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  • Mappe domestiche: la casa e le sue memorie
    Marina Brancato (a cura di)

    M@gm@ vol.9 n.3 Settembre-Dicembre 2011

    SPAZIO DOMESTICO E PROSPETTIVE DI GENERE: LE MEMORIE DELLA DIFFERENZA


    Lia Luchetti

    lialuchetti@infinito.it
    Università degli Studi di Napoli L’Orientale.

    Introduzione

    Uomini e donne non ricordano allo stesso modo. Gli atteggiamenti nei confronti della memoria e del passato si differenziano nei soggetti in base ad alcune variabili, come l’età, le esperienze biografiche di ciascuno, la posizione, la relazione che intercorre tra le persone e, non ultime, le differenze di genere. Il presente contributo intende esplorare la prospettiva del genere nello spazio domestico, per comprendere come possano instaurarsi sull’asse uomo/donna conflitti e negoziazioni rispetto agli oggetti domestici.

    La casa è di norma un luogo di coabitazione. Nei comportamenti di ognuno, convivono spinte ad affermare la propria individualità e partecipazioni alla costruzione di realtà condivise. Per quanto riguarda i depositi della memoria (mnemoteche e mediateche), ciò comporta tanto meccanismi di space zoning quanto collaborazioni, divisioni dei compiti, negoziazioni e conflitti.

    Come scrive un’antropologa, Carla Pasquinelli (2004, p. 44), riflettendo sull’ordine in casa:

    Lo spazio domestico, come del resto ogni altro spazio, oltre a essere un mondo di oggetti è anche un mondo di significati che ci porta a confrontarci quotidianamente con altre persone impegnate in altrettante strategie di ordine spesso incompatibili con le nostre, quasi sempre conflittuali tra di loro. Mettere in ordine la casa non è infatti solo un solitario ed estenuante corpo a corpo con gli oggetti, nel senso che chi riordina non ha solo a che fare con un mondo di cose indisciplinate da riassettare, bensì anche con i loro proprietari e le loro pretese su uno stesso spazio, di cui spesso i propri e altrui oggetti possono funzionare da diritto di prelazione.

    Si parte dal presupposto che gli oggetti accanto ai quali gli individui trascorrono la vita quotidiana siano dotati di un “potere mnestico” (Leonini, 1991; Jedlowski, 2001) che non deriva dall’oggetto in quanto tale ma dal fatto che esso incorpora e proietta dei significati importanti per la persona che lo ha acquistato, ricevuto o trovato in una situazione o in un contesto particolare che si vuole ricordare (Leonini, 1991, p. 55).

    Gli oggetti, dunque, per il loro potere evocativo e per il rapporto di continuità affettiva che instaurano con il passato, sono in forte correlazione con la biografia del soggetto.

    L’ipotesi di partenza è che gli oggetti domestici assumano valori e importanza diversi a seconda della dimensione di genere. Attraverso alcuni estratti di interviste realizzate nel 2008 nell’ambito di una ricerca sulle memorie domestiche [1] [2], ci si propone di indagare alcune questioni significative: vi sono modalità di rapporto con gli oggetti distintive a seconda del genere? Si strutturano delle preferenze nelle strategie di selezione e conservazione degli oggetti domestici in base al genere? In che modo avvengono le negoziazioni tra i membri di una coabitazione? L’uso dei nuovi media è correlato al genere? Il focus è quello del rapporto tra rappresentazioni di genere e modalità di conservazione degli oggetti mediali negli ambienti domestici.

    Il genere degli oggetti: la memoria della differenza

    Diversi ricerche sul ruolo degli oggetti domestici (Csikszentmihalyi, Rochberg-Halton, 1981; Leonini, 1988, 1991) hanno messo a tema le differenze valoriali che connotano gli oggetti comunemente selezionati da uomini e donne. In particolare, la ricerca etnografica di Csikszentmihalyi e Rochberg-Halton (1981) compiuta su un campione di 82 famiglie residenti a Chicago ha rilevato una distinzione tra “oggetti d’azione” (strumenti, macchine, oggetti sportivi ecc.), generalmente preferiti dagli uomini, e “oggetti di contemplazione” (mobili, fotografie, quadri ecc.), cui le donne appaiono più legate. Anche Leonini (1991), nella sua ricerca sul ruolo simbolico degli oggetti, distingue tra orientamento strumentale, prettamente maschile, ed uno espressivo, tipicamente femminile.

