 
 
      La lettura di sé e dell'altro
        Orazio Maria Valastro (a cura di)
M@gm@ vol.9 n.1 Gennaio-Aprile 2011
NIETZSCHE E L’ENIGMA DELL'IDENTITÀ, LA PIÙ DIFFICILE DELLE SCOPERTE
Il corpo lente, il corpo testo
Roberta Cavicchioli
robertacavi@yahoo.it
        Storica delle idee e antropologa; Dottorato di Ricerca in Filosofia - Storia del Pensiero Politico, Università degli Studi di Genova; Laurea Specialistica in “Antropologia Culturale e Etnologia”, Università degli Studi di Genova; Diploma di Laurea in Filosofia, Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Genova.
«Poche nozioni sono tanto inflazionate. L’identità 
        è diventata oggi uno slogan brandito come un totem o ripetuto in maniera 
        compulsiva come un’evidenza che sembrerebbe aver risolto proprio ciò che 
        risulta problematico: il suo contenuto, i suoi limiti, la sua stessa possibilità. 
        La sua estensione e la sua proliferazione sono tali che essa è in grado 
        di caratterizzare tanto un’affermazione religiosa, sociale, nazionale, 
        regionale, familiare, professionale o generica ( i gruppi di uomini, di 
        giovani, di omosessuali), (…) Quindi in questo sacco ci vengono ficcate 
        un mucchio di cose disparate: il “me”, ma anche il “noi”, il noi qui, 
        il noi là, ma anche il “noialtri”, francesi, europei...»
        F. Laplantine, Identità e Métissage. Umani al di là delle appartenenze, 
        Elèuthera, Milano, 2004, p.15
        
        Identità o le corps du litige, tale poteva essere il titolo dell'ennesimo 
        articolo di maniera che, ancora una volta, chiama in causa Friedrich Nietzsche 
        per attribuirgli la paternità di un pensiero scomodo o di una brillante 
        intuizione. Mi sono chiesta se rinunciare al vantaggio di un titolo accattivante 
        e, vinta la prima esitazione, ho preferito fornire al lettore un'indicazione 
        eloquente circa il mio punto di vista: la cifra dell'opera nietzschiana 
        non è il conflitto, ma la dolorosa urgenza di una liberazione attraverso 
        una conoscenza di sé che trascenda le piccole vanità e le certezze meschine. 
        Una conoscenza sempre provvisoria che si acquisisce recuperando il gusto 
        e l'azzardo della scoperta – Nietzsche invita il suo lettore ad accostarsi 
        alla realtà come ad una terra da esplorare e cartografare, ad abbandonare 
        i pregiudizi del senso comune per esporsi al rischio di un sapere sovversivo 
        che ha a che fare con l'identità, la grande questione che lo interrogherà 
        per tutta l'esistenza.
        
        Per continuare a muoverci in questa metafora, il corpus nietzschiano può 
        essere letto come un diario di viaggio in cui si alternano le fasi di 
        esaltazione e disillusione caratteristiche della grande impresa, si mettono 
        in discussione le coordinate, si affronta la separazione dai numerosi 
        compagni di viaggio. A dispetto di una sorprendente facilità nel narrare, 
        nel raccontare e raccontarsi dell'uomo – Nietzsche l'autobiografismo non 
        si chiude in un'autoreferenzialità intimistica: nelle osservazioni di 
        colui che si definisce via, via come il “sofferente”, “il malato”, “il 
        medico” si anima un mondo complesso, ricco di articolazioni e di significati 
        propri. Ecco, allora, che si compongono il piacere irriflesso dell'avventura, 
        la curiosità per il mondo della vita e la necessità di descriverlo rigorosamente, 
        senza tralasciare alcun aspetto – e si incontrano l'esploratore e l'uomo 
        di studi.
        
