valutare l’urgenza e/o la gravità della sua problematica, l’avvio di un intervento assistenziale di medio-lungo periodo (ciò che nel gergo del lavoro sociale si definisce “presa in carico”). E’ quindi in questa fase che matura la “trasformazione” del cittadino in utente dei servizi sociali [6].

    2. La regolazione dell’accesso: pratiche e framework interpretativi

    Come si è visto, il baricentro organizzativo, istituzionale e professionale sul quale poggia l’accesso dei cittadini ad interventi e prestazioni socio-assistenziali è il servizio di segretariato sociale. Questo servizio ha dunque una notevole rilevanza nell’alveo dell’implementazione delle politiche socio-assistenziali e, in virtù della sua valenza trasversale, può assumere valenze e significati diversi. Per esaminarne le caratteristiche e studiarne le dinamiche che, su più piani, lo connotano, è possibile adottare uno sguardo multi-prospettico, che faccia ossia riferimento ad pluralità di framework interpretativi.

    In primo luogo, il segretariato sociale può essere inteso come l’espressione di una pratica discorsiva istituzionalizzata [Bruni e Gherardi, 2007]. Si parla di pratica discorsiva perché essa si articola sulle relazioni discorsive che due o più soggetti intrattengono in un contesto professionale. Per definire ulteriormente simili pratiche, Bruni e Gherardi propongono il concetto di “conversazione istituzionale”, atto a distinguere quei “modelli di interazione che danno stabilità alle pratiche lavorative” [Bruni e Gherardi, 2007, p. 124]. Le conversazioni istituzionali presentano tre caratteristiche distintive:
    a) hanno una natura strumentale, in quanto almeno uno dei partecipanti ha una relazione istituzionale con il contesto nel quale la conversazione ha luogo (o al quale essa fa riferimento);
    b) l’interazione viene a svilupparsi entro una serie di vincoli (logistici, temporali, mediatici ecc.) che possono tuttavia fungere anche da risorse per la conversazione;
    c) la conversazione acquisisce senso in funzione di uno (o più) schemi interpretativi che contraddistinguono il contesto istituzionale in questione.

    Bruni e Gherardi sottolineano come ogni conversazione istituzionale, a prescindere sia dalle specifiche codificazioni e impostazioni metodologiche, sia dalle finalità e dai presupposti che la ispirano, dia luogo ad un processo di “produzione di identità sociali situate” [2007: 129]. In altre parole, l’interazione che si svolge nell’arco di una conversazione istituzionale, quale può essere il colloquio di segretariato, non fornisce soltanto elementi e informazioni utili per la definizione della situazione di un utente (e quindi degli eventuali interventi attuabili da parte di un ente), ma delinea il profilo istituzionale dell’utente (che viene, per esempio, classificato in una specifica classe o categoria di intervento: area anziani, famiglie, minori ecc.) e, seppur in misura minore, dell’operatore (che può porsi come case manager, come professionista di riferimento, oppure come mera “interfaccia” dell’istituzione).

    In secondo luogo, il segretariato sociale può essere considerato come un contesto nel quale prende forma il concetto di street-level bureacracy, coniato originariamente da Michael Lipsky [1980]. Con tale concetto, Lipsky [1980], metteva in luce come una serie di professionisti (insegnanti, agenti di polizia, giudici, assistenti sociali ecc.), impegnati in prima persona nell’erogazione di servizi pubblici, potessero intervenire discrezionalmente nei processi decisionali che orientano l’esecuzione delle proprie attività, distaccandosi da quelli che sono norme e procedure formalizzate e le aspettative istituzionali. La tesi di Lipsky è che il grado di discrezionalità di cui questi professionisti godono è tale da farli assurgere al ruolo di policy maker nei confronti dei cittadini che sono destinatari delle loro attività, affiancandosi o sostituendosi ai decisori politici che hanno istituzionalmente il compito di delineare presupposti e contenuti dei servizi pubblici. Gli street level bureacrats possono quindi ridefinire sostanzialmente, arrivando anche a sovvertirle, le finalità dei servizi che sono chiamati ad erogare, deformando in tal senso la rappresentazione delle istituzioni per le quali lavorano.

    Le riflessioni di Lipsky sono state riprese più volte negli ultimi decenni, sia per discuterne alcuni degli assunti di fondo, sia per verificarne la validità e plausibilità rispetto all’evoluzione degli assetti organizzativi dei servizi pubblici [Evans e Harris, 2004; Ellis, 2011]. Il concetto di street-level bureacracy offre comunque una prospettiva interpretativa essenziale per comprendere le modalità con le quali l’azione di una categoria di professionisti si riverbera sul piano istituzionale. In quest’ottica, è possibile ampliare lo sguardo analitico per esaminare come gli utenti stessi possano, alla pari dei professionisti, mettere in campo specifiche opzioni di agency che, da un lato, incidono sull’esito degli interventi dei quali sono destinatari e, dall’altro, incidono sulla valenza istituzionale del servizio [Prior e Barnes]. Prior e Barnes segnalano in tal senso due delle principali opzioni che gli utenti possono mettere in atto: la ricerca di soluzioni alternative rispetto a quelle proposte dai professionisti e il rifiuto di prender parte a programmi e iniziative assistenziali, pur in presenza dei requisiti e delle condizioni necessarie per il loro avvio.

    Un terzo framework interpretativo si può delineare attorno al concetto di sensemaking [Weick, 1995]. Gli attori (utenti e professionisti) che interagiscono in un servizio di segretariato sociale creano attraverso la loro interazione una relazione che, a prescindere dalla sua potenziale proiezione verso interventi di maggiore durata e complessità (come le prese in carico), si basa essenzialmente su una dinamica di attribuzione di senso: da un lato, l’utente deve attribuire senso al contesto nel quale si trova e rispetto al quale può presentare la propria situazione e avanzare delle richieste; dall’altro, l’operatore deve attribuire senso alle richieste dell’utente, decodificandole e prefigurando possibili interventi. L’incrocio tra questi due processi di attribuzione di senso (che sono sì individuali e disgiunti tra loro, ma che devono essere calati e situati all’interno di uno specifico contesto organizzativo) da luogo a un più articolato processo di organizing. Da questo punto di vista, lo svolgimento e l’esito di un colloquio di segretariato sociale, possono essere considerati complessivamente come un articolato processo di sensemaking organizzativo. Una simile interpretazione fa riferimento ad alcune caratteristiche essenziali dei processi di sensemaking, così come proposte da Weick e colleghi in uno studio successivo [Weick et al, 2005]:
    - il sensemaking prende le mosse da flussi caotici di impressioni ed esperienze e mira a fornirne una trama organizzata, focalizzando l’attenzione su alcuni passaggi ritenuti più significativi e/o coerenti;
    - il sensemaking è un’attività che presuppone la classificazione e la categorizzazione degli eventi, nonché l’attribuzione di nomi ed etichette (labeling) per stabilizzare i flussi di esperienze;
    - il processo di sensemaking si muove in un’ottica retrospettiva (reinterpretando dati e segnali già presenti) e sistemica (lo sviluppo di un processo di sensemaking implica infatti di prendere in considerazione una varietà di fattori sociali che, a diverso titolo, possono intervenire nell’articolazione dei significati da attribuire ad eventi e circostanze);
    - il sensemaking è un’attività strettamente connessa all’azione: l’attribuzione di un senso non è un’operazione astratta ed estemporanea, bensì diviene il presupposto per le prossime attività che un individuo o un’organizzazione devono compiere. Come spiegano Weick e colleghi, “capire cosa è successo” è solo la prima parte di un processo di sensemaking, alla quale segue un’attività che prende spunto dall’interrogativo “cosa fare ora?” [Weick et al, 2005: 412].

    2.1 La dimensione narrativa nelle fasi di accesso ai servizi sociali

    In linea con la tesi avanzata da Riessman e Quinney [2005], è possibile sostenere che uno dei principali ambiti di sviluppo della ricerca narrativa sia focalizzato su un aspetto centrale del lavoro sociale, vale a dire le interazioni che si susseguono nel corso di una relazione tra due o più individui. Una simile relazione può prendere la forma della “relazione d’aiuto” che, come già detto, rappresenta l’oggetto di lavoro quotidiano per i social workers.

    Per comprendere appieno il senso di questa affermazione, occorre fare un passo indietro e interrogarsi sul significato del concetto di narrazione. A tal fine, si può riprendere la definizione proposta da Poggio, che considera la narrazione come “una forma specifica di discorso […] connotata principalmente dal fatto di mettere in relazione degli eventi, di costruire delle connessioni tra azioni ed avvenimenti” [Poggio, 2004: 28]. La narrazione, aggiunge Poggio, può assumere forme diverse: si possono avere resoconti frammentari, oppure discorsi più articolati e strutturati [ibidem]; il presupposto essenziale è che “qualcuno dica ad un altro che è successo qualcosa” [Herrnstein Smit, cit. in Poggio, 2004: 28].