    In particolare, gli uomini tendono a ritenere significativi quegli oggetti che rammentano loro di successi personali sul lavoro o nel tempo libero (gare sportive, riconoscimenti professionali, ricordi di viaggi, ecc.), mentre le donne attribuiscono maggiore importanza a quegli oggetti che rappresentano ricordi di vita familiare (regali ricevuti in occasione del matrimonio, della nascita dei figli, oggetti ereditati alla morte di parenti e di persone care, ecc.), legami con un passato fatto di affettività e di continuità di questi vincoli affettivi e familiari (ivi, pp. 62-63).

    Alcuni passi delle interviste sembrerebbero confermare questa distinzione:

    Conservo solo cose mie… Non amo essere legato a cose materiali… (I3M).

    Mi piace conservare poco. Le cose a cui tengo sono i libri, che poi non sono tantissimi. Qualche CD… cassette. Lavoretti di artigianato. Poster. Disegni miei (I4M).

    Guardati intorno… conservo di tutto. Poster, foto… oggetti presi, comprati in viaggio… poi scarpe, la mia passione. Quelle sono nell’armadio però [ride]. Naturalmente libri, cassette (I5F).

    Non avendo un soggiorno, ad esempio, è la cucina lo spazio dove espongo i soprammobili (…). Quelle invece sono le passioni di mio marito: oggetti antichi. È un appassionato di antiquariato. Ma ogni volta che andiamo in giro per mercatini devo ricordargli di quanto piccola è la nostra casa. Quadri pochi. Un paio ricevuti in regalo per il matrimonio, da mio padre. Poi… conservo gli anelli di mia madre, che me li ha regalati. E poi i disegni dei bambini… cerco di conservarli tutti. Alcuni, come vedi, li appendiamo per la casa. Da piccola io amavo disegnare… mio padre li ha conservati tutti, ed io cerco di fare lo stesso con i miei figli (I1F).

    Quest’ultima donna, a differenza del marito che condivide una passione con il mondo esterno (i collezionisti di antiquariato), racconta di oggetti che esprimono un saldo legame tra lei, suo padre e i suoi figli, che si tramandano di generazione in generazione, contribuendo a preservare la memoria e l’unità della famiglia.

    La donna si ritrova ad essere la custode, l’organizzatrice e la conservatrice del ricordo familiare, mentre l’uomo, più concentrato sulla propria vita in senso attivo e propositivo, ricerca il ricordo di successi individuali e personali soprattutto in ambiti extrafamiliari, tra i quali lo sport gioca un ruolo tutt’altro che indifferente (Leonini, 1991, p. 63).

    Gli oggetti legati all’universo sportivo sono ben rappresentati nella descrizione di un giovane intervistato:

    Nella mia camera conservo le mie foto i miei poster di moto soprattutto (…) alcune scommesse sportive spillate e appese alla parete su quel foglio nero. Lì ad esempio riporto le cose veramente importanti della mia vita (I10M).

    Non sono però appannaggio esclusivo di un mondo maschile, come nel caso di una ragazza che conserva tutto ciò che riguarda la squadra di calcio di cui è appassionata:

    Le sciarpe, i miei milioni di sciarpe (…), o qualsiasi cosa della Roma, che me la regalano (…). Varie raccolte della Roma: riviste, poster, interviste (…). Il primo cappellino della Roma con la prima sciarpa che mi ha comprato il padre di una mia amica quando siamo andate allo stadio (I14F).

    Le stesse ricerche (in particolare Leonini, 1988), suggeriscono inoltre che gli uomini siano più propensi al collezionismo vero e proprio, e le donne all’accumulazione. Gli uomini, cioè, amano organizzare in maniera razionale, catalogare puntualmente le raccolte, condividere con altri tale interesse e mostrare all’esterno le proprie collezioni, mentre le donne “tendono ad essere più accumulatrici che collezioniste, nel senso che normalmente riuniscono grandi quantità di cose dello stesso tipo ma non le classificano, non le ordinano secondo alcuna logica, né, generalmente, divengono ‘esperte’ del settore” (ivi, pp. 129-130).

    Alcune interviste femminili sembrano confermarlo:

    Iniziando da ritagli di giornale fino a biglietti di concerti, di cinema, teatro, qualsiasi evento che succede nella mia vita, bigliettini anche dei ristoranti in cui sono stata (…) da sempre, da una vita! (…) È più un accumulo che un’organizzazione la mia. Non credo che sia una questione di spazio… (I14F).

