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  • Comprendere l'utopia: quale(i) utopia(e)?
    Georges Bertin (dir.)

    M@gm@ vol.10 n.3 Settembre-Dicembre 2012

    LUOGHI E UTOPIA: LA RISPOSTA TERRITORIALE DI MARINALEDA

    Isotta Mac Fadden

    isottamc@hotmail.it
    Laureata in Scienze Politiche, Università degli Studi della Calabria.

    Ci chiamavano locos: eravamo un gruppo di persone che credevano fermamente in un progetto, non era solo per necessità che lottavamo ma per dei valori, degli ideali. Mai ho lottato per semplice necessità perché anche se sono stato sempre povero, il mio obiettivo non era riuscire a stare bene io, ma stare bene io e te, tutti.

    Sono salito su una barca e mi sono messo in mare e nel mare esistono le onde, e nulla nel mezzo. C’è un inizio, una partenza, e per scendere devi arrivare dall’altro lato: mai scenderò da questa barca, se non quando arriverò al mio obiettivo. Questo comune non è come tutti gli altri, quando mi affaccio non vedo un vicino di casa, vedo qualcuno da cui ho imparato e a cui ho insegnato; se sei in una lotta ti educano, impari da chi ti sta a fianco, da chi sta male, da chi è più grande, da chi è più piccolo, però devi viverla, viverla e crederci. Allora il problema del tuo vicino, non sarà più il problema del tuo vicino, ma sarà il nostro problema. (Antonio, 53 anni, Marinaleda) [1]

    L’inseguire il mito del progresso ha portato l’uomo a una sua progressiva disumanizzazione: nel rincorrere il desiderio di emancipazione e libertà, si è incorsi nella contraddittoria costruzione della weberiana gabbia d’acciaio, che ha sradicato l’individuo da qualsiasi punto di riferimento nel processo di costruzione identitaria (Giddens, 1990).

    In un tale smarrimento (Berger, Luckmann, 2010) solo Dio – quell’heideggeriano Dio, inteso come altro dalla razionalità, profitto, tecnica, realtà – potrebbe riportare l’uomo a ritrovare la sua vera essenza. Se la strada della razionalità e della strumentalità è risultata fallimentare, si potrebbe allora sperimentare un ritorno ad una fede nel viaggio verso Utopia, un’irrazionale certezza nel viaggio verso la felicità. Un viaggio odissiaco, che antico come la storia umana, può essere intrapreso con la ricchezza della consapevolezza delle conquiste e degli errori tracciati dalla Storia.

    L’ Utopia - che già nella sua costruzione etimologica rimanda ad un’ambiguità ontologica - risulta essere una quarta dimensione di congiuntura con la realtà presente che nutrendosi del passato si slancia per creare il nuovo, il non presente, e quindi il futuro, quel vento paradisiaco che soffia tra le ali dell’Angelus novus (Benjamin, 1962) . Per Utopia, infatti si intende la “formulazione di un assetto politico, sociale, religioso che non trova riscontro nella realtà ma che viene proposto come ideale(…), capacità positiva di orientare forme di rinnovamento sociale” (Baczko, 1998), modello nelle scelte di politica collettiva.

    La realizzazione di un progetto condiviso da una determinata comunità [2], volta al benessere e felicità di quest’ultima, dovrà essere affidata alla Politica, intesa come aspirazione, come un dover essere, come forma più alta e nobile della vita umana, perché la più libera e originale (Young, 2006, Bourdieu, 1999, Arendt, 2001) . La politica secondo Arendt , infatti, in quanto vita collettiva, implica che la gente si distanzi dalle proprie specifiche necessità e difficoltà per creare un universo, un’Utopia comune in cui ognuno si manifesta nella sua specificità d’innanzi agli altri, però tutti uniti nella vita pubblica.

    Il caso del comune sivigliano di Marinaleda - che qui descriveremo brevemente - è un esempio atipico di risposta alle contraddizioni sistemiche e individuali all’interno del contesto europeo, in cui il superamento della drammatica situazione del post-franchismo spagnolo è avvenuta sulla base della fede in un sogno, un’Utopia socialmente costruita e collettivamente condivisa. L’esempio di questo piccolo comune dimostra, inoltre, come attraverso processi di rielaborazione collettiva positiva degli elementi socio-identitari territoriali, sia possibile la costruzione di luoghi (Augé, 2009) in cui il territorio (Ferrari Bravo, 1970) con le proprie specificità, diviene una risorsa per superare la crisi attuale.

