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    Marco Pasini - Giorgio Maggi (sous la direction de)

    M@gm@ vol.7 n.2 Mai-Août 2009

    QUANTITÀ E QUALITÀ: DUE FACCE DI UNA STESSA MEDAGLIA



    Giovanna Gianturco

    giovanna.gianturco@uniroma1.it
    Ricercatrice presso il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dal 2001. Professore aggregato presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione di Politiche formative, Teorie del mutamento sociale, Sociologia della famiglia e delle istituzioni, e presso la Facoltà di Psicologia1 dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” dove insegna Fondamenti di Sociologia generale e dei processi culturali e Sociologia dei processi culturali e comunicativi. Membro del Collegio docenti del Dottorato in Teoria e ricerca sociale e Docente di Metodologia qualitativa nei Master ‘Immigrati e rifugiati’ e ‘Teoria e analisi qualitativa’. I suoi ambiti di interesse riguardano l’approccio qualitativo, la sociologia della religione, dello sport e della famiglia, i processi migratori, le dinamiche del mutamento sociale. Diverse le pubblicazioni uscite in ambito nazionale e internazionale, tra i volumi si ricordano: Per una sociologia del viaggio, Eucos, Roma 2003; Italiani in Tunisia: passato e presente di un'emigrazione, Guerini associati, Roma, 2004; L'intervista qualitativa, Guerini associati, Milano, 2005; Giovani oltre confine, Carocci, Roma, 2005.

    Premessa

    L’intera sociologia storicamente si connota come scienza del mutamento. Un mutamento che però poteva essere affrontato dall’alto, come necessità di conoscenza per il controllo sociale, o dal basso, in termini di comprensione del generarsi dei fenomeni a partire dalle relazioni intersoggettive. Questo è uno dei nodi che inizialmente si pone come spartiacque nella diatriba tra qualità e quantità. Negli Stati Uniti è forse con i social problems (problemi presenti diffusamente nella società statunitense, sia nella vita quotidiana sia sul piano più istituzionale) che diversi studiosi vengono spinti nella direzione di una ricerca dal basso. Saranno infatti i case studies, le indagini sulla povertà, sul vagabondaggio, sulla criminalità, sulla prostituzione e sulla tossicodipendenza ad affermare la necessità e la fertilità dell’uso di differenti procedere sul piano empirico: l’approccio qualitativo.

    In precedenza, il modello di ricerca empirica più utilizzato in sociologia era quello generalmente definito quantitativo. Un metodo che, sul modello delle scienze naturali, cercava di misurare i fenomeni sociali e verificare, il più razionalmente possibile, delle ipotesi, per arrivare a definire leggi scientifiche e tipologie. Lo stesso Le suicide (1897) di Émile Durkheim mostra l’uso del modello positivista descritto nel suo Les règles de la méthode sociologique (1895) [1].

    Va qui solo accennato il fatto che il connubio tra teoria e ricerca si pone come tratto distintivo della stessa disciplina sociologica ed è quello che la differenzia dalla madre e sorella filosofia. Prima di Durkheim, infatti, solo Frédèric Le Play, con il suo movimento “La Società di Economia Sociale” (1856), aveva effettuato un’enorme raccolta di monografie di famiglie (cfr. Études sociales, n. 131-132, 2000) che però ancora mostrava un taglio decisamente descrittivo e naturalistico. Un approccio alla realtà empirica che in quel periodo condizionò, tra gli altri, anche gli studi di Charles Booth sulla povertà raccolti nel suo Life and Labour of the People of London (1892-1897), dove l’analisi statistica era affiancata però dagli studi di caso (case studies). Le Play può quindi essere considerato un precursore della ricerca sul campo - oltre che per quanto scrive nella sua Méthode sociale (1879) - per il modo dettagliato con cui riporta quanto osservato e per le considerazioni che fa sul metodo [2]. Si è però ancora lontani, nel tempo ma anche nello spazio, dalla ricerca qualitativa.

    La querelle quantità/qualità ha segnato buona parte della storia del pensiero e, come si vedrà, ha visto confrontarsi alcuni dei “giganti” del pensiero sociologico. Come nota Stella Agnoli: “La distinzione radicale tra ricerca quantitativa e qualitativa ha teso sempre ad una rivendicazione di graduatoria, di relativa superiorità dell’una sull’altra” (Agnoli, 2004:72-73). È però vero che oggi tale contrapposizione è stata superata da un uso di strategie di ricerca congiunte (triangolazione metodologica) e che la polemica è scemata a favore di una ricerca maggiormente attenta all’utilità dell’uso di strategie anche diverse tra loro. Vedremo qui sinteticamente quali siano stati i passaggi caratterizzanti dello sviluppo dell’approccio qualitativo e come oggi non si possa più parlare di un’opposizione tra due schieramenti.

