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M@gm@ vol.5 n.2 Janvier-Mars 2007
FRANCO FERRAROTTI: IL PENSIERO E L'OPERA
Francesca Colella
francesca.colella@uniroma1.it
Dottoranda in Teoria e ricerca
sociale presso l’Università degli studi di Roma «La Sapienza».
Ha conseguito il Master universitario in Teoria e analisi
qualitativa. Storie di vita, biografie e focus group per la
ricerca sociale, il lavoro, la memoria. Da due anni è tutor
per il Master universitario in Immigrati e rifugiati. Formazione,
comunicazione e integrazione sociale, dell’Università «La
Sapienza» di Roma.
Valentina Grassi
valentina.grassi@uniroma1.it
Dottoranda di ricerca in Sociologia
presso le Università La Sorbonne-Parigi 5 e «La Sapienza»
di Roma. Si occupa di metodologie dell’immaginario in sociologia
e di metodologie qualitative nella ricerca sociale. Ha coordinato
la segreteria didattica dei Master Teoria e analisi qualitativa.
Storie di vita, biografie e focus group per la ricerca sociale,
il lavoro, la memoria e Immigrati e rifugiati. Formazione,
comunicazione e integrazione sociale, dell’Università «La
Sapienza» di Roma.
Introduzione
[1]
In occasione degli ottant’anni del noto sociologo e scrittore
Franco Ferrarotti, l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
e l’Università di Roma Tre hanno organizzato un convegno dedicato
al suo pensiero e alle sue opere, nei giorni dal 6 all’8 aprile
2006. Le giornate si sono aperte la sera del 6 aprile con
un concerto d’organo di Federico del Sordo, alle 19 presso
la Basilica dei SS. XII Apostoli, per continuare poi il 7
aprile, alle 9, con il convegno presso il Centro Congressi
de “La Sapienza”, a via Salaria 113, e il pomeriggio, alle
15, presso la Facoltà di Scienze della Formazione a piazza
della Repubblica. Le giornate si sono così concluse, l’8 aprile
mattina, alle 9.30, nella sala Protomoteca del Campidoglio,
dove il Sindaco Walter Veltroni ha pubblicamente reso omaggio
a Ferrarotti per il suo prolungato e costante lavoro di ricerca
sulla città di Roma. Alla fine dei lavori l’intervento di
Ferrarotti, recitato in quella forma drammaturgica che lo
rende un comunicatore eccelso, ha concluso un evento denso
e ricco di riflessioni a proposito dei temi sui quali il maestro
dei sociologi italiani ha sempre aperto dibattiti pionieristici
in molti campi delle scienze sociali.
Importanti nomi delle scienze umane e sociali, italiani e
internazionali, hanno festeggiato con i loro interventi il
decano della sociologia italiana, vincitore del primo concorso
a cattedra di sociologia in Italia, nel 1960. Sono stati ospitati
a Roma sociologi, antropologi, storici di varie università
italiane ed estere, per discutere dei temi di cui Ferrarotti
si è nel tempo occupato, di volta in volta aprendo la strada
a dibattiti in un’Italia ancora “giovane” in queste discipline.
Si è parlato di capitalismo, lavoro e migrazioni, dell’approccio
qualitativo nelle scienze sociali, di memoria e vissuto sociale,
di istanze religiose e culturali, della città di Roma tra
realtà e immagine. A proposito degli interventi internazionali,
erano previsti contributi di Michel Maffesoli da Parigi, di
Richard Sennett da Londra e Piotr Sztompka da Cracovia, professori
e amici dello studioso che sempre ha creduto nel carattere
interdisciplinare e internazionale del dibattito intellettuale.
L’apertura internazionale di Ferrarotti affonda le radici
nelle sue numerose esperienze all’estero: ha studiato in varie
Università, da New York e Chicago a Parigi e Londra; per diventare
poi professore visitatore negli Stati Uniti, in America Latina,
in Africa, in Russia e in Giappone, paesi nei quali le sue
opere sono state tradotte. È stato Directeur d’Etudes alla
Maison des Sciences de l’Homme a Parigi, chairman dello Staff
Seminar della New School for Social Research di New York e
member della New York Academy of Science.
Nel quadro dei numerosi interessi del sociologo, sono significativi
gli studi sul capitalismo e sul lavoro, che ritroviamo ad
esempio nei lavori “Il dilemma dei sindacati americani”, del
1954, e “Il capitalismo”, edito dalla Newton Compton nel 2005.
Ha trattato anche le questioni del sacro, per esempio in “Il
paradosso del sacro”, del 1983, o in “Una teologia per atei”,
dello stesso anno. Al centro dei suoi studi, in una fase pionieristica
soprattutto in Italia, la questione della memoria e dell’approccio
qualitativo: un classico della disciplina è ormai il suo testo
“Storia e storie di vita”, del 1981. La città di Roma, inoltre,
è stata a fondo studiata da Ferrarotti e dalla sua équipe
di ricerca, di cui abbiamo testimonianza in “Roma da capitale
a periferia”, che esce nel 1970. Generazioni di studenti hanno
conosciuto e approfondito la sociologia grazie al suo “Trattato
di sociologia”, edito dalla Utet nel 1968. Sul fronte delle
riviste, ha fondato, insieme a Nicola Abbagnano, “I Quaderni
di Sociologia” nel 1951, e ha fondato e oggi dirige “La Critica
Sociologica” La vita di Ferrarotti attraversa, dagli anni
Sessanta in poi, la storia della sociologia italiana, a proposito
della quale l’autore ci ha detto: “La sociologia ha avuto
in Italia un gran successo che però non ha di per sé una gran
validità. L’oggetto non è propriamente la sociologia. È la
consapevole partecipazione dell’umano all’umano”.
Una vita intensa quella dello studioso, che oggi ha deciso
di raccontare in una serie di libri autobiografici, per la
casa editrice Guerini: l’ultimo, “Nelle fumose stanze”, è
stato presentato proprio in occasione del convegno per il
suo ottantesimo compleanno. Ferrarotti ci racconta in queste
pagine la stagione dell’esperienza politica in cui è stato
deputato indipendente per il “Movimento Comunità” di Adriano
Olivetti, tra il 1953 e il 1968. A proposito del testo l’autore
sostiene: “Ecco un libro che presenta un discorso sulla politica
non puramente teorico ma come esperienza vissuta”; pagine
in cui racconta e si racconta, presentandoci un’esperienza
coinvolgente, esperienza che è stata poi abbandonata per dedicarsi
pienamente al lavoro intellettuale.