    All’ingresso dell’Humoso - ex feudo, attuale cooperativa, simbolo degli anni di lotta e sacrifici che hanno segnato la storia della comunità di Marinaleda – troviamo da un lato la frase “Terra Utopia” e dall’altro “Este cortijo es para los joranaleros en paro de Marinaleda” (“Questo feudo è per i braccianti disoccupati di Marinaleda”). Da un lato un sogno, un’Utopia, dall’altro un obiettivo: sullo sfondo la realizzazione di entrambi. A muovere le scelte di politica collettiva del comune andaluso sembra essere il tentativo di realizzare una democrazia reale: da un punto di vista politico attraverso un sistema di bilancio partecipativo ed assembleare, dal punto di vista economico attraverso il cooperativismo e da un punto di vista sociale tramite la garanzia di diritti come la casa e la piena occupazione [3]. Come dimostra l’esperienza di Marinaleda, la politica, non può mai essere un ricorso di mantenimento dello status quo e, seguendo Arendt (Arendt, 2001) , deve essere intesa in termini di partecipazione ugualitaria, in grado di addomesticare un potere inteso come dominio , come violenza, che schiaccia la vita sociale.

    La concezione pubblica della politica suppone, dunque, che la politica “è sempre l’inizio di qualcosa di nuovo”. E iniziare qualcosa di nuovo è la “vera essenza della libertà umana”. Ancor più la politica intesa come partecipazione egualitaria di contro a un potere basato sul dominio - che Arendt affianca alla violenza e non alla politica - è fonte di felicità. Bisogna quindi iniziare a pensare a ritrovare, a restituire lo spazio pubblico a una politica della responsabilità comunitaria (Arendt, 2006, pag.123).

    Unico spazio che può mutare l’attuale situazione di crisi politica, è restituire ai suoi cittadini l’agora, intesa come incontro e fusione tra pubblico e privato, incontro di vite ed esperienze, confronto di soluzioni, idee e valori che costituiscono la base per poter parlare di società giusta. La piazza dove si fa politica (Bauman, 2008). Allora il marcousiano uomo a una dimensione sarà in grado di trasformare una democratica non-libertà, vincendo una visione unidimensionale tecnico-razionale e riacquisendo quelle capacità relazionali, affettive, valoriali in grado di renderlo libero di immaginare- e poi realizzare- la propria libertà e felicità. (Marcuse, 2003).

    Il postfranchismo e la scelta democratica di Marinaleda

    Marinaleda, nella transizione democratica, intraprese un percorso piuttosto raro nel contesto spagnolo, se si pensa alla diffusa apatia e indifferenza politica dovuti alla memoria della guerra civile e alla socializzazione del quarantennio franchista (Bosco, 2005).

    Nel ricostruire il particolare percorso storico e sociale di Marinaleda, è utile far riferimento ai concetti di movimento collettivo e di società locale [4]. Centrali, infatti, sono gli elementi come crisi e rottura, nuova comunità e utopia, territorio, luogo e identità, che sono intervenuti nella rielaborazione delle precondizioni strutturali specifiche del contesto socio-politico di Marinaleda:

    • la struttura latifondista e il capitalismo debole (González de Molina, 2000);
    • la solidarietà e appartenenza di classe (cultura contadina) ; un forte immaginario di contrapposizione tra latifondista ricco e contadino povero (Moreno, 1991);
    • la mancanza di beni primari come l’acqua e il cibo ; l’assenza di un’opposizione forte (piccoli commercianti, latifondisti, i pochi professionisti essenzialmente fuori della struttura sociale) ; una leadership carismatica e politicamente capace. (Talego Vázquez, 1996) .

    A Marinaleda, vi erano dunque, precondizioni tali da creare una comunità e di trasformare un agglomerato di case abitato prevalentemente da una classe specifica (i braccianti) in una società locale. In quelle terre, così vicine - socialmente ed economicamente - alla Spagna della Guerra civile descritta da Buñuel in Tierra sin pan, Marinaleda si trovava, come il resto della Spagna, a dover fronteggiare una situazione di forte crisi economica e di forte disoccupazione, inasprita da oltre un trentennio di dittatura (Carr, Fusi, 1981) . A rendere la situazione ancora più gravosa era la struttura di ripartizione territoriale latifondista e il ritardo industriale proprio dell’Andalusia.