    … e poi, ci sono un sacco di cose, di ricordi, di oggetti che non servono a niente… non sono una collezionista però… sono solo oggetti che conservo perché mi possono servire o perché mi servono a ricordare ma… una marea di roba (I6F).

    Mi piace conservare tutti i ricordi dei posti dove vado: cartoline, ritagli, foto, depliant. Qualsiasi cosa. Anche, diciamo, libri, libretti particolari dove ci sono immagini che mi possono interessare. Poi vabbè qualsiasi tipo di cianfrusaglie… (I13F).

    Mah, conservo un po’ di tutto, oggetti ricordo dei viaggi che sto facendo, questo molto (…). Poi quello che sempre conservo sono i regalini che ho avuto dalle persone, perché mi ricordano un momento felice, un momento di gratitudine di qualcuno che ha voluto offrirmi una cosa per farmi contenta (E2F).

    La differenza tra una modalità maschile più sistematica e una femminile più affettiva e impulsiva di raccogliere e conservare le cose, però, non sembra in verità così netta. A volte, la razionalità delle raccolte maschili è più un desiderio che una realtà:

    Poi faccio collezione delle etichette dei vini che bevo, quelle ci sono tutte, su dei fogli che, anche lì, andrebbero organizzati, non so, per Regione, per tipo di vitigno. Per il momento stanno là (…). Mia moglie è addetta a staccare le etichette dalle bottiglie (ride), in ordine le metto io (I15M).

    In un’intervista questa condizione tipicamente femminile di accumulazione degli oggetti è più esplicita e consapevole:

    È più un accumulo che un’organizzazione la mia. Non credo che sia una questione di spazio. L’unica cosa è che magari ho diviso i libri d’arte e di architettura (…). Mai venuto in mente di mettere in ordine alfabetico i libri, o per autore. Neanche i Cd. L’unica cosa ho diviso quelli dei Pearl Jam, che stanno insieme, tutti in fila, sopra. Sono i primi dall’alto. E poi ho messo insieme tutti quelli di mio fratello di Battiato, poi basta. Non so perché l’ho fatto. Forse perché avevamo comprato il mobile e sembrava brutto che mi prendevo tutto io (…). Tutto il resto è mischiato (I14F).

    La differenza tra la modalità maschile di collezionare e la raccolta di oggetti al femminile più di tipo affettivo e impulsivo non sembra però sempre costituire una netta discriminante tra i sessi. Come mostrano le seguenti risposte di intervistati alle domande su cosa conservano:

    Tutto (ride)! Libri, giornali, foto, oggetti, pietre, piante (…). Qualsiasi cosa, dal mio punto di vista, può essere conservata (I15M).

    Libri, libri, libri…. e poi cassette… piccole cose. Artigianato. E di nuovo, mi ripeto[ride] piante… che danno tanta soddisfazione. Poi… biglietti di spettacoli, concerti… le locandine dei film… (I11M).

    Sono cose legate alle mie passioni. Per esempio, io sono un appassionato di giacche, sono un appassionato di camicie, sono appassionato di penne, sono appassionato di orologi, sono un appassionato di lampade, sono tutte queste cose qui (I18M).

    Questa suddivisione di genere non appare, dunque, rigida. Può accadere, invece, che i ruoli tradizionalmente codificati si invertano, generando scontri familiari, come mostra il brano di questa intervista:

    cioè io ninnoli non ne ho o meglio l’unico posto è questo qui (…) dove metto tutta la roba inutile ed è il motivo di continuo litigio con mio marito perché io vorrei buttare tutto ed usarlo per i libri che mi servirebbe molto di più, ed invece lui: “ma dove li mettiamo ‘sti bicchieri, nelle scatole si rovinano..” quindi l’unico spazio inutile per me è questa vetrina… perché invece già sotto ci sono cose che invece servono (I6F).

    Genere e genealogia

    La ricerca effettuata da Csikszentmihalyi e Rochberg-Halton (1981) ha messo a tema anche il diverso significato degli oggetti attribuito da uomini e donne. Il passo di un’intervista mostra che certi oggetti suscitano interesse quasi solo nelle donne:

    Sono le prime due sedie che mio marito ed io abbiamo comprato nella nostra vita, quando mi ci siedo sopra penso alla mia casa, ai miei figli ed al fatto che su quelle sedie mi sono seduta con i bambini in braccio (ivi, p. 60).

