 
 
      Narration et empowerment
          
          Federico Batini (sous la direction de)
        
      
M@gm@ vol.4 n.3 Juillet-Septembre 2006
IMMAGINARIO, NARRAZIONE E SCRITTURA DI SÉ: le pratiche narrative come spazio transizionale e luogo dell’immaginario per reincantare se stessi e il mondo
      Orazio Maria Valastro
valastro@analisiqualitativa.com
        Dottorando di Ricerca all'IRSA-CRI 
                    (Institu de Recherches Sociologiques et Anthropologiques - 
                    Centre de Recherches sur l'Imaginaire) presso l'Università 
                    degli Studi di Montpellier, prepara una tesi su "Narrazione 
                    di sé e immaginario sociale: biografia e mito biografia nella 
                    creazione auto poietica di sé"; Laureato in Sociologia (Università 
                    degli Studi René Descartes, Parigi V, Sorbona); Cultore in 
                    Campo Autobiografico (Libera Università degli Studi di Anghiari), 
                    Perfezionato in Promozione Sociale e Prevenzione dell'Esclusione 
                    (Università degli Studi Carlo Bo, Urbino) e in Teoria e Analisi 
                    Qualitativa nella Ricerca Sociale (Università degli Studi 
                    La Sapienza, Roma); Specializzato in Mediazione Sociale (Scuola 
                    Internazionale di Mediazione Sociale, Società Italiana di 
                    Sociologia); Fondatore, Direttore Editoriale e Responsabile 
                    della rivista elettronica in scienze umane e sociali "m@gm@"; 
                    Collaboratore e Membro del Comitato Scientifico della "Revue 
                    Algérienne des Etudes Sociologiques", Université de Jijel-Algeria; 
                    Sociologo e Libero Professionista, Studio di Sociologia Professionale 
                    (Catania), collabora con Enti Locali, Istituti Professionali 
                    di Stato e realtà della Cooperazione Sociale e del Terzo Settore, 
                    in attività di ricerca sociale, formazione, progettazione 
                    e realizzazione d'interventi in contesti sociali e culturali, 
                    nel settore dei servizi alla persona e le politiche di lotta 
                    contro l'esclusione sociale; associato AIS (Associazione Italiana 
                    di Sociologia), LUA (Libera Univeristà dell'Autobiografia), 
        Associazione Le Stelle in Tasca (Vice Presidente).
Il 
                    valore della sovversione epistemologica nel cammino della 
                    scienza tra verità oggettive e soggettive: metodologia semiologica 
                    e prospettiva simbolica
                    
                    Una storia delle discontinuità concettuali e metodologiche 
                    della scienza (Bachelard, 1995) c’invita, in qualità di ricercatori 
                    e operatori sociali e culturali, a non trascurare ma alimentare 
                    con cura un sentimento d’umiltà (Durand Gilbert, 1995, p. 
                    55) rispetto alla nostra relazione con il mondo e la nostra 
                    capacità di produrre e co-costruire delle conoscenze sul mondo. 
                    La fisica quantistica ci ha mostrato, mettendo in discussione 
                    e trasformando la scienza determinista del diciottesimo secolo, 
                    un’intrinseca connessione tra strutture simboliche e sistemi 
                    relazionali, introducendo una postura complessa e alternativa 
                    a qualsiasi tentativo di semplificazione e neutralizzazione 
                    di quella stessa indeterminatezza che caratterizza la produzione 
                    dei saperi e delle conoscenze sul mondo. Pensiero scientifico 
                    e paradigma della complessità umana (Morin, 1986) diventano 
                    un modello che accoglie la nozione d’imprevedibilità, delineando 
                    un orizzonte d’incertezze all’interno del quale tutto ciò 
                    che prima era separato è alla ricerca di un’intelligenza della 
                    complessità (Morin, Le Moine, 1999), un’intelligenza del sociale 
                    (Bertin, 1995) in grado di mettere in relazione e riformare 
                    in profondità il nostro pensiero ed il nostro agire individuale 
                    e collettivo.
                    
                    La codifica dell’indeterminazione, il principio o relazione 
                    d’indeterminazione di Heisenberg, trasforma l’oggetto della 
                    fisica classica e inaspettatamente “l’oggetto positivista 
                    si dilata fino a comprendere la dimensione del soggetto umano” 
                    (Durand Gilbert, 1995, p. 68), diffondendo una “sovversione 
                    del consenso epistemologico” (Durand Gilbert, 1995, p. 53) 
                    che avvia verso una “filosofia della sovversione epistemologica” 
                    (Durand Gilbert, 1995, p. 53). Una sovversione che acquista 
                    una sua valenza peculiare, sostenuta non dalla confutazione 
                    del determinismo scientifico né tanto meno dal paradosso quantico 
                    promosso da una micro-fisica in grado di ricusare l’indeterminismo 
                     [1]. “Esiste un paradosso 
                    quantico ancora più stupefacente” (Durand Gilbert, 1995, p. 
                    56) che colloca la prospettiva simbolica in rottura con una 
                    metodologia puramente semiologica, predominante nell’epistemologia 
                    in seno alle scienze umane e sociali [2]. 
                    La crisi del determinismo non impedisce, tuttavia, e non contrasta 
                    una spiegazione causalista dei fenomeni (Boudon, 1971), instaurando 
                    una divergenza tra semiologia e simbolismo laddove mette in 
                    “opera una statica intellettuale di queste dottrine” che al 
                    contrario noi possiamo fare corrispondere in una dinamica 
                    riflessiva, quando questi metodi “si congiungono sulla via 
                    della complementarietà” (Cullati, 2000, p. 14). Il pensiero 
                    semiologico, concepito a discapito della semantica, si trasforma 
                    in un ostacolo alla simbolizzazione (Bertin, 1995): l’ambito 
                    concettuale, semiologico, favorisce una mentalità tecnicistica 
                    e scientista che avanza per riduzione concettuale del significato 
                    invece d’invocare il risorgere delle immagini; lo spirito 
                    dell’Occidente procede discreditando il simbolo e privilegiando 
                    i fatti materiali e oggettivi. La semantica delle immagini, 
                    rinvigorite dai significati e dal realismo sensoriale, ci 
                    rivela la capacità umana di evocare immagini accompagnandoci 
                    verso una presentificazione del significato e preconizzando 
                    “che non ci sono solo verità oggettive (…) ci sono altresì 
                    delle verità soggettive fondamentali soprattutto al funzionamento 
                    costitutivo del pensiero piuttosto che ai fenomeni” (Durand 
                    Gilbert, 1992, p. 457).
                    