    Alla caduta del franchismo, la ridefinizione collettiva politica di Marinaleda è avvenuta intorno al nascente movimento sindacale, il Sindicato Obrero del Campo (1976) , guidato da personaggi fortemente carismatici, come il cura Diamantino García Acosta e Juan Manuel Sànchez Gordillo. Diamantino, fattosi trasferire a Los Corrales, comune sivigliano, comprende con la sua stessa fatica - rinunciando alla paga e lavorando al fianco dei giornalieri - le ingiustizie della realtà latifondista andalusa. ll cura aveva una idea molto chiara e lungimirante delle reali problematiche dell’Andalusia: il problema del lavoro giornaliero, della disoccupazione, del lavoro sottopagato, ma anche una visione più globale come la realtà dei diritti sociali legati all’emarginazione e all’emigrazione, nell’attesa di una prossima caduta del muro di Berlino del Sud (García, 1996). “Per costruire una società più giusta - spiega Diamantino in una intervista dell’ Agosto 1993, su Rtv Futuro - è necessaria l’utopia, sono necessari i pazzi e che dicano cose impossibili. (…) Il popolo però deve essere educato, cosciente e organizzato.”

    La sensibilità attiva di Diamantino trovò pieno sostegno in Gordillo. Entrambi credevano fermamente in quello che tutti credevano inimmaginabile: cambiare la realtà latifondista andalusa. La forza carismatica di questo personaggio, professore di storia, figlio di un poverissimo muratore, che frequentò l’Università grazie a una borsa di studio – è dimostrata non solo dal suo incontrastato successo di sindaco di Marinaleda, fin dal 1979, ma anche dall’essere ad esempio deputato regionale andaluso, leader del Cut-Bai (Colectivo de Unidad de los Trabajadores-Bloque Andaluz de Izquierda) e del Soc , l’ attuale Sat (Sindicato Autónomo de Trabajadores).

    Nel 1979, il Soc di Marinaleda si presenta alle prime elezioni democratiche della transizione, rappresentato dal Cut, ottenendo la maggioranza assoluta (maggioranza che conserva ancora oggi [5]). “Nel 1979 - mi raccontava un intervistato- ci presentammo guidati da Gordillo. A partire da quell’anno, col nuovo potere comunale, si ebbe una trasformazione politica, sociale ed economica.” I presupposti identitari latenti vengono portati alla luce e convogliati in quella che possiamo definire come un momento fondamentale per lo sviluppo della struttura politica e sociale di Marinaleda: l’Assemblea.

    Le riunione del sindacato avevano risvegliato quella dimensione di crescita collettiva data dal confronto, dal dialogo: la dimensione partecipativa in ogni settore della vita comunitaria era un diritto e ancor di più un dovere per chi aveva deciso di legarsi al progetto sindacale. E la consapevolezza di tali diritti nasce proprio da questa nuova forma di socializzazione di confronto e incontro, da un ritrovarsi faccia a faccia, uniti a discutere con un unico linguaggio - quello della fame e della giustizia - alla ricerca di soluzioni possibili. Per queste ragioni l’Assemblea diviene il perno vitale della comunità di Marinaleda: potremmo quasi dire che il S.O.C., il C.U.T e quindi Gordillo sono l’Assemblea, Marinaleda, e viceversa.

    L’importanza dell’Assemblea nel percorso di Marinaleda

    “L'assemblea - mi racconta un’intervistata - è il potere della sovranità popolare, esistono assemblee popolari generali che si svolgono nel sindacato e in più ci sono assemblee, quartiere per quartiere. I consiglieri si spostano per chiedere nello specifico quali sono i problemi reali della gente. Qui la gente partecipa alla politica dalla base, tutto viene deciso nelle assemblee, anche il lavoro.” Nell’assemblea si discutono la politica delle tasse municipali, quella abitativa, le priorità culturali, i lavori pubblici, la diminuzione della disoccupazione dei braccianti, la collettivizzazione delle terre. L’assemblea, poi, è stato uno strumento chiave per il superamento del clientelismo e di corruzione nascosti dietro ad un improprio utilizzo del Plan de Empleo Rural [6].

    Politica ed economia divengono, attraverso il processo assembleare, parte integrante della vita dei cittadini. In questo senso si può parlare di Marinaleda, come esempio riuscito di potere popolare [7]. Le riunioni, che si tengono nel “Sindicato” – luogo che ospita anche iniziative ricreative e culturali - rivestono un momento di socializzazione. Esistono poi dei rituali e regole che ridefiniscono l’identificazione e il comportamento dei suoi componenti e la prospettiva delle mobilitazioni come un momento collettivo molto forte. Da qui è giustificata la valenza sociale, e non solo politica, che ha la partecipazione alle assemblee nella vita comunale.

