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  • Narration et empowerment
    Federico Batini (sous la direction de)
    M@gm@ vol.4 n.3 Juillet-Septembre 2006

    L'ORIENTAMENTO NARRATIVO


    Federico Batini

    direzione@pratika.net
    Federico Batini laureato in lettere (Univ. di Firenze) e in Scienze dell'Educazione (Univ. di Siena), Master in Gestione Processi formativi (Bologna), Phd in Pedagogia e Scienze dell'Educazione (Università di Padova); attualmente Professore a contratto presso la SSIS Toscana sede di Firenze e professore a contratto (confermato) di Didattica Generale presso il Corso di Laurea in Scienze delle Professioni Sanitarie della Prevenzione; già professore a contratto presso altre facoltà ed università, già professore a contratto presso la Scuola di specializzazione Interuniversitaria per Insegnanti e presso la Scuola di Specializzazione per Insegnanti di sostegno e presso Master etc; Direttore di PratiKa (agenzia formativa - www.pratika.net) e di NausiKa (consorzio di associazioni culturali www.narrazioni.it), Partner e senior consultant di Thélème s.r.l. (www.theleme.it), Presidente nazionale di COFIR (www.cofir.net), membro della Segreteria Nazionale del Forum Permanente per l'Educazione degli Adulti (FORUMEDA www.edaforum.it) e coordinatore nazionale per l'area comunicazione.

    Tra le ultime pubblicazioni in volume ricordiamo: con Alessio Surian ha curato: Caccia al "tesoro". La business agenda delle riforme educative ed i percorsi di resistenza, ETS, 2004; con Gabriel Del Sarto, Narrazioni di narrazioni, Orientamento narrativo e progetto di vita, Erickson, 2005; con Gloria Capecchi, Strumenti di partecipazione, Erickson; ha curato il MANUALE PER ORIENTATORI. Metodi e scenari per l'empowerment personale e professionale, Erickson, 2005; F. Batini, Come trovare lavoro, Buffetti, 2005; Federico Batini, Leonardo Lambruschini, Genitori di ragazzi che scelgono. Un mestiere difficile, Zona, 2006; Federico Batini, Gloria Capecchi, Il futuro in giallo. Esperienze e materiali per l'orientamento narrativo., Zona, 2006; Federico Batini, Nicola Giaconi, Orientamento informativo. Percorsi e strumenti per la scelta formativa e professionale, Erickson, 2006. Ha pubblicato saggi su riviste e volumi, collabora stabilmente alla Rivista dell'Istruzione ed ai Quaderni di Orientamento. Ha diretto la collana su formazione, orientamento consulenza SinergiKa (Zona) e dirige la collana "Comunità e persone" (Erickson), la collana COFIR "Altreducazione" (edizioni ETS) e la rivista internazionale Longlifelearning. Ha ideato il metodo narrativo in orientamento.

    Scrive e si occupa di letteratura: tra gli ideatori e Responsabile della Biblioteca di Riccardo (Arezzo) dal 2001 al 2005; ideatore e responsabile del Word Stage (parte letteraria del) Festival Arezzo Wave dal 2001; ideatore e responsabile del Concorso Nazionale Giallo Wave (dal 2002); cura la parte di letteratura e poesia contemporanea per il Portale Superava dal 2000. Ha pubblicato: Carlo Lucarelli, Federico Batini (A CURA DI), Anche i maschi partoriscono, Zona editrice, 2002; federico batini, dopo klez-e, Progetto cultura, 2003 (raccolta di poesie); Federico Batini (a cura di), Giallo wave, Big square e Progetto cultura, 2003; Roal Dahl, la magica medicina (a cura di Federico Batini), einaudi scuola, 2004. Federico Batini, Simone Giusti, Ho diritto ai diritti, NoReply, 2004; Saggio introduttivo a: Veniero Scarselli, 2004, il lazzaretto di dio: rospi, aquile, diavoli, serpenti, bastogi editore; Federico Batini, Simone Giusti, Giallo Wave, Il principio del giallo: manuale teorico-pratico di narrativa, NoReply, 2005; Federico Batini (a cura di, 2006), Space Wave, Fanucci, 2006; Federico Batini (a cura di), La città che narra, Pensa Multimedia, 2006. Incluso in numerose antologie poetiche. Insieme a Marco Vichi ha ideato la Scuola di Narrazioni Arturo Bandini che dirige.