        Da buon filologo, conduce la sua analisi, mettendo alla prova gli strumenti 
        con cui avrebbe lavorato alla ridefinizione dell'identità: ha immediatamente 
        compreso che sarebbero stati inadeguati al compito, se non mendaci e fuorvianti. 
        Si trattava, allora, di rigettare qualunque definizione essenzialista 
        e fissista, di sbarazzarsi degli stereotipi identitari che funzionavano 
        come uno schermo per l'auto-rappresentazione di una società nichilista 
        e di una cultura decadente. Approntare nuovi strumenti di lavoro significava 
        disattivare le categorie culturali che ordinavano il rapporto dell'individuo 
        con il suo fantomatico sé, entrare nell'ottica di una ricerca incessante 
        e senza quartiere. Una ricerca forsennata, parossistica, che si dispiega 
        ovunque stia la vita e solo nella vita incontra l'uomo; il vivente è il 
        grande libro che Nietzsche percorre per cercare le risposte che scompaginano 
        l'ordine delle identità prodotte dall'introiezione dei dispositivi di 
        potere. E proprio in virtù di questa scelta metodologica che si volge 
        al corpo, il testo più frequentato dal Nostro nella sua meticolosa opera 
        esegetica, quello che dice il vero e dice delle nostre convinzioni, degli 
        usi, delle norme sociali; un corpo alienato, cui la genealogia indica 
        la strada del tradimento, nella sua accezione deleuziana, di una fedeltà 
        a se stessi che è anzitutto una consonanza, una disposizione alla vita.
        
        Chiave di una catena di enigmi che ci interrogano sul nostro rapporto 
        con la realtà, con l'esistenza, con la coscienza, il corpo è anche il 
        fulcro della narrazione nietzschiana: punto di contatto e cerniera con 
        una realtà che favoleggia e si nega, la corporeità, intesa come metonimica 
        del vivente, squarcia il velo sull'invenzione dei dispositivi di negazione 
        normalizzante dei bisogni. Nella trama della narrazione la corporeità 
        cessa di essere silente e trova il suo riscatto: c'è di più, perché, in 
        un singolare ribaltamento di prospettiva, la dimensione istintuale indica 
        la direzione da seguire – avvia un percorso di riconoscimento e di riappropriazione 
        dei bisogni, dell'emotività, dell'extra-razionale, così profondamente 
        umani. Il riferimento alla corporeità è fondamentale nella definizione 
        delle identità individuali e collettive, poiché afferma la pluralità delle 
        esistenze e delle situazioni, proprio nel senso dell'essere situati, del 
        trovarsi in una specifica condizione, nel dover coincidere con lo spazio 
        definito da un corpo cui ci sforzeremo di somigliare. Il corpo è la lente 
        attraverso cui filtriamo la realtà, ci misuriamo con gli altri, ci formiamo 
        un’idea provvisoria di noi e degli altri. D'altro canto, il corpo è un 
        testo, un testo che si arricchisce e trasforma mentre attraversiamo la 
        nostra vicenda biografica; un testo che, con maggiore facilità rispetto 
        al passato, possiamo interpretare, personalizzare, correggere [1].
        
        Facendone il baricentro della sua riflessione morale ed epistemologica, 
        Friedrich Nietzsche ha reintegrato il corpo fra gli oggetti di conoscenza 
        e ha mostrato la profondità della ferita. Non solo, grazie al suo ribaltamento 
        di prospettiva, ha posto le premesse per concepire l'identità personale 
        in termini dinamici, per porla in continuità e in relazione con un mondo 
        non desertificato da una ragione mortifera che difende il proprio primato, 
        negando la pienezza della vita. Il tributo reso all'istintualità e alla 
        sfera dei bisogni si innesta in una teoria antropologica che interpreta 
        l'evoluzione umana alla luce della resistenza opposta dal corpo all'ambiente 
        – un cammino doloroso, altamente conflittuale e contraddittorio, quello 
        in cui, con le mutate caratteristiche fisiche, si è forgiata la coscienza 
        che la specie ha di sé.
        
        È vero, si tratta anche e soprattutto di una narrazione, perché l'autore 
        descrive il faticoso emergere di una soggettività fatalmente monca, racconta 
        e si racconta nella favola di un mondo falso, alternando il registro della 
        poesia o dell'epigramma a quello del suo epistolario in cui, con eguale 
        decisione, esplora il rapporto del singolo con le due dimensioni del corpo 
        e della mente, dell'autenticità e della distorsione, della verità e della 
        menzogna. Nell'ambivalenza del suo racconto che attrae e respinge, afferma 
        e nega, rivivono l'ambivalenza e l'ambiguità della condizione umana, in 
        cui nessuna certezza è definitiva.
        