    Sebbene sia una realtà assembleare non si può negare la centralità della figura di Gordillo. Non si deve, però, immaginare che il sindaco possieda un potere illimitato e indiscusso, e che l’assemblea sia qualcosa di manipolato: l’unico potere posseduto dal sindaco è la sua capacità di influenzare ideologicamente e simbolicamente i suoi concittadini. Come aggiunge Antonio nel corso dell’intervista: “Ognuno può avere la sua opinione. Certo non potranno pensare tutti quanti come noi, anche qui c’è gente che si oppone. Qui è una minoranza, come si vede dai risultati elettorali. La cosa che ci permette di andare avanti è che se si ha un problema, si risolve tra la gente, confrontandosi l’un l’altro.” D'altronde il percorso per la costruzione del potere collettivo è, nella realtà di Marinaleda, solidamente legato al contributo, al sacrificio, alla capacità organizzativa di Gordillo, e mettere in questione la sua persona implicherebbe mettere in discussone anche il potere collettivo e i progetti da esso realizzati (Talego Vázquez, 1996): “Stiamo parlando di una cosa grandissima”- dice con orgoglio un intervistato che da sempre ha lottato al fianco del sindaco- :“El loco del Alcalde”, dicevano, ridevano di lui, e dicevano che trovare lavoro per tutta quella gente sarebbe stato impossibile. E invece ha tolto la terra ad uno dei più forti uomini di tutta la Spagna.”

    La cooperativa: L’Humoso e la Nave tra lotte pacifiche e solidarietà

    A solo un anno dalle prime elezioni, nel 1980, a Marinaleda, grazie al Soc, si organizzò uno sciopero della fame collettivo di tredici giorni a cui parteciparono 700 persone. Uno sciopero della fame contro la fame : rivendicare un salario più alto e un’attuazione più autentica del Empleo Comunitario. A partire da questa prima manifestazione iniziò la lotta per la terra e l’occupazione di fondi (Pilar del Rio, "Seguiremos hasta que sepan que en Andalucía hay hambre", El País, 17 Agosto 1980) .

    La conquista più importante fu sicuramente quella dell’Humoso, ex-feudo del duca dell’Infantado. Grazie alla conquista di queste terre, fu possibile la creazione della cooperativa Humar-Marinaleda – a struttura orizzontale - costituita da un’azienda agricola, l’Humoso, i cui prodotti vengono per una parte destinati al consumo locale, e per lo più lavorati nella fabbrica delle conserve, la Nave.

    Tutto ciò fu possibile dopo anni di lotte e sacrifici. La costanza e la determinazione, che li accompagnarono, si leggono chiaramente nel racconto di un bracciante che ancora oggi, con gli occhi pieni di entusiasmo, mi spiega:“Per giorni e giorni, abbiamo fatto nove chilometri partendo da qui fino alla terra dell’Humoso. Tutti i giorni sotto il sole, andavamo tutte le famiglie. E ogni giorno la polizia ci cacciava, ma per noi non era un problema, nessuna fatica e sofferenza poteva fermarci: “torneremo domani!”. E’ la malvagità del capitalismo: ci riparavamo sotto il sole sfruttando l’ombra di un viale alberato, perché faceva molto caldo. Dopo pochi giorni, tornando, trovammo gli alberi tagliati. Continuammo ad andare tutti i giorni, ogni giorno ci cacciavano e noi ”domani torniamo”, e l’indomani ancora “domani torniamo”.

    Dopo più di dieci anni di rivendicazioni, infatti, lo Stato (l’Instituto andaluz de reforma y desarrollo agrario) concesse nel 1991 un totale di 1159 ettari e nel 1997, i braccianti divengono gli unici proprietari collettivi di quella terra e dei prodotti che vengono coltivati. Nel 1999 viene ,poi, attivata la prima industria a Marinaleda, la Nave.