    Negli ultimi vent’anni la narrazione ha conquistato le ribalte del palcoscenico scientifico (e della divulgazione): la riflessione epistemologica, in effetti, è giunta ormai al superamento del lungo dibattito tra quantitativo e qualitativo, tra oggettività e soggettività, tra generalizzabilità ed idiografia, collocandosi, com’era prevedibile, in una posizione di mediazione, sostenendo la necessità e la differente e complementare utilità di entrambi gli approcci, approcci che potranno essere preferiti alternativamente variando l’oggetto ed il campo di indagine, lo sguardo, gli obiettivi e altre variabili ancora. L’indubbio fascino e la maggiore accessibilità delle narrazioni rispetto ad altri metodi qualitativi (e rispetto a quelli quantitativi), assieme all’applicazione a campi di indagine assolutamente promettenti, hanno fatto della narrazione medesima la vera e propria regina alla festa dei paradigmi qualitativi, che hanno, con molteplici iniziative editoriali e di altro tipo, festeggiato la propria cittadinanza faticosamente acquisita.

    Uno dei campi di indagine che ha dato maggiori frutti e che promette ulteriori sviluppi è quello della teorizzazione, della costruzione di metodologie e di pratiche in relazione all’orientamento e sviluppo dei soggetti, in una parola all’empowerment, comunque inteso.

    L’intenzione di questo numero monografico di M@gm@ e del relativo volumetto è quella di intercettare questo campo in alcune sue manifestazioni che non abbiamo inteso radunare secondo criteri scientifici, ma secondo piste di racconto … : vi sono dunque delle “prospettive” già ben tracciate, degli itinerari che iniziano a snodarsi e delle esperienze realizzate.

    L’intenzione non è né esaustiva né esaurita, come ogni buona storia …

    (Il curatore Federico Batini)

      [ L'ORIENTAMENTO NARRATIVO ]  

    ”Voi siete le vostre storie. Siete il prodotto di tutte le storie che avete ascoltato e vissuto, e delle tante che non avete sentito mai. Hanno modellato la vostra visione di voi stessi, del mondo e del posto che in esso occupate.” (Daniel Taylor, 1999, Le storie ci prendono per mano, Piacenza, Frassinelli.)

    Dall’epica al bar

    L’epica è un modello di racconto e la narrativa discende da essa. La narrazione è una forma primaria dell’esperienza umana. Ogni uomo, a qualsiasi cultura ed epoca appartenga, apprende a raccontare, ma l’arte del raccontare diventa universale quando assume la dimensione consapevole di un prodotto artistico e si assume perciò il compito di riguardare non più il proprio creatore (il narratore, lo scrittore) ed il suo contesto: gli interlocutori, gli astanti, una cerchia di amici, persone vicine, ma di decontestualizzarsi ed assumere un valore ovunque e in qualsiasi momento sia letta, fruita. Le prime narrazioni epiche fungevano da elemento organizzatore e ordinatore per il consolidarsi di quelle esperienze degne di essere memorizzate e istituzionalizzate. Quando si ha un’epica che riguardi la guerra di Troia (Iliade), le avventure di Ulisse nel suo lunghissimo rientro a casa (Odissea) o una guerra mondiale (innumerevoli sono gli esempi anche limitandoci alla narrativa ed alla memorialistica italiana), che tratti cioè eventi mitici o eventi realmente accaduti, si ha comunque il racconto di un evento accaduto e perciò che obbedisce ad una collocazione ed una limitazione temporale. La prima operazione che viene compiuta è perciò una selezione di eventi significativi o funzionali al racconto e la presentazione di un ordine e di una organizzazione di questi materiali. Come esempio è sufficiente prendere a prestito l’Iliade: racconta soltanto una parte dell’ultimo di dieci anni della guerra di conquista che gli Achei intrapresero per espugnare la città di Troia. Viene perciò fatta una selezione temporale e, ovviamente, una selezione dei materiali disponibili (la critica ha ampiamente trattato questo argomento, Omero o chi per lui, selezionò alcuni dei canti disponibili relativi a quell’evento e li inglobò in un unico canto esercitando senza dubbio una funzione di revisione, di collegamento etc..: il risultato è una serie di eventi che sono posti lungo un asse cronologico ma che possono anche essere letti in modo indipendente). Il testo parla di un tema, la guerra, attorno al quale però si muove concentrandosi su un episodio, l’ira di Achille, annunciato sin dalla protasi (parte dei poemi che segue l’invocazione iniziale e che serve a esporre sinteticamente l’argomento: Cantami, o Diva, del Pelìde Achille/ l'ira funesta che infiniti addusse/ lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco/ generose travolse alme d'eroi,/ e di cani e d'augelli orrido pasto/ lor salme abbandonò (così di Giove/ l'alto consiglio s'adempìa), da quando/ primamente disgiunse aspra contesa/ il re de' prodi Atride e il divo Achille.).