        Ambiguità che si rivelano nel radicamento del sé in un corpo che viene 
        riabilitato, o piuttosto nobilitato e innalzato a fenomeno morale, da 
        una fisiologia pericolosamente in odore di metafisica, in cui persino 
        le pulsioni vengono intellettualizzate. Sembra che le incursioni di Nietzsche 
        negli ambiti più disparati- l’estetica, la politica, la fisiologia, finiscano 
        col convergere in un medesimo punto: intendono disegnare l'anatomia di 
        un'umanità nuda, o per meglio dire, spogliata di quell'abito intessuto 
        di veti e frustrazioni che la intossica come la mitica vesta di Deianira. 
        Notoriamente, quest’abito avvelenato che impedisce all'umanità qualsiasi 
        movimento salutare e la intrappola in una languida attesa dell'aldilà 
        o della realtà immaginata da filosofi e letterati è la civilizzazione, 
        che tutte le scienze celebrano come il massimo obiettivo per il genere 
        umano. È altrettanto noto come le grandi istituzioni del sapere e del 
        potere siano annoverate fra le funeste tessitrici intente a confezionarne 
        modelli più costringenti.
        
        In largo anticipo rispetto ai tentativi di un Novecento alla ricerca di 
        un'identità, quest'autore, insuperato per la sua lucidità tagliente, si 
        interroga sulle condizioni di produzione del sé entro la società, consapevole 
        che le possibilità di squarciare il velo sulle costruzioni culturali che 
        ciascuno considera come il nucleo più profondo del proprio essere, la 
        propria “pelle” sono esigue e pesantemente compromesse dalla duplice negazione 
        del mondo circostante e della propria appartenenza a questo. Se non è 
        pensabile proporre semplicemente un “percorso a ritroso”, perché l'imposizione 
        di una moralità malintesa avrebbe prodotto la sovrastruttura della coscienza 
        che, lungi dall'esprimere l'unicità dell’individuo, ne determinerebbe 
        l'annichilimento e cancellerebbe, con i tratti ferini, la vitalità, la 
        gioia, la creatività: si rende necessaria un'indagine più approfondita. 
        La genealogia è per molti versi un'istruttoria in cui si raccolgono e 
        si articolano gli indizi del sé, ci si mette sulle tracce della vittima 
        e dell'assassino, concentrandosi sull'unico elemento inconfutabile: il 
        corpo. Il corpo è l'oggetto della contesa, le corps du litige, in cui 
        si imbattono i paladini dell'identità ferita, l'ingombrante cadavere di 
        cui gli spiritualisti vogliono liberarsi, ciò che i materialisti vogliono 
        riscattare. Fondamentale per il buon esito dell'istruttoria è la capacità 
        di porre gli eventi nella corretta prospettiva, di ordinarli e passarli 
        in rassegna fino a descrivere un contesto in cui ogni elemento acquisisce 
        un senso posizionale e contingente. L'inquirente è ancora l'esploratore 
        che non si lascia ingannare dalla disarmante trasparenza del corpo, «il 
        fenomeno del corpo è il più ricco, chiaro e comprensibile dei fenomeni: 
        gli si deve riconoscere il primo posto sul piano del metodo, senza nulla 
        stabilire circa il suo ultimo significato» [2]. 
        In questa significativa anticipazione, un'indicazione metodologica forte 
        che sarà raccolta con oltre un secolo di ritardo, perché i frutti della 
        provocazione lanciata da Nietzsche verranno raccolti solo grazie all’incontro 
        fecondo con l’etnologia ed altre discipline che sdoganeranno il tema della 
        corporeità [3]. E, merita di osservare, 
        come, ironia della sorte, saranno proprio il narcisismo delle liberal-democrazie 
        e i riprovevoli “istinti democratici dell’anima moderna” a restituire 
        al corpo la sua centralità.
        