    La configurazione tipica dei servizi di segretariato sociale, consolidata sia in chiave organizzativa e che professionale, prevede che il primo contatto tra cittadino e professionista debba avere una durata temporale limitata (generalmente inferiore ai venti minuti) [De Ambrogio et al, 2006]. Nel corso di questo breve colloquio, l’utente può, tra le altre cose, avanzare una richiesta di intervento assistenziale: in questo caso, la richiesta deve essere generalmente “corredata” dalla presentazione della propria condizione socio-economica (per verificare la presenza dei requisiti per il godimento dell’eventuale intervento) e dei fattori che la motivano (per permettere di definire al professionista l’intervento più adeguato). Questi due presupposti determinano che l’interazione assuma, perlomeno per quanto riguarda l’utente, una forma narrativa.

    La dimensione narrativa delle interazioni che hanno luogo in un contesto di segretariato sociale, ossia nel primo contatto tra cittadino e professionista, hanno però alcune caratteristiche peculiari. Queste si possono riassumere nei due punti seguenti:
    a) la configurazione organizzativa e professionale dell’accesso ai servizi sociali rende il primo contatto uno “spazio narrativo condensato”, vincolato sia dalla limitatezza dell’orizzonte temporale, sia dalle esigenze funzionali del servizio stesso: l’utente è chiamato, tendenzialmente, a narrare e sintetizzare la propria condizione fornendone il maggior numero possibile di e informazioni e dettagli; l’assistente sociale, viceversa, deve qualificare la domanda dell’utente, sintetizzarla a sua volta e canalizzarla all’interno di una particolare categoria di utenza (anziani, minori, stranieri ecc.) e per fare ciò deve intervenire nella narrazione dell’utente, al fine di cogliere le informazioni necessarie per la sua valutazione;
    b) l’interazione tra i due attori assume pertanto un valore proto-relazionale; questa interazione potrà evolvere in una relazione più approfondita qualora l’assistente sociale ritenga opportuno procedere a successivi colloqui di approfondimento.

    L’interazione che scandisce il primo contatto tra cittadino ed istituzioni rivela dunque una dimensione narrativa specifica, che si contraddistingue per la sua frammentarietà e circoscrizione, nonché per la sua strumentalità. In tal senso, è possibile sostenere che la narrazione divenga uno degli strumenti d’accesso ai servizi, sebbene non dia luogo ad una compiuta relazione né sul piano individuale, né in termini professionali, organizzativi e istituzionali.

    3. Il percorso di ricerca

    Si è visto come l’incontro tra cittadini e istituzioni nel campo delle politiche socio-assistenziali sottenda una molteplicità di finalità e possa essere inquadrato da altrettante prospettive analitiche. L’obiettivo di questo contributo è quindi quello di mettere in evidenza come il momento del “primo contatto” sia una fase densa di significati e interpretazioni (anche talvolta contrapposte e divergenti) e che tale “densità” riveli come l’accesso ai servizi socio-assistenziali sia una questione che non si risolve sinteticamente entro le categorie dell’esclusione e dell’inclusione sociale. Il processo di accesso ai servizi sociali, più che essere una transizione tra status binari e antitetici (“in carico/non in carico”), è dunque un percorso che, perlomeno nello stadio del primo contatto, è aperto a numerose definizioni e opzioni di sviluppo. In esso, operatori ed utenti svolgono ruoli analogamente attivi, in una relazione che conoscitiva e di confronto, prima ancora che di aiuto e supporto.

    In linea con questi presupposti, le domande di ricerca che ci si è posti sono principalmente due:
    a) Quali significati può assumere il servizio di segretariato sociale (inteso come spazio di primo contatto), al di là delle sue funzioni e finalità istituzionali?
    b) Attraverso quali strategie relazionali, si definiscono le possibilità di accesso (o di esclusione) dai servizi socio-assistenziali nell’ambito di un servizio di segretariato sociale?

    Se la prima domanda ha un carattere più esplorativo, la seconda è invece finalizzata a studiare come il segretariato sociale costituisca, provocatoriamente rispetto alle logiche di uniformità sul piano istituzionale, una sorta di arena negoziale, nella quale i criteri di accesso ed esclusione assumono contorni più sfumati e provvisori.

    3.1 Contesto e metodologia della ricerca

    Le riflessioni che vengono proposte in questo contributo maturano a partire da una più ampia ricerca condotta sui servizi di segretariato sociale [7], volta a studiare la pluralità ed eterogeneità delle dinamiche organizzative di tali servizi, a fronte delle aspettative di uniformità proposte dal dettato legislativo. La ricerca ha voluto esaminare come, pur in presenza del medesimo quadro normativo e istituzionale, le logiche organizzative degli enti che offrono servizi di segretariato sociale e le culture professionali degli operatori che vi operano siano assai divergenti, al punto da sviluppare quasi declinazioni contrapposte dello stesso servizio.

    Per studiare questo fenomeno, sono state realizzate tre etnografie organizzative presso altrettanti Comuni di una Regione del Nord Italia. Il ricercatore ha avuto la possibilità di svolgere un’attività di osservazione etnografica durante i colloqui di segretariato sociale, affiancando gli assistenti sociali che svolgevano tale servizio. La ricerca si è sviluppata lungo un arco temporale di cinque mesi, durante i quali il ricercatore ha alternato la propria presenza nei tre Comuni.

    I Comuni in questione (che per ragioni di riservatezza verranno identificati con gli pseudonimi di Monte Bosco, Castel Giallo e Villa Viola) differiscono per molte ragioni [8]. La Tabella 1 riassume alcuni dati demografici e una serie di informazioni sull’organizzazione dei servizi di segretariato sociale nei tre centri. Il dato che si vuole qui sottolineare e che verrà ripreso è che, a prescindere dalle pur forti differenze, molte dinamiche e comportamenti (sia per quanto riguarda i professionisti che gli utenti) sono stati riscontrati similarmente e individuano quindi delle tendenze significative (in alcuni casi più consolidate, in altri emergenti) nelle pratiche di accesso ai servizi socio-assistenziali.



    Come anticipato, la ricerca è stata compiuta seguendo la metodologia dell’osservazione etnografica. In particolare, si è fatto riferimento alle tecniche di ricerca etnografica nelle organizzazioni [Bruni 2003]. Sono stati effettuati dei periodi di osservazione etnografica della durata media di due mesi in ciascun contesto. Il ricercatore ha assistito a una serie di colloqui (riassunti nella Tabella 2) tra operatore e utente e ha quindi potuto confrontarsi con gli operatori realizzando una serie di interviste etnografiche (che per la loro estemporaneità non possono essere quantificate numericamente e che risultano dunque come note di campo). Inoltre, è stato possibile avere accesso ad una serie di materiali documentativi (piani di zona, bilanci sociali, reportistica interna ecc.) per approfondire la comprensione delle dinamiche organizzative dei servizi studiati e della loro evoluzione nel corso degli anni. Infine, i dati raccolti nelle osservazioni sul campo sono stati discussi con operatori e responsabili dei servizi nei tre Comuni, al fine di avere una validazione delle ipotesi interpretative, sulla stregua di quel processo di members’ validation suggerito da diversi metodologi [Lincoln e Guba, 1985].



    Il lavoro di osservazione ha implicato, da un lato, un notevole sforzo di distacco ma, dall’altro, comportava un alto grado di immersione nel setting organizzativo e relazionale di un simile servizio: i colloqui di segretariato sociale si svolgono generalmente alla presenza di due attori (l’utente e l’operatore), in spazi che garantiscano riservatezza all’interazione. L’introduzione di un soggetto terzo ha pertanto alterato l’equilibrio relazionale tipico di questo servizio. Per questa ragione, il ricercatore, conscio della “ingombrante” visibilità della sua presenza, ha cercato di combinare le esigenze di mimetizzazione nel setting organizzativo (per non distrarre eccessivamente operatore ed utente) ad uno stile di osservazione attento e “parzialmente” partecipante: benché il ricercatore, per accordi progettuali, non avesse la possibilità di interagire direttamente con gli utenti, la sua presenza nel contesto del servizio diveniva, di per sé, un atto comunicativo [Watzlawick et al, 1967]. Per questo motivo, si ritiene che sia lecito descrivere l’attività di ricerca come un processo di osservazione semi-partecipante.

    3.2 L’analisi della dimensione narrativa: note metodologiche

    Il materiale raccolto (note di campo, interviste etnografiche, dati emersi nelle restituzioni, materiale documentario di vario genere) è stato esaminato ed elaborato seguendo un percorso che, per molti versi, si può accostare a quello della grounded theory [Glaser e Strauss, 1967]. Infatti, trattandosi di una ricerca esplorativa, si è privilegiata un’ottica induttiva nella lettura dei fenomeni osservati, costruendo a partire dai raccolti ipotesi interpretative.

