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    M@gm@ vol.5 n.2 Janvier-Mars 2007

    ANTROPOLOGIA DELL’IPERCOMPLESSITÀ



    Angelo Russo

    russoange@libero.it
    Laureato in Sociologia presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi "Federico II"; giornalista pubblicista; responsabile redazionale della casa editrice napoletana Albatros, specializzata in produzioni multimediali per la scuola inerenti a problematiche di rilevante valore etico e sociale, come la tutela dei diritti umani, la salvaguardia dell’ecosistema mediante uno sviluppo sostenibile; in particolare, ha coordinato,tra gli altri, il lavoro redazionale del libro: “La profezia di Arcadueò”, 2° premio “Elsa Morante, sezione ragazzi 2006, e l’edizione di “Taoma e il mondo di Giunglaparola”.

    L’insopprimibile compresenza di natura e cultura nell’organizzazione dei sistemi umani viventi, è il punto essenziale dell’elaborazione moriniana dell’antropologia della complessità. Essa interpreta l’uomo come “un uno inscindibile ed in continuo divenire” (Gaarder, 2000, p.43), che richiama la filosofia naturalista di Eraclito per il quale “tutto è in movimento e niente dura in eterno” (Gaarder, 2000, p.43). La coscienza del proprio corpo sembra confondersi e sincretizzarsi con la scoperta della complessità della propria natura culturale.

    L' umano è soggetto che si autodetermina entro i vincoli biologici del corpo e quelli culturali trasmessi dalla comunità d’appartenenza. Il vivente antropomorfo esprime la sua umanità nell’incontro tra la condizione biologica ed il suo essere sociale. Egli è parte di un sistema organizzato dove valori condivisi e norme ne disciplinano la condotta.

    La nostra esistenza consapevole ha origine quando l’uomo comincia ad avere coscienza di sé attribuendosi un’esistenza soggettiva che presuppone una prima fase di codificazione della realtà: un soggetto chiamato “io” ed un soggetto chiamato “altro”. “Da quel momento la dialettica perpetua tra sé ed il resto del mondo produce tutte quelle fasi di accrescimento consapevole dell’esperienza, e di conseguenza l’aumento di complessità dei codici di comunicazione che diventano sempre più astratti e simbolici. Essi ampliano la capacità di sentire emotivamente la relazione tra sé e l’ambiente esterno, di normativizzare eticamente le nostre pulsioni istintive ed incanalarle nell’alveo delle convenzioni sociali” (Rotta, 2004). La mediazione tra esigenze del corpo e strutture sociali dà origine ad un’attività prettamente umana.

    Il confronto con la complessità richiede la capacità di analizzare gli spazi differenziati della realtà sociale, per cogliere gli infiniti scenari sui quali si muovono gli umani, e scoprire le forme che li agitano e le strutture che li organizzano. La natura, biologica e culturale dell’uomo, è l’elemento esplicativo dell’ipercomplessità del reale che l’antropologia moriniana vuole interpretare. Il suo approccio è multireferenziale e multidisciplinare. Morin definisce l’ipercomplessità come caratteristica di “un sistema che diminuisce i suoi condizionamenti aumentando le capacità organizzazionali, in modo particolare la sua attitudine al cambiamento” (Morin, 2001, p. 118). Un sistema ipercomplesso come quello vivente, sintesi di natura e cultura, è debolmente specializzato e centralizzato e dipendente da una fitta rete di comunicazione tra variabili che includono, tra gli altri, i concetti di disordine, rumore e caos.

    Sostiene Morin che “l’ultimo continente sconosciuto all’ uomo è l’uomo stesso” (Morin, 2001, p. 118). La sua conoscenza richiede strumenti d’indagine multidisciplinari. L’accrescimento di complessità parte dalle sue strutture cerebrali. Questo processo, sostiene Morin, è il punto di passaggio dall’ominizzazione all’umanità, ossia la nascita dell’ Homo Sapiens. Il sapiens è il risultato dello sviluppo di nuovi territori della corteccia cerebrale, del collegamento tra essi, dell’organizzazione, dell’ordine originato dal rumore, dal caos. “Senza il rumore, il logos organizzazionale è come un mulino senz’acqua” (Morin, 2001, p. 120).