    Fondamenti storico-epistemologici dell’approccio qualitativo

    Con riguardo al livello epistemologico [3], questo tipo di ricerca affonda le sue radici “sull’altra sponda del Reno”; in una Germania dove, sulla spinta del Romanticismo, la tradizione filosofica inizia a rifiutare il cosiddetto “modello unico delle scienze della natura” (cfr. Pineau-Le Grand, 2003:57). È nell’alveo del dibattito interno allo storicismo tedesco - corrente filosofica in cui è centrale il rapporto con la storia - che Wilhelm Dilthey afferma, infatti, come le scienze della natura, che conoscono secondo la logica della spiegazione, non vadano confuse con le scienze dello spirito, fondate invece su un processo conoscitivo dipendente dalla comprensione. Questa distinzione si fonda sull’esteriorità o interiorità dell’oggetto da conoscere. Semplificando molto la questione: studiare un minerale non è la stessa cosa che studiare un proprio simile. Studiare gli individui implica, in altri termini, il fatto di sapere che essi sono esseri storicamente determinati, figli del loro tempo e del loro contesto spaziale e culturale. In ciò si coglie la rilevanza del contributo di Dilthey rispetto all’approccio qualitativo (Finger, 1984; Delory-Momberger, 2000). Egli, infatti, privilegia un approccio comprendente, capace di cogliere il significato dell’esperienza vissuta. Insieme a questo grande intellettuale, si rammenta che, in università prestigiose come Heidelberg o Berlino, il dibattito su questi temi coinvolge altri grandi intellettuali, referenti fondamentali della riflessione delle scienze umane e sociali e dello sviluppo dell’approccio qualitativo. Il riferimento, tra gli altri, è a G. Simmel [4] (1858-1918) e M. Weber [5] (1864-1920) o a psicologi fenomenologi, come K. Jaspers, o ancora a filosofi come W. Windelband (1848-1915) o H. Rickert (1867-1936) [6], i cui contributi sono stati ovviamente fondamentali nell’evolversi del più ampio pensiero sociologico.

    È in tale contesto che si formano alcuni pionieri non solo della cosiddetta Scuola di Chicago [7], ma anche della sociologia americana in generale; un ambiente accademico e intellettuale in cui emergono le prime grandi ricerche qualitative portate avanti, tra gli altri, da: Albion Small (1854-1926), R. E. Park (1864-1944) e W. I. Thomas [8] (1863-1947). A titolo informativo, si ricorda altresì che in questa università lavorarono anche John Dewey, che sviluppò le teorie di pragmatismo nell’educazione; e G. H. Mead (1863-1931), psicologo sociale che pose le basi dell’Interazionismo simbolico. Una corrente teorica che sottolinea la rilevanza anche dell’interpretazione personale della realtà [9] e il cui sistematizzatore sarà poi in sociologia H. Blumer, allievo di G. H. Mead, nonché figura rilevante dell’università di Chicago dove lavorerà dal 1927 al 1952. Uno studioso che contribuisce notevolmente al farsi della ricerca qualitativa, anche dal punto di vista teorico, grazie ad alcune definizioni come l’autoindicazione e i concetti sensibilizzanti [10]. Sul piano procedurale, sono note le sue raccomandazioni ai ricercatori che dovrebbero utilizzare un approccio meno standardizzato e soprattutto fare indagini su temi che li interessino da vicino. Va precisato che lo stile di ricerca qualitativo trova anche altri contesti di applicazione; uno per tutti l’esempio della ricerca Middletown dei coniugi Robert ed Helen Lynd, realizzata tra il 1924 e 1925 a Mencie, nell’Indiana.