        La narrazione resta volontariamente sospesa tra i registri della filosofia 
        morale, della sociologia della cultura, delle scienze biologiche, nell'intento 
        di spostare i confini fra naturale e culturale, fra spontaneo e artefatto, 
        di sbigottire il lettore scuotendo le fondamenta delle sue verità. Gli 
        autori che verranno associati a Nietzsche nella fortunata definizione 
        di “Scuola del Sospetto”, Marx e Freud, promuovendo l'uno una politicizzazione 
        dei bisogni, l'altro una complicata geografia delle corrispondenze di 
        psiche e soma, concorreranno a modificare l'immagine della corporeità, 
        senza però riconoscerne l'enorme potenziale euristico. Nell'opera di Niezsche 
        viene posta con forza il tema dell’antinomia fra essere e soggetto, che 
        sarà poi oggetto delle sperimentazioni di Foucault, Deleuze, Braudillard 
        e Derrida per arrestarci all'area culturale francofona. L'attenzione posta 
        su questa dialettica permette a diverse tradizioni filosofiche di confrontarsi 
        su di uno stesso terreno, e di affrontare la sfida lanciata da altri saperi 
        capaci di porre in una prospettiva continuista il genere umano e le altre 
        forme di vita. Ciò è possibile solo a partire da una reintegrazione del 
        somatico tra gli oggetti di conoscenza. In tal senso, il fiorire degli 
        studi post-nietzschiani e il moltiplicarsi degli esegeti animati da intenti 
        militanti, fra la metà degli anni Settanta corrisponde ad un preciso posizionamento 
        nella polemica antiplatonica sulla questione della verità, una verità 
        che non si situerebbe solo nell’ordine del discorso, ma troverebbe espressione 
        e radicamento nel corpo. Un radicamento che, come si accennava in apertura, 
        non è esente da contraddizioni e ombre, perché affida la liberazione al 
        dominio, l’unità alla violenza, l’affermazione dell’identità alla restaurazione 
        delle gerarchie naturali.
        
        Inteso a riaffermare il sodalizio fra la filosofia e la vita, il monito 
        agli asceti, ai mandarini, ai custodi della verità dell’anima non cela 
        la sua carica distruttiva: «Agli spregiatori del corpo voglio dire 
        la mia parola. Non debbono imparare e insegnare l’opposto di quello che 
        hanno imparato e insegnato finora, bensì dire addio al proprio – e quindi 
        ammutolire.» [4] Debbono quindi 
        ammutolire e tacere per sempre, perché la creazione di un nuovo sistema 
        di valori non ammette pietà per quanto è stato detto e pensato prima. 
        All’anatema degli sconfitti il profeta Zarathustra risponde con il sarcasmo: 
        «C’è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza… Chissà 
        cosa se ne fa il corpo della tua migliore saggezza?». Secondo Didier Franck, 
        quel corpo di cui già si intuiva la funzione di cerniera fra i differenti 
        ordini di conoscenza, acquisisce la sua funzione di elemento unificatore 
        solo a seguito della composizione dello Zarathustra: non può esservi alcuna 
        previa comprensione del somatico al di fuori della dottrina dell’eterno 
        ritorno [5]. Comprendiamo, allora, dove 
        il corpo dovrà portarci: al centro dell’enigma che costringerà l’Oltre-uomo 
        ad assumere su si sé il peso di un’eternità negata dalla cultura della 
        rinuncia. La transvalutazione dei valori, riaffermando la verità del divenire, 
        creerà un corpo affrancato dalle pulsioni reattive che qualificano l’attuale 
        rapporto dell’uomo con il mondo; l'enigma si scioglie nell'indicare la 
        direzione verso la quale l'umanità dovrebbe muovere [6].
        
        Si impone, però, una precisazione filologica circa la nozione di corpo 
        nel pensiero nietzschiano: se è vero che in Nietzsche si è scoperto un 
        assiduo frequentatore degli studi fisiologici e biologici del tempo, sarebbe 
        arduo negare che la sua rappresentazione del vivente non sia percorsa 
        da un forte vitalismo. L’immaginario superomistico disegna uno scenario 
        in cui un conflitto assume connotazioni morali; l’esito della competizione 
        per la vita non è incerto o aleatorio; la traccia del nemico vinto e incorporato 
        continua a combattere. La vita inneggia al vigore del forte, laddove un 
        concetto di forza fortemente antropomorfizzato definisce il valore delle 
        cose; merito di Gilles Deleuze è di aver rilevato come il valore dei fenomeni 
        risieda ne “la gerarchia delle forze che si esprimono nelle cose in quanto 
        fenomeno complesso”, restituendo all'opera nietzschiana la sua reale vocazione: 
        l'azzardo, l'autosuperamento, la trasvalutazione. La formulazione del 
        concetto di volontà di potenza molto deve alla teoria di Wilhelm Roux 
        sull’autonomia e la contrapposizione delle parti, che strutturerebbero 
        l’organismo in una continua rinegoziazione degli equilibri [7].
        