1. Franco Ferrarotti: precursore e pioniere della
sociologia in Italia
La prima giornata, quella del 7 Aprile, viene aperta dai saluti
delle autorità accademiche: il prof. Morcellini, Preside della
Facoltà di Scienze della Comunicazione, legge una lettera
inviata dal Presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi,
nella quale il Presidente esprime il suo più vivo ringraziamento
per l’opera che questo illustre accademico ha portato avanti
negli anni. Ricorda di aver insignito Franco Ferrarotti con
la più alta onorificenza della Repubblica e rileva quanto
il suo lavoro sia stato importante, in relazione soprattutto
all’apertura di una via italiana alla sociologia, intesa ad
interpretare, in un’ottica progettuale, le profonde trasformazioni
e i cambiamenti della società.
Mario Morcellini ricorda che Ferrarotti, all’interno del dibattito
intellettuale italiano degli anni ‘50, fu tra i primi a proporre,
non solo a livello accademico, uno sguardo sociologico sul
mondo, laddove la cultura dominante era di monopolio crociano.
Franco Ferrarotti è un intellettuale molto particolare e certamente
riveste il ruolo di caposcuola a tutti gli effetti. Ricorda
anche che Ferrarotti è stato tra i primi a proporre vie di
uscita dai vincoli dicotomici dei dibattiti crociani-marxisti,
così come è stato tra i primi a parlare di una sociologia
qualitativa che fosse in grado di demistificare il mito delle
statistiche univoche e delle verità ideologiche. E’ caposcuola
anche perché è stato in grado di portare la ricerca fuori
dalle accademie, nelle periferie romane, nelle comunità immigrate,
nei luoghi delle sottoculture giovanili e nelle comunità religiose.
Il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Roma,
il professor Renato Guarini, rende omaggio a Franco Ferrarotti
a nome proprio e dell’Università “La Sapienza” definendolo
come precursore e pioniere della sociologia, come maestro
di tutti in ambito universitario, e sottolineando come Ferrarotti
rappresenti nel mondo la ricerca e la sociologia italiana.
E’ inoltre un punto di riferimento per tutti coloro che si
cimentano con il metodo qualitativo nelle scienze sociali.
Il Rettore ricorda che nella vita di Ferrarotti c’è stata
anche la passione politica nella forma più alta, e cioè quella
dell’adesione ad un progetto di sviluppo basato sull’integrità
delle persone, sul rispetto delle culture locali e dell’ambiente.
Seguendo il filo conduttore nella vastissima produzione di
Ferrarotti, Guarini ripercorre le tematiche salienti, come
la memoria, le storia di vita, la biografia e chiude il suo
intervento sottolineando che Ferrarotti ha ancora molto da
dirci e da insegnarci.
Luciano Benadusi, Preside della Facoltà di Sociologia, sottolinea
la capacità dell’emerito professore di aggiornare la sua riflessione
di fronte al costante cambiamento della società, ringraziandolo
sentitamente e ricordando che tutti gli devono molto. Luigi
Frudà, Direttore del Dipartimento di Sociologia e Comunicazione,
inizia la sua riflessione facendo cenno alla gratitudine per
la possibilità di operare assieme a Ferrarotti, sul piano
scientifico, professionale ma anche umano. Sottolinea la splendida
opera da lui compiuta, al cui interno c’è una straordinaria
lezione metodologica, nella quale la sociologia è individuata
come scienza critica: la frase cardine è la “sociologia problematicamente
orientata”, impresa dove teoria e ricerca collaborano assieme
con una tensione problematica sottostante. Inoltre, la passione
straordinaria con cui Ferrarotti ha sempre lavorato accompagna
la “giovinezza scientifica” di cui Frudà spera un giorno di
conoscere la formula.
Katia Scannavini legge una lettera giunta dai colleghi americani,
nella quale Dory McCarty, a nome di tutti, evidenzia quanto
fondamentale sia per il percorso scientifico di tutti gli
studiosi il contributo di Ferrarotti.
Piotr Sztompka, Presidente ISA (International Sociological
Association), a nome di tutta la comunità di cui Ferrarotti
è membro, interviene cercando di scoprire quali siano i segreti
che rendono il professore tanto speciale. Certamente, secondo
Sztompka, la capacità di ricoprire più ruoli nel corso del
proprio percorso professionale rappresenta una chiave di successo.
Ferrarotti ha, infatti, avuto numerosi ruoli sociali e non
solo è riuscito ad armonizzarli, ma ha anche raggiunto l’eccellenza.
I ruoli assunti da uno studioso sono classificabili attraverso
il pubblico che ascolta: i primi referenti sono gli studiosi
della comunità scientifica, la gente e gli studenti. La collaborazione
con gli altri studiosi è fondamentale per la costruzione della
scienza come impresa collettiva.
2. Capitalismo, lavoro e migrazioni
Alle ore 10 circa apre la prima sessione mattutina, quella
dedicata al “Capitalismo, lavoro e migrazioni”, presieduta
da Enzo Mingione, Preside della Facoltà di Sociologia dell’Università
degli Studi di Milano-Bicocca, il quale ricorda le ore trascorse
con Franco Ferrarotti, maestro italiano sempre generoso e
in grado di donare il proprio tempo, dal quale spera di aver
imparato ad essere generoso a sua volta.
La relazione di Enrico Pugliese, Direttore dell’IRPPS-CNR
e ordinario di Sociologia del Lavoro presso l’Università Federico
II di Napoli, individua un “filo rosso” all’interno del vastissimo
lavoro di Ferrarotti, che è quello riguardante il tema del
lavoro e a tutte le aree tematiche ad esso connesse: dalle
classi sociali alla povertà, dal welfare state e alle politiche
sociali, fino ai movimenti migratori. L’attenzione al lavoro,
agli operai, alle loro condizioni materiali, ai loro valori
e alle loro culture nei diversi contesti storici e geografici
(nazionali), ma anche alle diverse forme di organizzazione
del lavoro con le sue costanti trasformazioni sono un tema
centrale per Ferrarotti. Inoltre il professore dedica ampio
spazio al sindacato e al suo ruolo nel Trattato della UTET
[2]. Ferrarotti, dice Pugliese,
riconosce alla Sociologia del lavoro l’aver realizzato una
serie di “acquisizioni parziali” ma sottolinea come ai suoi
rappresentanti, presi da “furore descrittivo”, sia venuto
meno il gusto dei problemi di fondo. E ora, a trent’anni da
quel commento e dando un giudizio conclusivo su quel filone
di ricerche, scrive “La sociologia del lavoro ha perso il
passo. Appare disorientata. Diffusa ormai in tutto il mondo,
ha la coscienza inquieta, ammesso che ne abbia una. Nel corso
degli ultimi anni cinquant’anni si è preoccupata, lodevolmente
del resto del lavoro. Naturalmente: è il suo oggetto. Ha temuto
di perderlo. Lo ha descritto nella sua evoluzione. Lo ha interpretato
nelle sue varie fasi. Si è preoccupata dei datori di lavoro,
che dovevano essere inventivi e dinamici per dare, appunto,
lavoro e per tenere le ruote del sistema in movimento. Non
sembra essersi accorta di una strana metamorfosi: che i datori
di lavoro si sono trasformati in datori di precarietà” [3].
