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    M@gm@ vol.3 n.4 Octobre-Décembre 2005

    OMOSESSUALITÀ MASCHILE: UNA CHIAVE DI LETTURA



    Salvatore Polito

    salvatore.polito@uniroma1.it
    Cultore di Sociologia dei Processi Culturali all'Università degli Studi 'La Sapienza' di Roma; Socio ordinario So.I.S.; da anni interessato a studi storici e sociali circa le differenze e le disuguaglianze di genere, con particolare attenzione ai rapporti di potere tra maschilità e diversità sessuali.

    Introduzione

    Il tema di questo contributo pare suggerire l’esistenza di una precisa linearità di studi storici, sociali e politici circa le identità gay laddove, al contrario, è assai difficile da tracciare. Certo, sono molti gli studiosi che ci hanno provato, cercando di affrontare di petto un soggetto politico molto visibile, ma spesso sfuggente. Malgrado ciò, ad oggi sono rari i contributi prodotti che hanno utilizzato una strategia analitica fatta di sfumature, cioè un approccio basato su studi delle zone d’ombra dell’omosessualità, tali da comprendere il rapporto tra gli omosessuali e la società in cui vivono, descrivendone i contorni, i movimenti, le incertezze, i consensi di pubblico oppure i diversi sussulti. A ciò si aggiunga che le indagini circa la maschilità in generale e i cambiamenti dei suoi ruoli e delle sue rappresentazioni collettive, così come dei suoi simboli nel corso dei secoli, sono stati discussi e analizzati assai meno rispetto a quelli delle donne (Piccone Stella, 2000). Ciò è dipeso in gran parte dal fatto che le caratteristiche proprie della maschilità sono state fortemente influenzate da un’idea generalizzata d’indiscutibilità e completezza, tanto che è risultata incerta una valutazione equilibrata dei caratteri, delle singolarità e delle debolezze proprie pure dell’identità maschile omosessuale, vista perlopiù come una delle tante specificazioni della maschilità in generale, deplorandola così ad un’esistenza immobile e cheta o a volte sofferente. Sicché, l’insieme di questi elementi ha reso incerto l’assestamento degli interessi storici e sociali intorno all’omosessualità maschile, comunque convergenti in un “altrove” che non ha tenuto sufficientemente conto che l’oggetto da studiare reclamava, non tanto una rassicurazione intellettuale, quanto piuttosto delle precisazioni che ne favorissero un’esistenza più serena rispetto a quella attuale.

    Gli attuali approcci all’omosessualità maschile e il pluralismo di idee e di concetti, di studi e di ricerche sulle diversità sessuali, non hanno tenuto adeguatamente in considerazione l’esistenza di certe unicità, approdando a un relativismo teorico dai tratti più moralistici che storici o/e sociologici. A questo si aggiunga che, almeno in parte come conseguenza diretta dei recenti cambiamenti sociali, politici ed economici, i gruppi politici omosessuali non comunicano più un messaggio radicale, di sovversione vera e profonda dei rapporti tra i generi. Negli odierni raggruppamenti gay e nel movimento politico che li rappresenta, infatti, spiccano sia l’affermazione di uno stile di vita specifico che la ricerca continua del consolidamento di fatto dei propri gruppi. Ma le distinte forme di solidarietà che ne risultano hanno oramai stemperato i toni affilati del linguaggio politico dei primi gruppi degli anni ’70. Tanto che, per fare un esempio, lo slancio politico e intellettuale che ha permesso a molti omosessuali di controbattere in modo sorprendentemente unitario i pericoli delle malattie veneree o legate al virus HIV negli anni ‘80, si è fortemente attenuato considerando la maggiore diffusione, soprattutto tra le nuove generazioni gay, di pratiche sessuali a rischio (Bourdieu, 1998). La stampa, i talk show, la pubblicità più o meno diretta e recenti studi, dal canto loro hanno contribuito a trasformare radicalmente l’idea di “normalità” nelle relazioni quotidiane che gli omosessuali intrattengono sia in pubblico che in privato, sia sul posto di lavoro o facendo la fila all’ufficio postale che in camera da letto (Ruspini, 2003).