    Il significato di molti oggetti appare dunque connesso, per le donne, al potere di esteriorizzare [3] i ricordi e le storie della propria famiglia e di comunicare un senso del “noi”. Vale per i mobili e per le fotografie innanzitutto, ma lo stesso atteggiamento coinvolge oggetti che appartengono alle mediateche, come i libri, i cui contenuti sono spesso meno importanti del ricordo delle persone a cui ci rimandano:

    A tanti (libri sono legata)… probabilmente i primi… quelli che mi regalava mio padre. In un certo senso è lui che mi ha trasmesso questa passione per l’arte. Poi c’è uno da cui non potrei mai separarmi… posso non parlarne? Direi che ogni libro corrisponde ad una fase della mia vita. Doloroso o felice che sia stata Ci sono i romanzi che ho letto durante l’adolescenza. Quelli che ho letto prima e quelli che ho letto dopo. Ogni libro è parte di me… (per i CD) stesso discorso dei libri (…). Sai, quando li riascolto collego i ricordi dei concerti… di cui conservo i biglietti… (I5F).

    Questo intreccio tra oggetti domestici e vissuto familiare appare molto più radicato nelle generazioni femminili. La memoria femminile, e simmetricamente il modo con cui le donne guardano alle cose che raccolgono, sembrano fortemente connessi all’idea di genealogia (Leccardi, 2002).

    Le generazioni delle nonne e delle madri incarnano un’epoca in rapporto alle figlie che non l’hanno vissuta; queste ultime esplorano i confini della propria identità mettendo a confronto il proprio tempo biografico con quello delle altre generazioni femminili. Inoltre, la memoria familiare di cui nonne e madri sono attive custodi garantisce alle figlie la possibilità di valutare in termini globali il cammino percorso dalle generazioni di donne che le hanno immediatamente precedute, prendendo coscienza del tratto di strada che esse giudicano vada ancora coperto (ivi, p. 61).

    Un’idea che comporta tanto un’attenzione ai legami (e vera competenza a riguardo), quanto un modo di fare i conti con i mutamenti serbando un senso di continuità.

    Queste figlie, scrive ancora Leccardi (ib.), sono donne che, prendendo le distanze dall’ambivalenza del modello espresso dalle loro madri, divise tra tradizione e modernità, chiusura nel privato e apertura al cambiamento, al lavoro e alla sfera pubblica, hanno acquisito una “coscienza di generazione”.

    Le madri sono un punto di riferimento centrale nell’espressione della soggettività delle figlie, dei loro modi di autorappresentarsi, ma la nuova generazione di donne ne prende inevitabilmente le distanze, come mostra questa intervista (una delle poche in cui compare più di una voce):

    (madre) Tutto è importante in questa casa. È tutta tutta tutta un ricordo ‘sta casa. Perché qua ci stava pure mio marito e se butto qualcosa mi pare che butto pure quello che siamo stati insieme. Tutti gli anni della vita mia.

    (figlia) Figurati che mia mamma conserva ancora il materasso con la lana di quando si è sposata! Non butta niente… è una battaglia continua tra me e lei! (…) è che io sono per le cose moderne. Mica sono come te (…) alcune cose io le conservo anche, no… solo per rispetto a mamma, sai mi piacciono le cose moderne e butterei tutte quelle vecchie! (E1F).

    La dimensione genealogica del genere si può collocare anche su uno stesso livello generazionale, tra due sorelle che esprimono nel ricordo di oggetti mediali un forte vincolo parentale, come emerge chiaramente dalle parole di una giovane donna intervistata:

    Amo molto il cinema italiano di Olmi e Antonioni come vedi. Mi riportano alla mia adolescenza. Ai pomeriggi estivi con mia sorella. Adoravamo vedere film in terrazza dopopranzo (I1F).

    La dimensione materna della memoria domestica

    Come ha già sottolineato la ricerca di Csikszentmihalyi e Rochberg-Halton (1981), le fotografie, più di qualsiasi altro oggetto della casa, esprimono un fortissimo legame con i ricordi: “le fotografie sono il principale veicolo per mantenere il ricordo dei parenti più stretti” (ivi, p. 67).