    I due temi e motivi, la guerra e l’ira di Achille, si intersecano, il primo è contenuto nel secondo, ma l’uno non esaurisce l’altro. Anzi proprio una certa discontinuità lascia la possibilità di raccontare un quadro complessivo di avvenimenti con grande ricchezza di collegamenti interni. Lo stesso procedimento è all’opera ne I Promessi Sposi, anche qui un evento privato, personale (stavolta di personaggi umili e non di mitici eroi o addirittura di semidei come Achille) di due giovani, Renzo e Lucia, è intersecato con un quadro complessivo, con l’affresco di un’epoca (noto il lavoro di ricerca storica che il Manzoni portò a compimento per la redazione del romanzo). Ben diverso il procedimento seguito invece nell’Odissea nella quale il protagonista è unico e le vicende complessive si intuiscono sullo sfondo: la storia è quella di Ulisse e del suo lungo rientro a casa… anche qui però si produce una discontinuità attraverso il rimescolamento nell’organizzazione dei materiali (in termini tecnici la differenza tra la fabula e l’intreccio). La tecnica del racconto dentro il racconto e della retrospettiva consentono un’originale composizione del materiale a disposizione. Si snoda infatti in non più di sei settimane (tempo dell’azione nell’Odissea, o tempo del racconto) ma copre, attraverso il racconto di Ulisse nella reggia dei Feaci, un arco temporale di oltre dieci anni (tempo raccontato). Il punto di vista adottato è dunque, in gran parte del secondo poema quello di Ulisse (che diventa autobiografo, narratore della propria biografia), nell’Iliade invece il narratore cerca l’oggettività, cerca di non prendere posizione, di raccontare i fatti ed esprime soltanto l’insensatezza della guerra come strage e la pietà per coloro che stanno per morire. Manzoni invece, ne I Promessi Sposi, cerca di nascondersi dietro il ritrovamento di un manoscritto anonimo. Abbiamo dunque incontrato un altro aspetto saliente delle narrazioni: esiste sempre un punto di vista un qualcuno che racconta. Le funzioni sono dunque ineludibili, come ha avuto modo di dire lo scrittore Ugo Cornia in una conversazione pubblica, “si racconta sempre qualcosa a qualcuno” e quindi il significato viene co-costruito, non vi è un solo attore insomma, che produce il significato.

    In ogni narrazione scritta o orale (Iliade ed Odissea hanno probabilmente conosciuto una lunga trasmissione orale prima di approdare ad una redazione scritta) o di altro tipo esistono non un ruolo attivo ed uno che si limita alla ricezione, ma due ruoli entrambi attivi ed entrambi interdipendenti, questo attribuisce un valore sociale fondamentale alla narrazione (nel paragrafo successivo si fa riferimento in modo più preciso alla funzione attiva del fruitore).