                    Una semantica che si sviluppa in quanto teoria generale di 
                    valutazione non-elementare ed associata ad una logica-sistema 
                    non-aristotelico (Bulla de Villaret, 1973), considera la complessità 
                    d’ogni movimento d’acquisizione e produzione di conoscenze, 
                    finalizzato ad uno studio dei fattori o degli elementi in 
                    relazione, ala ricerca di strutture e d’elementi in presenza. 
                    La svolta epistemologica, insita nella relazione tra osservatore 
                    e osservato e nella loro reciproca non-identificazione, nella 
                    concezione dello spazio e del tempo situati in una prospettiva 
                    della probabilità o dell’incertezza rapportata a delle strutture, 
                    confluisce nella capacità di simbolizzazione in quanto possibilità 
                    umana auto-riflessiva. La formulazione di una visione quantica 
                    congiuntamente ad una semantica, in seno ai primi tentativi 
                    prodotti dalle scienze al margine del movimento filosofico 
                    contemporaneo (Nicolescu, 1985), mette in luce l’unificazione 
                    di differenti livelli di conoscenza: il livello biologico 
                    e fisiologico, psicologico e semantico, strutturale e spirituale. 
                    I postulati di una relazione tra il corpo e le rappresentazioni 
                    trovano in questo modo il proprio fondamento, concependo una 
                    struttura dinamica dell’immaginario in seno alla quale “lo 
                    schema è una generalizzazione dinamica e affettiva dell’immagine, 
                    costituisce la fattività e non substantività generale dell’immaginario 
                    (…) facendo da collegamento (...) tra gesti inconsci della 
                    sensori-motricità, dominanti riflesse e rappresentazioni” 
                    (Durand Gilbert, 1992, p. 61).
                    
                    Dal dominio del rimosso, ambito della ricerca oggettiva, 
                    verso una metafisica dell’immaginazione
                    
                    La rivalutazione e la riabilitazione del pensiero simbolico, 
                    posto ai margini da una concezione della conoscenza aristotelica 
                    e cartesiana, si contrappongono all’esclusione dell’immaginazione 
                    e dell’immaginario in quanto irreali, impedimenti all’acquisizione 
                    di un simbolico messo in risalto nel riconoscimento d’altri 
                    elementi oltre ai segni convenzionali del linguaggio nel funzionamento 
                    dell’immaginario (Nicolescu, 1985), sottolineando il valore 
                    e la realtà di un pensiero senza parole e mostrando il ruolo 
                    di rinnovamento di un pensiero delle immagini (Christin, 2000). 
                    Il pensiero simbolico emerge grazie ad un pensiero non verbale 
                    svelandosi nella struttura del linguaggio, a costo di disfarsi 
                    delle costrizioni sociali e culturali. La concezione classica 
                    della psicanalisi rispetto all’attività simbolica del pensiero, 
                    concepisce questa stessa attività in quanto rimosso simbolizzato. 
                    L’attività fantastica è viceversa l’impossibilità della coscienza 
                    semiologia, rinchiusa nel segno, di rivelare l’immagine simbolica, 
                    il simbolo è così concepito nella sua funzione d’allontanamento 
                    e di dissimulazione alla coscienza del suo significato. L’immagine 
                    simbolica, “lontano dall’essere semiologia nella quale il 
                    significato, o la materia, è dissociato dalla forma (…) è 
                    semantica: vale a dire che la sua sintassi non si separa dal 
                    suo contenuto, dal suo messaggio”(Durand Gilbert, 1992, p. 
                    457). Una concezione simbolica dell’immaginazione che sollecita 
                    un semantismo delle immagini, individua una “identità semantica” 
                    raffigurando una “cinematica del simbolo” (Durand Gilbert, 
                    1996). Il simbolismo è in questo modo assimilato riducendo 
                    qualsiasi spaccatura tra significante e significato, abbiamo 
                    una dissimulazione dello spirito simbolico in uno scarto che 
                    non è una vera spaccatura del sensibile, immaginato e raffigurato, 
                    con la qualità simbolica di evocare, suggerire ed epifanare 
                    una figurazione attraverso una presenza figurata della trascendenza 
                    nel significato resistente. L’immaginario umano caratterizzato 
                    da un pensiero simbolico svela un pensiero per immagini, un 
                    pensiero indiretto generante “un hiatus di significati tra 
                    significante dato e significato richiamato al senso” (Durand 
                    Gilbert, 1996, p. 143), rivisitando la concezione di una realtà 
                    oggettiva distante e separata della comprensione che la pensa 
                    quando la “funzione fantastica oltrepassa il rimosso e la 
                    semiologia (…) ogni ricerca oggettiva si fa attorno e contro 
                    la funzione fantastica (…) poiché il dominio della ricerca 
                    oggettiva è per eccellenza il dominio del rimosso” (Durand 
                    Gilbert, 1992, p. 459-460).
                    
