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    M@gm@ vol.3 n.4 Octobre-Décembre 2005

    IDENTITÀ INTERINALE: PERCHÉ NE DOBBIAMO PARLARE


    Augusto Debernardi

    augudebe@gmail.com
    Sociologo (laureato all'Università degli Studi di Trento); fino al 1971 collabora con l'ARIP di Parigi (Association pour l’ intervention psycosociologique), è assistente all’Istituto di Psicologia Sociale e di Psicologia del Lavoro dell’Università degli Studi di Torino, componente in qualità di sociologo al Segretariato per la Psichiatria della Provincia di Cuneo, consulente del Centro di Orientamento Scolastico e Professionale di Cuneo dove tra l’altro ha lavorato alla taratura degli strumenti testistici; consulente per la P.O.A. per l'Istituto Psico Medico Pedagogico di Latte di Ventimiglia; dal 1971 è stato componente dell’équipe del Prof. Franco Basaglia all’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste; diplomato all’INSERM di Pargi in epidemiologia Psichiatrica; coordinatore dell’équipe sociopsicologica dell’Alloggio Popolare Gaspare Gozzi di Trieste; componente dell’équipe O.M.S. per la psichiatria; collaboratore Unità Operativa dell’istituto di Psicologia del CNR per la prevenzione malattie mentali ed autore di parecchie pubblicazioni; editor del Centro Studi per la salute Mentale, Collaborating Center W.H.O.; fondatore dell’U.O. per l’epidemiolgia psichiatrica ed autore di numerose ricerche e valutazioni; specializzato in statistica sanitaria e programmazione sanitaria; esperto nel settore della cooperazione nel campo della salute mentale nella Repubblica di Argentina e del Cile; Coordinatore Sevizi Sociale presso l’ASS Isontina; direttore servizi minori Comune di Trieste; Collaboratore dell’Associazione Oltre le Frontiere per le questioni dell’immigrazione; collaboratore della CARITAS della diocesi di Gorizia per la questione del manicomio di Nis (Serbia); Direttore di Area Provincia di Trieste; Presidente dell’ITIS (Istituto Triestino per Interventi Sociali); componete dello staff del direttore generale ASS Triestina; Presidente Co.Ri. (Consorzio per la riabilitazione); animatore dell’associazionismo in temi culturali e dell’integrazione europea.

    Parigi e le sue banlieues stanno bruciando: 5 mila auto bruciate in una settimana. Verso il 10 novembre i roghi stanno diminuendo, ma non sono cessati nonostante il coprifuoco. Da quando è iniziata l'insurrezione, parecchi mesi fa, almeno 25 mila auto bruciate, più autobus e mezzi di soccorso in genere, più vetrine e negozi in frantumi e saccheggiati, e scuole varie anch’esse incendiate. Mica roba da poco. Le zone sensibili che alcuni giornalisti nostrani definiscono come “zone dove vivono gli immigrati nord africani” (quelli che provengono dall’ex impero francese e colonie), sono in realtà sensibili perchè non possono accederci i mezzi dello stato francese ovvero quelli delle poste, della polizia e dei soccorsi, senza diventare oggetto di sassaiole! Erano 600 queste zone sensibili ed ora sono oltre un migliaio in tutta la Francia.

    Il fatto che dopo le sommosse del 1990 e del 1991 (Vaule-en-Velin, Mantes-la-Jolie etc…) i “Renseignements Généraux” (i servizi di sicurezza interni), abbiano elaborato una specie di scala Richter per i vandalismi urbani e si siano organizzati per fronteggiare i vari disordini che nascevano, dovrebbe insegnare molto. Primo: non basta affatto l'ethos del sospetto che fa sì che detti agenti della sécurité e detta istituzione vadano, alla fine, a concordare sul carattere minaccioso di ciò che “ci” sta di fronte. Secondo: l'uso di un linguaggio militarizzato (fanteria della droga, armata in ordine di marcia, capaci di una logistica efficace e così via) alla fine favorisce, anziché una presenza discreta ma perseverante e diffusa, una serie di operazioni sporadiche ad alta intensità, a forte impatto che si chiamano "pugni".

    Già, perché agendo così si crea l'identità dell'avversario ed all’avversario! Il film di Kassowitz "La haine (l'odio)", con la storia dei tre ragazzi di strada, Said, Houbert e Vinz che recitano la situazione quotidiana della banlieues di Parigi, è stato predittivo e con questa predizione anche altri autori e studiosi. Alla fine l'odio chiama odio: ovvero l'identità attribuita ritorna indietro come acquisita! Attenzione. Il punto non è mai la caduta... ma l'atterraggio, come dice la storiella del film e le nostre barzellette!

    Nel passato non molto antico la Francia aveva definito l'Algeria come territorio municipale, ma aveva anche detto che gli algerini non erano francesi! Gran definizione contraddittoria, maldestramente retorica: sembra che abbiano imparato poco.