    Il narrare è sempre stato il luogo della trasmissione dei costumi, dei codici e delle leggi, Come ha ben mostrato Havelock, le prime narrazioni epiche, come quelle citate sopra, non devono essere considerate soltanto opere poetiche ma vere e proprie enciclopedie che contengono ciò che è opportuno mantenere in memoria per affrontare i casi della vita, per consolidare il fare in tutti i suoi elementi necessari a produrre un'azione esperta, per mantenere ordine in una società attraverso il ricordo dei valori e delle regole che è giusto e necessario rispettare (in questo senso Iliade ed Odissea sono ancor prima che poemi epici poemi educativi). Il narrare risponde pertanto ad un doppio registro: la via attraverso cui si producono nuovi discorsi e la modalità per reiterare e istituzionalizzare un esistente facendolo diventare costume e regola sociale. La narrazione è stata lo strumento principe della costruzione e della trasmissione del sapere. Francois Lyotard, nel suo La condizione postmoderna parla della preminenza del pensiero e della forma narrativa nella costruzione del sapere, nelle civiltà più evolute, rispetto al sapere scientifico, assegnando quindi la funzione di trasmissione e di elaborazione delle conoscenze alla narrazione.

    Avremmo potuto fare i medesimi esempi fatti prima ascoltando le storie ed i frammenti di storie che vengono narrate e prodotte all’interno di un bar, la narrazione fa parte, in modo integrale ed estremamente interessante ed attivo della nostra vita quotidiana. Non diversamente infatti, seppure possa essere profondamente diverso il registro, quelle narrazioni quotidiane collaborano alla costruzione di senso e significato, veicolano concezioni del mondo, cooperano all’attribuzione di senso rispetto ad eventi, accadimenti, situazioni (che siano l’ultima giornata di campionato o quanto si dice che sia accaduto a Mario).

    Narrare significa raccontare una storia attraverso un discorso, una redazione scritta, attraverso una canzone, un filmato, un pensiero etc…, la storia è una sequenza di eventi ai quali viene attribuito un ordine (indipendentemente dal fatto che gli eventi siano reali o immaginari), un tempo e un significato (da chi racconta, ma anche da chi ascolta, legge o vede). La competenza narrativa è relativa sia alla capacità di raccontare una storia sia a quella di ascoltarla, all’interno di una cultura questa competenza può essere incentivata o disincentivata. Oggi vi sono così tante agenzie narrative che la competenza narrativa viene a comprimersi e a limitarsi alla fruizione: televisioni, giornali, rete Internet, pubblicità etc…richiedono un basso grado di interazione, si sostituiscono alle narrazioni di ciascuno di noi, costituiscono modelli di trame, di svolgimenti, di intrecci, persino di finali. La nostra capacità di condividere storie è data dalla cultura della quale ci nutriamo (Jedlowski, 2000).

    Macchine pigre e significati

    Quasi ogni testo sulla lingua inizia con la notazione relativa alla differenziazione tra l’uomo e gli altri animali: l’uomo si differenzierebbe allora dagli altri animali per la propria capacità di produrre suoni articolati espressi attraverso poche decine di elementi denominati fonemi. Ciò che invece ci interessa qui non è questa pure straordinaria capacità umana, quanto, piuttosto, l’ulteriore capacità, attraverso questi suoni, di produrre uno sterminato numero di parole e, soprattutto, un numero molto maggiore di significati. Ciò che sta al centro infatti dell’essere donna o uomo è la capacità, o meglio, potremmo dire, la necessità, di produrre significati.

    Umberto Eco ha sostenuto che un testo narrativo (e noi allarghiamo l’espressione ad una “narrazione” anche se non testualizzata) sia una “macchina pigra” ovvero un congegno che abbia al proprio interno tutti i meccanismi necessari perché si metta in moto la lettura e comprensione (ascolto e comprensione), ma serve la presenza di un lettore (di qualcuno che ascolta) che collabori con il testo e ne attivi i dispositivi impliciti.

    La narrazione è, infatti, un processo cognitivo attraverso il quale strutturiamo, in unità temporalmente significative, unità di esperienza, attribuendo loro un ordine, dei rapporti, dei significati: questo processo si mette in moto quando leggiamo o quando ascoltiamo: basti pensare all’operazione di “riempimento” che viene fatta quando, mediante l’immaginazione, collochiamo dati mancanti o aggiungiamo particolari in una sequenza narrativa ascoltata.