    Eppure, malgrado la “prossimità” con l’altro, manca un’esauriente ricostruzione storica e sociale sulle trasformazioni dell’intimità e non solo nei termini di una vicinanza con chi è simile a noi, ma pure di chi è diverso da noi. Vero è che alcuni scienziati contemporanei suggeriscono che l’omosessualità, come gruppo sociale, sia un’invenzione del XIX secolo, intrinsecamente congiunta al cambiamento nell’interpretazione dei desideri e dei modi di agire omoerotici; ciò non significa, però, che prima non vi fossero omosessuali. Semplicemente essi erano definiti in altri modi e in relazione ai periodi storici e agli approcci politici e religiosi alle sessualità socialmente accettate o rifiutate. Nondimeno, fra coloro che vennero definiti omosessuali dopo il 1860 e gli omosessuali di oggi, esistono sostanziali differenze (Polito, 2005). Infatti, le qualità specifiche delle relazioni (sia sociali che propriamente sessuali) con gli eterosessuali e con i partner dello stesso sesso, li differenziava da quelli attuali. Naturalmente questo non significa che gli omosessuali di oggi formino gruppi del tutto omogenei, visto che in alcuni di essi perdurano modi di pensare e di agire del passato, ma sottolinea come la conoscenza e il riconoscimento dell’omosessualità siano stati fra gli aspetti più salienti della liberalizzazione sessuale, intesa come uno dei tratti più rilevanti della modernità: l’omosessualità, in poche parole, ha una lunga storia e straordinariamente complicata. Essa è ancora intrecciata con la sessualità in generale e la struttura familiare, solidamente organizzata attorno ai sistemi sociali e ai controlli delle istituzioni religiose, connessa al potere politico ed economico a molti livelli di pressione. Non solo. In questo stato di cose la differenza tra maschile e femminile, l’omofobia spesso dominante e il rapporto fra la maschilità egemone e le altre identità sessuali, sono soltanto rimandi concettuali alla visibilità della relazione che c’è tra i sessi.

    Il genere, infatti, per quanto informi circa le questioni fondamentali inerenti il processo di acquisizione dell’identità (pure di quella omosessuale), dice relativamente poco riguardo alle differenze sociali e demografiche, storiche e politiche che differenziano gli omosessuali da paese a paese o, all’interno di ogni realtà sociale e forme di associazionismo, riguardo alla differenza che si manifesta tra omosessuali maschi e femmine. In particolare poi è proprio la consapevolezza acquisita riguardo al cambiamento provocato nelle relazioni di genere dal movimento omosessuale (soprattutto dal 1969 in poi) che avanza l’essenziale distinzione tra comportamento omosessuale e altri ruoli omosessuali, tra categorie e uniformità sessuali. Non va trascurato, ulteriormente, che gli atteggiamenti sociali di accettazione o di rifiuto verso gli omosessuali sono attinenti ai cambiamenti culturali, sono influenzati cioè dall’incontro/scontro di differenti culture; infine - certo in linea con i cambiamenti storici - gli atti fisici e sessuali fra gli omosessuali possono essere simili, ma le loro implicazioni sociali sono spesso profondamente differenti (Polito, 2005).

    Questo contributo, dunque, tenta di offrire una prima chiave di lettura del rapporto scambievole tra omosessualità maschile e società, analizzato in riferimento a una domanda pubblica di conoscenza non più trascurabile dalle scienze sociali. Soprattutto se si prende atto del fatto che l’omosessualità maschile rappresenta a tutti gli effetti un’alternativa stabile alla maschilità egemone eterosessuale per le sue specificità storiche, politiche e culturali.