    Eclissi e ripresa dell’indagine qualitativa

    Questa produzione di ricerche, eterogenea e per certi versi controversa - dove comincia a trovar spazio anche l’uso di tecniche “nuove”, a matrice giornalistica (si ricordi in questo senso il contributo in termini di “ispirazione” dei cosiddetti giornalisti di denuncia -i muckrakers) - viene però interrotta bruscamente. Dagli anni Quaranta ai primi anni Sessanta, infatti, si verifica in sociologia un’eclissi del qualitativo e si osserva la crescente tendenza a:

    quantificare i fatti sociali, a effettuare le inchieste mediante questionari e sondaggi. L’approccio biografico sembra votato a terminare la propria vita nella “spazzatura della storia” dei metodi. La Scuola di Columbia e il funzionalismo di Talcott Parsons prendono piede e appaiono attorniati da un’aura di scientificità in un universo economico e culturale, in cui i progressi tecnici utilizzano largamente la forma di pensiero matematico (Pineau - Le Grand, cit.:62).

    I finanziamenti vengono dunque spostati sulle cosiddette ricerche quantitative, quelle effettuate soprattutto con l’uso di questionari su grandi numeri e con risultati derivanti da elaborazioni statistiche. Si sceglie quindi di lavorare sempre più con strumenti come il questionario, in quanto molto più economico, in termini di impiego di risorse e di tempo, e al fine di ottenere risultati comparabili (principio della generalizzabilità dei risultati o inferenza). Si parlerà di un’egemonia assoluta di tale metodo per un lungo periodo, con il noto successo tanto nei sondaggi elettorali, quanto negli studi di mercato. L’uso della ricerca qualitativa si ritaglierà quindi spazi circoscritti soprattutto in campo antropologico ed etnografico.

    La sociologia qualitativa ricompare con una certa evidenza sul piano internazionale, in particolare negli Stati Uniti [11], tra la metà degli anni Sessanta e gli anni Settanta. La ripresa di questo approccio si gioca sia sul piano sociale che epistemologico. Da un lato, si ha l’accelerazione dei mutamenti che attraversano le società occidentali negli anni Sessanta, caratterizzati da una forte crescita economica e da un rapido passaggio da una società rurale a una urbana. Dall’altro, l’esigenza, connessa a tali mutamenti, di raccogliere “le parole di un’epoca trascorsa in un contesto di rapido cambiamento culturale, in cui la trasmissione orale di generazione in generazione viene fatta male o non avviene affatto” (ibid.:70). Questo anche in quanto sempre più vi è la consapevolezza che la storia “ufficiale”, quella scritta dagli storici, raramente concorda con la storia ricordata dalle persone, una storia della memoria [12]. Essa può sopravvivere nel tempo grazie allo sforzo che uomini e donne fanno per dare un senso alla vita di tutti i giorni e per “trovare un ordine nel caos”, cercando anche “di fornire soluzioni note a problemi ignoti” (cfr. Bauman, 1987: 3). C’è, quindi, un’esigenza epistemologica e insieme politica: abbandonare la storia delle élites e cominciare a conoscere meglio quei movimenti, venuti a maturazione nel ’68, che gli studi sociologici tradizionali non erano stati in grado di prevedere.

    Secondo Denzin e Lincoln (1994) è in questi anni che sociologi con una sensibilità militante ritrovano interesse negli approcci qualitativi che rompono con una certa “quantofrenia” [13]. È, quella degli anni Sessanta, un’epoca di grande creatività, nella quale appaiono una serie di testi attraverso cui si tenta anche di formalizzare il profilo tecnico e procedurale del metodo qualitativo (Cicourel, 1964; Glaser - Strauss, 1967; Filstead, 1970; Bogdan - Taylor, 1975; Lofland - Lofland, 1971; 1984).

    Una nuova generazione di ricercatori sociali si mette al lavoro e sviluppa differenti teorie interpretative, orientate nella prassi d’indagine da un approccio qualitativo. Verso la fine degli anni Settanta già si possono leggere le prime riviste scientifiche orientate allo scambio e alla presentazione di riflessioni e sulla ricerca qualitativa: Urban Life, Qualitative Sociology, Simbolic lnteraction e Studies in Simbolic lnteraction. Nello stesso periodo anche in Francia gli studi di Daniel Bertaux (già allievo di Ferrarotti negli U.S.A.) e le ricerche di Maurice Catani offrono nuovo impulso all’uso di tecniche qualitative nella ricerca sociale. Insieme, studiosi italiani, francesi e tedeschi curano molto la produzione scientifica con il ricorso a un approccio qualitativo; come pure promuovono incontri e convegni sul piano internazionale. Si apre così anche una nuova sezione della ISA (International Sociological Association), dedicata all’approccio qualitativo: è l’RC Biography and Society.