    Dallo Stato nascente al processo di costruzione identitaria

    Marinaleda, oggi, è un comune di quasi tremila abitanti La garanzia di diritti essenziali è stata resa possibile, come visto, non solo da un’economia che - essendo al servizio della società – è mossa da principi di solidarietà e cooperazione, ma anche dall’utilizzo responsabile del denaro pubblico, da una giunta comunale che ha rinunciato allo stipendio, dal non essere necessaria la presenza di polizia locale. Nonostante il caso preso in esame risvegli millenarie problematiche – la dicotomia tra societa-comunità, la politica come professione, democrazia plebiscitaria o oligarchia democratica e molto altro ancora [8] - e lascia spazio ad ampie contraddizioni, ciò che è innegabile è che l’utopico progetto di Marinaleda, non solo ha dato la possibilità ai cittadini di autodeterminarsi creando una Comunità, ma ha dato anche la forza ai comuni vicini, e non solo, di immaginare e rischiare l’impossibile [9].

    Dalle interviste fatte, e dai dialoghi, non si può fare a meno di notare la frequenza con cui ricorrono alcuni termini: lotta, cooperativismo, pace, costanza, solidarietà, comunità, coerenza, fiducia. Sintesi degli elementi identitari che – nel nostro caso - ci consentono di parlare di comunità - e che loro stessi si attribuiscono in un processo di autodefinizione - sono presenti nella bandiera comunale: il verde dell’utopia, il bianco della pace, il rosso della lotta, la colomba della comunità, il villaggio che rappresenta Marinaleda e la sua gente, il sole e la terra, valori essenziali legati alla vita.

    Le numerosissime lotte a cui gli abitanti di Marinaleda hanno preso parte sono fondamentali non solo nella conquista dei diritti, ma anche come strumento di cementificazione del senso di appartenenza e di comunità che in maniera virtuosamente circolare ha alimentato la causa comune. Tutte le lotte che furono intraprese si caratterizzano per un altissimo livello di partecipazione e costanza: “ha partecipato tutta la città- mi racconta un intervistato- incluse le donne. Anzi soprattutto le donne. Le donne nelle nostre lotte hanno giocato un ruolo fondamentale. E ancora c’è molta strada da fare”. Un’altra forma di partecipazione collettiva molto particolare è quella del lavoro volontario. Il più particolare è quello de los domingos rojos che vede tutti i cittadini del comune prendere parte attiva ai lavori pubblici necessari alla comunità.

    Un elemento distintivo è sicuramente il cooperativismo, principio guida di ogni scelta politica, e non solo, come già visto, in campo economico. Momento distintivo delle politiche di Marinaleda è ,infatti, la risoluzione del problema abitativo, gestito attraverso l’autocostruzione delle case. L’amministrazione mette a disposizione del neocostrutture terreni, consulenza di un architetto e un tecnico comunale, che seguono i lavori e mettono in piedi un progetto, la cui realizzazione avviene assieme all’autocostruttore e alcuni muratori. I materiali vengono pagati attraverso il Per della Giunta andalusa. Le ore di lavoro messe a disposizione vengono convertite in salario lavorativo detratto all’importo totale dovuto (15 euro mensili da estinguere in 133 anni).

    Un sentimento molto forte è quello della pace, come dimostra l’assenza di qualsiasi episodio di violenza anche nelle manifestazioni più dure: “l’unica violenza è quella che possiamo fare a noi stessi: la fame per combattere la fame”, mi ha spiegato uno dei veterani delle mobilitazioni. E ancora racconta una madre lavoratrice: “Se parli con mio padre, lui non si pente delle scelte che ha fatto, perché quello che ha fatto ha consentito a suo figlio e suo nipote, di avere una casa, un lavoro. A Sevilla andarono 80 donne: anche mia madre andò, restò, anche se la picchiavano ogni giorno”.

    Altri elementi sicuramente presenti sono la volontà e la fede, senza fede in quello che sembrava un’utopia irrealizzabile (abbiamo visto come agli inizi delle mobilitazioni venivano definiti come locos, pazzi) , senza questi elementi sicuramente non si sarebbe trovato il modo di continuare con costanza e coerenza quello che era un obiettivo comunemente prefissato: “Con lotta e fede, con volontà , con l’essere convinti di quello che si sta facendo - mi spiega un anziano- “io ho lottato per tutto la vita, e lottare mi ha dato vita.”

    Un altro elemento importante è stato poi il non dimenticare mai le proprie radici e soprattutto le radici dei propri valori, quelli della giustizia: “Nella mia vita sempre ho fatto la stessa cosa. In tutti i campi ho sempre lottato e condiviso, però lottato con la pace e con coerenza. L’onore è quello che serve nella politica, la coerenza, la sobrietà, dove c’è troppo denaro le persone si smarriscono. I soldi  non si sprecano per cose inutili se ci sono questi valori. Viviamo la sfortuna del fatto che a tutto il mondo piacciono i soldi. Qui no, qui ancora no, i soldi sono soldi sociali.”