                    I periodi più significanti dello sviluppo dell’epistemologia 
                    contemporanea (Xiberras, 2002), la metodologia totalitaria 
                    della scienza positivista e la sua implosione dall’interno 
                    mentre il romanticismo apriva la strada ad altre conoscenze, 
                    elaborate sul potere dell’immaginazione e sul funzionamento 
                    della ragione fondato su altri dati che non le forme a priori 
                    della sensibilità, sono galvanizzate nei fondamenti di una 
                    teoria filosofica dell’indeterminazione in seno alla quale 
                    ciò che può divenire oggetto di conoscenza è sempre indeterminato. 
                    Il principio d’indeterminazione rappresenta così il terzo 
                    momento marcante dello sviluppo dell’epistemologia, una svolta 
                    epistemologica fondante una metafisica dell’immaginazione, 
                    un’antropologia simbolica consolidata attraverso una concettualizzazione 
                    della simmetria temporale e dello statuto dell’altrove (Durand 
                    Gilbert, 1995). L’ipotesi di una simmetria tra passato e futuro, 
                    la concezione newtoniana fissandoli una relazione d’asimmetria, 
                    colgono il tempo nell’ordine della successione, nella concezione 
                    einsteiniana la relatività nega unicamente un ordine unico 
                    ed assoluto, si traduce in una refutazione del principio di 
                    causalità efficiente. La meccanica quantistica, differenziandosi 
                    della meccanica classica, sostituisce la dicotomia passato 
                    / futuro con una tricotomia passato / futuro / altrove, “l’esistenza 
                    di una regione dell’altrove (…) un’intuizione che è difesa 
                    da molto tempo dai mistici (…) adesso è avanzata dai fisici. 
                    Questo non è senza conseguenze sul nostro modo di vedere la 
                    struttura del tempo” (Talbot, 1984, p. 124). Possiamo così 
                    distinguere l’altrove, una regione dello spazio e del tempo 
                    differenziata dal passato e dal futuro assoluto in relazione 
                    ad un evento (Hawking, 1989), e attraverso questa rappresentazione 
                    scientifica del tempo e del mondo il presente non ha uno statuto 
                    privilegiato, essendo un istante in relazione con il futuro 
                    ed il passato e facendo sussiste un rapporto analogo tra il 
                    presente con il qui e l’altrove (Pupolizio, 2002).
                    
                    Il risorgere del simbolico attraverso una semantica dell’altrove, 
                    caratterizza una scienza che non costituisce più il suo progetto 
                    sulla conoscenza della cause, è un determinismo condizionale 
                    e la teorizzazione del concetto di probabilità condizionale, 
                    con la teoria del simbolo, “colloca per così dire la causalità 
                    del simbolizzante in un simbolizzato spesso inaccessibile, 
                    altrove ma determinante la pluralità degli impatti simbolici 
                    (Durand Gilbert, 1995, p. 58). La “non-separabilità” e “l’altrove” 
                    caratterizzano in questo modo l’essenza del fenomeno attraverso 
                    una dislocazione e “questa dislocazione del fenomeno, come 
                    la sua stessa coesistenza di non-separabilità, il suo radicarsi 
                    per simmetria nell’altrove incita a pensare la nozione d’identità, 
                    questo principio d’identità che è il dogma di tutta l’epistemologia 
                    e della filosofia classica” (Durand Gilbert, 1995, p. 60). 
                    Il rigetto dei principi aristotelici d’identità, di contraddizione 
                    e del terzo escluso, ha generato una semantica (Bulla de Villaret, 
                    1973) che si allontana da una visione statica del mondo, da 
                    possibilità fisse e opposte, ipotizzando un’infinità di possibilità, 
                    una nuove visione dell’Umanità e del mondo basate sui dati 
                    della fisica moderna. L’immaginazione simbolica, insieme alla 
                    fondazione di una metafisica simbolica, si è così opposta 
                    ad una rigida concezione semiologia del mondo fondata sul 
                    “trionfo dell’iconoclasticismo, il trionfo del segno sul simbolismo” 
                    dove “l’immaginazione, come la sensazione dell’altrove, è 
                    rigettata (…) in quanto padrona dell’errore” (Durand Gilbert, 
                    2003, p. 24).
                    
                    L’ermeneutica dell’altrove come accesso al mito ed 
                    all’immaginario
                    
                    Il trionfo della spiegazione semiologica positivista è stato 
                    scosso dall’immaginazione comprendente in seno alla quale 
                    l’immagine simbolica e il simbolo sono la “trasfigurazione 
                    di una rappresentazione concreta attraverso un significato 
                    mai astratto”, e una “rappresentazione che fa apparire un 
                    significato segreto, l’epifania di un mistero” (Durand Gilbert, 
                    2003, p. 12-13). Il carattere epifanico del mito, ad esempio, 
                    svelandoci la rivelazione di un’assenza situata nella regione 
                    dell’altrove, si dà una forma immaginaria e attraverso l’immagine 
                    ed il simbolo dispiega la sua capacità ed il suo potere motivante, 
                    generante e implicante dell’immaginario, consolidando la potenza 
                    della figurazione umana e concependo l’immaginario come principio 
                    organizzatore della vita sociale (Durand Gilbert, 1992). Il 
                    mito si definisce quindi come “sistema dinamico di simboli, 
                    d’archetipi e di schemi, sistema dinamico che, sotto l’impulso 
                    di uno schema, tende a comporsi in un racconto” (Durand Gilbert, 
                    1992, p. 64), “fatto della pregnanza simbolica dei simboli 
                    che dispiega nel racconto” (Durand Gilbert, 1996, p. 77).
                    