    L’accostamento alla grounded theory va però precisato. In primo luogo, si è fatto riferimento ad una logica “costruzionista” [Charmaz, 2000] nel trattamento dei dati e nella loro interpretazione, presumendo che questi non “parlino da soli”, né rispecchino fedelmente una porzione di realtà. I dati raccolti vanno invece ricompresi nell’ambito di un particolare processo analitico, rispetto al quale il ricercatore interviene significativamente, “producendo” i dati anziché limitandosi a raccoglierli [Tarozzi, 2008]. Anche in virtù di questo orientamento, la metodologia della grounded theory è stata seguita parzialmente e in modo non ortodosso: per esigenze e vincoli progettuali, non è stato possibile, per esempio, condurre esaustivamente delle operazioni di campionamento teorico (theoretical sampling), né è stato possibile ritornare ciclicamente su alcuni luoghi di osservazione o interagire più volte con alcuni dei membri delle organizzazioni studiate. Per questi motivi, si può parlare di una grounded theory “spuria”.

    E’ inoltre importante dedicare alcune brevi riflessioni all’approccio seguito per esaminare la dimensione narrativa delle interazioni che hanno luogo nei colloqui di segretariato sociale e all’uso che è stato fatto dei dati raccolti. Per la particolare configurazione che, in termini narrativi (si veda il § 2.1), assume questa fase di primo contatto, si è deciso di utilizzare i dati raccolti attraverso l’etnografia come spunti o, per altri versi, frammenti, descrittivi e rappresentativi delle principali dinamiche che sono state osservate in relazione alle domande di ricerca.

    Per questa ragione, non si è condotta una ricerca narrativa “ortodossa” dal punto di vista metodologico [Fraser 2004]. Le narrazioni degli utenti sono state considerate come unità di analisi tematizzate, parzialmente esaminate nella loro costruzione sequenziale, temporale e retorica. Ogni colloquio osservato è stato complessivamente trattato come un frammento narrativo unitario, riconducibile in tal senso ad una serie di categorie analitiche tematiche, non predefinite ma emergenti nel corso dell’analisi. La collocazione di un colloquio all’interno di una categoria non esclude la possibilità di un suo accostamento ad altre categorie: d’altra parte, ciascun colloquio contiene una molteplicità di spunti ed elementi analitici; tuttavia, ogni colloquio sarà qui presentato in funzione descrittiva di una particolare categoria.

    4. Pratiche di accesso ai servizi socio-assistenziali: i risultati della ricerca

    Come anticipato nel precedente paragrafo, i dati raccolti nella ricerca sono stati esaminati e interpretati creando delle categorie che, se in un primo momento avevano una funzione descrittiva e di sintesi, progressivamente hanno assunto una valenza esplicativa ed interpretativa. Si è giunti in tal senso all’elaborazione di tre macro-categorie analitiche, che riassumono le principali valenze che un servizio di segretariato di sociale può assumere. Tali categorie delineano il segretariato sociale come:
    a) luogo di approdo;
    b) spazio di trasformazione (del cittadino in utente dei servizi sociali);
    c) arena negoziale.

    Ciascuna di queste tre categorie contiene al suo interno una serie di sotto-categorie che specificano ulteriormente il senso della categoria principale. Come già detto, tali categorie sono trasversali ai contesti studiati e sono da ricondurre a quelle situazioni che sono state osservate più frequentemente. Occorre precisare che le categorie non sono state create utilizzando come unità di misura la frequenza di comparsa di situazioni similari, né la sequenza temporale delle fasi che scandiscono il colloquio di segretariato. Viceversa, le categorie evidenziano gli aspetti che sono apparsi più significativi per comprendere il senso delle interazioni che hanno luogo in un servizio di segretariato sociale.

    Nei prossimi paragrafi si illustrerà il significato di queste categorie, riportando sinteticamente i passaggi di alcuni colloqui (così come trascritti nelle note di campo) che appaiono emblematici per descriverne il significato.

    4.1 Il segretariato sociale come luogo di approdo

    Questa prima categoria analitica enfatizza il valore dei servizi di segretariato sociale come meta per quei cittadini che hanno necessità di un intervento assistenziale e che, come accade spesso, non conoscono i servizi disponibili e le relative condizioni e modalità d’accesso. Ciò determina un forte disorientamento, amplificato in molti casi dall’urgenza e/o gravità delle problematiche sociali ed economiche che possono spingere a richiedere un sostegno da parte delle istituzioni. Il segretariato sociale diviene pertanto un luogo di approdo, che per alcuni versi può prendere la forma di un’ipotetica ancora di salvezza in una condizione di disagio.

    L’approdo non è tuttavia sempre facile, pertinente e lineare. Le difficoltà in tal senso possono essere numerose e attengono sia alla rappresentazione che l’utente fa della propria situazione e del servizio, sia alle modalità organizzative dello stesso servizio. Per illustrare più specificamente le complessità del segretariato sociale inteso come luogo di approdo, è possibile esaminare quattro sotto-categorie, che mettono a fuoco una serie di aspetti che contraddistinguono le dinamiche di accesso, sottolineandone peculiarità e contraddittorietà.

    4.1.1 Il segretariato sociale come spazio di sfogo personale

    Al di là delle specifiche problematiche e situazioni, è frequente che un cittadino si rechi in un servizio di segretariato sociale quando percepisca di essere al culmine di uno stato di disagio, oppure ritenga che sia inderogabile un supporto per affrontare una situazione critica che. Ciò trasfigura spesso il senso del segretariato sociale e, in particolare, del colloquio tra assistente sociale ed utente: il colloquio diviene infatti un’occasione di sfogo per l’utente. Prima ancora di una richiesta d’aiuto, l’utente ha infatti necessità di esternare e condividere le proprie difficoltà e il proprio disagio. Un colloquio osservato presso il Comune di Castel Giallo è emblematico al riguardo.

    Estratto 1. – Segretariato sociale di Castel Giallo
    L’utente è una donna di circa quarant’anni, con una figlia di sette. Conosce abbastanza il mondo dei servizi, perché in passato aveva lavorato come inserviente nella mensa comunale. Si presenta da sola all’assistente sociale per chiedere esplicitamente un contributo economico. Ha delle difficoltà lavorative (attualmente è disoccupata ma probabilmente tra qualche mese inizierà un nuovo lavoro) e denuncia una situazione di forte difficoltà economiche, anche perché l’ex-marito non le paga i contributi che le spetterebbero. La donna dichiara di essere “a terra” e dopo essere scoppiata in lacrime chiede se fosse possibile anche parlare con uno psicologo, per avere un sostegno anche sotto il profilo emotivo e psicologico.

    In questo estratto emerge chiaramente come il segretariato sociale possa rappresentare per un utente ben più di uno spazio informativo e di orientamento. L’utente è una persona informata e competente rispetto al servizio e sa quale tipo di servizi e prestazioni è possibile richiedere, tanto da avanzare direttamente una richiesta di contributo economico. Il colloquio con l’operatore diviene però un’occasione di sfogo rispetto ad una condizione esistenziale che, più complessivamente, risulta essere molto sofferta e difficile per l’utente. A questo si ricollega l’ipotesi del segretariato sociale come “spazio di possibilità”: oltre a chiedere un contributo economico, l’utente avanza già una seconda richiesta, più personale rispetto alla prima (che è volta alle necessità di sostentamento anche della figlia).

    4.1.2 Il segretariato sociale come spazio di recriminazione contro le istituzioni

    Il servizio di segretariato è, come detto, un luogo di primo contatto tra cittadini e istituzioni. Il rapporto tra ogni cittadino e le istituzioni che interessano la sua vita e il suo lavoro esula comunque dall’ambito del segretariato sociale e, più in generale, non è circoscrivibile esclusivamente alla sfera dei servizi socio-assistenziali. Nonostante questo, il servizio di segretariato sociale viene visto da alcuni cittadini come uno spazio nel quale avanzare delle recriminazioni rispetto al comportamento di una serie di enti istituzionali (per servizi non prestati o inadeguati, “promesse” non mantenute, presunte o reali disparità di trattamento ecc.) Tali recriminazioni accompagnano in molti casi le richieste che vengono poste al segretariato sociale, nella veste di “giustificazioni”, oppure nella veste di elementi rinforzativi che dovrebbero supportare la richiesta e aumentare le probabilità di intervento.
    L’estratto 2 mostra una situazione abbastanza ricorrente in tal senso, inerente le problematiche di accesso alle case popolari

    Estratto 2. – Segretariato sociale di Monte Bosco
    L’utente è un signore anziano, che ha delle difficoltà nel pagamento dell’affitto della sua attuale abitazione. Si rivolge al segretariato sociale per chiedere come partecipare al bando delle case popolari. Si lamenta di aver girato tutti gli uffici del Comune senza aver trovato nessuno che gli desse una risposta. Ripete che in passato ha lavorato presso l’impresa di un assessore e che non merita di essere trattato in questo modo. Si lamenta della disorganizzazione del Comune, del fatto che “nessuno sappia niente”, sospettando che “nessuno voglia dirgli niente”.
    L’assistente sociale telefona all’Ufficio Case del Comune per sapere quando uscirà il nuovo bando, ma la data di pubblicazione non è ancora stata stabilita. Cerca di spiegare all’utente che finché non verrà pubblicato il bando non saranno noti nemmeno i criteri di assegnazione e quindi non può fornirgli maggiori informazioni. L’assistente sociale invita inoltre l’utente a rivolgersi all’Ufficio Case del Comune (indicandogli la sua ubicazione) per avere informazioni precise, spiegandogli che la gestione delle case popolari non è di competenza dei servizi sociali.