    Valori come l’amore e la nobiltà d’animo: “La lotta – dice Juan - è soprattutto amore, amore per chi è con te, autoconvincimento e disciplina, una delle cose fondamentali. Altrimenti si rischia che ognuno vada per fatti propri, una sola maniera di agire, una sola forma. La nostra è una pace sociale, anche se ti colpiscono non rispondi. Se hai un fucile puntato alla testa mentre sei steso a terra, lì ci vuole molta forza per non lasciarsi spaventare e per non reagire. Noi avevamo però dalla nostra la nobiltà, la nobiltà di non contestare, loro avevano l’arma. E l’arma contro la nobiltà vince sul momento, ma non a lungo andare.”

    Quando si parla di comunità solitamente si intende un forte senso di appartenenza che tende a spingere i membri a una chiusura verso l’interno ed ad identificare in qualcosa d’altro un nemico comune (Tonnies, 1979) . In questo caso ci troviamo però d’innanzi a una comunità che sembrerebbe molto predisposta all’Altro, allo straniero, al diverso. Una comunità unita al suo interno ma poco diffidente verso l’esterno. Lo dimostra l’esperienza di diversi immigrati che arrivano a Marinaleda e qui riescono a costruire una propria vita serenamente: “ E da allora – racconta un giovane senegalese - tutto benissimo: una casa, il lavoro all’Humoso, quando ho bisogno di qualcosa di particolare posso sempre contare sull’aiuto della gente. Il sindaco mi ha aiutato a sistemare i miei documenti. Così riesco ad andare avanti felicemente.” Il senso di comunità e di appartenenza viene sottolineato, come visto, da molti episodi. Anche chi lavorava ha rischiato più volte di perdere lavoro per prendere parte alla lotta comune, così come è altissimo il livello di sostegno attivo di Marinaleda nelle lotte di altri comuni andalusi.

    Per quanto riguarda “il nemico”, la minaccia esterna è vista collettivamente nei latifondisti e nel capitalismo, ma anche nello Stato, che viene percepito come sordo alle necessità e corrotto: Questo modello- afferma durante l’intervista Gloria, una giovanissima delegata comunale - può essere riprodotto in qualsiasi posto ma manca la volontà politica. Bisogna lavorare per la gente. Non può esserci politica senza etica, e soprattutto la politica deve comandare l’economia. Molti movimenti che stanno nascendo ora come gli indiñados [10] nascono per reclamare questa mancanza di etica.”

    L’immagine che emerge, nella nostra trattazione, della popolazione di Marinaleda, è confermata, come visto, anche dalla rappresentazione che essi danno di se stessi. Elemento che conferma ancora di più un forte carattere identitario. Anche se la comunità di Marinaleda può essere identificata con tali valori, ovviamente non si può pensare a questo luogo come un isola felice dove non si pongano problemi e contraddizioni: “Si può parlare di una comunità - mi dice un’intervistata - quella che si vede nella bandiera, ma ovviamente anche noi abbiamo i nostri problemi perché l’essere umano è egoista. Però non c’è dubbio che questo sistema funziona, che stiamo andando avanti con successo nel nostro progetto. A livello politico, economico e sociale c’è ancora molta strada da fare”.

    Basti pensare soltanto al livello di istruzione e al livello di dispersione scolastica, un problema legato sia alla mentalità della cultura del campo ancora radicata, che alle mancanze dello Stato: “Deve essere insegnato ai bimbi che se vogliono qualcosa devono ottenerlo con lo studio. La colpa principale è della politica. Come si fa a progredire se non si da importanza allo studio? L’educazione, deve essere alla base di tutto, il campo sempre sarà lì.” Come visto l’inseguire un’Utopia, a Marinaleda, è una costante ridefinizione del valore della democrazia come opportunità, sia di eguale accesso che eguale partenza (v. Sartori, 1987).

    Utopia: ritorno alla politica e alla comunità

    “La politica allora non è più politica, ma piuttosto una matrice destinata a generare qualcosa come il “nuovo essere in Cristo” di san Paolo; l’età matura dell’umanità, che metterà fine all’infantilismo odierno[…] un tale genere di politica presuppone che il mondo venga radicalmente cambiato affinché possa nascere la nuova bellezza.” (Rorty, 1995, p.57).