                    La forma narrativa del mito (Westerhoff, 2005), il racconto 
                    né è la sua proprietà principale, è stata valorizzata rispetto 
                    al registro del discorso, quello del logos, ed in questo modo 
                    la spiegazione oggettiva ha cercato di padroneggiare il discorso 
                    mitico. Possiamo pervenire così ad una vera sovversione epistemologica 
                    quando “la famosa spaccatura tra logos e mythos, fra trivium 
                    e quadrivium, tra scienze dure e pure e saperi empirici, estetici, 
                    mistici, poetici, è contenuta in seno ad un’epistemologia 
                    generale rinnovata, unitaria nella sua diversità, sistemica 
                    e olistica” (Durand Gilbert, 1995, p. 49). Un approccio comprendente 
                    simbolico, “la rappresentazione comprendente che legifera 
                    e attribuisce significato alla cosa analizzabile” (Durand 
                    Gilbert, 1996, p. 62), si allontana sia da un approccio assoggettando 
                    dei processi attivi come i simboli o i miti alle pulsioni 
                    o alle inibizioni elementari, sia da un approccio d’interpretazione 
                    analizzante unicamente un sistema interiore agli individui 
                    come la società o l’ambiente socioculturale. Quest’approccio 
                    valorizza, in rottura con i metodi classici nelle scienze 
                    sociali, la dinamica dell’immaginario umano e la sua tendenza 
                    a non lasciarsi rinchiudere in una lettura interpretativa 
                    e lineare della vita, aggirando il movimento diacronico dell’esistenza 
                    sociale attraverso le profondità dei simboli e dei miti ed 
                    il loro agire simultaneo. I miti si definisco attraverso “il 
                    processo generatore di passaggio, di reversibilità semantica 
                    dal biologico (riflessologia) al culturale (sociologia)” (Durand 
                    Yves, 1988, p. 39), gli schemi e gli archetipi naturali che 
                    strutturano i miti, e il loro racconto, “il discorso razionalizzante” 
                    (Durand Yves, 1988, p. 39). Il mito e il logos possono in 
                    questo modo incrociarsi e riconciliarsi riunendo e riavvicinando 
                    l’unicità degli esseri e la pluralità delle rappresentazioni 
                    del mondo, collegando la doppia evoluzione del carattere simbolico 
                    del racconto mitico (Westerhoff, 2005): il movimento nel quale 
                    il discorso logico prevale sulla dimensione dell’immagine 
                    e del simbolo, e il movimento opposto di riduzione progressiva 
                    del mito che lascia il suo statuto narrativo per trasformarsi 
                    in simbolo.
                    
                    Il “sermo mythicus” diventa la matrice di ogni discorso (Durand 
                    Gilbert, 1996, p. 141), una matrice generatrice di significati, 
                    e “qualsiasi racconto (…) ha una profonda relazione con il 
                    sermo mythicus, il mito (…) modello e matrice di qualsiasi 
                    racconto” Durand Gilbert, 1996, p. 230). Il pensiero mitologico, 
                    l’idea che gli Dei dimorino nei nostri racconti, c’induce 
                    a credere al mito che dà forma all’intrigo (Hillman, 1984) 
                    ed alla trama della nostra esistenza, concependo l’identità 
                    degli esseri attraverso la storia o le storie della nostra 
                    vita. La partecipazione degli Dei a queste storie le fanno 
                    divenire dei miti, conferendo alla nostra biografia un carattere 
                    mitico [3] che c’introduce 
                    in un viaggio ed un’ermeneutica dell’altrove come accesso 
                    al mito ed all’immaginario. La funzione essenziale della mitologia 
                    conferisce una forma ed un significato al disordine dell’esperienza 
                    e del mondo (Eco, 1994), pervenendo ad unire insieme simbolismo, 
                    immaginario e reale attraverso la natura inseparabile del 
                    mito dal logos in questa relazione tra pensiero simbolico 
                    e mitologico (Morin, 1986). Il “sermo mythicus” si traduce 
                    in un racconto attraverso la sacralità del discorso che rende 
                    presente una memoria in grado di attualizzare dei valori fondanti, 
                    una coscienza attenta al sacro che ci costituisce. Il mito 
                    nella forma del racconto raggiunge le sorgenti di un orientamento 
                    epistemologico in grado di riunificate le scienze umani e 
                    sociali attorno ad una “mythodologie” della narrazione del 
                    mito (Durand Gilbert, 1996): una “mythocritique” dei racconti 
                    manifestati attraverso differenti linguaggi, un’analisi dei 
                    miti fondamentali e delle loro trasformazioni significative, 
                    ed una “mythanalyse” applicata all’insieme del discorso sociale 
                    di ogni società, in grado di tracciare una topica spazio-temporale 
                    dell’immaginario presente nelle produzioni culturali rispetto 
                    ad un’epoca specifica.
                    
                    L’epifania instaurativa e costitutiva dell’essere 
                    e della coscienza: l’antropologia del profondo rinnova la 
                    riflessione sulla svolta narrativa e valorizza la postura 
                    mitopoetica nella terapia del sé
                    