    Le recriminazioni avanzate dall’utente denotano indubbiamente l’esigenza di uno sfogo personale che tuttavia, al contrario di quanto mostrato nell’estratto 1, è indirizzato verso delle istituzioni, colpevoli, a detta dell’utente, di omettere informazioni e servizi. L’analisi di queste situazioni, assai ricorrenti nelle dinamiche osservate nei servizi di segretariato sociale, è molto complicata, poiché è difficile individuare la valenza della recriminazione: in alcuni casi, essa ha una funzione intenzionalmente strumentale, di sostegno ad una richiesta, quasi come se il rapporto tra cittadino e istituzione si configurasse secondo una logica rivendicativa (a tal fine, si veda il § 4.3.1); in altri casi, la recriminazione è la manifestazione di un disagio che, ostacolando il rapporto tra l’istituzione e il cittadino, acuisce le difficoltà di quest’ultimo e ne diviene parte integrante: la recriminazione non assume pertanto in simili casi una valenza strumentale, bensì è parte del vissuto del cittadino e diviene una delle cause delle sue esigenze.

    4.1.3 Approdi “sbagliati”: le richieste non pertinenti

    L’estratto 2 evidenzia come spesso l’accesso ai servizi di welfare si possa tradurre in un metaforico attraversamento di un labirinto per il cittadino. Molti cittadini ignorano infatti la suddivisione istituzionale (sia inter che intra-organizzative) delle competenze relative ai vari interventi di welfare (relativi a problematiche di natura sociale, sanitaria, lavorativa, abitativa, scolastica ecc.). Paradossalmente, una delle premesse più ricorrenti negli atti che definiscono i servizi di segretariato sociale è invece quella di favorire l’integrazione e la convergenza delle sedi informative, al fine di evitare al cittadino di perdersi alla ricerca dello sportello più competente per le sue esigenze.

    Il processo di ricerca sul campo ha messo in luce come il servizio di segretariato sociale viva, anche da questo punto di vista, una sostanziale ambivalenza. Da un lato, questi servizi risultano essere aperti e accessibili per ogni tipo di richiesta, sebbene, d’altro lato, le aree sulle quali gli operatori possono effettivamente intervenire (sia in termini informativi che con l’avvio di interventi più sostanziali) sono molto più circoscritte. D’altra parte, il servizio di segretariato sociale è un’emanazione dei Servizi Sociali Comunali e le aree sulle quali i professionisti possono agire coincidono con le aree di competenza di questa unità organizzativa. Peraltro, la suddivisione e l’attribuzione delle competenze che spettano ai servizi sociali all’interno di un Comune non è stabilita legislativamente, né da specifici atti regolamentativi a livello regionale, ma emerge a livello locale.

    Questa situazione genera una sequenza di “approdi sbagliati”, ossia di utenti che pongono richieste che non sono pertinenti rispetto alle competenze del segretariato sociale, né in termini informativi, né rispetto all’attivazione di specifici interventi. Il segretariato sociale soffre quindi questa ambivalenza, che ne produce un’immagine distorta: da un lato, esso si presenta come uno sportello informativo ad ampio raggio, dall’altro come una soglia d’accesso a un set molto più ristretto di servizi.

    I professionisti hanno sviluppato una serie di pratiche per fronteggiare queste situazioni. Sentendo comunque la responsabilità di fornire una risposta agli utenti, essi hanno preparato alcuni “pacchetti informativi” di base inerenti alcune richieste che, seppur non pertinenti, vengono frequentemente poste durante i colloqui di segretariato. Un caso emblematico sono le richieste riguardanti le problematiche lavorative e la ricerca di una occupazione: molti utenti si recano ai servizi sociali presumendo di potervi trovare soluzioni per la ricerca di un lavoro. Non avendo (come è stato verificato nei casi osservati) competenze in materia, ma sforzandosi di fornire comunque un aiuto e un orientamento, in tutti i Comuni gli assistenti sociali avevano preparato un kit informativo composto da materiale di diverso genere, che generalmente includeva:
    * i recapiti delle più agenzie di lavoro interinale del territorio;
    * un elenco di portali web di annunci di lavoro;
    * gli indirizzi di imprese impegnate nel settore delle pulizie (che sono spesso alla ricerca di personale);
    * un elenco di corsi di formazione, offerti gratuitamente da vari enti istituzionali (come Provincia o Centri per l’impiego) da frequentare per poter acquisire nuove competenze.

    Questo kit rappresentava una soluzione per evitare di far uscire a mani vuote l’utente dal colloquio. L’efficacia di queste informazioni era parziale: nella maggior parte dei casi gli utenti conoscevano già queste risorse. Tuttavia, esse costituivano un segno materiale dell’attenzione che le istituzioni (o, più correttamente, i professionisti) riponevano nei confronti delle problematiche degli utenti. Per altri versi, un simile kit rappresenta un mezzo per ampliare (oltre le attribuzioni formali) la gamma delle competenze del segretariato sociale e per trasformare quindi accessi e richieste formalmente non pertinenti in accessi comunque rientranti nell’alveo delle materie trattate.

    4.1.4 La difficoltà di chiedere, tra giustificazioni, pudore e vergogna

    La richiesta di un intervento di assistenza sociale è, per molti cittadini, un atto difficile da compiere, in quanto implica il superamento di uno stigma culturale e può essere percepito come l’ammissione di un fallimento, personale o famigliare. Una simile difficoltà è maggiore nelle richieste di contributi economici, che presuppongono il riconoscimento di una condizione di povertà o comunque di difficoltà economiche.

    E’ dunque frequente, in simili casi, osservare come molti utenti tendano a volersi giustificare e scusare per la richiesta che pongono, illustrando e motivando le ragioni che li hanno portati a dover accedere al servizio e a chiedere un sostegno economico. Al tempo stesso, nell’esposizione e nella narrazione delle proprie vicende, emerge il tentativo di sottolineare come la situazione attuale sia frutto di contingenze estranee alla propria volontà e ai propri valori. L’estratto 3 riporta una tipica situazione di questo genere.

    Estratto 3 – Segretariato sociale di Castel Giallo
    L’utente è una donna giovane, che ha delle difficoltà economiche per la perdita del lavoro e che ha contratto una serie di debiti con parenti e conoscenti. Chiede quindi un contributo economico, sottolineando però di “non volersi sentire una poveretta” e dichiarando che sta svolgendo molti colloqui di lavoro, ma che il momento è molto difficile, ci sono molte ditte che chiudono, ma lei sarebbe disposta a fare qualunque lavoro. Conclude la narrazione della sua situazione affermando di sentirsi “veramente nella cacca”.

    Un altro comportamento che si riscontra in simili situazioni è la riluttanza a esprimere una richiesta d’aiuto. Molte persone, per pudore o per vergogna, si recano a questo servizio e, su sollecitazione dell’assistente sociale, illustrano la propria situazione, aspettando tuttavia che sia quest’ultimo a materializzare, nominandola, una richiesta d’aiuto. Una situazione di questo genere si può leggere nell’estratto 4.