    Il caso di Marinaleda aiuta ad evidenziare, non solo come ogni soluzione all’attuale crisi individuale e societaria debba essere ricondotta alla storia del singolo contesto territoriale, ma soprattutto come sia necessario rileggere la politica come forza potenziale e trasformatrice di costruzione dialettica collettiva del concetto e contenuto stesso di democrazia sociale. Come dimostra l’espandersi dell’esperienza di Marinaleda in Andalusia, territorio dagli stessi presupposti struttuarli. Il successo di Marinaleda rappresenta un sostegno, non solo attivo ma di esempio, nella reale possibilità di cambiamento.

    Il processo intrapreso dal comune sivigliano, è stato possibile grazie ad una particolare ricostruzione della definizione identitaria e dei meccanismi di socializzazione collettiva sulla base della rielaborazione positiva degli elementi sociopolitici presenti nel territorio, sotto la spinta di un progetto utopico. Ed è proprio all’interno dei dibattiti delle assemblee che nasce l’uomo nuovo (espressione utilizzata dalla gente di Marinaleda per autodefinirsi nel momento della transizione) :l’uomo che liberato dalle paure, dalle oppressioni del franchismo è ora pronto a rivendicare i propri diritti.

    La terra è sia un valore ideale, sia un bisogno concreto: rappresenta il simbolo della vita, e la pari possibilità all’interno di una comunità di accesso alla vita, ma rappresenta anche concretamente un luogo, una storia con sue specifiche e particolari caratteristiche ed esigenze. La collettività non si è dissolta dimenticando - una volta ottenuto il bene concreto - non solo le proprie origini - quelle di giornalieri - né tanto meno i valori che ne hanno costituito la base, l’essenza. Una collettività che ha trovato la forza e le basi per immaginare una comunità differente.

    Non possiamo, quindi più pensare - anche se sembrerebbe un paradosso all’interno dell’era del globale - se non in termini di risposte prettamente territoriali, dove centrale diviene il recupero del processo di costruzione collettiva identitaria, necessaria per creare delle basi di realizzazione di obiettivi condivisi, per la realizzazione del bene comune.

    Ovviamente tale territorio non può essere pensato se non inserito nella convergenza di livelli interstatali e sovrastatali che l’attraversano. Un elemento di forza, infatti, di Marinaleda è stata l’apertura verso l’esterno, sia in termini di accoglienza- per immigrati, clandestini, nuovi residenti - sia di sguardo politico e progettuale ad ambiti extra-locali. Un altro aspetto fondamentale è stato, in termini di apertura, il conciliare elementi tipicamente comunitari con altri societari, elementi tradizionali con altri innovativi( un esempio l’imprenditorialità cooperativista o la piena parità dei diritti delle donne in un contesto prettamente rurale).

    In questo senso la democrazia partecipata deve essere letta come opportunità di continua costruzione e ricostruzione dialogica della definizione di ciò che si vuole ottenere. La forza di tale comunità è rappresentata dall’inseguire un sogno: non la realizzazione e la lotta per un bene comune ma per il bene comune. Raggiungere il bene comune, in una vita la cui essenza- e bellezza- risiede nell’ambiguità e nella complessità, non sarà mai effettivamente realizzabile. Allora saremo sempre in movimento per raggiungere questa Utopia, senza mai dimenticare che per raggiungerla sarà necessaria la costante ridefinizione e costruzione di un Luogo in cui ospitarla.

    Un luogo di relazione, storia e identità, un luogo di incontro. Nell’incontro con l’altro si costruisce una memoria comune, che permette una definizione di sé aperta: ogni incontro con l’alterità - che sia essa persona o nuovo spazio - rimetterà in discussione il processo di autodefinizione. Allora ogni singola biografia sarà imprescindibilmente legata a quella degli altri, in una progettualità comune fra singolo e collettività. Inoltre, così, l’individuo, sarà in grado di affrontare con stabilità e consapevolezza i continui cambiamenti del contesto esterno.