    1. L’omosessualità maschile

    L'omosessualità - dove il prefisso omo sta per “simile” - è stata vissuta apertamente in alcune culture, in altre invece è stata spesso condannata e repressa. L’omosessualità e le pratiche sessuali ad essa correlate, per esempio, hanno avuto evoluzioni irte di ostacoli nella cultura cristiana, in quella giudaica e in quella musulmana. In Europa poi si sono dati il cambio periodi di sopportazione e di soppressione feroce, laddove solo di recente le società occidentali e alcune di quelle orientali iniziano a sperimentare più benevolenza nei confronti sia dell’omosessualità e delle sue pratiche che degli affetti e degli stili di vita degli omosessuali. In particolare le nuove generazioni, forse ancora con qualche resistenza, spinti comunque da nuove forme di solidarietà, accolgono più di buon grado l’idea che gli omosessuali abbiano un modo diverso di vivere se stessi e la moralità vigente. Non solo, è come se l’omosessualità avesse superato le definizioni sociali, politiche e religiose più comuni inerenti le barriere di classe e di razza, sia nel tempo che nello spazio della quotidianità. Ecco perché oggi sarebbe ingenuo definire gli omosessuali “normali”, se con questo concetto si vuole indicare un individuo simile all’eterosessuale, come sarebbe fuorviante credere che esista un’unica forma visibile di omosessualità. Ciò perché, nell’esteso campo delle sessualità possibili, è forte il senso delle differenze sessuali da parte di ogni essere umano, al di là della categoria sessuale di appartenenza: ci sono molti tipi di omosessuali, molti tipi di eterosessuali, molti tipi di transessuali, molte forme di androginia e così via. E non serve certo la lingua legnosa dei sistemi teorici per comprendere che le trasformazioni sociali, politiche e religiose circa l’omosessualità, intrecciandosi fra loro nei secoli, hanno influenzato in diversi modi sia i mutamenti d’opinione pubblica sull’omosessualità che le azioni avverse o bendisposte ad essa (Polito, 2005). Laddove, ogni volta che si sentono voci di protesta all’intolleranza verso gli omosessuali o si attacca politicamente la loro visibilità, respingendo le loro richieste (esercito, adozioni e unioni civili per esempio), non si può far altro che prendere ancora più coscienza della confusione e dell’aria di cambiamento che soffia come una bufera nelle relazioni di genere.

    Sappiamo che le riflessioni attuali sul genere, sulle relazioni tra differenze di genere, sessualità ed affettività, infatti, così come si sono delineate nella moderna società occidentale, sono affiorate con più lentezza rispetto alla corrispondente consapevolezza circa il sesso come dato biologico. Eppure, lo stretto rapporto che lega insieme il sesso al genere è alla base di un modello concettuale recente. Il proposito di questo modello è mettere in evidenza il modo in cui il codice genetico ed ereditario è influenzato dell’esperienza tanto individuale che collettiva, dalle istanze culturali e dalla presenza o meno di modelli di comportamento resi formali dalla e all’interno della società (Fernandez, 2001). Invero, le radici etimologiche di “genere” richiamano concetti più ampi come famiglia e specie di appartenenza e suggeriscono l’instabilità delle rigide categorie sociali dei sessi. Non solo. Queste radici rafforzano intendimenti per i quali il sesso è un dato di fatto sul quale le società hanno eretto una complessa struttura di ruoli e di riproduzione delle differenze, anche se all’interno di categorie sessuali fortemente standardizzate (Collins, 1992). Il principio di distinzione relativo al sesso degli individui è cioè il fondamento su cui viene culturalmente costruita l’identità di genere, quel continuo confronto fra ciò che siamo fisicamente e quello che diventiamo (o che vorremmo essere) nella rappresentazione di noi stessi agli altri. Oppure, ma solo da qualche decennio con l’avvento chirurgico della conversione sessuale, ciò che alla nascita eravamo vincolati ad essere per le caratteristiche del nostro corpo in quello che potenzialmente desideriamo essere. Ecco perché il complicato sistema teorico del genere è oggetto di discussioni per niente omogenee nel mondo accademico ed in quello scientifico in generale. Benché l’antropologia culturale ci ha spiegato la relatività estrema di ciò che può essere valutato come maschile o femminile, ci ha pure insegnato che non esistono culture o gruppi di individui che non abbiano ben delimitato modi di essere (e di sentire) secondo i sessi. Dunque: come indagare e, successivamente, analizzare gli omosessuali in relazione al genere?