    Dai risultati della ricerca sulle memorie domestiche emerge chiaramente che la memoria familiare, che si esprime nell’oggetto del ricordo per eccellenza, l’album fotografico di famiglia, è ancora saldamente ancorata nell’abitazione di origine, definita anche in maniera ricorrente dai figli maschi “casa di mamma” (I16M, I17M, E5M). Come mostrano alcuni passi di interviste, sono principalmente le donne a essere deputate a mantenere e a tramandare la memoria familiare. Questo riguarda in particolare la gestione delle fotografie di famiglia. E’ una divisione dei compiti che gli uomini di norma confermano (pur con qualche eccezione, specie quando le foto cominciano a essere conservate dentro a un computer):

    Le foto di famiglia invece le conserva mia madre, giù… in vari album. Qui invece è tutto al passo coi tempi. Le foto ce l’ho soprattutto sul computer… ma spesso le stampo (I2F).

    Le mie sono tutte in questa scatola, sono foto che vanno dall’infanzia all’adolescenza e così via… fino ad una decina d’anni fa. Non ho foto digitali. Quelle le conserva tutte Ornella, la mia ragazza (…). Le altre, quelle della mia famiglia, sono nascoste da mia madre. In un ripiano della credenza, e forse qualche album nella sua stanza (I4M).

    Le foto di famiglia le conserva mia madre. Qualche album anche mio padre (…). Mia mamma è una persona molto ordinata, è capace di raccogliere tutto e ordinarle per bene (I8M).

    Foto in casa le conserva mia madre nel comò del salotto… dove ha tutti quegli oggettini che ti regalano... vabbè le bomboniere. Lì: le ha messe tutte in una scatola (I10M).

    La conservazione e la custodia delle foto sono affidate principalmente alla donna, moglie e madre, che spesso ama esporre gli album insieme ai soprammobili nella credenza del soggiorno. In particolare, questo gesto è percepito come tipicamente femminile:

    Annarita, invece, per le sue foto preferisce gli album che stanno (…) in questa credenza con gli oggettini di Annarita. Tipicamente femminile… (I11M).

    Per le donne (specialmente nella fascia d’età più avanzata), la credenza è anche il luogo della “ribalta” (Goffman, 1959) per eccellenza, quello in cui collocare i regali, i souvenir, gli oggetti preziosi, meritevoli di essere mostrati pubblicamente:

    sta là nella credenza dove mia moglie ci mette tutte ‘ste cosarelle… le bomboniere (I11M).

    Alcune cose, come il vestito di S. Rita, le tengo nascoste nel mio armadio - la gente ci potrebbe buttare gli occhi addosso! -, mentre altre come le bomboniere, che sono antiche, antiche e pregiate, le tengo nella mia credenza nella sala da pranzo. Altre cose nei cassetti così... perché sono un po’ disordinata (E1F).

    Tutto ciò sembrerebbe confermare che la casa, oltre ad essere espressione di status, costituisce per le donne (anche quelle sul mercato del lavoro) una fonte robusta di identificazione, un territorio intimo di grande valore dove trovare rifugio e protezione. Ragionando attorno al significato che assumono i furti all’interno dell’abitazione, Luisa Leonini (1998) notava in una ricerca di qualche anno fa che “la casa, per la donna, è un luogo sacro la cui violazione provoca una lesione dell’ego proprio al suo centro” (ivi, p. 163). La perdita di certi beni, del resto, appare più dolorosa quando si tratta di oggetti di famiglia, dal forte valore affettivo più che economico. Così, non stupisce la similitudine proposta da un’intervistata tra violazione domestica e violenza fisica:

    Una volta signorì è capitata una cosa brutta… tenevamo l’oro, quello di famiglia… e no lo so com’è successo, sono venuti i ladri e c’hanno rubato tutto. È stato brutto assai… sia per l’oro sia perché sono venuti in casa… e quando i mariuoli vengono in casa è come se violentano la casa… una cosa brutta. Brutta (I12M).

    Oggi, a fronte di tutti i mutamenti intervenuti nei modelli familiari e lavorativi (Piccone Stella, Saraceno, a cura, 1996; Barbagli, Castiglioni, Zuanna, 2003), assistiamo ad un cambiamento nell’immagine tradizionale associata alla casa e alla domesticità femminile [4].