    Nel caso di Marinaleda, ciò è stato realizzato attraverso un processo di ricostruzione collettiva: dal silenzio dell’oppressione e timore dittatoriale si è riproposto un nuovo momento, un nuovo spazio, un Luogo di nuova socializzazione (l’Assemblea e il Sindacato) in grado di costruire una base identitaria collettiva solida, cementata negli anni dalla lotta e da un vissuto condiviso. Da lì la scelta quasi naturale di scegliere la realizzazione di obiettivi comuni, e collettivamente decisi. La conquista della terra non è stata ottenuta solo da chi non aveva il pane per sfamarsi, ma ha visto al contrario la partecipazione dell’intera collettività.( Anche l’aspetto cooperativista, infatti, mette in luce come ancora una volta sia la volontà collettiva, la comunità, a muovere Marinaleda e non ad esempio, l’economia.)

    Bisognerà provare quindi a non essere più stranieri nel proprio Tempo, nel proprio vissuto ma recuperare il proprio protagonismo. Ricreando luoghi di relazione, memoria e identità. Elementi indispensabili per consentire un processo di socializzazione di etica condivisa, e fondamentali per la creazione di una comunità politica che si muova nella realizzazione del bene comune, costruendo relazioni responsabili in difesa si della libertà individuale, ma soprattutto del libero accesso alle opportunità di autodeterminazione e realizzazione della propria persona.

    Bibliografia

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    www.socandalucia.com

    Note

    1] L’articolo è basato sull’analisi di dati emersi da un periodo di una mia ricerca sul campo (Marinaleda, 2012) , in cui sono stati utilizzati diversi strumenti qualitativi come l’osservazione partecipante, le interviste biografiche e il colloquio.

    2] Il termine comunità è qui utilizzato alla luce dell’analisi critica e del superamento della dicotomia società-comunità oggi ampiamente affrontata (cfr. Bagnasco, 1999) .

    3] La democrazia in questo contesto viene intesa come libertà, sia nel suo senso positivo, libertà di, sia nel suo senso negativo, libertà da (Sen, 2007) .

    4] Interessante per noi risulta essere la soluzione concettuale e analitica di società locale introdotta da Giovannini (Giovannini, 2009). Secondo l’autore,. non tutti i territorio sono luoghi (bisogna quindi individuare se all’interno di un territorio sono presenti quegli elementi tipici del luogo: identità ,relazione, storia). Non tutti i luoghi esprimono una società locale (è necessario verificare se esiste un senso di appartenenza stabile basato su un percorso di memoria comune orientato a un progetto futuro). La società locale è una costruzione storico-sociale (diviene allora fondamentale ricostruire il percorso dei processi relazionali che hanno portato all’eventuale consolidamento di una struttura sociale e individuarne gli attori che ne hanno preso parte)

    5] IULV-CA (Izquierda unida los verdes-convocatoria por Andalucia) ,che ha inglobato il CUT-BAI, alle elezioni municipali del Maggio 2011, ha ottenuto il 71,74% di voti con 9 consiglieri comunali su 11 (www.infoelectoral.mir.es) .

    6] Il Plan de Fomento del Empleo Agrario, o Per, (Real Decreto 3237-1983, 23 Dicembre 1983) , è il sussidio agrario che dal 1984, ha sostituito le sovvenzioni del Empleo Comunitario (Cfr. Observatorio empleo agrario andaluz, Informe Periodico de Situación 2004, Sociedad Sevilla Siglo XXI, num.1.). Le sovvenzioni agrarie previste dal Per hanno alimentato i gravi meccanismi di clientelismo e corruzione già esistenti nel mondo rurale. (González de Molina, Parejo, 2000) .

    7] Interessante è il discorso di Sartori (2002) sulla democrazia e il suo riferimento al potere popolare

    8] Innumerevoli sono le problematiche presenti legate alla possibilità di tradurre l’ideale democratico in realtà (cfr. Bobbio, 2006) .

    9] L’entusiasmo di Marinaleda si è diffuso in tutta l’Andalusia, come dimostrano le esperienze relative nel solo 2012: da marce e manifestazioni (come il progetto del Sat"Andalucía en Pie", una marcia dei lavoratori, iniziata il 16 Agosto 2012, che percorrerà tutta l’Andalusia. Dopo la prima tappa, che ha visto coinvolte più di 700 persone, il 21 Agosto è stato occupato il Palacio de Moratalla, propietà del Duque de Segorbe per rivendicare la fine del latifondismo) ad occupazioni di latifondi (tra gli ultimi il latifondo Somonte nell’Aprile del 2012 a Palma del Río al grido di “la terra ha un valore sociale e non solo economico”). (Cfr.www.sindicatoandaluz.org)

    10]In quasi tutte le interviste, racconti, conversazioni emerge  il lato di interesse globale e internazionale delle problematiche politiche locali.



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