        Non diversamente dai migliori esponenti dell’intellighentzia coeva, Nietzsche 
        stenta a discostarsi da una visione antropomorfica e metafisica della 
        natura, appena svecchiata dal linguaggio della moderna biologia dell’evoluzione. 
        In tal senso, non sembra peregrina l’ipotesi di Barbara Stiegler, che 
        si spinge ad affermare che il somatocentrismo nietzschiano operi una negazione 
        della dimensione corporea tanto più forte, quanto più tenta di comporvi 
        le istanze della realtà, finendo coll’imporre una mistica del biologico 
         [8].
        
        E tuttavia, sarebbe ingeneroso attribuire a Nietzsche un appiattimento 
        su uno scientismo misticheggiante in cui l'autore sembra piuttosto individuare 
        un grimaldello per spezzare i vessilli di uno spiritualismo di diverso 
        colore. Sappiamo che la contestata lettura di Gilles Deleuze deplora la 
        focalizzazione dei critici sull'interpretazione politica dell'evoluzione 
        e dell'eterno ritorno, cristallizzati in volontà di potenza. Quando Nietzsche 
        invita a definire il corpo in termini sistemici, intende ricomporre la 
        frattura con il mondo del divenire, il regno del vivente cui l’uomo appartiene, 
        fare di questa sorta di liberazione la scelta che anticipa la “grande 
        scelta” dell’Eterno ritorno, in cui l’individuo torna a collocare il senso 
        nell’immanenza e fa della ripetizione l’atto di disvelamento di un mondo 
        artefatto [9]. È una liberazione da 
        mondo che presume di essere quello vero, rispetto al “mondo immediato” 
        del divenire, presume di contenere il vero senso del mondo diveniente, 
        la soluzione dei problemi di questo mondo, e quindi la sua positività, 
        tutto l’essere che manca a questo mondo [10].
        
        Per comprendere cosa sia il mondo “vero” bisogna, allora, volgersi all’eternità, 
        ricercarne la traccia nel qui ed ora del corpo, «il fatto più complesso 
        del mondo, il supremo caso», chi ha avuto la visione dell’Eterno 
        ritorno lo ripete incessantemente. Il corpo è ancora allusivo di una tensione, 
        perché nel suo essere ananché esprime la necessità di scegliere ciò che 
        si è, di dare compimento alla propria natura; nel suo essere fatum viene 
        restituito alla sua sacralità, recupera il suo aspetto di profezia. Klossowski 
        è fra i primi a rilevare come nell’assunzione del carattere necessario 
        dell’esistenza, nel fatum, risieda una delle possibili soluzioni per l’enigma: 
        «Volete un nome per questo mondo?, un nome che sia la soluzione di 
        tutti gli enigmi? Questo mondo è la volontà di potenza e nient’altro! 
        La volontà di potenza è la soluzione di ogni enigma del mondo; ossia è 
        la volontà ultima. Dire sì alla vita, cioè riconoscere che il divenire 
        è innegabile, che al di là del divenire non c’è nient’altro- sì che il 
        divenire è attorniato dal nulla come dal suo confine» [11]. 
        Il continuo spostamento fra il preteso mondo reale e il mondo negato del 
        divenire sarebbe, per l'acclarato interprete, la cifra per comprendere 
        la patologia culturale del soggetto inchiodato in una finzione che non 
        serba alcuna saggezza tragica o sapere. Corre, qui, l'obbligo di una precisazione, 
        perché il nietzschiano “dire sì alla vita”, si colloca in una dimensione 
        di abbandono fatalistico, in virtù della quale si iscrive nella logica 
        di anaché. Il costruzionismo di un ritorno alla natura che pretenda di 
        interpretarne le legge alla luce di una qualche convinzione morale, rilancia 
        con un delirio di potere e di controllo. Tale è la premessa del violento 
        attacco sferrato allo stoicismo: «Volete vivere “secondo natura”? 
        O nobili stoici, che inganno verbale! Immaginatevi un essere come la natura, 
        dissipatrice senza misura, indifferente senza misura, senza intenzioni 
        e riguardi, senza pietà e giustizia, fertile e deserta e incerta al contempo, 
        immaginatevi l’indifferenza stessa fatta potere: come potreste vivere 
        secondo tale indifferenza? Vivere non è appunto un voler-essere-altro 
        da quel che è questa natura? Vivere non è forse valutare, preferire, essere 
        ingiusti, essere limitati, voler essere diversi? E posto che il vostro 
        imperativo “vivere secondo natura” in fondo significhi “vivere secondo 
        la vita”, come potreste non farlo? A che scopo trasformare in principio 
        ciò che voi stessi siete e dovete essere?» [12]
        