    Estratto 4 – Segretariato sociale di Villa Viola
    L’utente è una donna, con due figli. Il marito, che in famiglia è l’unica persona che lavora, è al momento in cassa integrazione. La donna illustra la condizione economica della famiglia, elencando le varie spese che gravano al momento e accennando timidamente la richiesta di un aiuto economico:
    “Io vorrei sapere se è possibile… fare qualcosa… non so… mi hanno detto che ai servizi sociali mi possono aiutare… magari un aiuto… non so…”
    L’assistente sociale, notando il suo imbarazzo, interviene:
    “Possiamo richiedere un contributo economico, il Comune le può fornire, per alcuni mesi, una certa cifra per le esigenze quotidiane. Poi può fare richiesta per il Fondo Sostegno Affitti, che è un contributo specifico per il pagamento dell’affitto…”


    Non è chiaro se la reticenza e l’imbarazzo che l’utente mostra nell’avanzare esplicitamente una richiesta di aiuto economico siano legati alla vergogna e al pudore che connotano una simile azione, oppure ad una limitata conoscenza degli interventi esigibili e quindi della possibilità di un contributo economico. Vi è comunque in questo passaggio l’evidenza di come sia l’assistente sociale a dover “agganciare” l’utente al mondo dei servizi socio-assistenziali, illustrando e prefigurando le possibilità di intervento. In questo caso, l’approdo dell’utente al servizio di segretariato è quindi insufficiente per l’attivazione di un percorso assistenziale (a prescindere dalla conformità ai requisiti che andranno verificati in seguito): l’intervento del professionista è indispensabile per co-costruire il servizio, vagliando le varie possibilità e definendo quelle più opportune per l’utente. E’ opportuno ribadire che l’azione del professionista non presuppone né garantisce l’attivazione dell’intervento (ossia l’erogazione dei contributi economici): il ruolo del professionista, in questa fase, è quella di proiettare scenari di possibili intervento. Questa operazione è, per molti versi, preliminare e costitutiva rispetto alle attività che rientrano nella seconda categoria di significati individuati per comprendere le dinamiche di accesso ai servizi socio-assistenziali.

    4.2 Il segretariato sociale come spazio di trasformazione

    Questa seconda categoria prende in considerazione quell’insieme di passaggi che delinea il ruolo istituzionale del segretariato sociale come soglia d’accesso ad interventi socio-assistenziali più specifici. In altre parole, nel corso di un colloquio di segretariato sociale, si assiste ad una sorta di trasformazione del cittadino in utente – classificato e categorizzato – del sistema dei servizi socio-assistenziali.

    Dal punto di vista professionale, ciò è l’esito di quel processo di “decodifica” della domanda che ogni assistente sociale deve compiere durante un colloquio con un utente [Allegri et al, 2006; Campanini, 2002]. E’ notorio che spesso gli utenti dei servizi di segretariato sociale esprimano un disagio confuso, motivato in molti casi da una somma di problematiche e privo di un chiaro sbocco verso una richiesta netta e conforme rispetto alle tipologie di servizi erogabili [Olivetti Manoukian, 1998]. Il compito professionale dell’assistente sociale è, sinteticamente, quello di individuare e circoscrivere la problematica principale sulla quale intervenire e cercare dunque di proporre un intervento coerente con essa. Le metodologie di lavoro sollecitano gli assistenti sociali a far riconoscere e dichiarare all’utente quella che può essere la sua esigenza prioritaria. Nelle pratiche di lavoro, questa sollecitazione si traduce nel porre espressamente una domanda molto precisa all’utente: “di che cosa ha bisogno?”.

    Una simile domanda costituisce una sorta di “giro di boa” nel corso di un colloquio. Questa domanda viene posta generalmente dopo che l’utente ha concluso la narrazione della propria situazione e dopo che l’assistente sociale, riassumendo stringatamente quanto ha sentito, si è fatto un quadro sufficientemente chiaro della condizione dell’utente. La risposta a questa domanda chiude, metaforicamente, la fase di approdo al servizio e introduce una fase successiva, nella quale si avvia (con esiti che possono essere diversi) la transizione dell’utente del segretariato sociale dallo status di cittadino allo status di utente dei servizi sociali (che si raggiunge qualora si definisca una “presa in carico”).

    Tale transizione è il risultato di un processo di “trasformazione”, che si snoda spesso in forme non-lineari e che diviene il terreno di incontro di una serie di fattori che, molto frequentemente, appaiono discordanti e inconciliabili. Si può in tal senso parlare di un processo di costruzione dell’utente [Rosenthal e Peccei, 2006]. Per quanto l’utente non sia un attore passivo in questa dinamica (come si vedrà più dettagliatamente nel § 4.3), questa è la fase nella quale entra maggiormente in gioco il peso della discrezionalità del professionista [Lipsky, 1980]. I fattori e i passaggi che concorrono a questo percorso di trasformazione verranno ora illustrati.

    4.2.1 Sintetizzare, filtrare e circoscrivere le aspettative degli utenti

    Un passaggio essenziale nel percorso di “costruzione” degli utenti consiste nel fronteggiare le aspettative che questi possono avere nei confronti dei servizi sociali. Se, come si è visto, spesso gli utenti faticano a pronunciare esplicitamente le richieste che intendono porre, ciò non toglie che possano nutrire aspettative significative rispetto ai servizi che potrebbero ottenere. In molti casi, le aspettative sono irrealistiche ed eccessive e vengono alimentate da flussi di passaparola che mitizzano le potenzialità e le risorse dei servizi sociali, dipingendoli e fuorviandoli come luoghi nei quali si trovano soluzioni ad ogni genere di problema. L’estratto 5 descrive una situazione particolarmente emblematica da questo punto di vista.

    Estratto 5 – Segretariato sociale di Castel Giallo
    L’utente è un uomo giovane, attualmente disoccupato. Si presenta al segretariato sociale “tanto per provare”, perché ha sentito (accentuando un certo tono polemico) che lì “gli stranieri trovano lavoro”.
    L’assistente sociale smentisce questa tesi, spiegando che questo servizio non si occupa di ricerca di lavoro, né che gli stranieri abbiano un trattamento preferenziale.


    L’estratto 5 riporta una situazione che, per molti versi, è facilmente gestibile: le aspettative dell’utente non possono essere soddisfatte perché non corrispondono ad una competenza assegnata al servizio. Tuttavia, la richiesta dell’utente si distingue proprio perché è disallineata rispetto al ruolo del servizio e, in seconda battuta, perché viene giustificata sulla base di un “sentito dire”. L’immagine del servizio che questa richiesta veicola è quindi, da un lato, inappropriata in termini sostanziali e, d’altro lato, rivela una percezione ancor più fuorviante dei servizi sociali, raffigurati come enti che lavorano in modo discriminatorio rispetto alla totalità degli utenti potenziali.

    La costruzione dell’utente prevede pertanto un primo passaggio di conformazione delle richieste alle tipologie possibili di intervento. Nell’estratto appena discusso, il percorso di costruzione termina subito, ma vi sono altri casi nei quali questa operazione di matching tra domanda e offerta è più articolata e complessa: in simili situazioni, le aspettative dell’utente devono essere “decostruite”, al fine di individuare quelle che possono risultare conformi ad un intervento o più probabilmente esaudibili. Questi casi non sono però di facile gestione, anche perché frequentemente l’assistente sociale deve fronteggiare situazioni di particolare urgenza e gravità, come si può vedere nel prossimo paragrafo.

    4.2.2 Gestire le urgenze

    La costruzione dell’utente è un percorso che, per essere svolto con cura e attenzione, richiede tempo. La variabile temporale assume qui un duplice significato: il tempo è sia la scansione del ritmo del colloquio, sia la velocità di scorrimento degli eventi nella vita dell’utente. Il tempo risulta comunque essere sempre scarso: per molti assistenti sociali occorrerebbe più tempo sia per l’analisi e la valutazione del caso (laddove invece i colloqui seguono un ritmo frenetico, visto l’alto numero di utenti), sia per fronteggiare materialmente le richieste degli utenti, che talvolta si presentano come particolarmente gravi ed urgenti. L’estratto 6 illustra un episodio che rientra in questa categoria.

    Estratto 6 – Segretariato sociale di Castel Giallo
    L’utente è una signora anziana, che ha come unico fonte di reddito la pensione civile. Si presenta per la prima volta al segretariato sociale, denunciando di avere ricevuto un’ordinanza di sfratto dalla propria abitazione, a causa dell’accumulo di una serie di morosità nel pagamento degli affitti. Mostra all’assistente sociale i documenti, che confermano la gravità e l’urgenza della situazione: si tratta di un’ordinanza esecutiva, formalmente inderogabile.
    L’assistente sociale chiede come mai l’utente non avesse contattato prima i servizi sociali e cerca di informarsi sull’esistenza di parenti o amici che potrebbero ospitarla o fornire una sistemazione provvisoria alternativa. L’utente esclude queste possibilità (i figli abitano lontani e sono molto distaccati da lei).
    L’assistente sociale si muove su tre piani. In primo luogo, apre una cartella per l’utente, facendo di fatto partire subito una presa in carico. Quindi cerca di contattare il padrone di casa dell’utente, verificando la possibilità di trovare un accordo che rinvii l’applicazione della sentenza. Infine, ricerca indirizzi di dormitori che possano ospitare l’utente in caso di esito negativo del tentativo di accordo con il padrone di casa.

    Questo estratto mostra chiaramente due aspetti: in primo luogo, l’assoluta urgenza e gravità della situazione, rispetto alla quale il professionista deve attivare subito più linee di intervento, stravolgendo le consuete dinamiche e sequenze di lavoro con l’utente. In secondo luogo, l’estratto evidenzia come il professionista si trovi ad avere che fare con un utente che, suo malgrado, ha delle aspettative eccessive nei confronti dei servizi sociali: in sostanza, l’utente (a fronte di una situazione disperata) chiede di risolvere un problema che sembra però aver ormai superato le possibilità di intervento. In questo caso, non si tratta di una situazione di non conformità della domanda, bensì di una sua presentazione tardiva: questo ritardo ha ridotto il tempo per ogni intervento, riducendo enormemente le possibilità di sostegno.