    In tempi più recenti

    A metà degli anni Ottanta si produce, però, un’enorme frattura, che ha il suo centro nell’ambito disciplinare dell’antropologia, ma che si rifletterà sull’intero universo della ricerca qualitativa. Tale crisi inizia con l’apparizione di testi come Anthropology as Cultural Critique (Fisher - Marcus, 1986), The Antropology of Experience (Bruner - Turner,1986), Writing Culture (Clifford - Marcus, 1986), Works and Lives (Geertz, 1988) e The Predicament of Culture (Clifford, 1988). Attraverso questi lavori, ma anche rispetto ai mutamenti intercorsi nello scenario internazionale, la ricerca si fa più riflessiva e si introducono problematiche relative a: genere, classe ed etnia. Concetti come quelli di validità, affidabilità e obiettività cominciano a entrare fortemente in crisi. Si potrebbe dire che i ricercatori sociali si trovano di fronte a una doppia crisi: di rappresentazione e di legittimazione. Inserita nel discorso relativo al post-strutturalismo e a quello della cosiddetta post-modernità, questa doppia crisi si categorizza in modi diversi, congiuntamente alle rivoluzioni interpretativo-linguistica e retorica della teoria sociale.

    Negli ultimi anni del secolo appena terminato si assiste a ciò che viene anche definito il quinto periodo della ricerca qualitativa. Essa appare ora come un campo sempre più interdisciplinare, transdisciplinare, post-disciplinare e, in molti casi, controdisciplinare. È multiparadigmatica sul piano teorico e coloro che la adottano sono sensibili al valore conoscitivo di un approccio plurimetodologico. (cfr. Ferrarotti, 1986: 164; Denzin - Lincoln,1994: 576). Lo stesso procedere della ricerca qualitativa è sempre più orientato all’uso di varie tecniche (sia nella fase di raccolta che di analisi dei materiali) e prevede, sul piano teorico-metodologico, un disegno della ricerca che può essere definito emergente (Erlandson et al., 1993). La ricerca, cioè, si definisce ed, eventualmente, si modifica nelle sue parti con il procedere della stessa indagine; del resto, già Park aveva messo in luce come la miglior metodologia per lo sviluppo di una ricerca empirica non poteva essere predefinita, ma dovesse sempre essere scelta sulla base del tipo di indagine che bisognava condurre (cfr. Matthews, 1977:19). Si abbandona dunque la fissità di schemi precostituiti e ci si cimenta con una realtà che, per quanto possa essere conosciuta in buona parte preventivamente alla discesa sul campo, supera quasi sempre le modellizzazioni e i quadri teorici di riferimento. Spesso, infatti, “Il sociologo che arriva sul campo con i suoi strumenti di rilevazione e con il suo sapere, è messo a dura prova nei suoi “oggetti” più cari: metodi, tecniche, routine produttive” (Tedeschi, 2005: 75).

    A chiusura di questo sintetico excursus sulle principali tappe storiche della ricerca qualitativa è interessante, sulla scorta di quanto elaborato da Denzin e Lincoln (1994), mettere in evidenza quattro passaggi che sintetizzano l’intero percorso e caratterizzano la più generale fase attuale:

    1. ogni momento storico precedente opera tuttavia nel presente, come eredità, ma anche come insieme di pratiche che i ricercatori o seguono a tutt’oggi o combattono;
    2. attualmente, la ricerca qualitativa si caratterizza per avere a disposizione enormi opportunità di scelte. Infatti, in nessun altro periodo storico il ricercatore qualitativo ha avuto a disposizione tanti paradigmi, tecniche e strumenti o strategie di analisi tra cui poter scegliere;
    3. ci si trova in un momento di scoperta e riscoperta che deve cimentarsi con nuove forme di vedere, interpretare, argomentare e scrivere;
    4. la ricerca qualitativa non può più essere guardata (e giudicata) da una prospettiva positivista, neutrale e oggettiva (cfr. ibid.:11).

    Muta infatti con sempre maggiore velocità il mondo sociale che costituisce l’oggetto di studio della sociologia. La classe, il genere, le dinamiche migratorie oggi più di ieri presenti nel mondo (soprattutto occidentale, ma non solo) ecc. configurano e definiscono sempre più le necessità interne al processo di ricerca, facendo dell’indagine stessa un processo inter o multiculturale [14].