    Le operazioni cerebrali del sapiens sono in grado di manipolare dati fluidi e disordinati nei quali i codici digitali ed analogici coesistono e si combinano in modi ancora sconosciuti. “Essi sono reciprocamente necessari al cervello umano a differenza del calcolatore, dove, digitale ed analogico sono soltanto rumore l’uno per l’altro e si neutralizzano a vicenda” (Morin, 2001, p. 121). Il cervello del sapiens riesce invece a lavorare, a produrre ordine mediante rumore, adattandolo a se stesso.

    L’ipercomplessità del pensiero sapiens trova il suo ordine nella necessità del disordine permanente e nel gioco delle libere associazioni casuali: “è in questo disordine organizzatore, in questa organizzazione disordinata che si colloca l’invenzione permanente del sogno” (Morin, 2001, p. 122). Il sogno è l’espressione più compiuta di queste combinazioni nuove e sorprendenti che partono dal caos iniziale. Il sogno resta un grande mistero della complessità umana: “ha fatto la sua comparsa nel corso dell’evoluzione, ad un certo livello dello sviluppo della complessità, con lo stabilirsi dell’omeotermia, che, liberando l’organismo dalle variazioni di temperatura del suo ambiente interno, ha comportato delle modificazioni del sistema nervoso, donde si è prodotto il sogno, ossia un’attività cerebrale libera dai condizionamenti immediati dell’ambiente circostante” (Morin, 2001, p. 123).

    Tra il cervello umano e l’ambiente è presente uno strappo informazionale, solo in parte compensato dalla capacità organizzativa dell’apprendimento culturale. “Non si ha integrazione né adeguamento immediato tra cervello ed ambiente e la comunicazione tra l’uno e l’altro è casuale, disturbata, esposta alla possibilità d’errore” (Morin, 2001, p. 125). L’illusione, il disordine, l’errore, il rumore, accompagnano costantemente l’attività pensante ed onirica dell’homo sapiens. “L’incertezza è contemporaneamente ciò che limita in permanenza e ciò che apre indefinitamente la possibilità di conoscenza” (Morin, 2001, p. 126).

    Nessun sistema di idee potrà dunque considerarsi compiuto ed autosufficiente, il sapiens sentirà sempre il bisogno della contemporanea presenza di tutti gli elementi del suo eco-sistema ed endo-sistema. Dalla sfera psicologica a quella socio-culturale fino a quella biologica, i legami e le interdipendenze tra queste componenti della sfera cerebrale del sapiens sono molto strette.

    Già in Freud si avvertiva forte la presenza dell’interrelazione tra gli elementi pulsionali, l’attività genetica e le attività superiori dell’intelletto. Scrive Morin: “Il merito di Freud è di aver scoperto il potere di invasione totale della sessualità nei confronti di tutte le attività mentali” (Morin, 2001, p. 131). Molte attività biologiche umane esprimono contenuti simbolici, la morte, il mangiare, il bere, sono, infatti, strettamente connesse a norme, divieti, valori, riti.

    Si rivela, così, inefficace l’idea di considerare il biologico, il culturale e lo psichico come caratterizzazioni a sé stanti dell’umano; il quale va, invece, concepito come un sistema auto-organizzato, unico, bio-psico-socio-culturale, i cui elementi di composizione sono complementari e concorrenti allo stesso tempo. “Il principio di invenzione ed evoluzione del cervello sapiens si manifesta e si traduce non solo nell’evoluzione della personalità e del pensiero dell’individuo, ma nell’evoluzione tecnico-culturale così come nella complessizzazione dell’organizzazione sociale” (Morin, 2001, p. 131).

    La capacità di inventare e complessizzare dell’attività cerebrale si proietta su tutta la sfera antropo-sociale, dando ad ogni storia e ad ogni cultura, la capacità di creare, organizzare, assorbire rumore, disgregarsi e riorganizzarsi, seguendo tanto la regolarità quanto il caso.


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