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  • Mappe domestiche: la casa e le sue memorie
    Marina Brancato (a cura di)

    M@gm@ vol.9 n.3 Settembre-Dicembre 2011

    NOI SIAMO LA LUCE DELLE CASE


    Marina Brancato

    akirana@hotmail.com
    Dottore di ricerca in Scienze antropologiche e docente a contratto del laboratorio di Giornalismo Internazionale, Università degli studi di Napoli L’Orientale.

    Quante case nella nostra vita avremo vissuto e abitato ma mai dimenticate? Belle, brutte, colorate, autentiche, artefatte, pensate, fredde, di pregio, inutili, rare, appariscenti, ornate, minimi, uniche, tante.

    Noi siamo la luce delle case, e la luce è una conquista che le case si devono meritare: per come sono fatte, per il carico di sentimenti che proiettiamo su di loro, per le storie che costruiamo intorno, i significati o i messaggi che gli affidiamo, e no non c'è bisogno che scomodiamo Proust per la memoria, tutto è molto più semplice, e le case senza oggetti e persone sono scatole vuote.

    Se proprio c'è da scomodare qualcuno, allora quello è Kafka con il suo Odradek, nome che si presta a molte interpretazioni senza che nessuno venga a capo del senso preciso della parola, padre e madre di ogni oggetto. Privo di senso eppure concreto, che sta in piedi e si muove, si trattiene per scale e solai, scompare per mesi trasferendosi in altre case e ri-apparendo d’improvviso.

    La sua forma è un pretesto, da come lo guardi racconta una storia sempre diversa, con l’unica certezza che sopravvivrà al nostro tempo. Come vuoto spazio può definirsi semplicemente come interno, in cui si può solo intuire la sua potenziale interiorità che fonda l’esperienza dell’abitare. Abbiamo bisogno della concretezza dell’esperienza per riempire le nostre case.

    Lo spazio domestico è uno spazio doppio e ambiguo talvolta contraddittorio: una cornice che recinge, circoscrive, trattiene; la sua estensione accoglie, ospita, contiene. Nello specifico osservarne le modalità di conservazione di memorie è penetrare nel cuore della casa, scandagliarne i confini estremi, individuarne i recessi, costruire una laboriosa stratificazione di cose, risorse, certezze, memorie.

    Parte dei contributi (Affuso e Isabella, Brancato, Mandich, Iannicelli, Jedlowski, Lucchetti e Rampazi ) rappresentano lo spin off di una ricerca sulla Memoria domestica e più in generale sulle culture quotidiane [1]. Il resto del volume è costituito da brevi saggi che indagano il presente, il passato ed il futuro delle nostre mappe domestiche: le nuove domesticità tecnologiche (Pellegrino), la dimensione del viaggio nella scrittura di sé (Valastro), divagazioni sul senso della casa oggi (De Bernardi e Pasini), la casa coloniale in Africa Orientale (Romano).

    In generale, ciò che emerge è che la memoria non è un insieme di ricordi, così come una biblioteca non è un semplice deposito di documenti: in entrambi i casi, ciò che chiamiamo memoria è soprattutto una modalità di costruire rilevanze e di ordinare certe tracce del passato, conservandole in modo da permetterne la riattivazione e strutturandole come materiale significativo per le pratiche e gli interessi che caratterizzano il presente.

    Vorrei ringraziare Paolo Jedlowski e Orazio Maria Valastro per la fiducia e la stima che mi lega a entrambi e ogni singolo autore di questo volume per la condivisione. I miei genitori e tutta la mia famiglia per avermi sempre sostenuto e incoraggiato. Ai miei nonni Angiolo e Maria, alla loro memoria: la mia casa sempre e ovunque.

    Note

    1] “Memorie domestiche. Conservazione ed uso dei prodotti mediali negli spazi domestici” (coordinatore Prof. Paolo Jedlowski, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”) unità locale del PRIN 2006 “Costruzione e ricostruzione dello spazio-tempo nelle pratiche del quotidiano” (Coordinatrice nazionale prof.ssa Giuliana Mandich, Università degli studi di Cagliari) poi pubblicata in Culture quotidiane: addomesticare lo spazio e il tempo - a cura di G. Mandich, Carocci, Roma 2010.



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