    Ebbene, a fronte del fatto che le differenze di ruoli sociali tra donne e uomini sono frutto del percorso di socializzazione al genere e che sono connesse alle specialità biologiche dei corpi, l’identità omosessuale rappresenta un’interruzione visibile alla dualità sessuale e, in parte, essa è l’espressione più chiara di negoziazione delle identità di genere. In senso stretto, i concetti di massima relativi al genere e ai suoi ruoli, si relazionano a quelli specifici degli omosessuali richiamando l’intendimento di S. Hall (1996) circa le strutture psicanalitiche dell’identificazione. Simili, per intenderci, a quelle proposte in altre direzioni da Freud quando trattò dell’assunzione di una sessualità soggettiva da parte dei bambini durante lo stadio edipico. Sinteticamente S. Hall intende per “identificazione” il processo di costante ridefinizione del sé individuale rispetto l’altro da sé, un gruppo d’appartenenza o un sistema di idee condivise al fine di una completa integrazione sociale. La quale, tuttavia, risulta di fatto irrealizzabile. Seppure altri studiosi hanno affrontato trasversalmente il tema, l’intendimento di S. Hall resta attualmente il più intuitivo per un’analisi approfondita delle identità di genere in relazione alla loro dinamicità. Invero, ci ha insegnato che le identità non sono stabili in quanto mutano e si ridefiniscono costantemente a causa dello stretto legame con le circostanze storiche e culturali della società, soprattutto in quanto espressioni di più fattori di definizione. Fra questi ci sono, per esempio, discorsi e pratiche sociali differenti eppure avviluppati, altre volte, invece, concorrenti. Per cui, almeno teoricamente, l’identità si struttura per realizzarsi attraverso la disuguaglianza e tutto ciò che non è ammesso dalle istituzioni, codificando quindi dei ruoli di genere atti sia a mantenere l’equilibrio tra i sessi che l’ordine sociale. Riguardo l’omosessualità, con occhio più attento a quella maschile, quanto sinora puntellato è più chiaro oggi che in passato, in quanto le percezioni dell’omosessualità e della sua visibilità sociale, ridefiniscono i significati attribuiti alle identità di genere. Così, mentre nessun eterosessuale sente il bisogno di dichiarare apertamente di essere attratto dal sesso opposto perché la sua identità sessuale viene data per scontata, l’identità omosessuale ha bisogno di riaffermarsi tutte le volte che viene messa in discussione o si confronta con altre per l’accesso a determinate risorse sociali (Barbagli e Colombo, 2001). Questo costringe molti omosessuali, da una parte a confrontarsi animatamente per affermare la propria diversità, sino a fare della lotta il principio su cui basare la propria visibilità, dall’altra li porta indirettamente a riconoscere agli eterosessuali l’imperativo di autorizzare certe manifestazioni sessuali, rigettandone altre (Butler, 1993). Dacché, riconoscendo pure i pregi dei cambiamenti epocali nelle concezioni della sessualità, si può affermare che l’identità omosessuale è quella percezione di sé messa in relazione ad una percezione “altra” o eterosessuale (o di qualsiasi altra identità sessuale), ovvero: la negoziazione, più o meno sofferta, tra socializzazione al modello eterosessuale e le affermazioni delle possibilità alternative negate da questo modello. Ciò significa che, sebbene l’identità omosessuale è stabilita dal rapporto di potere tra i generi, essa si fissa più chiaramente in termini di esclusione e di gradi di tolleranza delle diversità e degli orientamenti sessuali - a meno che non sia percepita come momento di identificazione e di congiungimento con le altre identità di genere.

    Non trascurando, oltre a ciò, che i ruoli omosessuali sono maggiormente soggetti alle dinamiche di discriminazione e condanna sociali; anche se, esprimersi in termini di “ruoli omosessuali”, significa prestare attenzione tanto all’accesso negoziato con gli altri ruoli di genere circa le risorse, i servizi, le informazioni e le decisioni collettive che agli stili di vita, ai comportamenti legati a un preciso orientamento sessuale, alla divisione del lavoro e all’attribuzione delle responsabilità nella sfera familiare e della riproduzione sociale. Ciò permette di non stabilire in modo sbagliato i ruoli omosessuali come subordinati esclusivamente all’orientamento sessuale o come surrogati di quelli di genere, perché se a stento gli individui si conformano in modo deciso alle aspettative dei ruoli sessuali, è pur vero che la rappresentazione del sé degli omosessuali oscilla tra il concetto di normalità e quello di percezione della differenza, ossia tra ciò che è normale fare o non fare (comportarsi senza troppi disagi) e quello che si sente di voler fare in quanto diversi dagli altri.