Pugliese chiude il suo intervento ricordando come Ferrarotti
abbia insegnato a guardare ai grandi movimenti e alle nuove
tendenze di rilievo nella società per farle oggetto di ricerca
critica. Questo intreccio tra curiosità scientifica, approccio
critico e impegno civile si registra sistematicamente in tutti
i suoi studi su capitalismo, lavoro e migrazioni.
A seguire interviene Giuseppe Bonazzi, professore ordinario
presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli
Studi di Torino, il quale apre la sua relazione con una riflessione:
lui non è stato allievo di Ferrarotti, per motivi anagrafici,
e si considera quindi autodidatta. Potrebbe descrivere la
figura di Ferrarotti come un fratello maggiore, ma anche questa
figura non lo soddisfa, poiché “un fratello maggiore lo vedi
di spalle e il rapporto con lui può essere conflittuale: Ferrarotti
può essere invece un giovane zio”. Per Bonazzi, forse, il
riferimento più adatto può essere quello di Lévi-Strauss quando
descrive il ruolo dello zio nelle popolazioni primitive come
“una figura istituzionale e giocosa ma anche di aiuto e benevola
nei confronti dei nipoti, nei loro riti di passaggio all’età
adulta”. Bonazzi sottolinea che Ferrarotti è stato quindi
una figura importante e racconta del loro primo incontro nel
quale da un lato sentiva già il fascino della critica marxista
e dall’altro il riferimento empirico, non ideologico, alla
realtà da studiare. Bonazzi confessa che la sua scelta di
studiare la fabbrica, come luogo d’indagine dove c’è una permanente
dialettica tra controllo normativo e l’iniziativa del singolo,
tra il conflitto e la cooperazione, tra le regole che presiedono
alla sua organizzazione interna e le inevitabili aperture
verso l’esterno, è stata fortemente ispirata da Ferrarotti.
Chiude il suo intervento paragonando il rapporto con Ferrarotti
ad un fiume carsico che emerge e che poi s’inabissa, per poi
emergere di nuovo. Commosso, spera che questo fiume carsico
possa emergere ancora una volta prima di finire nell’oceano.
Guido Carandini, economista e saggista, già professore all’Università
di Macerata, dedica il suo intervento alle trasformazioni
strutturali avvenute relativamente al lavoro: “la macchina
è divenuta il vero operaio e l’uomo il suo assistente; conseguentemente
si è avuta una svalutazione della classe operaia come agente
sociale, così come ha subito un ridimensionamento anche il
ruolo dei sindacati e dei partiti. La protesta dei giovani
di oggi contro il lavoro precario si scontra con la logica
del sistema capitalista odierno che rende precario tutto:
l’operaio come la macchina”. Questo è il problema per Carandini:
il capitalismo non è superabile, rimarrà, poiché le stesse
lotte operaie hanno aiutato il capitalismo a trasformarsi.
In una cultura ossessionata dal progresso tecnologico, Carandini
denuncia che non si parla più di antagonismi e c’è un abbassamento
della soglia di attenzione sociale vero i problemi della società.
“Lo sviluppo del capitalismo è una questione troppo importante
per lasciarla solamente ad una disciplina”. Queste parole
di Franco Ferrarotti vengono ricordate da Luigi Perrone, ordinario
di Sociologia delle migrazioni e delle culture all’Università
di Lecce. Per Perrone, questa visione disciplinare va oltre
i confini della disciplina stessa. Ferrarotti, assieme al
suo gruppo, per primo compie studi attraverso un approccio
interdisciplinare, percorrendo contestualmente il lavoro e
il fenomeno migratorio. Il capitalismo, infatti, non ha bisogno
più di masse di lavoratori. In una società in cui non esistono
più barriere che tengano in relazione alla fame, e la fame
è più forte della paura, si parla di effetto spinta. Le migrazioni
oggi si trovano quindi dinanzi allo strapotere del capitalismo
e ai suoi mutati bisogni.
3. Approccio qualitativo, memoria, vissuto sociale
Ariel Del Val, sociologo dell’Universidad Complutense de Madrid,
è presidente della sessione della seconda parte della mattinata,
dedicata all’approccio qualitativo, introduce il tema che
entra invece nel vivo con la lunga e complessa relazione di
Giovanna Gianturco, dell’Università “La Sapienza”, la quale
si propone di riassumere uno dei cardini del pensiero di Franco
Ferrarotti: il compito è oltremodo arduo, sia sul piano della
ricostruzione bibliografica che sul piano ermeneutico. La
produzione è amplissima e il tema dell’approccio biografico
nella ricerca sociale taglia trasversalmente gran parte dei
suoi scritti. Le riflessioni di Ferrarotti sulla metodologia
qualitativa si collocano in un dibattito internazionale evidentemente
difficile da ricostruire e in sede di relazione la Gianturco
segue il filo rosso di quella che lui stesso ha definito una
“trilogia ideale”: “Storia e storie di vita” (1981), “La storia
e il quotidiano” (1986) e il “Ricordo e la temporalità” (1987)
alla quale si aggiunge “La sociologia alla riscoperta della
qualità” (1989), dove egli torna su temi fondamentali come
la fondazione dell’approccio biografico e delle storie di
vita. Franco Ferrarotti ha molto lavorato sul piano empirico
ma è stato uno dei pochi che si è preoccupato di rafforzare
l’impianto teorico-epistemologico dell’approccio qualitativo.
La sociologia di Ferrarotti non è sociografica, ma è una sociologia
come scienza dell’interconnessione del sociale, scienza di
auto-ascolto di una società intesa quale risultanza dell’interazione
tra attori e circostanze sociali. Un sociale dunque attingibile
attraverso non solo categorie, modelli e schemi rigidamente
pre-elaborati e usati in forme intercambiabili, quanto comprensibile
a partire dalla rilevanza accordata allo studio dei fenomeni
sociali, delle azioni, delle norme, dei valori, dando ampio
spazio al punto di vista e alla prospettiva di chi viene studiato.
“Le persone non possono essere usate strumentalmente senza
correre il rischio di oggettualizzarle, ossia negarle come
persone”. Da sempre Ferrarotti è convinto che la teoria sociologia
debba essere ricerca integrata, scienza del vivente e del
presente, capace di coniugare le esigenze di validità empirica
e il tentativo di una sistematica teoria.