                    L’accento posto da un’ermeneutica instaurativa (Durand Gilbert, 
                    2003) raffrontata con un’ermeneutica riduttiva, dove l’interpretazione 
                    del simbolismo ricerca una sua spiegazione in una cosmogonia 
                    pre-scientifica o riduce la comprensione del simbolo all’azione 
                    delle forze affettive oppure ai modelli culturali, postula 
                    al contrario una questione epistemologica critica nella quale 
                    “l’immaginazione simbolica ritrova una piena autonomia rispetto 
                    all’impero della logica e dell’identità” (Durand Gilbert, 
                    2003 p. 65): in questa prospettiva il “simbolo ci svela un 
                    mondo e la simbolica fenomenologia esplicita questo mondo” 
                    (Durand Gilbert, 2003, p. 78). Due percorsi antagonisti di 
                    un’ermeneutica dell’immaginazione simbolica che tuttavia confluiscono 
                    in una teoria dell’immaginario (Durand Gilbert, 1992) la quale 
                    presuppone una loro convergenza, dopo averne “ripudiato i 
                    metodi puramente riduttivi che interessano unicamente l’epidermide 
                    semiologica del simbolo” (Durand Gilbert, 1996, p. 86), metodi 
                    che ricercano unicamente “una continuità con il privilegio 
                    razionalista” (Durand Gilbert, 1996, p. 86). Il concetto di 
                    tragitto antropologico (Durand Gilbert, 1992) mette quindi 
                    in relazione l’immaginario e la capacità di produrre delle 
                    immagini con la dimensione neuro-biologica e culturale connaturata 
                    all’homo sapiens, facendo risaltare una struttura figurativa 
                    specifica all’homo symbolicus e rendendo “intelligibili le 
                    configurazioni d’immagini, proprie di creatori individuali, 
                    d’agenti sociali o categorie culturali, individuando le figure 
                    mitiche dominanti, identificandone la loro tipologia e ricercando 
                    delle fasi di trasformazione dell’immaginario” (Wunenburger 
                    , 2003, p. 22-23).
                    
                    Un’antropologia del profondo ci permette in questo senso di 
                    desumere una logica dinamica e narrativa dell’immaginario, 
                    collegandoci alla prospettiva di un’ontologia simbolica (Bachelard, 
                    1968) che riesca tuttavia a recuperare, e al tempo stesso, 
                    rovesciare e far convergere, le linee direttrici della scienza 
                    e dell’immaginazione: “bisogna penetrare nel magma dei deliri 
                    e dei sogni ed allontanarsi dalle vie rettilinee della ragione” 
                    (Durand Gilbert, 1996, p. 33). I collegamenti con la psicologia 
                    del profondo di Jung e le sue influenze nella nozione di storia 
                    clinica (Hillman, 1984), espressione dell’anima e possibilità 
                    di penetrare nella nostra storia interiore innescando l’immaginazione 
                    attiva nel racconto, nella costruzione della trama e del mito 
                    della nostra storia, recuperano altresì l’idea di una molteplicità 
                    degli archetipi che “costituiscono le matrici delle funzioni 
                    della coscienza, le strutture dominanti della psiche” (Durand 
                    Gilbert, 1988, p. 34). L’antropologia simbolica consente, 
                    infine, di rinnovare una riflessione sul ruolo della svolta 
                    narrativa, contraddistinta dall’esercizio dell’immaginario 
                    che assume una valenza terapeutica nella narrazione clinica, 
                    considerando la valenza poetica della narrazione (Wunenburger 
                    , 2003) che attraverso la costruzione della trama, la messa 
                    in scena di un mito, la mimesis, permette di generare e comprendere 
                    il significato dell’agire umano. La costruzione di una storia 
                    (Bruner, 2002) struttura la nostra visione del mondo nella 
                    narrazione e nel racconto di sé, dando forma alla nostra esperienza 
                    delle relazioni con noi stessi, gli altri e le cose del mondo. 
                    Le storie diventano narrazioni dove coesiste il passato ed 
                    il possibile in un divenire nel quale l’identità narrativa, 
                    la nostra ipseità (Ricoeur, 1985), si concepisce come processo 
                    di costruzione nella temporalità, permettendo di identificare 
                    un modello dinamico dell’identità generato dalle potenzialità 
                    poetiche della narrazione.
                    
                    Il processo relazionale nell’approccio clinico e l’incontro 
                    nella sua immediatezza, la presenza all’altro, l’istante presente 
                    come fondamento di un approccio fondato sulla centralità della 
                    persona, stimola un ascolto sensibile potenziando la libertà 
                    della persona nella relazione (Rogers, 1972). L’ascolto sensibile, 
                    prima ancora di situare una persona rispetto al suo ruolo 
                    e al suo statuto sociale, invita a riconoscere la persona 
                    in quanto “essere, nella sua qualità di persona complessa 
                    dotata di una libertà e di un’immaginazione creatrice” (Barbier, 
                    1997, p. 293). L’ascolto sensibile dell’altro consente di 
                    sostenere la libertà e la creazione, rapportandosi ad un approccio 
                    clinico e terapeutico incentrato sulla persona, rifiutando 
                    al tempo stesso la violenza simbolica esercitata dalla figura 
                    del terapeuta. Nella terapia incentrata sulla persona si è 
                    manifestato questo fondamentale cambiamento del paradigma 
                    antropologico e terapeutico, concependo l’essere umano come 
                    persona. L’approccio transversale ci permette di riconoscere 
                    la dimensione mitopoetica del soggetto, “gli psicoterapeuti 
                    hanno riconosciuto poco alla volta il valore e la valenza 
                    mitopoetica nella cura” (Barbier, 1997, p. 198), come possibilità 
                    di un soggetto nuovo in grado di riequilibrare la visione 
                    della società, di se stesso e del mondo, e questo significa 
                    riconoscere e integrare l’immaginario come funzione psichica 
                    e della creatività simbolica (Durand Yves, 1988), dinamismo 
                    prospettico che attraverso le stesse strutture del progetto 
                    immaginario tenta di migliorare la situazione dell’uomo nel 
                    mondo.
                    