    Per le donne più giovani questo significa fare i conti in modo nuovo con zone della casa che prima erano percepite come distinte (la cucina dal soggiorno, ad esempio) o da occultare (come la parte deputata alla notte), come mostra questa intervista:

    non abbiamo spazi… cioè è su tre piani questa casa, ma soprattutto non ci sono spazi che sono deputati solo ad una cosa, cioè è una casa grande e noi riusciamo a disordinarla tutta quanta, cioè la viviamo tutta quanta… non c’è il salotto per dire, c’è solo questa cucina che è pure soggiorno. Non abbiamo gli spazi formali e gli spazi... così per noi... è tutta così ed è tutto un grande disordine alla fine (I6F).

    In un altro caso invece la scelta di una tipologia di abitazione open space appare il risultato di una negoziazione degli spazi:

    Annarita avrebbe preferito una casa normale… con porte e tutto il resto. Ma io amo la libertà anche negli spazi… dunque le ho chiesto questo piccolissimo sacrificio (I11M).

    Modalità di conservazione e selezione degli oggetti domestici in rapporto al genere

    Tra le conseguenze delle recenti riorganizzazioni degli spazi domestici e, più in generale, dei ruoli e delle identità connessi al genere, vi sono nuovi conflitti e nuove necessità di negoziazione. La donna appare comunque ancora oggi la custode della memoria domestica, “il nume tutelare della privacy, colei da cui dipende il ripristino quotidiano dell’ordine domestico” (Rampazi, 2007, p. 3).

    Molti intervistati rivendicano però i propri spazi, che devono ora essere estranei alla presenza femminile (madre o compagna), percepita come entità ordinatrice e dominatrice:

    Il rapporto con il resto della casa è indifferente (…) preferisco starmene qui, è la mia stanza il posto in cui preferisco stare (I8M).

    … comunque se ne occupa sempre mia mamma… è lei che si occupa della casa, totalmente. (…) per quanto riguarda la mia stanza ci penso io… ci faccio pure le pulizie [ride]. Il fatto è che non mi piace che s’intrufolino nel mio spazio… (I10M).

    diciamo al di fuori della mia stanza non mi sento molto libera di poter aggiungere oggetti, di poter spostare o combinare i mobili come voglio io nel resto della casa. Cioè, diciamo, quello se la vede principalmente mia madre (…). Decide tutto lei. Poi per il resto, però, per la mia stanza… (I13F).

    Comunque non è che sento l’esigenza di mettere ordine. Magari è perché poi mia madre mi rompe, mi dice che sta tutto in mezzo. Il concetto di ordine non mi appartiene molto. Però, per convivenza... Io, fosse per me, metterei i libri per terra. Lascerei i Cd, le tazze dove capita, se avessi un mio spazio (…). Invece no, ho dovuto restringere, quindi di conseguenza delle volte anche sistemare le cose per un’esigenza, perché non vivo da sola. Vivo anche con una madre che è molto ordinata, precisa (I14F).

    Tutti i dischi sono sistemati per autore. Questo criterio lo devo a mia madre… ordinatissima (I1F).

    Ci sono cose dappertutto… sono un disordinato cronico… in effetti urge la presenza di una donna… (I3M).

    Compaiono nuove esigenze e nuove forme di negoziazione, spesso proprio a proposito di ciò che si vuole conservare:

    I dischi sono mimetizzati perché vivendo insieme ad una partner si arriva a compromessi. «Non mi riempire la casa di dischi! Questa è una casa antica…», oppure mi dice «Cerca di non mettermi mensole da tutte le parti!» (E4M).

    Mia madre è molto impegnata… si occupa, in casa, della disposizione dei mobili… però devo dire che decidono insieme, con mio padre (I8M).

    Lo spazio è totalmente condiviso, quello che è mio è suo. Ma…. la scelta di mettere un poster no, non viene fatta insieme. Perché alla fine non è che gli importi molto a lui di quello che c’è dentro la stanza a livello estetico di immagine (…). Quindi anche lui ogni tanto si cimenta, però poi sono sempre io che appiccico qualcosa, che inserisco cose nuove (I13F).

    Per quanto riguarda il proprio rapporto con l’ordine, un giovane intervistato ammette:

    forse perché avendo mia madre mi affido molto a lei riguardo questo concetto (I10M).