        In Aurora Nietzsche si è lungamente scagliato contro i misfatti dell’ascesi, 
        mostrando come questa morale captiva, abbia lentamente logorato ed esaurito 
        le energie del corpo, manipolandone la struttura e volgendo contro l’uomo 
        la sua naturale vitalità. Segno di una decadenza che aveva già compromesso 
        la salute dei popoli guerrieri, l’esaltazione della rinuncia di matrice 
        stoica veicola follia, decadenza e disgusto per la vita connaturato nel 
        suo appello al dolore: “Ovunque è stata dominante la dottrina della pura 
        spiritualità, essa ha distrutto con le sue aberrazioni l’energia nervosa: 
        insegnò a tenere in dispregio il corpo, a trascurarlo o a tormentarlo, 
        e a tormentare e spregiare l’uomo stesso, a cagione di tutti gli istinti 
        di quello; essa creò anime ottenebrate, cariche di tensione e oppresse, 
        le quali, per di più, credevano di conoscere la causa del loro senso di 
        abiezione e di poterla forse eliminare – deve risiedere nel corpo! Questo 
        è sempre ancora troppo fiorente! – così concludevano, mentre in realtà 
        il corpo, con i suoi dolori, elevava proteste su proteste contro la continua 
        irrisione…” [13]
        
        Anche la filosofia, si chiede Nietzsche ne La gaia scienza, è forse un’interpretazione 
        del corpo e un fraintendimento del corpo, una reazione della malattia: 
        “un inconsapevole travestimento di fisiologiche necessità sotto il mantello 
        dell’obiettivo, dell’ideale...”. Tutta la morale è stata costruita in 
        base a fraintendimenti della condizione corporea, in base a sintomi di 
        determinati corpi deboli, malati, che richiedevano determinate norme e 
        leggi per proteggersi, per difendersi, per sopravvivere. Si deve pertanto 
        costruire un “io” più onesto che riconosca le ragioni del corpo.
        
        E così il sequere naturam è fatto oggetto di una violenta parodia, di 
        un attacco che mira a smascherarne le intenzioni fraudolente, il nocumento 
        e la mistificazione di un progetto che indica la via di un ritorno a se 
        stessi, proprio attraverso una sorta di pedagogia del disprezzo del corpo, 
        che indica nel costante autosuperamento dei propri limiti biologici e 
        nella negazione dell'istintualità la suprema virtù. Dalla parodia alla 
        provocazione, quando Nietzsche ribadisce come la virtù, il perfezionamento 
        consista piuttosto nella capacità di apprendere attraverso il corpo, nell'ambivalenza 
        di quel corpo che è dispositivo con il quale si entra in contatto con 
        la realtà, ed è l’oggetto, inserito in quel continuum di oggetti definibile 
        quale realtà, che guardiamo incessantemente. A dire che è proprio l'indocilità 
        del corpo, la sua riluttanza a piegarsi alla misura, che possiamo trovare 
        utili indicazioni per decifrare le costruzioni di un'umanità poco devota 
        alla ragione, agitata da passioni altrimenti inspiegabili - «Grazie alla 
        semibarbarie che è nel nostro corpo e desiderio, noi abbiamo accesso segreti 
        per ogni dove, quali un’epoca nobile non ha posseduti, soprattutto gli 
        accessi al labirinto delle civiltà incompiute e a ogni semibarbarie che 
        sia mai esistita sulla terra; e in quanto la parte più ragguardevole della 
        civiltà è stata finora la semibarbarie significa quasi il senso di tutto.» 
        [14]
        
        La straordinaria ricchezza del corpo risiede nella sua capacità di rivelarci 
        cosa sia, di istigarci all'incontro con quelle istanze caotiche ha costruiscono 
        la nostra identità personale e collettiva. Manchevole e desiderante, il 
        corpo conosce la debolezza, la fatica, il limite ma, per restare nel paradosso 
        tanto caro a Nietzsche, è la coscienza di tale limite che ci traghetta 
        verso più ardui traguardi. Una saggezza tragica rispetto a ciò che l'uomo 
        è, una conoscenza che rinvia al supremo degli enigmi, quello che ci interroga 
        sul mistero della nostra provenienza e della nostra destinazione. La costruzione 
        di un'identità passa attraverso la presa in carico dell'angoscia che tale 
        interrogativo non cessa di suscitare, si compie nel perpetuarsi della 
        domanda di senso.
        