                    Come ascoltare questo immaginario? Rendendo operanti tre tipi 
                    d’ascolto (Barbier, 1997): scientifico-clinico, caratterizzato 
                    dal suo approccio centrato sul soggetto attraverso la metodologia 
                    della ricerca azione esistenziale e comunitaria; poetico-esistenziale, 
                    un’ermeneutica instaurativa che concepisce la persona dotata 
                    d’immaginazione e il suo modo di essere, creare, immaginare, 
                    inventare; spirituale-filosofico, ascolto dei valori e del 
                    significato della vita negli individui, nei gruppi e nelle 
                    comunità. Un ascolto mitopoetico si delinea infine attraverso 
                    questi tipi d’ascolto che si aprono verso altrettante forme 
                    dell’immaginario che devono essere messe in relazione (Barbier, 
                    1997): un immaginario personale-pulsionale, come origine, 
                    processo e risultato che si fonda sulle pulsioni dell’essere 
                    umano; un immaginario sociale-istituzionale, creazione di 
                    significazioni sociali e dinamica dei rapporti di forza e 
                    significati; un immaginario-sacrale, impatto delle forze ed 
                    energie che ci attraversano senza poterle controllare.
                    
                    Attività auto-poietica e appropriazione o ri-appropriazione 
                    del proprio potere e del futuro come capacità creativa dell’immaginario
                    
                    Possiamo considerare le collettività e le persone collocate 
                    in un contesto sociale-storico (Poirier, 2004) e concepirle 
                    come esseri sociali-storici, forme ontologiche irriducibili 
                    all’agire individuale. Il sociale non è di conseguenza una 
                    somma di soggetti né un’intensa intersoggettività, poiché 
                    solo nel sociale sono possibili un soggetto ed un’intersoggettività 
                    anche trascendentali in quanto il sociale “è collettivo anonimo 
                    sempre istituito, nel e per il quale i soggetti possono manifestarsi, 
                    che li travalica indefinitamente (essi sono sempre rimpiazzabili 
                    e rimpiazzati) e che contiene in se stesso una potenza creatrice 
                    irriducibile alla co-operazione dei soggetti o agli effetti 
                    d’intersoggettività” (Castoriadis, 1990, p. 83). Il sociale 
                    e la società non sono riducibili ad un’epistemologia intersoggettiva 
                    e non possono essere ridotti ad un’opposizione semplificatrice 
                    e schematica, separando l’individuo e la società. Il legame 
                    tra clinica e storica che Castoriadis perviene a sintetizzare, 
                    esaminando l’attività della comunicazione e l’intercomprensione 
                    nella pratica pedagogica e psicanalitica, stabilisce il senso 
                    e la finalità dell’attività intersoggettiva nella possibilità 
                    di promuovere l’accesso dell’individuo alla sua autonomia, 
                    sostenendo “la sua capacità di mettersi in causa e di trasformarsi 
                    lucidamente” (Castoriadis, 1990, p. 83).
                    
                    L’autonomia, finalità di quest’attività intersoggettiva, caratterizza 
                    l’essere in quanto essere nella sua volontà di trasformazione 
                    nel dominio dell’esistenza individuale e collettiva, dandosi 
                    una forma sociale che comprende in ultima analisi anche una 
                    dimensione politica. E’ nel progetto d’autonomia individuale 
                    e sociale che noi possiamo cogliere come la collettività può 
                    esistere in quanto società istituita con i suoi significati 
                    immaginari, riconoscendo al tempo stesso e recuperando il 
                    suo carattere istituente. Il sociale-storico travalica qualsiasi 
                    intersoggettività, permettendoci di considerare le istituzioni 
                    che incarnano il sociale, l’istituito investito da un processo 
                    d’auto alterazione temporale, uno spazio d’istanze che si 
                    aprono ad una “auto-alterazione dell’istituzione sociale, 
                    opera dell’immaginario istituente” (Castoriadis, 1990, p. 
                    163), uno spazio che consente di rimettere in questione le 
                    istituzioni sociali. La portata filosofica del concetto di 
                    sociale-storico, ignorato dalla stessa filosofia (Castoriadis, 
                    1990, p. 311), sconvolge la classica spaccatura tra soggetto 
                    ed oggetto, fondamento di un pensiero che polarizza un soggetto 
                    o ego, e l’oggetto o mondo e “ciò che in questo modo resta 
                    occultato (…) è il sociale-storico che è sempre (…) il co-soggetto 
                    ed il co-oggetto del pensiero” (Castoriadis, 1990, p. 163).
                    
                    L’immaginazione concepita come potenza creatrice e forza emergente 
                    individua in Castoriadis il concetto dell’essere come magma 
                    di significati e significazioni immaginarie (Poirier, 2004), 
                    sviluppando l’idea di un legame fondamentale tra l’immaginario 
                    ed il pensiero (Barbier, 1997) dove l’immaginazione è creazione 
                    (Castoriadis, 1975), sia come immaginazione radicale, flusso 
                    rappresentativo affettivo intenzionale per la psiche-soma, 
                    sia come immaginazione sociale, flusso aperto collettivo anonimo 
                    per il sociale-storico o società istituente. Le finalità della 
                    pratica narrativa in ambito clinico sostengono la persona 
                    nell’elaborazione di attività poietiche e creatrici poiché 
                    la soggettività, concepita in quanto processo, una soggettività 
                    riflessiva e deliberante alla ricerca del suo divenire, è 
                    lontana da una visione statica dell’essere e dell’identità 
                    del soggetto. Il concetto di soggettività descrive essenzialmente 
                    un processo ed è possibilità di darsi un progetto d’autonomia, 
                    un’autonomia che si qualifica come quella “trasformazione 
                    del soggetto in modo tale che possa accedere a questo processo” 
                    (Castoriadis, 1990, p. 178). Progettare autonomie consapevoli 
                    e concepire il nostro divenire sono le stesse finalità della 
                    pedagogia che sostiene il divenire di un essere umano, “progetto 
                    necessariamente sociale, e non semplicemente individuale” 
                    (Castoriadis, 1990, p. 181) poiché una sociétà è autonoma 
                    se è consapevole del fatto “che si è istituita in modo tale 
                    da liberare il suo immaginario radicale ed essere in grado 
                    di alterare le sue istituzioni per mezzo della propria attività 
                    collettiva, riflessiva e deliberativa” (Castoriadis, 1990, 
                    p. 183). Il legame che la svolta narrativa ha plasmato con 
                    il costruttivismo, ricorrendo “a matrici interpretative di 
                    carattere generativo, relazionale, dinamico” (Formenti, 1998, 
                    p. 108), fondano una logica del divenire costitutiva del linguaggio 
                    che ci permette di non trascurare la dimensione politica dell’autonomia 
                    del soggetto e della società, concependo un’integrazione della 
                    riflessività, delle temporalità e del divenire incorporando 
                    elementi “etici, estetici, pragmatici e politici della nostra 
                    poetica” (Pakman, 2006, p. 71) e del nostro immaginario radicale 
                    e sociale.
                    