A seguire, lo storico Franco Pitocco esordisce dicendo di
dover a Franco Ferrarotti un pezzetto della propria vita intellettuale,
tornando alla metafora dei fratelli, in quella che è chiamata
comunità scientifica. Nell’università esistono dei rapporti
generazionali diversi e a volte quello che è il fratello maggiore
non ha consapevolezza di avere un fratello minore, mentre
un fratello minore sa di avere un punto di riferimento preciso.
Claudio Bondì, regista e saggista, racconta che nel 1963 biennalizzò
l’esame di Sociologia, conoscendo il professor Ferrarotti:
per lui rimarrà sempre il Professore. Sempre poi, negli anni,
Ferrarotti è stato presente nel suo lavoro. È sempre stato
un punto di riferimento. Ricorda i due lavori audiovisivi
che raccontano la biografia del professore, dei quali ha curato
la regia: manca però una terza parte che spera di realizzare
in un prossimo futuro. E’ un uomo che rispetta le idee degli
altri, ma anche le sue. E’ stato fondamentale per la comprensione
del valore della “storia minore”, indispensabile per raccontare
la grande storia. Daniele Conversi, sociologo della London
School of Economics and Political Sciences, rivolge il proprio
intervento principalmente al lavoro “La tentazione dell’oblio”
e al tema della memoria e della comunità, affrontate sempre
da Ferrarotti rifiutando la logica del conformismo, essenziale
per la cultura italiana. Olivetti, in questo, è stata una
figura importante per Ferrarotti, con la sua sensibilità nel
carpire che qualcosa stava effettivamente cambiando.
All’interno dell’infinità dei temi trattati dal prof. Ferrarotti,
Antonio Cavicchia Scalamonti affronta il tema della morte,
ricordando il suo libro di quasi due anni fa dal titolo “Vietato
morire”. Affronta quindi il tabù del XXI secolo, esercitando
tutta la sua capacità sociologica e antropologica, facendo
anche una meditazione sulla morte, cosa che non si fa solitamente
in questi tempi. Facendo riferimento a modelli passati riflette
come un filosofo, uno storico, un saggio greco. “Nel momento
in cui, con l’avvento della società industriale, la morte
ha smarrito il suo significato religioso e la categoria di
passaggio, essa ha perduto anche il suo significato”. Si sostituisce
il termine morte con altre parole. Noi non riusciamo a pensare
alla morte e la vera sfida della contemporaneità è il tentativo
di produrre un significato che comprenda o la inserisca in
una sorta di universo simbolico a noi adatto. Inmaculada Serra
Yoldi, sociologa dell’Università di Valencia, si definisce
allieva del prof. Ferrarotti, del quale ha sempre ammirato
la spontaneità e la vitalità. Venendo dalla Spagna, paese
in cui “è amata l’anarchia”, la professoressa ha sempre ammirato
anche la semplicità con cui Ferrarotti si muove all’interno
del mondo accademico, sempre gerarchico e formale.
4. Istanze religiose e culturali
Per la sessione pomeridiana della prima giornata, il convegno
viene ospitato dall’Università di Roma Tre, in particolare
dalla Facoltà di Scienze della Formazione. Ad aprire i lavori
è il presidente di sessione, Vittorio Cotesta, il quale definisce
Franco Ferrarotti “di un’intelligenza graffiante, ironica”
e fa cenno ad un sentimento di umana comprensione che lo ha
sempre caratterizzato. A seguire Roberto Cipriani, Presidente
dell’AIS e Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione,
legge una lettera scritta da Francesco Susi, Preside della
Facoltà di Scienze della Formazione, il quale si rammarica
di non poter essere presente per impegni presi in precedenza
ma tiene a sottolineare l’importanza dell’opera del prof.
Franco Ferrarotti a partire dal secondo dopoguerra per la
diffusione del pensiero sociologico in Italia. Roberto Cipriani
inizia quindi la sua relazione ricordando l’importanza del
luogo in cui si svolge questa sessione: un’aula emblematica
che ricorda gli inizi della Sociologia in Italia dopo la seconda
guerra mondiale. Da quell’aula molte strade sono partite.
Cipriani sottolinea di essere allievo di Ferrarotti e di non
dovere a lui molto ma bensì tutto. La relazione è volta alla
ricostruzione storica del percorso della sociologia in Italia:
partendo dal lontano 1874, anno in cui fu assegnato a Giuseppe
Carle, vichiano, il primo insegnamento di Sociologia a Torino;
successivamente, nel 1878-79 a Bologna ricorda l’insegnamento
di Sociologia teoretica di Pietro Siciliani, spenceriano.
Per quanto riguarda gli anni a seguire, nel 1898 ad Enrico
De Marinis venne affidata la cattedra di Sociologia a Napoli.
Casi che si contavano sulle dita di una mano. Un evento importante,
ricordato da Cipriani con molta enfasi, è la nascita della
Rivista Italiana di Sociologia, nel 1894 prima e rifondata
diversamente poi tre anni dopo. Tutto ciò per raccontare come
la Sociologia un tempo fosse solo un “rigagnolo” ma che dal
1874 in poi è cresciuta sempre più, con balzi enormi in alcuni
periodi particolari. Oggi, in Italia, con una stima per difetto,
si contano circa 1500 sociologi e di questo deve essere certamente
ringraziato Franco Ferrarotti.
Michel Maffesoli, a cui impegni inderogabili hanno impedito
di essere presente, invia una relazione, letta da Valentina
Grassi, a proposito della nozione di “chiesa invisibile”.
Sarebbe questo un punto importante dell’opera di Ferrarotti,
che riguarda quella “religiosità di base” a fondamento della
socialità dei gruppi. Questo spirito religioso fa sì che si
costituiscano, all’interno delle istituzioni ufficiali, vere
e proprie “società segrete”, dove il legame sociale si consolida
a partire da ciò che permette a ciascuno di essere se stesso,
a partire da una relazione effettivamente esistenziale con
l’altro. Le relazioni tra gli uomini sono sempre state fondate
su questa “chiesa invisibile” che, secondo Maffesoli, è stata
in qualche modo annunciata nel pensiero di alcuni autori classici
quali Schelling, Hegel, Hölderlin, Durkheim e Simmel. È questa
la “deità” secondo Maffesoli: il piacere di stare insieme
senza un progetto predeterminato, il piacere ludico della
vita in comune. È in questa linea che Ferrarotti parla del
“paradosso del sacro”, di un sacro come costante antropologica
al di là delle diverse forme di religione. Si tratta di ciò
che in diverse occasioni il sociologo francese ha chiamato
“centralità sotterranea”, dimensione che integra aspetti onirici,
immaginari, ludici, immateriali della mondanità, e che si
oppone alla dimensione positiva di un sociale visto come puramente
razionale. Proprio all’interno di comunità “ritrovate”, seguendo
il pensiero di Ferrarotti, il bisogno di sacro s’impone come
esigenza di significati che si configurano al di sopra dell’individuo
e della stessa individualità. Leggendo la produzione di Ferrarotti
sul sacro, è così che Maffesoli intende i mutamenti di cui
il postmoderno sarebbe intessuto: dalla “centralità sotterranea”
alla “socialità in nero”, sono queste tutte sfide che le metodologie
tradizionali della ricerca sociale è oggi chiamata ad affrontare.