    Due facce di una stessa medaglia

    È dunque anche a partire da queste esigenze che si arriva oggi al superamento di quella radicale opposizione accennata nella premessa al nostro discorso. Attualmente è infatti chiaro come vi sia “pari dignità e necessità di integrazione tra le due strategie di indagine nello sviluppo della conoscenza sociologica” (Agnoli, cit.:74), oltre al fatto che entrambi le strategie possono anche:

    convergere in relazione alle esigenze poste da uno stesso problema, in una stessa situazione di studio. Chiunque abbia alle spalle una lunga pratica di ricerca sociologica empirica sa quanto spesso il ricercatore si arresti […] di fronte a domande alle quali un disegno di ricerca elaborato rigorosamente sul tipico profilo quantitativo o su quello qualitativo non può dare una risposta pienamente soddisfacente, così da esigere l’integrazione di approcci, tecniche e strumenti (ivi).

    Tutto ciò mette in ulteriore luce la necessità di porre sempre un problema d’indagine empirica “entro un sistema dato di risorse” (ibid.:10).

    Tale posizione è altresì alla base della particolare rilevanza che la triangolazione metodologica ha assunto negli ultimi tempi. Una triangolazione che si articola su differenti piani: la data triangulation (differenti fonti di dati); la investigator triangulation (collaborazione di ricercatori che possano introdurre punti di vista diversi tra loro); la theory triangulation (approcci teorici diversi capaci di orientare e selezionare in più modi i materiali empirici, ma anche di interpretarli su più livelli); la methodological triangulation (nel senso della combinazione di diversi metodi e più tecniche - across-method) la multiple triangulation (uso integrato dei precedenti tipi di triangolazione) (cfr. Mingo in Cavallaro, 2006:450-456). Tra qualità e quantità esiste un continuum e qui si propende per il riconoscimento dell’esistenza di diversità e ricchezza all’interno di ciascuno di essi. Ciò presuppone anche, in parte, il rompere con l’immagine tradizionale in cui il ricercatore faceva uso di tecniche qualitative con propositi unicamente esplorativi o solamente descrittivi.

    Qualità e quantità si pongono oramai in termini di facce di una medesima medaglia: la ricerca e, con essa, una migliore conoscenza della nostra complessa società attuale.