    Gli omosessuali di oggi, infatti, non sono attoniti spettatori della quotidianità né sembra subiscano passivamente i codici comportamentali istituzionalizzati, piuttosto cercano di adeguarli il più possibile alla percezione che hanno di sé proprio per alleggerire il giogo dell’accettazione o della tolleranza altrui. Tanto che nel tempo, per esempio, i momenti di rottura con la dualità dei sessi si sono evidenziati in spettacoli carichi di travestitismo, nonostante alcune critiche da più parti di queste pratiche di visibilità ipermaschilizzata di fare politica. Per intenderci, mentre nei tardi anni settanta prevaleva l’uso di giubbotti di cuoio nelle parodie delle pratiche maschili, oggi nei Gay Pride primeggiano da una parte stivali, magliette aderenti e costumi caratteristici del sadomaso maschile, dall’altra, invece, travestiti con abiti femminili. Questo lascia intendere non soltanto che i ruoli omosessuali si sono differenziati in alcuni contesti, classi sociali e di età, ma, addirittura, che l’identità omosessuale non è affatto omogenea, anzi è piuttosto diversificata al suo interno e lo è a tal punto da rendere l’esperienza di vita omosessuale, pertanto anche i suoi ruoli, meno standardizzabili rispetto al passato; soprattutto laddove gay e lesbiche sono così diversi tra loro quanto gli eterosessuali lo sono dagli omosessuali - e non solo in termini di visibilità o rappresentanza politica. Lo sono, infatti, nei comportamenti e nelle forme di identificazione; senza trascurare, poi, che i gay hanno in media accesso a più risorse rispetto alle donne eterosessuali e alle lesbiche.

    2. Coming Out e Visibilità

    Esistono tanti e diversi motivi che spingono un individuo a dichiararsi pubblicamente omosessuale; e, a dispetto della diversità di contesti storici e culturali, essi sono correlati solo in parte con l’età o con gli stadi di sviluppo della personalità. Aspetti più rilevanti del dichiararsi “gay” (o “lesbica”) sono, per esempio, il tipo di lavoro o il luogo di residenza perché in questi ambienti di vita l’influenza sul grado di visibilità è più incisiva. Uscire allo scoperto o fare “coming out”, infatti, è un investimento di per sé faticoso, costrittivo e solo in parte raggiunge gli scopi voluti; ma cos’è realmente il coming out per un omosessuale di oggi? In che modo esso ha a che fare con la sua visibilità?

    Con il termine ‘coming out’, letteralmente “venire fuori”, si intende quel processo che porta una persona a riconoscersi come omosessuale, accettarsi in quanto tale e dichiararsi agli altri nei termini di un’identità strutturata secondo i propri desideri ed il proprio orientamento sessuale. In realtà, il termine deriva dall’espressione inglese to come out of the closet che tradotto sta per “venire fuori dallo sgabuzzino”, quasi ad indicare un momento di rottura rispetto ad una condizione di segretezza o di costrizione. Si frantumano così le limitazioni alla propria espressività; poi, con un percorso individuale, la rappresentazione di sé viene rielaborata e proposta in un’immagine positiva che ne permette l’accettazione (più o meno considerevole) da parte degli altri. Certo, esistono molte definizioni di coming out e spesso non convergono in un significato univoco; tendenzialmente, però, esse si rifanno ad un insieme di concetti derivati da studi e ricerche sul tema e da modi di percepire il concetto stesso da parte degli omosessuali. In quest’ultimo caso in particolare, esso si lega fortemente a quello di autostima; ma, almeno sommariamente, è plausibile definirlo come una sequenza di eventi, pensieri, esperienze o rivelazioni sui propri desideri omoerotici che strutturano un percorso lungo e difficile il cui obiettivo è la dichiarazione pubblica della propria identità. Sia chiaro che, nonostante il tipo di pratica sessuale, per definirsi omosessuali nell’ottica del coming out non basta praticare uno o più rapporti sessuali con partner dello stesso sesso; in questo caso, infatti, si ha a che fare con un comportamento omosessuale solo “situazionale”. A tal proposito A. Giddens (1995) distingue quattro categorie di rapporti fra persone dello stesso sesso e solo in una di esse si rintracciano le pertinenze proprie del coming out omosessuale, cioè:
    • esperienze isolate e circostanziali in una determinata età della vita, quali l’adolescenza per esempio;
    • prolungati rapporti omosessuali in cui il desiderio omoerotico è trascurabile se non addirittura assente e dovuto all’impossibilità di praticare sesso con partner di sesso opposto in quanto gli ambienti di vita sono isolati, come ad esempio le istituzioni totali (tipo il carcere o particolari istituti sanitari);
    • rapporti omosessuali come esperienza esclusivamente fisica, che rimane del tutto isolata rispetto alla propria vita altrimenti eterosessuale (per esempio alcuni casi di violenza sessuale o nei casi in cui il coinvolgimento affettivo è di altra natura, tipo la bisessualità);
    • rapporti omosessuali in cui il desiderio omoerotico è caratterizzante di chi è cosciente e consapevole della propria omosessualità come stile di vita alternativo a quello eterosessuale; ed è questa la categoria di rapporti che può essere associata a chi fa coming out.