Alberto Abruzzese si sofferma, nella sua relazione, sul rapporto
che Ferrarotti ha con il libro. Sarebbe questa una costante
della produzione dell’autore, che si ritrova nel testo “Leggere,
leggersi”. Attraversando la storia della formazione di un
intellettuale come Ferrarotti, e le differenze con la propria
formazione, Abruzzese sottolinea come essa abbia influito
sull’amore che il sociologo ha per la cultura del libro, che
non gli ha impedito però di mantenere con esso anche un rapporto
di tipo “sensoriale”, e non solo mentale. Un altro aspetto
che il relatore sottolinea come interessante nel pensiero
di Ferrarotti, e dichiara di condividere, è il disincanto
che egli mostrerebbe nei confronti delle istituzioni e della
composizione delle classi dirigenti. Rimane tuttavia pur sempre
legato, nelle parole di Abruzzese, ai destini di una nazione,
alla tradizione di un mondo intellettuale in cui da sempre
avrebbe vissuto.
Luigi Berzano, sociologo dell’Università di Torino, ricorda
il periodo delle contestazioni studentesche, durante il quale
Ferrarotti teneva delle lezioni che erano in tutto dei veri
e propri happening culturali. Franco Ferrarotti accettò tesi
di laurea che nessun altro professore osava: quelle concernenti
le lotte dei baraccati dell’Acquedotto Felice, delle occupazioni
e delle contestazioni. Nei suoi studi e nelle sue ricerche,
il rapporto tra razionalità ed esperienza esistenziale è fondamentale,
laddove l’attore sociale era semplicemente percepito come
un campo esclusivo della razionalità.
Al rapporto con la filosofia è invece dedicato l’intervento
di Giuliano Campioni, filosofo dell’Università di Pisa, il
quale ricorda un incontro fondamentale per il prof. Ferrarotti:
quello con Abbagnano. Ferrarotti con queste parole descrive
quell’incontro: “L’ho incontrato per caso, ma forse il caso
è l’atto di un Dio che si vergogna della sua bontà”.
L’intervento di Federico Del Sordo, dal titolo “La critica
sociale passa anche attraverso la musica. Franco Ferrarotti
e lo spirito delle nuove comunità”, si concentra sul pensiero
socio-musicologico del sociologo. La musica è uno dei temi
praticamente ignorati dal pensiero sociologico, tuttavia le
riflessioni di M. Weber e T. Adorno, come quella di P. Sorokin,
hanno aperto la strada a studi interessanti. È difficile per
la musica emanciparsi da una visione storico-estetica, tuttavia
lo sviluppo della comunicazione di massa ha fatto sì che siano
stati elaborati apparati concettuali sociologicamente fondati.
La componente sonica rimane ancora sostanzialmente trascurata,
mentre l’attenzione è concentrata sull’extra-musicale. Di
Franco Ferrarotti si ricordano due opere importanti rispetto
al tema della musica: “Homo sentiens. Giovani e musica. La
rinascita della comunità dallo spirito della nuova musica
e Rock, rap e l’immortalità dell’anima”, nelle quali, secondo
Del Sordo, l’autore mostra un pensiero indipendente, ritrovando
il concetto di comunità dietro il tema della musica. In tali
opere, Ferrarotti analizza le “nuove musiche” e il mancato
appuntamento della musica con il mercato; i luoghi della neotribalizzazione,
la forza della musica di creare comunità. L’homo sentiens
è un uomo che non legge, ma non va condannato, ma compreso
in senso sociologico. In “Rock, rap e l’immortalità dell’anima”
emerge l’indebolimento della soggettività, in un modo di fare
musica che va oltre la musica stessa. Per Ferrarotti rimane
una questione aperta, con la quale si conclude anche l’intervento
di Del Sordo: è sufficiente riprodurre il linguaggio della
strada per superarlo?
L’intervento di Massimo Introvigne si apre con una notazione
curiosa: il maestro di Ferrarotti, il filosofo Nicola Abbagnano,
è stato uno dei condomini di Introvigne stesso a Torino. Egli
ha avuto quindi non una conoscenza filosofica dell’autore,
ma umana. Ha poi scoperto Ferrarotti alla fine degli anni
’70, dal momento che si occupava anche dei temi di cui Introvigne
si stava interessando. Due opere vengono ricordate: “Studi
sulla produzione sociale del sacro” e il testo di un’allieva
di Ferrarotti, Maria Immacolata Macioti, “Teoria e tecnica
della pace interiore. Saggio sulla Meditazione Trascendentale”.
Lo studio di Ferrarotti si soffermava sulle forme periferiche,
marginali, ma non meno importanti, della religione: gli accadimenti
più importanti, dice Introvigne, succedono tutti nelle periferie,
come nel caso degli Stati Uniti. Era anche il periodo in cui
si affermavano nuove religioni, fra cui quelle che venivano
dall’Oriente. La sociologia era “passata” come scienza, ma
la sociologia della religione era comunque mal vista, tanto
dalla tradizione marxista quanto da un certo atteggiamento
della chiesa, che la vedeva come una forma di decadenza. Gli
studi sul cattolicesimo non davano particolarmente fastidio,
mentre non si era ben visti se ci si occupava di esoterismo.
Introvigne sottolinea come Ferrarotti sia stato un anticipatore
di dibattiti che sono poi esplosi: quando nel 1981 viene coniata
l’espressione “Nuovi Movimenti Religiosi”, in Italia, grazie
a Ferrarotti, se ne discuteva già da dieci anni.
Sta ad Enzo Pace sottolineare il piacere della memoria, il
piacere di ripercorrere la propria autobiografia intellettuale
in un’occasione del genere. Pace viene da un gruppo di ricercatori
che è cresciuto attorno ad Acquaviva, di cui si ricorda la
polemica con Ferrarotti rispetto all’eclissi del sacro. Leggendo
la trilogia di Ferrarotti sulla religione, il sociologo della
religione dice di aver capito che c’era qualcosa, nell’ipotesi
dell’eclissi del sacro, che la rendeva troppo azzardata, impossibile
da sostenere. Quando nel 1983 Pace pubblica un testo sulle
comunità pentecostali e catecumenali, si avvale del contributo
di Ferrarotti, in particolare della sua lettura di Weber.