    Note

    1] Si ricorda che Durkheim è il primo sociologo in senso proprio, vale a dire è il primo che si pone il problema di non riflettere solo teoricamente sulla società, ma di mettere insieme teoria e ricerca. La teoria riesce a connettersi con l’empiria (realtà sociale) grazie ai concetti operativi, gli unici dotati di senso nella disciplina sociologica. Essi sono concetti che vengono estrapolati dalla più ampia teoria (letteratura) sociologica e non (a volte è utile infatti un approccio interdisciplinare); e che vengono acclimatati dal ricercatore, ossia sono contestualizzati e calati nella realtà storica e socioculturale della ricerca. Vengono, in altre parole, modellati sulla realtà da conoscere e poi scomposti (operazionalizzati) per giungere ad essere elementi osservabili nella realtà empirica, cioè indicatori.
    2] Si reputa utile chiarire che lo stesso storico della sociologia Nisbet ritiene Les ouvriers européens (6 voll., Mame, Tours 1877-1879)di Le Play un’opera sociologica in senso pieno e, comunque, la prima in cui si fa uso dell’osservazione partecipante, (tecnica che qui si analizzerà più avanti) e di dati primari (creati dallo stesso ricercatore nel corso dell’indagine); sforzandosi prima dello stesso Durkheim di combinare osservazione empirica e generalizzazione delle osservazioni all’interno, quindi, di criteri propri di un approccio scientifico (cfr. Taylor - Bogdan, 1986; Crespi - Jedlowski - Rauty, 2000). La sua rilevanza teorico-metodologica è altresì documentata dall’impronta che l’istituto londinese intitolato a suo nome dette alla London School of Economics fondata da Sidney e Beatrice Webb nel 1895.
    3] L’epistemologia (in greco significa conoscenza perfetta, superiore) è il settore della gnoseologia (studio dei problemi della conoscenza generale) che si occupa della conoscenza scientifica.
    4] G. Simmel è il padre della corrente “formalista” (studio delle forme di sociazione; cioè, le varie forme che possono assumere le relazioni tra individui, fondate sulla reciprocità,) e, nel periodo in cui visse, le sue opere hanno costituito un riferimento per molti altri grandi sociologi (da É. Durkheim a M. Weber). Nel corso del Novecento la sua presenza è meno manifesta nella letteratura sociologica, ma va comunque segnalata l’influenza che egli ha avuto per il pensiero della Scuola di Chicago, soprattutto attraverso la mediazione di Albion Small e Robert Park. Simmel centra infatti la sua attenzione sull’interazione umana, aprendo così la strada, tra l’altro, a una sociologia attenta alla quotidianità e, al contempo, consapevole della rilevanza della teoria nella lettura dei fenomeni sociali (cfr. P. Jedlowski, Teorie delle forme dell’azione sociale, in Crespi - Jedlowski - Rauty, cit.: 151-159).
    5] La vastissima opera di M. Weber costituisce un pilastro del pensiero sociologico. Essa nutre infatti tutta la successiva produzione - teorica e metodologica - di questa disciplina. Ha influenzato tanto le correnti teoriche macrosociologiche (funzionalismo e conflittualismo), quanto quelle microsociologiche (interazionismo simbolico, fenomenologia, etnometodologia). I campi d’interesse in cui Weber si muove sono moltissimi: il potere, la religione, i processi di modernizzazione, ecc. . La sociologia è per lui la disciplina che studia, attraverso un processo di tipo interpretativo, l’agire sociale (un agire dotato di senso) degli individui e si propone di spiegarlo causalmente nel suo sviluppo e nei suoi effetti (per un sintetico ed esauriente quadro dell’opera di M. Weber si veda P. Jedlowski, ibid.: 166-188).
    6] Per un approfondimento relativo al dibattito sul metodo si vedano, tra gli altri: M. Mori - P. Rossi - M. Trinchero, Il problema della spiegazione sociologica, Loescher, Torino 1975; Ancona M. (a cura di), Sociologia. Materiali sui fondamenti e le questioni di metodo, Liguori, Napoli, 1983.
    7] Si ricorda che Chicago, tra l’altro, presentava un contesto sociale con estese fasce di immigrazione con un notevole grado di disorganizzazione sociale (social disorganization) che derivava anche dall’eterogeneità dei suoi abitanti (melting pot).
    8] W. Thomas con F. Znaniecki (1968) sono gli autori di Il contadino polacco in Europa e in America, notissima ricerca qualitativa svolta con un ampio uso di materiali biografici.
    9] G. H. Mead è certamente un riferimento dell’approccio qualitativo in quanto uno il “problema fondamentale [alla base della sua riflessione era] quello di individuare i presupposti necessari per l’esistenza della società intesa come comunicazione, linguaggio, resi possibili da comuni simboli significativi” (Izzo, 1991:258, testo tra parentesi quadre nostro). Tale prospettiva, infatti, sostiene l’utilità dell’approccio qualitativo e dell’uso di interviste ad esso collegate, attraverso le quali è possibile far emergere quanto il sociale sia presente nell’individuale. L’opera più nota di G. H. Mead è Mente, sé e società, Ed. Universitaria, Firenze, 1966 (ed. orig. 1934).
    10] L’autoindicazione è un processo attraverso cui il soggetto che compie un’azione si auto-orienta prima di compierla sulla base delle sue esperienze pregresse. I concetti sensibilizzanti non danno la possibilità a chi ne fa uso di passare direttamente all’esempio concreto e al suo contenuto rilevante, ma offrono invece un’idea generale e un riferimento di massima per affrontare i reali casi empirici; sono utili a suggerire delle direzioni lungo le quali cercare.
    11] Si pensi soprattutto all’opera di O. Lewis I figli di Sanchez, Mondadori, Milano, 1966 (ed. orig. 1961). In essa l’autore ci restituisce dall’interno la vita di una famiglia (padre e quattro figli) con l’intento di cogliere il divario tra la posizione del padre, operaio proletario, e i tentativi della nuova generazione per emergere da tale condizione. È la prima ricerca sviluppata con l’ausilio del registratore, ma è anche l’apertura verso studi sulla società moderna che, specie in antropologia, non costituiva ancora un oggetto di studio valido rispetto alle cosiddette società tradizionali.
    12] “Detto in modo piuttosto schematico, la memoria è la continuità del passato in un presente che dura. È precisamente in questa continuità che le immagini del passato sono costantemente ripensate, rimodellate e selezionate in base all’esigenza non della perfezione filologica, ma dell’adeguamento ai bisogni della quotidianità odierna” (Ferrarotti, 1987:14).
    13] La tendenza, cioè, ad accordare eccessiva validità ai soli dati espressi in numeri, dominante soprattutto negli U.S.A.
    14] Ci si riferisce, quindi, alla necessità sempre più urgente di una reale collaborazione tra discipline e tra differenti impostazioni metodologiche.

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