    4.2.3 Dalla rappresentazione narrativa alla rappresentazione documentativa

    Un passaggio fondamentale nel processo di costruzione dell’utente riguarda la predisposizione della documentazione che accompagnerà l’iter di elaborazione della richiesta avanzata dall’utente stesso. La documentazione può variare in base alla tipologia della richiesta dell’utente e serve ad attestare e qualificare la condizione dell’utente, rispetto alla quale verrà eventualmente stilato un intervento assistenziale (in rapporto alle risorse complessivamente disponibili e alle altre richieste pervenute). La documentazione si compone di elementi diversi, che possono riguardare:
    - la condizione socio-economica dell’utente, valutabile attraverso documenti come la certificazione ISEE [9], una copia dell’estratto conto bancario, eventuali debiti contratti (morosità nel pagamento di utenze, affitti, mutui ecc.) e ogni documento che possa illustrare i redditi (lavoro, pensione ecc.) di cui l’utente può usufruire;
    - la situazione lavorativa, attestabile con documenti quali il contratto di lavoro o eventuali lettere di licenziamento o di messa in cassa d’integrazione;
    - lo stato di salute, che si delinea con certificazioni di invalidità ed altre certificazioni mediche di vario genere;
    - la cittadinanza e la residenza nel Comune, che si possono ricavare dal certificato di residenza e, per gli utenti di provenienza extra-comunitaria, dal possesso del permesso di soggiorno.

    Questi documenti, nel loro insieme, non solo servono a “costruire” l’utente ma, per certi versi, divengano parte integrante del suo “caso”: essi costituiscono il materiale che andrà a dare consistenza alla cartella sociale dell’utente, che rappresenta il registro che accompagnerà l’utente nel suo percorso assistenziale. Il senso dell’utilizzo di questa documentazione è duplice: da un lato, essa serve a dare una rappresentazione “oggettiva” della situazione dell’utente, a certificarne (rispetto a una serie di parametri) il livello di gravità e la conseguente misura della necessità di un intervento; dall’altro, la documentazione diviene una traccia storica dell’evoluzione del rapporto tra utente e istituzioni, assumendo il valore di memoria formale del rapporto.

    Nell’ambito dei servizi di segretariato sociale esaminati, la documentazione assume un valore particolare. Se, da un lato, vi sono utenti che si presentano già al colloquio di segretariato con una serie di documenti, per dare un riscontro formale alle proprie richieste, d’altra parte la richiesta di predisporre una specifica documentazione (da esibire nei successivi colloqui) rappresenta simbolicamente l’avvio del processo di transizione dallo status di cittadino a quello di utente. Negli step successivi, la richiesta dell’utente (e quindi il suo “caso”) non saranno più supportati unicamente dalla sua narrazione, ma saranno affiancati dalla documentazione esibita, che riconfigurerà la condizione dell’utente e le specificità della sua condizione.

    Il percorso di costruzione di un utente si delinea pertanto come una traslazione, che parte da una rappresentazione narrativa per giungere a una rappresentazione più composita ed articolata. In questo passaggio interviene l’assistente sociale, che diviene co-autore di questa nuova rappresentazione: le sue osservazioni e valutazioni risultano infatti essenziali per la definizione della condizione dell’utente. Vi sono infatti molti elementi che solo l’assistente sociale può recepire e introdurre:
    a) quelle informazioni che esulano dalla documentazione formale: per esempio, gli eventuali redditi percepiti irregolarmente (“in nero”) da un individuo; si tratta di informazioni che, pur non potendo essere attestate ufficialmente, rientrano nella documentazione complessiva che descrive il caso dell’utente;
    b) le valutazioni professionali dell’assistente sociali, che orientano la sua presa di decisione e divengono essenziali per l’attuazione o meno di un intervento assistenziale.

    La rappresentazione documentativa non è quindi solo il frutto dell’aggregazione di attestazioni e certificazioni ufficiali; in essa, giocano un ruolo rilevante le annotazioni dell’assistente sociale, che contribuiscono a forgiare la nuova identità istituzionale del soggetto-utente.

    4.2.4 Prospettare limiti e difficoltà degli interventi

    Si è visto come uno dei passaggi principali che il processo di costruzione dell’utente implica è la ridefinizione delle aspettative dell’utente stesso, che vanno rese conformi sia alle competenze che alle possibilità dei servizi socio-assistenziali. Un aspetto complementare a questo passaggio è la comunicazione dei limiti degli interventi socio-assistenziali, nonché l’incertezza rispetto alla loro effettiva erogazione.

    Delineare i limiti degli interventi significa informare l’utente che una determinata prestazione assistenziale (i particolare nei casi di contributi economici) potrà fornire solo un aiuto parziale e provvisorio rispetto alla situazione dell’utente, il quale dovrà comunque cercare di provvedere (nei limiti delle proprie possibilità) a superare autonomamente le proprie difficoltà. Al tempo stesso, la prefigurazione di un intervento assistenziale, in sede di colloquio di segretariato sociale, non garantisce la sua erogazione: queste risorse, che sono sempre più scarse e diluite, vengono assegnate sulla base di graduatorie che privilegiano le situazioni più gravi. Il possesso dei requisiti per presentare una domanda di sussidio economico non garantisce pertanto la sua erogazione.

    Si tratta di presupposti essenziali nel lavoro professionale degli assistenti sociali. Il processo di costruzione di un utente non è, d’altra parte, solo l’avvio di un iter burocratico: utente e professionista stipulano una sorta di contratto che sancisce e definisce un progetto assistenziale, rispetto al quale l’utente si impegna a compiere un percorso e, parallelamente, l’istituzione (nella veste dell’assistente sociale) fornisce un supporto. Tale supporto deve risultare strumentale però al percorso dell’utente e non costituirne l’essenza. L’estratto 7 mette in luce una simile situazione.

    Estratto 7 – Segretariato sociale di Monte Bosco
    L’utente è una persona giovane, che chiede un contributo economico perché è attualmente disoccupata. Questa persona vive con la madre, che percepisce una pensione di anzianità che costituisce l’unico reddito del nucleo famigliare
    L’assistente sociale informa della possibilità di un intervento in termini di contributi economici, ma avvisa l’utente che si tratterebbe di una soluzione temporale e con un importo piuttosto basso, vista la sua condizione complessiva. Inoltre, comunica all’utente che l’assegnazione del contributo dipende dalla posizione che otterrà nella graduatoria, nella quale compariranno però delle persone che, sottolinea l’assistente sociale, hanno situazioni anche più gravi rispetto alla sua. Nel frattempo, l’assistente sociale invita l’utente a cercare più intensamente lavoro [fornendo il kit di informazioni standard sulla ricerca di lavoro].


    La costruzione dell’utente si conferma essere un processo di natura sociale. Lo status di utente è infatti un costrutto sociale, perché esso non attiene esclusivamente alle caratteristiche individuali di un cittadino, ma emerge in rapporto alle possibilità (e ai limiti) degli interventi assistenziali disponibili. Questa è, sotto altri punti di vista, una declinazione di quel principio di “universalismo selettivo” che è alla base della riforma quadro dei servizi socio-assistenziali, vale a dire la Legge 328/00: ad ogni cittadino viene riconosciuto il diritto all’accesso alle prestazioni socio-assistenziali, senza tuttavia che questo diritto si tramuti automaticamente in una garanzia di godimento delle stesse. Il diritto sociale delinea quindi la possibilità di divenire utenti, ma questo status si acquisisce al termine di una serie di passaggi selettivi. Da una prospettiva professionale, ciò significa inoltre che l’eventualità e la possibilità di divenire utenti dei servizi socio-assistenziali non deve trasfigurarsi in una situazione di dipendenza da questi.

    4.3 Il segretariato sociale come arena negoziale

    Il concetto di arena negoziale viene qui chiamato in causa per illustrare come l’accesso ai servizi sociali sia un processo che vede attivamente coinvolto l’utente: come evidenziano Prior e Barnes [2011], anche gli utenti possono d’altra parte esercitare una specifica agency nel rapportarsi ai servizi socio-assistenziali, già nella fase del primo contatto con le istituzioni e i professionisti che ne presidiano e regolamentano l’erogazione. Considerarli esclusivamente come meri destinatari di un servizio è quindi riduttivo e inappropriato.