Come riconnettere la sociologia della religione con la più
ampia sociologia? È stato Ferrarotti a mantenere sempre fisso
questo rapporto, mentre proprio Acquaviva abbandonava questa
strada. Sempre in tema di percorsi autobiografici, Marcello
Strazzeri ricorda come abbia conosciuto Ferrarotti a Lecce,
mentre il suo approccio con la sociologia passava attraverso
la passione suscitata dalla lettura proprio di Ferrarotti.
Interessante la citazione che Strazzeri fa sul dibattito,
di qualche anno fa, tra l’allora Cardinale Ratzinger e J.
Habermas, pubblicato dall’editore Marsilio: entrambi convergono
sulla necessità di un uso pubblico della ragione, e sull’esigenza
di religiosi e laici di discutere in termini appropriatamente
politici. Entrambi inoltre sottolineano l’importanza del sacro:
ebbene, molto prima, sul finire degli anni Ottanta, Ferrarotti
diceva: “È opportuno definire irreversibile la religione,
il sacro non scompare”. Il sociologo è stato anticipatore
anche rispetto al dibattito sull’impossibilità di misurare
e quantificare tutti i fenomeni umani: in “Storia e storie
di vita” diceva proprio come “tutto il mondo possa essere
contenuto in un grano di riso”.
Rispetto agli altri relatori, Arnaldo Nesti decide di non
parlare del passato, ma del futuro. Tra le attività in cui
Ferrarotti è coinvolto, Nesti ricorda il convegno sul cattolicesimo
dell’Associazione Italiana di Sociologia della Religione e
un seminario sulla questione del rapporto tra sacro e religione
oggi. Ricorda inoltre il numero della rivista “Religioni e
Società” sul religioso afro-brasiliano e sui buddhismi oggi.
Ancora, Nesti parla della Scuola estiva organizzata dell’associazione
Asfer, con il Cisreco, a San Gimignano, quest’anno dedicata
al senso della festa oggi; mentre sono in programma due iniziative
a Casole d’Elsa sul tema del dono, e un colloquio sul tema
“l’Europa è una mera espressione geografica?”, per trattare
il tema delle religioni riguardo al futuro dell’Europa. A
Poggibonsi, infine, sono previsti due giornate sullo sfondo
del tema “religione e laicità”. Nesti intende mostrare così
come Ferrarotti sia ancora una presenza costante per i sociologi,
e non solo, che si occupano dei temi della religione.
Alla fine del pomeriggio di venerdì, interventi e ringraziamenti
di docenti e amici di Ferrarotti mettono in luce come sia
forte e sentita la sua capacità di spaziare negli studi sui
diversi fenomeni sociali, dando ogni volta un contributo proficuo
che arricchisce e amplia il dibattito. In questa linea, Vittorio
Cotesta sottolinea proprio come Ferrarotti sarà ancora per
molto il centro da cui partiranno spunti, piste e critiche
per l’attività dei sociologi.
5. La città di Roma tra realtà e immagine
La mattinata dell’8 aprile si apre con le parole di Franca
Eckert Coen, Delegata del Sindaco alle politiche per la multietnicità,
che annuncia il prossimo arrivo del Sindaco. La Coen sottolinea
come la prestigiosa sala ospiti in questa occasione un personaggio
che alla città ha dato molto, anche a favore della partecipazione
di persone diverse dagli autoctoni a un mondo ormai globalizzato.
Ricorda così una frase che Ferrarotti ha pronunciato in occasione
di un convegno organizzato dall’ufficio da lei diretto: “Non
c’è identità senza alterità”. Possiamo ritrovare quest’idea,
dice la Coen, anche in alcuni passi della Bibbia: si tratta
di un modello di orizzontalità del dialogo in cui accoglienza
dell’altro si traduce in accoglienza di se stessi.
Maurice Aymard, storico della Maison des Sciences de l’Homme
a Parigi, presiedendo la sessione al Campidoglio, si concede
due parole all’inizio: ringrazia Ferrarotti per la sua costante
presenza a Parigi e sottolinea che le due città di Roma e
Parigi condividono molti problemi che l’attualità ci ricorda.
Come storico, inoltre, si dichiara particolarmente interessato
proprio al confronto tra realtà e immagine, che è il titolo
della sessione. Interviene quindi l’Assessore Gianni Borgna,
che ricorda come il lavoro che sta svolgendo in questi mesi
con Ferrarotti sulle ex borgate romane abbia il compito di
rinverdire l’importante ricerca del sociologo condotta alla
fine degli anni Sessanta, mettendo in luce le trasformazioni
degli ultimi trenta, quarant’anni. Il mutamento del rapporto
centro-periferia, messo in luce da Ferrarotti, mostra come
Roma sia ormai una città policentrica, fenomeno che è anche
prodotto di un lavoro delle ultime amministrazioni. L’idea
di Borgna è quella di creare, con Ferrarotti, una sorta di
monitoraggio costante della realtà urbana in trasformazione.
Anche Borgna si dedica poi a ricordi autobiografici: Ferrarotti
è stato suo professore alla Sapienza, quando da professore
spiegava sempre la materia in modo brillante e coinvolgente.
Ricorda anche il periodo della contestazione, alla fine degli
anni Sessanta, quando Ferrarotti, sempre da professore, dialogava
attentamente con gli studenti, di cui Borgna faceva parte.
Agli studi sociologici di Ferrarotti sulla città di Roma è
dedicato l’intervento di Maria Immacolata Macioti, che ricorda
subito il forte nesso tra teoria e ricerca sul campo che da
sempre ha caratterizzato i lavori del sociologo. Tra i più
noti, il testo “Roma da capitale a periferia”, a proposito
della ricerca sulle borgate romane: il testo esce per il centenario
di Roma capitale, ma è una nota dissonante, in virtù dell’ottica
critica che adotta. Testimonia una diretta e profonda conoscenza
della città e affronta i temi dell’emarginazione e del disagio
sociale. In modo complementare, il testo “Vite di baraccati”
dà voce ad alcuni abitanti di borgate e borghetti. Si prendono
in esame le principali teorie sulla città: la concezione ecologica
e meccanicistica, la concezione materialistica, la weberiana
teoria della città come mercato, la concezione spiritualistica.