    Se io leggessi o udissi, ad esempio che: “il primo carabiniere che entrò nella stanza scivolò sul sangue e cadde su un ginocchio. Il secondo si arrestò sulla soglia come sul bordo di una buca, agitando le braccia aperte, per lo slancio.” Certamente sto cominciando ad immaginarmi una stanza coperta di sangue, magari mi immagino un cadavere posto al centro, probabilmente ho anche un’immagine più precisa di come è ridotto quel cadavere, di che posizione ha assunto, mi sono certamente immaginato l’entrata della stanza e quindi, almeno in parte, il resto dell’appartamento ed ho, già dicendo queste cose, deciso che si tratta di un appartamento e non, per esempio, della stanza di un albergo o di una villa… in poche parole ho contribuito assieme allo scrittore (si tratta dell’incipit di Almost Blue, di Carlo Lucarelli) alla produzione di significati determinando che il ruolo del lettore, o dell’ascoltatore è un ruolo estremamente attivo. In altre parole sto aggiungendo alla mia comprensione del testo particolari che nel testo non si trovano.

    Il pensiero narrativo agisce inoltre, in modo tacito, anche in situazioni alle quali non siamo abituati a pensare ad un suo utilizzo: in qualsiasi situazione professionale, ad esempio, nella quale le capacità previsionali del professionista vengono esercitate tramite una narrazione del “probabile” (mi racconto la storia di come andranno le cose o di come dovrebbero andare) per compiere l’azione più adeguata allo svolgersi degli eventi previsti. Il recupero di esempi narrativi significativi consente una riflessione intorno ai significati e la costruzione di narrazioni ulteriori, tramite attività suggerite ad hoc, può rivestire un’importanza fondamentale per la formazione della professionalità o per compiere delle scelte, o per progettarsi, per dare senso al proprio agire personale o professionale che sia.

    Costruire significati

    Dunque le strutture narrative, derivanti dai concetti di schemi di storie, di modelli mentali, di sistemi funzionali della memoria, sono forme universali attraverso le quali le persone comprendono la realtà, se la rappresentano, le attribuiscono senso e significato e ne parlano. La narrazione non ha, però, soltanto una funzione interpretativa rispetto alla realtà esterna (il mondo intorno a noi), ma struttura anche la modalità di pensiero che abbiamo su noi stessi, ovvero quello che abitualmente chiamiamo coscienza di sé (il mondo interno). In altri termini, il Sé individuale emerge sia dalle narrazioni sul vissuto personale che l'individuo stesso propone (narrazioni autobiografiche, ma non solo) sia dalle narrazioni che altri compiono su di lui, elaborate entrambe dall'individuo stesso in nuove forme di coscienza. Risulta facile inferire come la mescolanza di questi due “mondi”, interno ed esterno, costituisca uno dei principali veicoli di produzione di significato e di possibilità di scambio rispetto ad esso. Quando racconto un evento nella narrazione sono frammisti l’evento e l’interpretazione che ne do (i sentimenti, le emozioni che mi ha provocato...) costruendo dunque, attraverso la stessa narrazione, il significato che io attribuisco a quell’evento: darò maggiore importanza ad alcuni particolari, anche non coscientemente, rappresenterò vivacemente alcuni aspetti e ne trascurerò altri etc…

    Sintetizzando, potremmo asserire che la vita umana è contraddistinta dai significati, ovvero che la nostra vita è condizionata più dalle opinioni e dai significati che attribuiamo agli eventi che dagli eventi medesimi (Bruner, 1990; Watzlawick et al., 1971; 1978). Le narrazioni giocano un ruolo centrale proprio nel processo di significazione degli eventi: le narrazioni con cui (in cui) i soggetti organizzano le esperienze e gli eventi in genere costituiscono il fondamento della percezione che hanno degli altri, di se stessi, del mondo esterno.