    A dispetto di questa lucida classificazione, però, il dibattito nelle scienze sociali a proposito di una relazione diretta delle pratiche omoerotiche come attestazione concreta di un processo di coming out (o viceversa) è ancora articolato e si ispessisce ancor di più laddove recenti studi e ricerche hanno svelato che il coming out è vissuto in molteplici accezioni dagli omosessuali dichiarati, quali per esempio:
    • venire fuori: in questo caso si sottolinea la negatività della situazione d’ombra e l’essere nascosti è inteso in termini di tradimento della comunità a cui si appartiene; tanto che si condanna esplicitamente chi si nasconde;
    • rivelarsi: in questo caso si focalizza l'attenzione sul ruolo della persona con cui si parla e sul carattere di segretezza svelata circa il proprio orientamento;
    • dichiararsi: in questo caso si mette in luce l'importanza di ciò che viene rivelato e la volontà di affermare qualcosa di se stessi ufficialmente;
    • accettarsi: in questo caso si privilegia la capacità personale di raggiungere una piena autostima e quella di volere bene a se stessi proprio perché coscienti e consapevoli della propria omosessualità;
    • outing: in questo caso la dichiarazione pubblica della propria omosessualità è dipesa da altri e si rivela spesso caratterizzata da attacchi violenti o pubblicizzata dai media senza l’esplicito consenso dell’interessato, come per esempio nel caso di personaggi famosi.

    Incrociando queste classificazioni, però, si può sostenere che il coming out rappresenta ad ogni modo un mutamento sostanziale nella vita di un omosessuale che tende a favorire sia l'affermazione di se stessi che l'accettazione della propria identità, non solo in quanto omosessuale, ma soprattutto in quanto attore sociale. Sebbene e di contro, frequentando alcune chat line gay si può verificare la tendenza, assai diffusa per quanto pure recente, a definirsi “insospettabili”, marcando così da una parte una ferma estraneità rispetto ai caratteri peculiari del maschio omosessuale off line, dall’altra evidenziando la differenza tra chi ha fatto coming out, per cui è visibile alla società, e chi evita di farlo per più ragioni, non ultima la possibilità di avere più contatti sessuali rispetto a chi (sempre off line) è dichiaratamente gay. A fronte di ciò, pure il rapporto che si instaura fra chi ha fatto coming out e un eterosessuale è ricco di significati, in quanto non è solo personale, ma collettivo e influenza le definizioni di genere su vasta scala. Il coming out, invero, è riconducibile a due ambiti della vita omosessuale, e cioè la sfera pubblica e quella privata. Nel primo ambito sono meno presenti o quasi inesistenti le rappresentazioni di sé che coinvolgono colleghi, persone lontane o altre figure istituzionali alla conoscenza intima della propria diversità; mentre nel secondo la vita privata viene rappresentata con più disponibilità di intenti attraverso l’uso di un vocabolario preciso e uno stile di vita che tende a far riconoscere se stessi come omosessuali. Determinanti in questo secondo ambito sono la conoscenza di altri omosessuali e di persone di riferimento ben situate nel processo di socializzazione e autoidentificazione, oltre a una chiara percezione di eventuali discriminazioni in termini di costi e di vantaggi. Ciò è rilevante perché confidare se stessi vuole dire, soprattutto per i maschi omosessuali, comunicare senza sottintesi e intenzionalmente i propri gusti sessuali. Tuttavia le diverse forme di visibilità (pubblica e privata) non possono essere riassunte in un sistema omogeneo di definizioni univoche né ridotte a ruoli sempre riconoscibili nella descrizione di sé agli altri, specialmente nei casi in cui le contestazioni da parte degli omosessuali sono più forti in alcuni punti del sistema politico e istituzionale che non in altri, più per i gay che per le lesbiche e, fra i gay, con più evidenza fra quelli che adottano stili provocatori e di chiaro esibizionismo. Anche se questo fa chiaramente venire a galla che gli scopi dell’azione politica e della visibilità omosessuale, tanto in alcuni contesti occidentali che in pochi orientali, hanno eroso la compattezza della maschilità egemone, rendendola fortemente insicura e instabile; inoltre hanno promosso con successo progetti di riforma sociale, economica e di salute basandoli su principi di giustizia sociale (Connell, 1996), malgrado su delle questioni controverse la presenza omosessuale ha fatto oscillare la società da un imbarazzante compromesso all’altro; ovvero dal riconoscimento politico dei diritti di ciascun individuo alla negazione esplicita della libera espressione della sessualità. Credo che né i mass media, l’opinione pubblica e la religione né le diverse istituzioni e fazioni politiche sono stati capaci di superare o riformulare politicamente questa contraddizione.