Secondo Ferrarotti, la città è una realtà in movimento, in
cui la miseria risulta funzionale ai quartieri di lusso: Roma
è un importante laboratorio sociale, soprattutto in virtù
dei flussi di immigrazione dal Sud Italia e da zone depresse
del centro-nord. È una città esposta al fenomeno dell’urbanizzazione
ma senza industrializzazione, prevale il terziario; è una
città che vive una realtà contraddittoria e in mutamento,
di cui le baraccopoli nelle borgate sono uno degli aspetti
più rilevanti. Nelle borgate, le classi differenziali sorte
ai primi del Novecento per aiutare i figli delle famiglie
più povere sono diventate strutture che confermano l’esclusione,
lo stigma sociale. La periferia è vittima della speculazione
edilizia. Le ricerche di Ferrarotti e dei suoi collaboratori,
di cui la Macioti ricorda Maria Michetti e Marina D’Amato,
producono importanti testi: “Vite di baraccati”, del 1974,
“Vite di periferia”, del 1981, e molti resoconti delle interviste
appaiono nella rivista “La Critica Sociologica”. Negli scritti,
si denuncia la burocratizzazione e lo sfruttamento della povertà
anche da parte dell’industria della solidarietà sociale; dalle
interviste emergono alcuni temi fondamentali: mentre prima
c’era una comunità, ora si vive come monadi. È questo un esempio
di come si possa risalire dall’empiria alla teoria, essendo
il vissuto e l’esperienza ben più ricchi del pensato. Sono
successivi, sottolinea la Macioti, gli studi di Ferrarotti
sul rapporto tra potere e Roma: emerge da questi una forte
personalizzazione del potere soprattutto nelle basse sfere
sociali. Il potere è qui visto dal basso. Ancora, vengono
condotte da Ferrarotti ricerche sugli immigrati a Roma: è
grazie a questi studi che ci si interrogherà sulla possibilità
dell’incontro tra culture. Infine, con il testo “Roma madre
matrigna” Ferrarotti regala al lettore un’esperienza di quasi
quarant’anni di studi sulla capitale. Sono anche qui dure
le denunce verso i costruttori e la speculazione edilizia,
mentre emerge la convivenza, in una città così complessa,
di localismo e globalizzazione.
Durante l’intervento di Maria I. Macioti, arriva il Sindaco
Walter Veltroni, che ringrazia a nome della città Franco Ferrarotti,
il quale, a capo di una generazione di sociologi, ha dato
un importante contributo di studi e riflessioni sulla città
di Roma. Ha, infatti, permesso a Roma di costruirsi un’identità
dal punto di vista sociologico mentre subiva più di una trasformazione.
Il testo “Roma da capitale a periferia” ha avuto un grande
successo, e l’abolizione dei borghetti è uno dei mutamenti
più significativi che Roma ha visto, anche con tutti i problemi
connessi. Dimensione urbanistica e dimensione sociale sono
sempre profondamente interrelate, ed è per questo che l’interesse
per tali temi è sempre vivo: il Piano regolatore appena approvato
è, sostiene Veltroni, anche un’opera sociale. Due sono le
tematiche che secondo il Sindaco sono particolarmente rilevanti
in relazione alla città: la prima riguarda l’immigrazione,
rispetto alla quale la città si mostra nella sua vocazione
inclusiva; la seconda riguarda la precarizzazione della vita
e il complementare allungamento del tempo di vita, elementi
che stanno avendo effetti sistemici enormi, anche sull’assetto
urbano. All’intervento di Veltroni, e al suo affettuoso saluto
verso Ferrarotti, segue la proiezione del video “Le borgate
di Roma”, realizzato dal Master universitario in “Teoria e
analisi qualitativa”, diretto dalla prof.ssa Maria I. Macioti.
Anche Giandomenico Amendola è stato un allievo di Ferrarotti
e lo dice in apertura del suo intervento: gli è debitore per
i suoi studi sulla città, dei quali parla ai suoi studenti
della Facoltà di Architettura. Ha, infatti, proposto, in architettura,
quello che c’era nella sociologia urbana: un massimo di criticità
e di pragmaticità; ha ritrovato inoltre la stretta connessione
tra forma fisica, culturale e sociale. C’è inoltre l’eco dell’importante
insegnamento perciò la metodologia va ricreata ogni volta
in relazione all’oggetto di ricerca. A Ferrarotti deve anche
l’esempio dell’intreccio tra conoscenza e narrazione: il sociologo
è sempre stato un narratore in senso artistico, come nel passato
lo era E. Zola. Franco Pittau, che non poteva essere presente
per motivi di salute, ha chiesto a Delfina Licata di leggere
il suo intervento. Pittau racconta di aver conosciuto Ferrarotti
e la sua équipe negli anni Ottanta: occuparsi di immigrazione
a Roma significava seguire le orme di Ferrarotti, che con
Monsignor Di Liegro aveva trovato una proficua unione. In
questa linea il volume “Stranieri a Roma” rimane una pietra
miliare della bibliografia sull’immigrazione: si ritiene così
un allievo indiretto di Ferrarotti, di cui sottolinea la semplicità
e la genialità, l’impegno e la costanza. Una collaborazione
continuata e proficua di Pittau è quella con la professoressa
Macioti, che cita con stima e gratitudine.
È quindi la volta di Alessandro Portelli che parla di Roma
non solo come città storica ma anche in quanto composita socialmente:
se la si pensa anche così è grazie a Franco Ferrarotti. Anche
Portelli ricorda volentieri personaggi che tanto hanno dato
a Roma, in particolare Maria Michetti e Aldo Natoli. Di una
città che subiva mutamenti profondi, Portelli cita le diverse
conflittualità politiche: ad esempio, il senso di disorientamento
degli ex baraccati alla Magliana. È bene, quindi, da un punto
di vista della riflessione sociale, cominciare ad accorgersi
di quello che la borgata, la periferia, ha fatto per se stessa.
La zona dell’Acquedotto Felice, come zona periferica, racchiude
in sé, simbolicamente, un doppio inizio per la città di Roma:
da una parte accoglie i ruderi archeologici dell’acquedotto
e dall’altra ha visto la generazione dei migranti del dopoguerra
arrivare a Roma. La periferia è per la città di Roma uno spazio
assolutamente centrale: la Resistenza, all’inizio, si è annidata
proprio nel tessuto sociale nelle periferie, così come il
Sessantotto, o anche l’esperienza del Teatro Centocelle a
Roma degli anni Settanta. Altri fenomeni che nascono e si
sviluppano nelle periferie riguardano la costruzione d i centri
sociali e l’attività delle brigate rosse. Da Ferrarotti si
apprende la tecnica dell’ascolto, che per studiare tali temi
sembra la più appropriata. Del resto la città è fatta anche
dall’immaginazione di chi ci abita, e Franco Ferrarotti è
un maestro della parola, mentre le immagini che evoca fanno
parte dell’identità della città.