    A questo punto va ricordato da Tutti il buon, vecchio Platone "quando i padri si abituano a lasciar fare ai figli, quando i maestri hanno paura dei loro discepoli e li lusingano, quando i giovani disprezzano le leggi perchè non riconoscono più l’autorità delle persone… allora è l’inizio della tirannide”. Non è un invito all’autoritarismo, né a permettere che le personalità autoritarie salgano sulle scale degli apprezzamenti, né è un inno alla “tolleranza zero” (quest’ultima segue l’inveramento del detto di Platone!). E’ un invito alla riflessione attenta ma non all’astrattezza.

    Intanto oggi con questo nostro sistema di gran consumismo i dealer, i pusher hanno, in certi ambienti di periferia e di marginalità, più autorevolezza di tutti: hanno i soldi, regola principale della società attuale!

    La modalità ludica è diventata business, traffici e queste “neo autorità” fanno di tutto per allontanare la polizia dai loro mercati, ovviamente. E ciò facilita, di contro, quell’idea di azioni “pugno”, tanto per dire che “ci siamo anche noi”. Ma queste operazioni danno identità a chi le fa ma anche a chi le subisce. Così l'identità di "uomo" come avversario/nemico (non di cittadino) ritorna indietro a chi la lancia sia come neo-cittadino dimostrando che non c’è identità senza cittadinanza attiva, sia come neo-identità quando si definisce ad esempio "musulmano" e che non è, allora, francese! L’identità diventa interinale, provvisoria su tutta la linea di caratterizzazione, scivolando su qualsiasi crinale.

    "Odio": questo è quello che serpeggia nella società dello spettacolo in cui la stessa rivolta, la stessa sedizione/insurrezione/sommossa deve assumere contorni assai spettacolari, senza un progetto collettivo anche se da qualche parte, invece, qualche congregazione dei Fratelli musulmani 'sa' bene cosa fare: senza apparente fretta! Parigistan, Berlinistan, Bruxellistan... sono alle porte.

    Prestiamo attenzione anche a questo antefatto: "il pastore battista Joseph Doucé, che era anche psicologo-sessuologo, si occupava di minoranze sessuali marginalizzate, anche di quelle dedite alla pedofilia oltre che gay, lesbiche. Fu prelevato il 19 luglio 1990. Il suo corpo fu ritrovato ad ottobre, tre mesi dopo, in stato di decomposizione. Egli era sorvegliato dai “Renseignements Généreaux”, ma fu ugualmente "rapito" da ignoti. I “servizi”.

    Diversi sono i luoghi in cui scoppiano le "violenze urbane", ma sono sempre le periferie, per prime. Notiamo anche che il linguaggio usato si differenzia se esse sono effettuate dai paysannes o transportateurs oppure da "giovani" oppure da "giovani-beurs” (figli di immigrati di prima generazione). A questi la viltà della “violenza urbana”, agli altri l’onore dell’azione politica contestatrice anche se violenta!

    Christian Bachmann - scomparso nel 1997 - e Nicole Le Guennec scrivono proprio un'anatomia della sommossa (quella di Melun, per l'esattezza nel quartiere di Mézereaux, a nord della città). Il "gruppo” di rivoltosi, detto NTM, venne definito dalla popolazione come "il nord trasmette il messaggio", nello specifico la periferia dice alla città. Solo che questo messaggio è stato affatto mal recepito: paura e dunque trasformazione del quartiere in quartiere a rischio. Il rischio con conseguente azione di prevenzione trasforma il soggetto (ancora sano) in malato, sempre. Questa è anche la croce della prevenzione ambientale e sanitaria: l'identità attribuita ritorna indietro, l’identità interinale non si percepisce (solo il lavoro!). I due autori riescono a dare un significato universale a ciò che a prima vista appare assai particolare, per questo "anatomia di una sommossa". Vediamo alcune caratterizzazioni stabili oltre al fatto che quando la popolazione delle periferie passa dal 30% al 50% della popolazione totale (fino a non molti anni fa la popolazione abitava per il 30% in campagna, altrettanto in periferia ed un altro 30% in città) e la popolazione in città scende al 25%, c’è da attendersi qualche tensione e conflitto in più. Le caratteristiche sono: amplificazione e deformazione dei fatti attraverso il telefono senza fili (passa parola); il ruolo ambivalente dei media - di solito c'è chi va con il pugno duro oppure chi va con quel nauseante senso di colpa che accompagna chi vive nella società del benessere con l'idea di essere sfruttatori dei padri dei nuovi rivoltosi - che va a rispecchiare le angosce xenofobe dei lettori, oppure a compiacere gli atti dei delinquenti per banale strumentalizzazione politica; incomprensione reciproca fra 'istituzioni' e “giovani del quartiere” in rivolta.