    E’ dunque necessario evidenziare come un utente possa muoversi strategicamente sia nella ricerca di un intervento socio-assistenziale (qualora, oltre alle istituzioni pubbliche, esistano più potenziali fornitori, ciascuno con i relativi canali d’accesso), sia nelle dinamiche specifiche che governano l’accesso attraverso il segretariato sociale. La manifestazione delle capacità ed opzioni di agency degli utenti si può collocare pertanto su due livelli: da un lato, su un livello macro, considerando come il passaggio dal segretariato sociale sia uno delle diverse traiettorie che un individuo può seguire nella ricerca dell’aiuto che ritiene più adeguato (oppure per assommare più interventi); ciò porta pertanto a relativizzare il peso del segretariato sociale, adottando uno sguardo più ampio sulle risorse di welfare presenti in un territorio (considerando, per esempio, il ruolo di enti religiosi, soggetti del terzo settore, reti amicali ecc.). D’altro lato, si può rimanere su un’ottica più micro (che non è comunque alternativa alla precedente), per considerare quali strategie un individuo possa mettere in gioco per ottenere l’accesso a determinate prestazioni socio-assistenziali o, più semplicemente, per valutarne l’entità e le caratteristiche. Nel secondo caso, il contesto è circoscritto alla relazione che si sviluppa tra cittadino e professionista nell’ambito del colloquio di segretariato.

    La ricerca condotta ha permesso di individuare una serie di elementi concernenti la dimensione micro di questo processo, vale a dire quella che ruota attorno al colloquio di segretariato. Da essa è possibile trarre comunque una serie di indicazioni rispetto alla percezione che alcuni utenti hanno della collocazione del servizio di segretariato sociale, all’interno di un quadro più ampio di opzioni di costruzione del welfare socio-assistenziale. Gli spunti che in tal senso saranno messi in luce sono due: in primo luogo, l’analisi di dinamiche espressamente negoziali nella definizione di un intervento socio-assistenziale; in secondo luogo, l’esame del rifiuto (senza la definizione di soluzioni alternative) delle proposte di intervento prospettate dall’assistente sociale.

    4.3.1 La negoziazione dell’intervento, tra “carte scoperte” e “carte coperte”

    La narrazione che un utente offre della propria condizione (o, alternativamente, la narrazione fatta da un caregiver rispetto alla situazione di un terzo soggetto per il quale richiede un intervento) può presentare passaggi contraddittori, zone di chiaroscuro, omissioni e altri elementi che ne offuscano una rappresentazione coerente ed ostacolano una piena comprensione, da parte del professionista, delle esigenze dell’utente. Molto spesso, simili problematiche vengono ricondotte alla difficoltà dell’utente di individuare le proprie esigenze primarie, dando invece sfogo a un disagio confuso che il professionista deve interpretare e decodificare [Olivetti Manoukian, 1998]

    Accanto a questa evenienza, è possibile però sostenere che vi siano situazioni nelle quali gli utenti introducano consapevolmente e strumentalmente elementi di ambiguità nelle proprie narrazioni o, parimenti, forniscano rappresentazioni parziali e abbozzate. Questa strategia diviene l’asse portante di un processo di negoziazione del possibile intervento, che può avere diverse finalità. In primo luogo, un utente può volontariamente omettere alcune informazioni sulla propria condizione per timore che possano pregiudicare l’accesso ad un servizio; in secondo luogo, si può ipotizzare che un utente voglia fornire una rappresentazione parziale della propria condizione per “esplorare” i possibili interventi che il professionista può offrirgli, introducendo eventualmente nel corso del colloquio altre informazioni che consentano di tarare l’intervento o, in alternativa, di intraprendere ricerche in altri contesti. In altri termini, si può metaforicamente sostenere che l’utente scopra progressivamente le proprie “carte” durante il colloquio, a seconda di come il professionista reagisce alla sua narrazione. Una simile situazione si può riscontrare nell’estratto 8.

    Estratto 8 – Segretariato sociale di Monte Bosco
    L’utente che si reca al servizio è il figlio di una signora anziana, che sta iniziando ad accusare problemi di non autosufficienza e che, vivendo da sola, necessita di assistenza. L’utente illustra la condizione della madre e chiede all’assistente sociale quali interventi il Comune può offrire.
    L’assistente sociale esamina il caso e chiede all’utente se egli abbia già ipotizzato una soluzione. L’utente risponde negativamente e l’assistente sociale replica quindi che, nel lungo termine, la prospettiva che le sembra più funzionale è quella del ricovero in una RSA [Residenza Sanitaria Assistita]. L’utente risponde però che la madre è contraria a questa soluzione: hanno visitato una RSA e ha detto di non volerci andare, perché le sembra un “posto da vecchi”.
    L’utente chiede se ci siano soluzioni alternative e l’assistente sociale propone allora l’ipotesi del CDI [Centro Diurno Integrato], che può fornire un’assistenza nelle ore diurne. L’utente replica nuovamente che la madre è contraria anche a questa soluzione, sempre per la stessa ragione. L’assistente sociale domanda quindi all’utente quale tipo di intervento avesse in mente e l’utente chiede se è possibile ottenere un contributo per il pagamento di una badante.


    L’estratto 8 mostra un tipico caso di negoziazione tra utente e professionista. In questo caso, l’utente ha già in mente una richiesta precisa, ma non la avanza direttamente all’assistente sociale: la strategia che sembra mettere in scena ha una finalità esplorativa, perché egli sembra interessato principalmente a vagliare la gamma dei possibili interventi che l’assistente sociale può proporre. Solo quando si accerta che non vi siano soluzioni che lo aggradino o che non conosca, pone direttamente quella che sembrava essere la sua richiesta originaria. Il meccanismo è, metaforicamente, quello di una partita a carte, nella quale si osservano due giocatori che, mediante una serie di rilanci, svelano gradualmente le proprie carte. In questo caso, i ruoli sembrano rovesciati: a condurre la “partita” è l’utente che, quasi con una strategia maieutica, invita l’assistente sociale a svelare le proprie carte. In una situazione di questo genere, la negoziazione consiste dunque nell’esplorazione della gamma di interventi possibili, nell’auspicio di individuare quella che risulti conforme alle proprie aspettative.

    4.3.2 Il rifiuto come strategia di negoziazione

    Prior e Barnes [2010] rilevano come una delle opzioni di agency degli utenti di un servizio socio-assistenziale consiste nel rifiuto dell’intervento che viene loro proposto dalle istituzioni (così come è veicolato dai professionisti che le rappresentano). Questa ipotesi può essere, per altri versi, letta come una strategia di negoziazione dell’intervento e si può verificare anche in sede di colloquio di segretariato sociale. Essa denota come la dicotomia tra inclusione ed esclusione sociale, quali poli antitetici della relazione tra cittadini e istituzioni, assuma invece sfumature e declinazioni assai più plastiche. L’intervento socio-assistenziale è, infatti, un intervento di sostegno nella vita di un individuo o di una famiglia che, tuttavia, può comportare cambiamenti anche drastici nello stile di vita, nelle abitudini e nei comportamenti dei destinatari. Questi cambiamenti possono essere però osteggiati dagli stessi destinatari che, rifiutando l’intervento proposto, sollecitano nuove soluzioni.

    Il rifiuto di un intervento può essere anche la conseguenza dell’opposizione ad uno dei suoi presupposti. L’estratto 9 riporta una situazione emblematica da questo punto di vista, evidenziando come la mancata accettazione di quello che viene vissuto come un vincolo da parte dell’utente conduce la relazione tra l’utente stesso e l’operatore in un vicolo cieco, a causa dell’impossibilità di trovare sbocchi alternativi per l’avvio di un intervento assistenziale.

    Estratto 9 – Segretariato sociale di Castel Giallo
    Al servizio di segretariato sociale si presenta un cittadino straniero, che ha ricevuto un’ingiunzione di sfratto a causa dell’accumulo di una serie di morosità nel pagamento dell’affitto. L’assistente sociale afferma che l’utente potrebbe ricevere un sostegno economico da parte del Comune, ma deve prima cercare di bloccare lo sfratto. Al momento, l’unica soluzione che sembra praticabile è quella di cercare un accordo con il proprietario dell’appartamento. L’utente tuttavia si rifiuta di parlare con questa persona, asserendo di aver ricevuto l’ingiunzione di sfratto per non aver pagato l’affitto per due mesi perché disoccupato, dopo anni in cui ha pagato regolarmente.
    L’assistente sociale insiste nel sollecitare una mediazione che porti ad un accordo, ma l’utente si rifiuta ostinatamente di accettare di parlare con questa persona, dalla quale si sente tradito.


    Nell’estratto 9 la situazione, ancor che sbloccarsi, sembra avvolgersi a spirale. Peraltro, a detta dell’assistente sociale, l’utente avverte due problemi: da un lato, l’incombenza materiale dello sfratto, dall’altro quella che reputa una “ferita dell’orgoglio”, che rappresenta il principale freno ad ogni ipotesi di accordo negoziale con il proprietario dell’appartamento. Il rifiuto dell’utente è dunque legato alla sua opposizione rispetto a uno dei presupposti dell’intervento suggerito dall’assistente sociale, anziché alla contrarietà rispetto agli effetti che l’intervento potrebbe produrre. In questo caso, si tratta di una strategia di negoziazione dell’intervento che parte da un rifiuto assoluto dei presupposti dell’intervento. L’efficacia di una simile strategia di negoziazione è molto relativa, in quanto può rappresentare un veto insormontabile rispetto anche a possibili soluzioni alternative.