Lo storico Vittorio Vidotto ricorda il filone di studi su
Roma che dal 1956, in particolare da Caracciolo, giunge fino
a Ferrarotti e al suo “Roma da capitale a periferia”: in questo
campo, i sociologi, non c’è dubbio, sono arrivati prima degli
storici. In Italia, l’incontro tra storia e sociologia è stato
un incontro tormentato, e c’è voluto molto tempo perché si
realizzasse. La storia, in questo senso, ha un grande debito
nei confronti della sociologia, avendo spesso utilizzato categorie
che provengono proprio da questa disciplina. Studi e ricerche
sociologiche sono state utilizzate spesso come fonti storiche,
e considerata l’importanza delle fonti per la storia, la sociologia
ha in questo senso un ruolo di primo piano.
Verso la fine della mattinata, viene proiettato nella sala
della Protomoteca il video “Sguardi incrociati: Franco Ferrarott”i,
realizzato dall’Archivio della memoria di Sergio Pelliccioni.
Colleghi, ex collaboratori, allievi e amici di Ferrarotti
ne raccontano gli interessi, le piste di ricerca, la biografia,
le esperienze e il carattere, nonché il suo incontro con la
poesia e con l’arte. Ne esce il ritratto di un uomo ricco
di interessi, che sempre ha saputo aprire nuovi campi di dibattito
nei temi sociali di più marcato interesse rispetto all’attualità.
Tra gli intervistati nel video, spiccano le voci della poetessa
Maria Luisa Spaziani e del pittore Alberto Sughi, a testimonianza
dei rapporti sempre proficui che un’intellettuale come Ferrarotti
ha avuto con il mondo artistico.È quindi la volta di Carlo
Sini, che sottolinea, sempre nell’ottica degli interessi pluridisciplinari
di Ferrarotti, come egli non abbia mai abbandonato il dialogo
con la filosofia. In un momento così difficile per l’Italia
e la cultura italiana, è bene secondo Sini stringersi intorno
ai grandi maestri e confidare in un futuro migliore. Giancarlo
Santalmassi, presentando il testo autobiografico di Ferrarotti
“Nelle fumose stanze, la stagione politica di un cane sciolto”,
racconta come il maestro gli abbia trasmesso amore per la
cultura e curiosità. Citando interi stralci del testo, sottolinea
come al suo interno ci sia un pezzo importantissimo di storia
d’Italia. Ricorda inoltre la storia della travagliata esperienza
di tesi di Ferrarotti, fino all’incontro con il filosofo Abbagnano
che decide di firmarla. Quando Ferrarotti parla di genius
loci, si chiede Santalmassi, cosa intende? Per lui, che si
è sempre sentito un cittadino del mondo, qual è il loci? Ebbene,
esso sembra essere la mente umana.
Conclusioni
Quando alla fine è il turno di Ferrarotti, il pubblico, certamente
segnato da una mattinata intensa e faticosa, è allietato e
divertito da quello che come sempre si annuncia una brillante
performance da oratore professionista quale è il professore.
Parla delle giornate, ringrazia ma decide di non nominare
nessuno in particolare. Ammette che non avrebbe potuto far
altro che il sociologo nella sua vita. Accenna al luogo dove
è nato, luogo di montagna e di collina allo stesso tempo,
dove un bambino “malaticcio” come lui è fortunatamente scampato
alla vita contadina per dedicarsi agli studi. In seguito,
approfittando delle note “distrazioni” dell’editore Giulio
Einaudi, è riuscito a tradurre un testo di Reich. Poi, contravvenendo
a ciò che si era riproposto, Ferrarotti nomina Sztompka, che
ha accennato alle assonanze tra il sociologo italiano e Merton,
e ha parlato di un suo lavoro non tradotto in italiano a proposito
del mito del progresso inevitabile. Il progresso va costruito
a poco a poco, e gli specialisti della comunicazione confondono
il piede con la scarpa. In questo, non possiamo non dirci
durkheimiani: la società non è una metafora linguistica, la
società è anche un insieme di regole, leggi, vincoli e ganci
che pesano sugli individui. Ricorda inoltre il suo incontro
con Nicola Abbagnano, il quale subisce il fascino della sociologia:
il filosofo è un esistenzialista positivo perché ha davanti
a sé un uomo né completamente determinato casualmente né completamente
libero, ma condizionato da quelle circostanze oggettive che
sono studiate proprio dal sociologo. Gli uomini e le donne
vivono ma allo stesso tempo sono vissuti. È così che nascono
i “Quaderni di sociologia”, con cui Abbagnano spera di uscire
dal “blocco” filosofico. Afferma che è giusto ricordare la
protosociologia in Italia, come ha fatto Cipriani, ma tenendo
sempre ben presente che vigeva qui il veto idealistico e del
fascismo, mentre al di fuori dell’Italia era evidente il carattere
frammentario e non problematico delle ricerche. Ferrarotti
si riconosce come testimone dell’antico passaggio dell’Italia
da mondo agricolo artigianale a mondo urbano industriale:
da sociologo, ha sempre partecipato salvando allo stesso tempo
la necessaria distanza critica. C’è una grande cesura tra
l’intellettuale di tipo tradizionale e i nuovi intellettuali
di tipo eterodosso, i sociologi, che, a differenza degli altri,
vanno sul campo, sono pronti a “sporcarsi le mani”. Non pretendono
di capire la situazione umana prima di esserci stati. Ferrarotti
racconta poi di aver vissuto quattro carriere: quella di redattore
editoriale, di produttore, di consulente industriale, di diplomatico,
deputato nelle “fumose stanze” dove si giocano i nostri destini.
Dichiara comunque di essere sempre stato “dentro”: quando
studiava la vita delle baracche nella periferia romana, ha
preso in affitto una baracca per capire come si viveva. Proprio
come Socrate dai discorsi con le persone arriva a formulare
i concetti filosofici, le scienze sociali fanno emergere i
concetti dal vissuto.
Parlare oggi di Ferrarotti, prendendo come pretesto il suo
ottantesimo compleanno, sembra un modo per ribadire la necessità
del dibattito e del confronto, anche a livello istituzionale,
su questioni di spiccato interesse sociale. Un modo per riflettere
sull’origine e sul destino del capitalismo, nella sua anomala
versione italiana, sulla questione delle migrazioni che tanto
oggi coinvolgono l’Italia, come paese di relativamente recente
immigrazione, su cosa intendiamo oggi parlando di sacro e
quali siano le nuove forme che esso assume. Riflettere anche
sull’importanza del vissuto quotidiano come luogo di costruzione
dei significati sociali, perché la sociologia sia sempre,
innanzitutto, partecipazione.
NOTE
1] Francesca Colella ha scritto
i paragrafi 1, 2 e 3, mentre Valentina Grassi ha scritto Introduzione,
Conclusioni, e i paragrafi 4 e 5.
2] F. Ferrarotti, Trattato
di sociologia, UTET, Torino 1968.
3] F. Ferrarotti, Il Capitalismo,
Newton & Compton, Roma 2005, p. 58.
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