        Merito indiscusso di Nietzsche è di non aver fatto concessione alcuna 
        alle rappresentazioni stereotipiche dell'umano, e di aver mostrato come 
        “leggere l’altro, anche quell’altro che è in noi stessi, per confrontarsi 
        con l’enigma dell’esistenza” sia possibile solo nell'incontro di scienza 
        e poesia, nella pluralità dei discorsi e dei saperi sull'uomo. Maestro 
        nell'arte di narrare, quest'animo intrepido di esploratore ha saputo produrre 
        una salubre contaminazione di generi letterari e registri, od onta delle 
        rigidità disciplinari, e con la generosità di chi non teme di esporsi 
        in prima persona. In tal senso, il suo invito ad abbandonare un approccio 
        mortifero e reificante alla vita, è una forma di introspezione e di auto-conoscenza, 
        un esercizio indispensabile per mantenere un rapporto con le profondità 
        dell'essere nel percorso accidentato che ci conduce alla scoperta della 
        nostra identità. Nell'intreccio di autobiografia e biografia, intesa come 
        storia del vivente, Nietzsche apre alla possibilità che la vita non sia 
        solo parodia e zavorra, ma fonte di un sapere da condividere e di una 
        ricchezza esperienziale da socializzare tramite la pratica liberatoria 
        del racconto.
        