    In questi momenti la "discriminazione positiva" va a farsi benedire. A sinistra si invoca il diritto universale - tutti i cittadini sono liberi, uguali, fraterni (sic); da destra si invoca l'assurdità dell'assistenzialismo. Una forma di discriminazione positiva, per farci capire, sono anche gli aiuti al sud poco sviluppato oppure dei punteggi per i portatori di handicap che non sono soltanto "diversamente abili"! (a quando, a proposito, i “diversamente sapienti” cioè gli ignoranti nel contesto scolastico?).

    Insomma si assiste al fatto che le parole "inserimento e integrazione" sono vuote: ideologiche e rassicuranti le false coscienze all'opera. Eppure, paradossalmente, le rivolte francesi che cominciano ad estendersi ad altre città europee hanno molto a che fare con questa integrazione, con un benessere della società dei consumi e dello spettacolo.

    Ecco allora una lezione: che i “servizi” (non quelli sociali) siano assai più attenti ai filoni finanziari dei gruppi che si permettono obiettivi come quelli della conquista dei paesi democratici in nome della salvaguardia dei loro “confratelli” e che magari hanno sedi eleganti nella repubblica - extra comunitaria - di Svizzera; poi favorire i percorsi di discriminazione positiva investendo più fondi nei luoghi sensibili, nella scuola di quei posti, nei posti di lavoro in quelle zone; dare spazio alle associazioni che si occupano del settore, non togliere i “flics di quartiere”, potenziare i servizi sociali; creare situazioni mediatiche di base con le reti orizzontali per far scrivere i giovani della loro storia, della loro situazione, della cultura “hip hop” cioè!

    Altrimenti il ritorno della classe sociale pericolosa - come era avvenuto per il capitalismo industriale - riprodurrà storture e conflitti senza soluzione e senza soluzione di continuità. Perchè? Ma perchè la società post industriale, dello spettacolo, riesce ad alimentarsi e produrre profitto su questi spettacoli di lotta, di contestazione che simbolicamente dividono la realtà della vita, della società in "buoni e cattivi", in "bianco e nero". Questa società semplifica - anche l’aziendalismo semplifica le cose complesse - per amplificare lo scontro spettacolare che produce rapporti sociali. In più a pagare sono i soliti travet. Già, Clichy-sous-bois (teatro delle violenze di queste settimane) é a 15 chilometri dal centro di Parigi, è una periferia nata per i "ricchi" che avrebbero dovuto andare ad abitare ad un passo dal centro in un bel verde incontaminato ed ecologicamente salvaguardato. Ma i “ricchi” parigini non ci sono andati affatto, un misero 5%. Ci sono andati gli immigrati, gli operai francesi delle ex colonie, i marginali: una classe operaia residuale (si riconosce in essa il 22%, mentre 10 anni fa si riconosceva in essa il 38% della popolazione).

    E a casa nostra, cioè in quell’ambiente ristretto che è Trieste? La risposta, per i triestini, è una nuova domanda: vi ricordate di Rozzo Melara cioè di quel complesso di residenzialità pubblica capace di oltre 2.000 persone costruito intorno alla metà degli anni ’70 (scopiazzando, male, Le Courbusier)? Bene; se non ci fosse stato a suo tempo il progetto “Habitat” - che dava appunto priorità a queste zone di degrado sociale, di periferia, la convivenza sarebbe ancora difficile, oggi è possibile come la coesione. La delibera di adesione ad Habitat da parte del comune di Trieste - che anche allora non brillava per iniziative innovative - era stata redatta da chi scrive e va detto che l’Ater, guidata da Alberto Mazzi, aderì al progetto molto compiutamente permettendo davvero quelle sinergie positive che hanno dato frutti. Dunque qualche cosa da ricordare e da usare come modellistica. Altrimenti non è possibile solo confidare nella grande età dei triestini - super vecchi - che, a differenza dei giovani, hanno meno opportunità di contestazione e di ribellione. La loro ribellione seguirà quei filoni sociali delle associazioni dei consumatori ma ci vorrà ancora del tempo ma non le strade con le auto incendiate. E ciò rende anche più facile irridere, da certa sinistra e certa destra, l’attenzione dovuta all’età libera. Così le rendite sono assicurate, nei tempi brevi.

    La mancanza di denaro e di speranza "de la thune" come dicono i giovani francesi che vivono nei quartieri di periferia e che spesso si definiscono "musulmani" danno ragione di quanto affermo: scontro nella società dei consumi e dello spettacolo. Ancora più subdolo anche perchè per questi giovani è, come si diceva, "violenza urbana" e non "affaire de politique". Eppure un debito richiamo all’ordine va da sé che è necessario, ma è altrettanto necessaria una coerente politica sociale ed economica che incominci a non sottovalutare la realtà sociale e sappia dare corpo alla sussidiarietà limitando i privilegi delle troppe corporazioni professionali e togliendo di mezzo istituzioni pubbliche e para pubbliche che vivono di rendite e di inutilità. Anche se il capitalismo contemporaneo è simbolico.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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