    Osservazioni conclusive

    La cultura occidentale eterogenea di questi anni si organizza assai spesso attraverso dei percorsi di vita irregolari che richiamano forme di socialità nuove, tanto che il meccanismo di rappresentanza di un tempo, quello che avvicinava tutti a concetti come cittadinanza, Repubblica, libertà e società civile è stato oramai ampiamente rivalutato. Le nuove generazioni, per esempio, si spingono oltre sino a mettere in evidenza quanto il non essenziale, il meno importante e periferico stile di vita non si adatta più ad una forma comune e stabile di riproduzione delle risorse sociali (Maffesoli, 2004). In parte questo potrebbe servire da spunto per descrive la maggiore apertura mentale nei confronti dell’omosessualità, soprattutto se correlato alla diffusa e crescente trasformazione delle abitudini di vita e dei modi di pensare le diversità sessuali negli ultimi decenni. Da solo, però, questo non basta a qualificare il rapporto assai articolato tra gli eterosessuali e i gay di oggi, in quanto mutamenti più o meno visibili nella storia degli uni e degli altri sono sempre accaduti. Più precisamente credo che ciò che distingue l’atteggiamento e il modo di pensare degli individui circa gli omosessuali e le comunità di cui fanno parte, ha a che fare tanto con la maggiore apertura mentale nei loro confronti quanto col processo di riqualificazione dell’identità già in atto da qualche anno (Saraceno, 2003). Elementi che fanno sembrare la libertà individuale meno ostacolata rispetto a forme passate di organizzazione della vita collettiva, sebbene i sociologi in genere diffidino di un ritorno all’origine del senso di comunità. Alcuni poi sospettano che, quando gli individui stanno insieme, la forza degli atteggiamenti individualistici possa emergere prepotentemente sino a rendere nei fatti ingestibile l’inflazione dell’individualismo, anche laddove primeggia un forte sentire comune quel ritrovarsi “insieme” in corpi sociali fissati come alternativi. Comunità sorte di recente come quelle mediatiche (via Internet per intenderci) o le cosiddette “tribù giovanili”, sono fra gli esempi di questa riflessione sociologica diffidente.