    Orientamento e narrazione

    E’ ormai assodato che, soprattutto per quanto concerne la sfera professionale, ma anche per quella esistenziale, assistiamo ad una sempre maggiore imprevedibilità dei destini individuali. Parole come flessibilità, mobilità ecc. acquisiscono un senso più stringente quando si riferiscono ai costi, che vengono richiesti e pagati dall’individuo, in termini di sostenibilità psicologica. Alla solitudine del cittadino globale (Z. Baumann) si accompagna il rischio (U. Beck), in chi non si sia costruito un’identità adeguata alle dinamiche dei contesti di riferimento, di sentirsi in balia degli eventi. Gli elementi di adeguatezza di cui si parla non riguardano la variabilità del contesto in cui si vive, determinato da fattori sociali, culturali, di organizzazione del mercato del lavoro ecc., ma fanno riferimento, in primo luogo, al contesto interno. Occorrono «identità capaci di tenere insieme se stesse mentre esse stesse si modificano» (F. Batini e R. Zaccaria, 2002: 19). La narrazione, come “esito naturale” del vissuto emotivo, può contribuire alla crescita della personalità, alla creazione di un’adeguata immagine di sé, alla costruzione dell’identità.

    Reiterandosi le scelte (di quantità e qualità tali da far comparire sempre più frequentemente fenomeni di disagio o vera e propria angoscia esistenziale) e non situandosi più in momenti socialmente o comunque esternamente definiti rispetto al soggetto la domanda odierna di orientamento diviene, in primo luogo, una domanda di senso, andare alla ricerca di un orientamento nel mondo, di un indirizzo per la propria esperienza, per il proprio vissuto, per progettare il proprio futuro. Sentire questa domanda come spinta profonda significa non accomodarsi su pensieri già “masticati”, oltrepassare ogni risposta che miri solo al risultato e all'utilità immediata, di conseguenza anche l’orientamento si trova a dover cambiare le proprie modalità di risposta.

    Quale infatti, in una società mutevole a queste velocità, può essere la funzione dell’orientamento di secondo livello se non quello di rafforzare il soggetto, di renderlo empowered? In una società dotata di una certa stabilità e prevedibilità modelli di orientamento tesi alla risoluzione di momenti socialmente definiti come complessi, in virtù di qualche passaggio fondamentale (e ritenuto tale socialmente), potevano costituire una buona risposta, oggi, nella “società delle transizioni” occorre dare nuove risposte all’emersione di nuove domande.

    L’orientamento narrativo tenta il difficile ed ambizioso percorso di rispondere pienamente alla domanda di senso e significato dell’uomo contemporaneo (Batini, Salvarani, 1999a, 1999b; Batini, Zaccaria, 2000, 2002; Batini, Del Sarto, 2005).

    Le modalità narrative appaiono le forme più adeguate per stimolare processi nei quali il soggetto possa esplorare se stesso, il proprio ambiente, le proprie aspirazioni, i desideri, le competenze... Questa forma è in realtà presente da sempre: il curriculum vitae, ad esempio, non è altro che la burocratizzazione di una narrazione su sé e le forme più evolute di questo artefatto assomigliano, sempre più, a delle narrazioni. Forme come i portfolii o libretti delle competenze o i progetti professionali, sono avvicinamenti molto forti a narrazioni. L’orientamento però non può fermarsi ad un generico percorso autobiografico: l’aspetto autobiografico è uno dei punti, seppur fondamentale, all’interno dell’orientamento narrativo. Si parla di orientamento narrativo proprio perché vi sono narrazioni in grado di stimolare la narrazione su sé, narrazioni fondanti, necessarie per un percorso di orientamento, capaci anche di “innovare”, non solo di favorire “un’archeologia”. Poi c’è il confronto, l’ascolto delle narrazioni altrui, la scoperta delle narrazioni degli altri su noi, la costruzione collettiva di narrazioni.. tutti elementi che entrano in dialogo con le strutture di pensiero narrative che ci costituiscono, con le modalità relazionali narrative che ci legano, con il modo di progettarci, narrativo anch’esso, e con le innumerevoli storie che agenzie educative, scienze e mass media ci raccontano.


    Bibliografia Essenziale

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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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