                    La centralità delle persone considerata attraverso 
                    una sociologia del profondo: la narrazione e la scrittura 
                    di sé come luogo della memoria e dell’immaginario per una 
                    poetica dell’esistenza
                    
                    La pretesa scientifica del razionalismo di cogliere gli aspetti 
                    simbolici dell’esperienza vissuta è inadeguata nel rendere 
                    conto dell’energia creatrice nelle sue molteplici manifestazioni 
                    della vita (Maffesoli, 2005), esaltando la rigidità dell’istituito 
                    a discapito della dinamica dell’istituente. Possiamo riflettere 
                    in questo senso, incoraggiati da una sociologia del profondo, 
                    sui molteplici significati che alcune figure mitiche ci suggeriscono 
                    sulla relazione tra logos e immaginazione poetica, un’estetica 
                    dell’esistenza raffigurata nella tensione che le Dee Mnemosine 
                    ed Hestia rivelano e fanno convergere nell’accezione del termine 
                    greco “epimeleia heautou”, cura di sé, mettendo in relazione 
                    l’immaginazione rispettivamente con la riflessività e la volontà, 
                    ed in modo transustanziale l’ambito della politica con quello 
                    dell’anima. Mnemosine, personificazione della memoria, Dea 
                    della mitologia greca, figlia di Gaia e d’Urano, diede vita 
                    insieme con Zeus alle nove Muse dell’Olimpo, cantatrici divine 
                    che presiedono il pensiero in tutte le sue espressioni. Madre 
                    della storicità e della meditazione è l’archetipo dell’anima 
                    nella storia clinica (Hillman, 1984), meditazione del sé che 
                    in una prospettiva terapeutica può riuscire a dare impulso 
                    ad un progetto d’autonomia.
                    
                    L’attività poietica e creativa della memoria e del pensiero, 
                    è un’attività ascritta alla dimensione politica dove la questione 
                    dell’autonomia, non solo individuale ma anche sociale, sposta 
                    l’attenzione dal “monopolio della violenza legittima” al “monopolio 
                    della parola legittima”, collocando la presa di parola nel 
                    giogo del “monopolio del significato valido” (Castoriadis, 
                    1990, p. 150). Un’ermeneutica dell’ ‘altrove’ potrebbe non 
                    riuscire a far emergere le significazioni del pensiero simbolico 
                    e il desiderio dell’immaginario dal magma della psiche-soma 
                    e del sociale-storico, confrontandosi con la “credenza nella 
                    legittimità” che il monopolio della parola legittima e del 
                    significato valido suscitano e alimentano in una radicata 
                    “fede nella propria legittimità”? (Weber, 1995, p. 208) Il 
                    concetto dell’uso legittimo ed esclusivo della violenza, da 
                    parte di diversi tipi di potere, mette in rilievo la “pretesa 
                    della legittimità” (Weber, 1995, p. 208) nella quale possiamo 
                    riconoscere una forma di monoteismo, fondato sul triplice 
                    monopolio di violenza-parola-significato contro il quale si 
                    erge il silenzio di un'altra figura del pensiero mitologico 
                    greco: la figura di Hestia (Humeau, 2006, p. 43). Dea dell’intimità 
                    e dell’interiorità, Dea silenziosa e immobile il cui mito 
                    “parla senza parlare (…). Hestia è silenziosa come tutte le 
                    statue (…), il silenzio parla il linguaggio delle pietre, 
                    della scatola nera e della morte (…); le statue sono il riferimento 
                    dell’erranza, il punto fisso attorno al quale si fondono e 
                    si raccolgono i sentieri” (Humeau, 2006, p. 43). Il silenzio 
                    di Hestia, contrapposto al mito di Edipo nel quale quest’ultimo 
                    prende coscienza attraverso la parola, rivela una Dea silenziosa 
                    e immobile, presente attraverso un linguaggio del silenzio 
                    dal quale non emerge la parola, il logos. Nell’assenza della 
                    parola e nella trasgressione dell’immaginario della permanenza, 
                    dove Hestia è la Dea del focolare domestico e della polis 
                    greca, di una Terra immobile al centro del cosmo, il mito 
                    di Hestia esalta la ricchezza dell’interiorità, narrazione 
                    silenziosa del profondo che si erge contro il monoteismo della 
                    parola. La figura femminile della Dea rappresenta i silenzi 
                    attraverso i quali essa si rende presente ed in questa presenza-assenza 
                    esprime, attraverso l’ascolto sensibile dell’anima, tutto 
                    ciò che non può essere evocato o rivelato con un discorso 
                    ragionato. Le due Dee, Mnemosine ed Hestia, ci collegano alla 
                    cura verso se stessi e gli altri dove la narrazione e la scrittura 
                    di sé diventano arte dell’esistenza, attività auto-poietica 
                    in grado di attualizzare un immaginario creatore e trasformatore 
                    dell’esistenza, sostenendo dei progetti d’autonomia e trasformazione 
                    di sé.
                    