    Un altro intervistato riconosce di affidarsi totalmente alla moglie nell’organizzazione della libreria e appare quasi inconsapevole e disinteressato delle modifiche effettuate:

    Mah… la libreria vive di vita propria… Anche se Annarita si affanna a mantenere e seguire un ordine del tipo letteratura italiana, francese, americana… saggistica, biologia, yoga… dizionari… arte… insomma un ordine preciso… Anche se ora noto un ordine in base alle case editrici… Chissà, forse ha cambiato di nuovo idea…[ride] comunque è un ordine sempre molto temporaneo, cambio spesso la disposizione (I11M).

    Ma il ripristino quotidiano dell’ordine domestico complessivo rimane comunque appannaggio femminile. E con ciò anche il compito più gravoso di tutti quelli che hanno a che fare con i depositi della memoria, quello di cambiare, scartare, buttare via:

    mia madre ha dato via i libri di scuola, quelli del liceo… e mi è dispiaciuto molto… non mi ha fatto salvare niente. E questo mi è dispiaciuto, è stato come cancellare gli anni di scuola (I7F).

    In cantina ci sono vecchi mobili… giocattoli. Cose del genere… ma io non ci vado mai… mi sembra ci sia il vecchio studio di mio padre lì, smontato e conservato… Io l’avrei buttato (I8M).

    le videocassette, invece… mia madre le ha buttate tutte, c’ha la paranoia dell’ordine (I10M).

    secondo me bisogna conservare tutto. E io… quando posso, se mia moglie non mi butta niente, cerco di conservare tutto. (….) Nooo, quella le mani non ce li può mettere… mi butta via tutto. Perché io sono un po’ disordinato (….) mia moglie butta. Mia moglie, ad esempio, potrebbe cambiare ogni giorno disposizione dei mobili in casa… le piace cambiare aria, fare le pulizie… io invece sono uno che deve stare tranquillo, deve avere le sue abitudini… le cose devono stare sempre al posto loro (I12M).

    Articolazioni di genere nell’uso dei nuovi media

    Quando compare il computer però le differenze si attenuano. Diversi studi hanno rilevato che le donne risultano complessivamente meno disponibili degli uomini ad apprendere il funzionamento e a trarre piacere dall’uso delle nuove tecnologie [5]. Esiste certamente una cultura femminile del telefono che si prolunga nel rapporto delle donne con il cellulare, ma verso il computer l’interesse sarebbe meno forte, come osserva Capecchi (2006, p. 104):

    le donne, rispetto agli uomini, risultano complessivamente meno disponibili ad apprendere il funzionamento e a trarre piacere dall’uso delle nuove tecnologie (o new media) come il videoregistratore o il computer, mentre emerge una “cultura femminile del telefono” e un uso femminile consolidato della radio e della televisione. Gli uomini risultano al contrario perfettamente a loro agio con tutte le tecnologie e specialmente con i new media, che diventano dei “giocattoli” di cui assumere il controllo in famiglia.

    Nelle interviste cui si fa riferimento però la differenza è sfumata. Per quanto riguarda l’impatto delle nuove tecnologie sulla vita quotidiana, sulla memoria, e più in particolare sulle mediateche, la variabile del genere conta assai meno di quella dell’età. Quasi tutti gli anziani, indipendentemente dal genere, dicono di non utilizzare il computer, e di usare il cellulare solo come un telefono. I più giovani manifestano una forte propensione all’utilizzo dei nuovi media e di tutte le loro articolazioni, che siano uomini o donne. Qualche differenza si rileva nell’età di mezzo: accanto ad un generale e quotidiano utilizzo dei nuovi media, e in particolare delle mediatiche portatili, si manifesta una certa resistenza e distacco, come nel caso di queste donne:

    Mio marito che è il contrario di me ha migliaia di CD con file, mp3, documenti. Usa Emule o l’ultimo, come si chiama, Torrent, mi pare… per scaricare musica film, videogiochi (….). Su internet al massimo leggo le mie e-mail o faccio fare qualche giochino ai miei bambini. Mio marito è più esperto di me. Lui salva tutto in cartelle e file (I1F).

    Un blog??? Per favore… dai…. non so proprio come potrei crearlo un blog! Non capisco nulla di download… lascio fare a lui… mio marito (….) Del mio lettore se ne occupa mio fratello, che è più ordinato. Io gli chiedo cosa voglio, gli affido il mio I-pod e lui me lo restituisci pronto per l’uso… (I2F).