    5. Conclusioni

    L’accesso ai servizi assistenziali è un processo articolato e composito. Esso non può essere risolto nella semplice analisi della presenza di risorse in un territorio [Fasol, 2007] e delle loro opzioni di accesso. Sia dal lato dell’utente che in una prospettiva organizzativa e professionale, il senso dell’accesso assume una valenza soggettiva e quindi si presta a declinazioni e rappresentazioni mutevoli. Esso si esprime pertanto nella forma di una pratica situata, che vede due categorie di attori, collettivi e individuali, confrontarsi: da un lato, istituzioni, organizzazioni e professionisti che cooperano (non senza sovrapposizioni e/o contrapposizioni) nel processo di costruzione sociale dell’utente [Rosenthal e Peccei, 2006, Saraceno, 2004]; dall’altro, l’utente, che non si pone come mero target di un intervento assistenziale, ma interviene come soggetto attivo nella relazione con le suddette categorie di attori, mettendo in gioco diverse opzioni di agency nella definizione della propria posizione nel percorso relazionale [Prior e Barnes, 2011].

    Sulla base di tali premesse, l’obiettivo di questo articolo era quindi illustrare come il momento del primo contatto tra cittadini e istituzioni, spesso considerato una semplice anticamera dell’accesso ai servizi, oppure uno sportello informativo e di orientamento, risulti invece uno snodo essenziale non solo per l’erogazione fattiva di un intervento, ma per la (ri)definizione del ruolo sociale dei servizi stessi e delle loro finalità. In questo senso, il primo contatto, costruito attorno al servizio di segretariato sociale, assume connotazioni diverse:
    a) è un luogo di approdo, meta di traiettorie spesso confuse o rese incerte dalla complessità della configurazione della rete di offerta di servizi socio-assistenziali;
    b) è uno spazio di lavoro, nel quale ha luogo una parte consistente dell’articolato e complesso processo di trasformazione del cittadino in utente “qualificato” dei servizi sociali, ossia la cosiddetta costruzione sociale dell’utente;
    c) infine, è un’arena negoziale, nella quale i potenziali interventi non vengono semplicemente erogati, ma esplorati, discussi e vagliati, sia dagli utenti che dai professionisti.

    La lettura complessiva di queste prospettive analitiche consente di comprendere come le dinamiche di accesso non si risolvano quindi nel passaggio da una situazione di esclusione sociale verso un percorso di inclusione sociale, condotto con il supporto di enti, organizzazioni e professionisti. Gli stessi concetti di inclusione ed esclusione meritano in tal senso declinazioni più attente e plastiche [Reggio, 2005]: in sostanza, è necessario propendere per una dilatazione del valore semantico di questi costrutti e, parallelamente, favorire una diluizione dei loro confini, nell’ottica di una concezione più relativistica del ruolo che i servizi di welfare possono svolgere nell’equilibrio dei rapporti tra individui e società.

    Accanto a ciò, i dati emersi dalla ricerca consentono di trarre alcune indicazioni sulla metamorfosi che sta subendo il servizio di segretariato sociale, inteso come gateway per l’incontro tra domanda ed offerta di servizi sociali. Per molti versi, quello che si presenta come un luogo di primo contatto sta assumendo il ruolo di un “pronto soccorso sociale”. Questa è indubbiamente una conseguenza della grave crisi economica che sta affliggendo anche l’Italia e che produce un aumento, quantitativo e qualitativo, della domanda di servizi assistenziali. Durante l’indagine sul campo è emerso come il principale segnale di questa trasformazione sia l’aggravarsi dell’urgenza e della gravità delle problematiche degli utenti; la tipologia classica degli utenti dei servizi sociali sta cambiando e questo mutamento si può leggere, nuovamente, nel superamento della dicotomia tra esclusione ed inclusione sociale: ai soggetti che tradizionalmente si presentavano ai servizi sociali, classificabili in condizioni di grave esclusione sociale, si affiancano oggi soggetti che rischiano, a causa di eventi improvvisi (problematiche lavorative, famigliari, economiche ecc.), di ritrovarsi in condizioni di difficoltà che possono trasfigurarsi in situazioni di esclusione sociale. La “pressione” di questi utenti, spesso ben consapevoli della loro condizione e competenti rispetto al sistema dei servizi sociali, si nota soprattutto considerando il segretariato sociale come luogo d’approdo: in questo senso, si può parlare di questo servizio come di una nuova frontiera dell’emergenza sociale [Previdi e Rossi, 2011].

    Infine, è possibile svolgere alcune considerazioni sulla dimensione narrativa delle pratiche d’accesso, viste sia dal versante organizzativo e professionale che da quello degli utenti. Si è detto che l’uso della narrazione, sebbene costitutivo nel lavoro sociale, nel caso del segretariato sociale assuma un valore fortemente strumentale che, per molti versi, è proto-relazionale; in tal senso, si è parlato del primo contatto come uno spazio narrativo condensato, vale a dire di uno spazio che deve assolvere essenzialmente a una funzione informativa, più che come base relazionale del rapporto (che eventualmente si andrà a costruire) tra utente e professionista. Tuttavia, questo apparente deficit di relazionalità sul piano professionale mette in evidenza la rilevanza della dimensione narrativa per comprendere il significato che, in termini istituzionali ed organizzativi, può essere attribuito al “primo contatto”. Infatti, in questa fase di incontro, l’assenza di una relazione matura e “condizionante” tra operatore ed utente, consente di cogliere la prefigurazione che quest’ultimo si è fatto del servizio, delle sue aspettative e delle strategie che intende (con diversi gradi di consapevolezza ed intenzionalità) mettere in atto per chiedere ed ottenere un intervento. Quindi, descrivere, attraverso l’analisi narrativa delle interazioni tra utenti e professionisti, il segretariato sociale come luogo di approdo, spazio di trasformazione e arena negoziale permette di avere tre angolature diverse (e non corrispondenti alla semplice distinzione tra livelli istituzionali, organizzativi e professionali) per studiare la costruzione del rapporto tra cittadini e istituzioni: dal momento del primo contatto, sino all’elaborazione di percorsi assistenziali più strutturati e duraturi.

    Note

    1] L’espressione social workers può essere tradotta in italiano con “assistente sociale”. Tuttavia, essa fa riferimento, in termini più ampi, a tutti i professionisti che si occupano di servizi alla persona (tra i quali possiamo quindi anche includere educatori, operatori sociali, psicologi e altri esponenti di diverse categorie professionali impegnati nell’erogazione di servizi sociali.
    2] Il concetto di istituzionalizzazione può avere significati diversi. Nella letteratura del servizio sociale, esso richiama quelle strutture che, sulla stregua delle istituzioni totali descritte da Goffman, prevedevano l’allontanamento di un individuo dal proprio contesto di vita e la sua “costrizione” all’interno di specifiche strutture assistenziali. Qui si fa invece riferimento ad un’interpretazione che si fa rifà al concetto di istituzionalizzazione come processo di tipizzazione di eventi e azioni in un determinato contesto sociale [Berger e Luckmann, 1966].
    3] Questi si riferiscono, per esempio, ai casi di minori segnalati dall’Autorità Giudiziaria, oppure ai condannati ammessi a pene alternative alla detenzione.
    4] Si parla espressamente di “porta d’accesso” nel Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003 predisposto dal Governo Italiano nel 2001.
    5] La Legge 328/2000 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”) qualifica il servizio di segretariato sociale come livello essenziale di assistenza sociale che deve essere garantito uniformemente sul territorio nazionale (Art. 22, comma 4, lettera a).
    6] Occorre comunque ricordare che, in riferimento alla funzione informativa del segretariato sociale, qualunque cittadino che ne usufruisca è utente di tale servizio, a prescindere dall’esito del colloquio con l’assistente sociale.
    7] Si tratta della ricerca “Comunicazione organizzativa e professionalità nei servizi sociali: una ricerca etnografica dell’interazione tra enti, operatori ed utenti”, promossa dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano Bicocca.
    8] Per un approfondimento sulle caratteristiche dei tre Comuni, delle rispettive modalità organizzative dei servizi sociali e dei fattori che hanno inciso nella loro scelta si veda Rossi [2011].
    9] ISEE è acronimo di Indicatore di Scala Economica Equivalente. Si tratta di una certificazione che attesta le risorse economiche (includendo redditi e patrimoni mobiliari ed immobiliari) a disposizione del nucleo famigliare di un individuo.

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