                    Le conseguenze prodotte dalla svolta narrativa, le nuove prospettive 
                    che autorizzano le stesse pratiche narrative a valorizzare 
                    la nostra storia e la storia dell’altro, quell’altro che è 
                    in noi e al di fuori di noi, ci permettono di rivelare una 
                    coscienza costituita da ciò che è anche estraneo a noi stessi 
                    facendoci scoprire il diritto all’estraneità dell’altro e 
                    valorizzando l’alterità nell’accompagnamento alla narrazione 
                    e alla scrittura di sé. Nella predisposizione delle condizioni 
                    che permettono di “prendere la parola per costruire un discorso 
                    su di sé” si delinea il concetto di empowerment inteso come 
                    quell’ “emancipazione che avviene attraverso l’arte e il progetto 
                    di esistere” o “attraverso la revisione critica delle condizioni 
                    materiali di vita e la ricerca di una pratica collettiva” 
                    (Formenti, 1998, p. 132). Nella scrittura autobiografica “è 
                    l’immaginario autobiografico che facilita, per un verso, la 
                    scrittura personale” (Demetrio, 1996, p. 53), e il fatto di 
                    dedicarsi “al lavoro di scrittura in senso proprio della nostra 
                    storia” (Demetrio, 1996, p. 52), l’autobiografia come cura 
                    di sé, rafforza l’identità e l’autostima attraverso uno spazio 
                    di riflessione che si caratterizza come momento d’auto-formazione 
                    esperienziale. Momento al tempo stesso generativo e trasformativo 
                    che rende possibile uno slancio vitale come bisogno di rinascita, 
                    dove la dimensione della parola e della scrittura diventano 
                    opera di riparazione, poiché “l’autobiografia è quanto di 
                    meglio sia in grado di testimoniare la nostra libertà di parola, 
                    di opinione, di visione - assolutamente personale - dei drammi 
                    e delle situazioni esistenziali della vita: connessi alla 
                    crescita, all’amore, alle responsabilità, al diritto, al benessere 
                    se non proprio alla felicità, al dolore e alla morte” (Demetrio, 
                    2006, p. 27).
                    
                    I dispositivi autobiografici, la presa di parola che si trasforma 
                    nella scrittura personale, stimolano percorsi riflessivi di 
                    significazione e ri-significazione, d’auto-consapevolezza 
                    orientati al sé e dischiusi verso nuove possibilità, verso 
                    un altro esistente possibile. Laddove la centralità della 
                    persona diventa una sorta di nuovo paradigma della nostra 
                    era, è necessario il riconoscimento della cittadinanza alla 
                    parola, non espropriando i soggetti e gli attori sociali della 
                    loro storia e valorizzando il patrimonio della memoria e delle 
                    memorie dei nostri territori. Prendersi cura della nostra 
                    storia, della nostra persona, attraverso un’attività auto-poietica, 
                    una rappresentazione della condizione esistenziale che recupera 
                    l’immaginario, riavvicina l’universo simbolico e le sue capacità 
                    creatrici collocandole in una tricotomia che mette in relazione 
                    il passato, il futuro e l’altrove. Radicati in una dinamica 
                    sociale (Maffesoli, 2005) che sollecita una rappresentazione 
                    comprendente, assicurando il legame tra il passato ed il futuro 
                    e assegnando un posto di primo piano alla passione ed all’emozione 
                    insieme alla ragione, possiamo verosimilmente valutare una 
                    retroazione del futuro sul passato (Durand Gilbert, 1995) 
                    dove il richiamare alla memoria ci consente di ricordarci 
                    del futuro (Batini e Zaccaria, 2002), costruire e scrivere 
                    il futuro. La nozione di empowerment come opportunità e condizioni 
                    adeguate alla diffusione del potere, il potere di essere se 
                    stessi attraverso un’appropriazione o ri-approriazione di 
                    sé in una dimensione transizionale, facilita l’acquisizione 
                    di una maggiore consapevolezza della propria storia di vita 
                    e sostiene la capacità di progettarsi nel mondo e nella relazione 
                    con gli altri e le cose del mondo. La pratica autobiografica 
                    emerge quindi come spazio transizionale (Wieder, 2005) che 
                    possiamo concepire in quanto estetica dell’esistenza (Harrer, 
                    2001-2002), dove la narrazione e la scrittura della nostra 
                    storia operano un effetto di transustanziazione che trasforma 
                    la vita in opera d’arte, definendo uno spazio dell’immaginario 
                    capace di reincantare se stessi ed il mondo.
                    
                    
                    NOTE
                    
                    1] Non è difficile comprendere 
                    le resistenze di Popper quando ci mostra il dispiegarsi di 
                    differenti rappresentazioni e di posture epistemologiche delle 
                    scienze: «Il n’y a point dans la mécanique quantique d’argument 
                    spécifique contre le déterminisme (…) rien dans le domaine 
                    de la mécanique quantique ne justifie la thèse selon laquelle 
                    le déterminisme est réfuté, parce que incompatible avec la 
                    mécanique quantique» (Popper, 1991, p. 127-128).
                    2] Boudon (1991), citato 
                    da Cullati (2000), presenta i metodi quantitativi e qualitativi, 
                    ripartiti tra storicismo, strutturalismo e funzionalismo, 
                    come esempio di metodi semiologici o classici.
                    3] Hillman cita B. Simon 
                    et H. Weiner.
                    
                    
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