    Tra gli adulti, è significativo del resto che l’unico uomo a non avere un buon rapporto con il computer si descriva come “un uomo atipico”. Ma più si abbassa l’età, più i comportamenti sono simili, o meglio, si distribuiscono a seconda di inclinazioni soggettive a prescindere da differenze di genere. A conservare mail con molta cura per esempio è una ragazza:

    Pensa che conservo ancora un centinaio di mail che io e una mia amica inglese ci mandammo un pomeriggio (I2F);

    ma fa la stessa cosa anche un ragazzo:

    Però con gli amici parlo su internet… uso msn e conservo, ecco… le conversazioni… Se mi chiedi di spiegare perché conservo le conversazioni…. Guarda, ti dico che le conservo solo per alcune persone, quando mi interessa una conversazione oppure una persona in particolar modo e quindi per assimilare meglio quella persona le cose che mi scrive di sé, per cercare di capire che persona è leggendo fra le parole… (I10M).

    Anche i compiti connessi alla conservazione delle foto si ridistribuiscono. A un uomo che si è appropriato della loro gestione perché “adesso sono al computer” fa riscontro un ragazzo che confessa:

    … le foto digitali no, quelle è lei che le tiene (I4M).

    Conclusioni

    In conclusione, quale relazione intercorre tra il genere e la memoria? È difficile definirla in modo univoco.

    Da un lato il genere sembra essere una variabile importante nella conservazione degli oggetti domestici, come emerge dall’elenco di un’intervista: «(…) cartoline, ritagli, foto, depliant. Qualsiasi cosa. (…) libri, libretti particolari (…) qualsiasi tipo di cianfrusaglie (I13F)». Questi depositi materiali della memoria domestica si legano in misura forte alla dimensione intima e familiare dei soggetti intervistati e alla costruzione della loro identità e posizione nello spazio domestico della vita privata. Sono le forme stesse dell’esperienza di questi oggetti a non poter essere digitalizzate.

    Dall’altro lato le mediateche domestiche si stanno trasformando oggi, almeno in parte, in mediateche mobili e leggere. La portabilità del computer e delle sue memorie compresse e la sua integrabilità con strumenti e sistemi di connessione diversi modificano il quadro di tutte le pratiche mnestiche; i magazzini della memoria si fanno insieme più individualizzati e più aperti. I teatri della memoria (Yates, 1966) si trasformano in parte in mappe per l’accesso a file e documenti di cui l’individuo dispone ma che non possiede, e la casa perde molte delle sue funzioni a riguardo. Sganciandosi e uscendo dalla casa, e mentre la casa stessa è luogo di nuove ridefinizioni dei ruoli, delle identità e dei rapporti, le memorie domestiche portatili tendono a perdere una connessione specifica con i ruoli di genere.

    Note

    1] Lia Luchetti è dottoranda in Scienze della comunicazione alla Sapienza Università di Roma e cultrice della materia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Tre. Ha scritto “Gender advertisement e culture jamming: forme di sabotaggio dei repertori mediali” (con Anna Lisa Tota, Meltemi, 2008) e “Memorie e mediateche domestiche” (con Marina Brancato, Paolo Jedlowski, Carocci, 2010).
    2] La ricerca a cui si fa riferimento, coordinata dal prof. Paolo Jedlowski, è stata svolta nelle città di Napoli, Roma, Cosenza e Avellino. Sono state raccolte complessivamente 35 interviste narrative, svolte nelle abitazioni degli intervistati, rivolte a persone di entrambi i sessi, di varia istruzione e in diverse condizioni professionali, in età fra i 20 e gli 80 anni, con prevalenza di giovani adulti istruiti. Le citazioni dalle interviste, nel testo, sono contrassegnate da una sigla che corrisponde al gruppo cui l’intervista appartiene (A=interviste ai membri del gruppo; E=interviste esplorative; I=interviste restanti), dal numero dell’intervista all’interno del gruppo, e dall’indicazione del sesso dell’intervistato (M/F).
    3] Sul concetto di esteriorizzazione della memoria si veda Jedlowski, 2001.
    4] Sulla fine della separazione tra pubblico e privato e sulla caduta dei confini fisici e funzionali tra aree della casa si veda, tra gli altri, Corrigan, 1997.
    5] Per qualche panoramica degli studi sul rapporto tra donne e nuove tecnologie si veda Moores, 1993; Barazzetti, Leccardi (a cura), 1995; Capecchi, 2006. Su genere e internet si veda van Zoonen, 2008.

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