    Questi elementi, correlati al rapporto specifico tra le maschilità eterosessuali e le omosessualità maschili, ad ogni modo mettono in evidenza come il senso della relazione tra individuo e “altro da sé” si smarrisce sempre di più nel tempo, diventando spesso marginale o di poca importanza e, soprattutto, difficile da interpretare nell’articolato e aperto sistema di simboli culturali negoziati all’interno proprio di quel rapporto. Quantunque ciò ha indotto entrambe le parti non solo ad appropriarsi materialmente, e ancora prima ideologicamente, dei luoghi fisici e temporali che abitano, ma anche a stabilire chiusure per differenziare forme di dominio quasi esclusive o assolute, anche laddove sono visibili definizioni fluide e poco chiare dei paletti che escludono o includono l’altro. In pratica i simboli culturali negoziati all’interno di questo rapporto sono continuamente e variamente richiamati all’attenzione allo scopo di saldarne il contenuto, riproducendone tanto i principi razionali (interni al piano culturale) che gli aspetti più propriamente figurativi delle parti che lo organizzano. Ciò non significa, però, che la mescolanza disordinata di più fattori sociali sia tale da non riuscire più a specificare concettualmente e a diversificare correttamente le identità in gioco. Non bisogna trascurare, infatti, che le caratteristiche che definiscono il nostro tempo in relazione alle diversità sessuali sono ancora l’espressione più visibile dei rapporti di potere esistenti soprattutto tra eterosessuali e omosessuali, in quanto esprimono compiutamente tutte le opposizioni e gli intrecci di pensiero che agiscono proprio al loro interno e a favore della loro continuità. Non è un caso, infatti, che i movimenti gay e le conseguenti manifestazioni pubbliche tipo il “Gay Pride” o la “Marcia per i Diritti” vengano costantemente assorbiti nel processo di riqualificazione sociale delle diversità sessuali. Inoltre, se il tutto viene interpretato come una delle cause del crescente stato di inadeguatezza sociale che sentono moltissimi omosessuali di oggi, maschi quanto femmine, se si considera che molte società (soprattutto quelle occidentali) propongono mandati culturali per i quali tutto sembra connotarsi come lecito, l’infelicità gay si manifesta proprio come quel sentimento di inidoneità rispetto alla realtà vissuta dai molti (Ehrenberg, 1999). Come coscienza cioè dell’incapacità di realizzare proprio in questa vita tutte le possibilità che vengono offerte agli eterosessuali.

    Si potrebbe persino sostenere che, nonostante la maggiore apertura mentale di questi anni, gli omosessuali affrontano spesso serie difficoltà a realizzare pubblicamente le loro autenticità e, quanto più diventano consapevoli delle restrizioni a cui sono sottoposti, tanto più diviene impegnativo disporre liberamente delle proprie “libertà”, principalmente perché continuano ad ondeggiare tra diversità e normalizzazione, proponendo all’opinione pubblica e ai mass media, alle istituzioni e alla politica, delle identità che essi stessi continuano a definire “incondizionate”. Quando di fatto non sono poi così autenticamente indipendenti dalle pratiche attuate per distanziarsi dai ruoli che agiscono. La “libertà dei gay” infatti, proclamata attraverso numerosi speculazioni, è più soggettiva (e privata) di quanto gli omosessuali stessi non vogliano far credere con le loro manifestazioni. Di conseguenza, ciò va a discapito dell’accesso alle risorse per le quali si adoperano con fatica. Sebbene negare apertamente questa impressione di libertà, questa illusione di indipendenza politica, rafforzi da una parte l’unione dei membri delle collettività gay, dall’altra determina proprio quelle sconfitte istituzionali circa l’accesso a determinate risorse. Per esempio, le notizie di attualità ci informano che i gay continuano a circoscrivere le loro richieste al riconoscimento politico e istituzionale del diritto di partecipare “alla pari” alla vita sociale. Si impegnano in lotte per l’accesso a risorse da cui sono abitualmente esclusi, ma di fatto l’organizzazione delle loro azioni collettive, dei movimenti politici agiti nel nome dei loro diritti, è soggetta alle procedure istituzionali che regolamentano ogni forma di visibilità e di associazionismo.

    Quanto sin qui evidenziato ci permette di leggere il rapporto che gli omosessuali, soprattutto i maschi, hanno con la modernità come un sistema negoziato ed eterogeneo di simboli culturali e significati politici e sociali. Un sistema, cioè, che da una parte differenzia il libero arbitrio e le azioni degli omosessuali attraverso pratiche precise di potere, dall’altra implica pure un certo grado di riflessività e di sperimentazione da parte degli stessi circa le loro azioni, evidenziano così di quel sistema quei tratti che strutturano inevitabilmente le loro identità. Soprattutto laddove dalle attuali comunità GLBT (Gay Lesbiche Bisessuali e Transessuali) sono percepiti come impersonali rispetto alle strategie che controllano il proprio agire sociale; anche se a ben vedere definiscano a grandi linee sensazioni diffuse di combinazione fortuita.


    BIBLIOGRAFIA

    Barbagli M. e Colombo A., Omosessuali moderni, Il Mulino, Bologna, 2001.
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