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  • La narrazione e l'empowerment
    Federico Batini (a cura di)

    M@gm@ vol.4 n.3 Luglio-Settembre 2006

    NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA: il ‘dentro’ e il ‘fuori’ delle narrazioni


    Maria Ermelinda De Carlo

    ermedecarlo@libero.it
    Dottoranda di ricerca in Italianistica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Lecce, sta lavorando ad un progetto di ricerca sulle scritture autobiografiche; Laureata in Lettere moderne con una tesi sull’analisi del testo narrativo, si è perfezionata in “Didattica della Scrittura” presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Bari. Collabora con la Cattedra di Educazione degli Adulti, Dipartimento di Filosofia e Scienze Sociali, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Lecce; È stata osservatrice dei processi nel progetto triennale pilota “Laboratorio di Ricerca Educativa e Didattica” per la formazione degli insegnanti (realizzato in collaborazione con alcuni Enti e scuole del Capo di Leuca), in cui ha sperimentato le metodologie narrative, intrecciando l’ambito pedagogico con quello linguistico-letterario; Esperta dell’area della metodologia della ricerca dell’unità di ricerca locale del PRIN 2004/2006, ha lavorato nell’equipe di ricerca per la realizzazione di Laboratori narrativi per studenti universitari e per studenti-adulti-lavoratori; dall’a.a. 2005/2006 svolge attività di tutorato per i dottorandi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Lecce.

    “Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere”.
    (E. Dickinson)

    “Noi siamo come i poveri ragni, che per vivere han bisogno d'intessersi in un can¬tuccio la loro tela sottile, noi siamo come le povere lumache che per vivere han bi¬sogno di portare a dosso il loro guscio fragile, o come i poveri molluschi che vo¬gliono tutti la loro conchiglia in fondo al mare”.
    (L. Pirandello)

    In una società dominata dal bla bla bla incomunicante delle ‘cose’, il narrare si pone come un’esigenza per recuperare la dimensione emotiva; come la manifestazione di un tentativo di ricercare le ragioni dell’esistenza e della formazione; come il percorso che conduce alla ri-scoperta della propria identità e del proprio orizzonte di senso.

    Narrarsi si configura come ricerca continua, in cui i processi narrativi sono strettamente legati a quelli trasformativi.

    Il soggetto narrandosi ad un altro (sia l’altro anche una pagina bianca) non solo ri-costruisce se stesso, ma viene sollecitato ad individuare e ad incorporare nella rappresentazione nuovi elementi e nuove prospettive di lettura di sé e degli altri, che diventano motivo e motore del cambiamento nella direzione educativa e progettuale [1].

    La crisi della facoltà di narrare (Benjamin, 1962) non è tanto legata alla crisi della narrazione in sé, ma deve ricondursi ad una crisi di trasformazione connessa al mutamento, che coinvolge l’intera società in campo comunicativo. Il narrare non si limita ad essere un’attività comunicativa [2], ma nel processo di comunicazione/relazione si arricchisce di nuovi significati, che vanno oltre il suo significato etimologico [3].

    Alla narrazione dell’io, seguendo l’evoluzione hegeliana, si fa strada la narrazione del noi [4], in cui si esprime, oggi più che mai, il potere metaforico dell’umanità.

    All’interno di una narrazione, scritta o orale, è possibile rinvenire una sorta di circuito comunicativo immaginario, una proiezione degli agenti reali della comunicazione [5] in cui è evidente la distanza tra autore e narratore [6], luogo comune di qualsiasi tipologia testuale. Infatti, anche se talvolta colui che scrive/parla vuole presentarsi pragmaticamente come narratore, lo scrivente/il parlante non è l’autore, bensì l’ autore-narratore, una delle molteplici figure di narratore.

    Non basta che l’autore dica ‘io’ e dichiari di voler parlare di sé per assegnargli un’identità prestabilita. Il rapporto tra sé e narrazione di sé non è per nulla scontato.

    Di fronte alla tecnologia che attenta alla sopravvivenza del soggetto, l’io si proietta nella narrazione con un alter ego (Benjamin, 1962). Chi narra si pone come Palomar che da una finestra descrive ‘squarci’ di mondo dalla sua prospettiva e, narrando, rivela ‘squarci’ del suo io attraverso un altro io.

    Il mio narrato assomiglia a me (è come io sembro, come io esisto, come io narro), ma assomiglia anche agli altri, perché in quello stretto rapporto di reciprocità creativa e relazionalità critica c’è condivisione [7]. La narrazione diventa il contesto che fornisce i pretesti per lo sviluppo dell’intelligenza retrospettiva [8] (Demetrio, 1996) e dell’alfabeto emotivo, per ripercorre i luoghi e i non luoghi del sé (Colapietro, 2004). Essa diventa il racconto che noi, in quanto interpreti del mondo, deriviamo dalla lettura delle nostre orme.