        Note
        
        1] Ndr. A quanti fossero interessati 
        ad approfondire questi aspetti consiglio il recente volume dell'antropologa 
        Michela Fusaschi, che avanza una sua personale interpretazione di una 
        tendenza alla ripoliticizzazione del corpo. Cfr. M. FUSASCHI, Corporalmente 
        corretto, Meltemi, Roma 2009.
        2] F. NIEZSCHE; WzM, p. 489.
        3] Ndr. Merita di osservare che 
        è principalmente nella sociologia del lavoro che il corpo fa la sua prima 
        apparizione e il riferimento al somatico trova una sua importante legittimazione, 
        G. Friedmann nel 1950 pubblica “Où va le travail humain”, nel 1956 “ Le 
        travail en miettes”, in cui si pone l'accento sul corpo inteso come parte 
        del processo produttivo.
        4] F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, 
        Adelphi, Milano, 2002.
        5] D. FRANCK, Nietzsche et l’ombre 
        de Dieu, Puf, Parigi 1998, p.175, «C’est après achevé Ainsi parlait Zarathustra, 
        dont l’eternel retour est la conception fondamental, au moment d’entreprendre 
        l’oeuvre qui, d’abord intitulée La volonté de puissance puis Transvalutaion 
        de toutes les valeurs, aboutira à l’Antéchrist, que Niezsche assegna au 
        corps la fonction de fil conducteur.»
        6] Ibidem, p. 400, «La création 
        d’un corps véridique et actif, qui n’ira jamais sans une transfromation 
        du monde dont le corps est essentiellement inséparable, puisqu’il en prend 
        possession par voie de connaissance, requiert par conséquent de surmonter 
        l’ontologique, c’est à dire l’essence de la connaissance technique».
        7] G. MOORE, Nietzsche, biology 
        and methaphor, Cambridge, 2002, p. 47, «According to Nietzsche, there 
        is not only a struggle for existence; existence is itself an incessant 
        struggle. For the complex aggregate of wills to power which constitutes 
        each organism, the organism itself is an expression of this battle, a 
        means by which “the struggle desires to preserve itself, desires to grow 
        and desires to became aware of itself”. But Nietzsche not only asserts 
        the ubiquity of conflict; in opposition to Darwin, he denies that this 
        struggle is primarily one of self-preservation.»
        8] B. STIEGLER, Nietzsche et sa 
        biologie, Puf, Paris, 2001, specie p. 29, «Ou, pour le dire autrement, 
        la corporéité que Nietzsche prête au sujet ne serait finalement qu’un 
        plus subtil déni du corps. Croyant saisir, avec le corps vivant, ce qui 
        se joue à la jointure de l’empirique et du transcendantal, Nietzsche n’est-il 
        pas plutôt en train du durcir leur opposition?»
        9] G. VATTIMO, Il soggetto e la 
        maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Bompiani, Milano, 
        1974, «L’eterno ritorno dev’essere desiderato, non solo accettato., p.213, 
        «La visione e l’enigma della porta con le due strade e del pastore che 
        morde il serpe devono dunque essere letti nel senso che l’eterno ritorno 
        dell’eguale non rappresenta solo un riconoscimento dell’insensatezza del 
        divenire o solo la riduzione di tutta la struttura del tempo alla decisione, 
        ma le due cose insieme; le quali, nella misura in cui sono insieme, si 
        qualificano e modificano anche profondamente a vicenda. Da un lato, infatti, 
        l’eterno ritorno, in quanto è istituito con un atto della volontà, non 
        è più la pura insensatezza del divenire e dell’universale finzione, ma 
        è la costituzione di un mondo dove il senso non trascende più l’esistenza; 
        dall’altro, in quanto la decisione è a sua volta ricompresa nel vortice 
        del ritornare di tutte le cose, si vede che l’istituzione di questo nuovo 
        mondo della coincidenza di esistenza e di significato è anzitutto la creazione 
        di un nuovo soggetto, capace di volere l’eterno ripetersi del suo presente.»
        10] E. SEVERINO, L’anello del 
        ritorno, Adelphi, Milano, 1999, p.71, Cfr. pure p.83, «Nella volontà di 
        potenza dell’uomo, la forma primaria dell’esistente è il mondo “vero, 
        immutabile e divino della tradizione metafisico-morale-cristiana, il quale 
        assimila a sé il nuovo, cioè lo rende uguale al vecchio, riportandolo 
        all’interno del regno di Dio e cancellando la sua originaria nullità, 
        ossia cancellando il divenire.»
        11] F. NIETZSCHE, OFN, VII, 
        III fr.38.
        12] F. NIETZSCHE, Al di là del 
        bene e del male, Preludio a una filosofia dell’avvenire, Acquarelli, Giunti, 
        Prato, 2006, Dei pregiudizi dei filosofi, 9, pp.25-26.
        13] F. NIETZSCHE, Aurora, cit., 
        p. 34.
        14] F. NIEZSCHE, Al di là del 
        Bene e del Male, Sentenze e intermezzi, UTET, Torino, Le nostre virtù, 
        n° 224, p. 146.
        
        Bibliografia
        
        Nietzsche, F.,
        * Al di là del Bene e del Male, Sentenze e intermezzi, UTET, Torino, Le 
        nostre virtù, n° 224, p. 146.
        * Così parlò Zarathustra.
        * La gaia scienza.
        Babich, B., Nietzsche e la scienza, Cortina, Milano, 1996.
        Berni, S., Soggetti al potere, Mimesis, Milano, 1998.
        Cacciari, M., Razionalità e irrazionalità nella critica del politico in 
        Deleuze e Foucault, in “Aut aut”, 161, 1977.
        Deleuze J, Nietzsche e la filosofia, 1962, tassinari, Firenze, Colportage, 
        1978.
        Franck D., Nietzsche et l’ombre de Dieu, Puf, Parigi 1998.
        Ewald, F., Anatomia e corpi politici, Feltrinelli, Milano, 1979.
        Ferraris, M., - Nietzsche e la filosofia del Novecento, Bompiani, Milano,1979.
        Jonas, H. Organismo e libertà, Einaudi, Torino 1994.
        Memmi D., Guillo D. & Martin O., La Tentation Du Corps, Editions De L'ecole 
        Des Hautes Etudes En Sciences Sociales, Parigi 2009.
        Stiegler, B., Nietzsche et sa biologie, Puf, Paris, 2001.
        Vattimo, G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della 
        liberazione, Bompiani, Milano, 1974.
        
        Periodici
        Beyond Selflessness in Ethics and Inquiry
        Christopher Janaway
        The Journal of Nietzsche Studies, Issue 35/36, Spring/Autumn 2008, pp. 
        124-140 (Article)
 
 
      
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