    L'esperienza narrata diviene ogni volta un'altra, perché chi racconta la ricrea in una diversa prospettiva, con un linguaggio diverso, con intenti diversi a seconda del luogo, del momento e della situazione.

    Ognuno di noi è sempre guidato da schemi personali nell’osservazione e nella percezione del reale. La narrazione non è certamente un’attività neutra, anzi comporta una complessa attività di selezione e interpretazione, dovuta a fattori soggettivi legati alla storia personale, alle aspettative, alle preconoscenze.

    Narrarsi, tuttavia, non implica una palese rivelazione del soggetto e della sua vita, per questo raccontarsi non è facile, anzi è fatica. Attribuire un significante alle emozioni richiede uno sforzo non indifferente; ci vuole coraggio perché scrivere di sé comporta l’uscire dall’anonimato. Chi scrive non vuole necessariamente mentire. Si ricorda per flash e, per questo, scrivere richiede una straordinaria capacità di riportare i frammenti all’unità. E, nel recuperare i pezzi, si inventa inevitabilmente.

    Realtà e finzione, come anche nella vita, si fondono e diventa arduo definirne il confine. “Ogni scrittura è una messa in scena e la verità non è sempre quella rappresentata” (Garavini, 1993, p.7).

    Così dentro ogni narrazione, quanti misteri!

    Tra le righe di uno scritto, attraverso le rappresentazioni e le interpretazioni, è possibile ritrovare schegge di un originale smarrito, ma non si può ricostruire oggettivamente e interamente la vita veramente vissuta.

    La scelta sintagmatica e paradigmatica, consapevole e/o inconsapevole, nasce infatti da un’impalcatura, da schemi mentali con cui l’uomo convive da sempre. Una storia e una frase dicono molto di più di quel che dicono. La densità di significazione e tutti i mondi che ci sono dietro ad alcuni sostantivi, verbi, avverbi, aggettivi restano il più delle volte un segreto. Il punto di vista narrativo si pone, dunque, come potenziale chiave euristica ed ermeneutica in grado di esplorare e recuperare patrimoni di esperienze di vita dei soggetti [9].

    La scrittura consente al soggetto di raccontarsi e di raccontare un io nascosto e rappresenta un tentativo di strapparsi quella ‘maschera di ferro’ che nasconde le emozioni, di andare ‘oltre la soglia’ [10], di dare sfogo ad un’identità più o meno autentica, di comprendere orientamenti e percorsi di senso. Essa è l’esito di chi narra che, uscito dalla polarità dello schema lineare della vita, affianca se stesso in modo tale da avere uno sguardo sul sistema di insieme di cui è parte [11].

    La narrazione di certo valorizza il ruolo della parola; costringe a riflettere sui gesti della quotidianità; fa scoprire e riscoprire ciò che altrimenti sarebbe perduto per sempre. Un percorso narrativo mette in gioco molte abilità cognitive, apre la mente a nuovi orizzonti, sfide e possibilità, aiuta a sentirsi meno alieni a se stessi e agli altri, facilita la comprensione del senso dei propri percorsi di vita. Nell’esperienza del raccontarsi, chi racconta assume un atteggiamento problematico-riflessivo, finalizzato alla crescita del sé. Nella narrazione il sé narrato si de-forma e/o si con-forma, mentre il sé narrante si forma e si trasforma.

    Il modo con cui il soggetto raccoglie se stesso intorno ad un racconto è un’operazione discontinua, mediata e arbitraria. Chi narra non è mai ‘libero’. Egli ha davanti a sé un destinatario, il suo pubblico, il suo alter ego, che alla fine emetterà un giudizio. Il narratario (implicito o esplicito) rappresenta una necessità per¬ché qualsiasi narrazione possa compiersi. Così come alcune volte accade nella vita, narrando ci si inventa una ‘controfigura’, un altro se stesso, che risulti responsabile del testo.

    L’autore vero della narrazione è quello che ‘fabbrica’ il discorso (cioè quello che sceglie le parole e le mette insieme secondo l’asse paradigmatico e sintagmatico per costruire il testo), ma nel realizzarlo, costruisce una figura che lo pronuncia fittiziamente. A raccontare non è dunque l’autore come persona, ma questo elemento fittizio che, nella comunicazione letteraria, viene definito voce testuale. L’attitudine a narrare implica la capacità di elaborazione delle storie, ciò presuppone una precisa intenzionalità. Una narrazione può essere raccontata soltanto se il soggetto decide di farlo (Bosi, 2000, p.16).

    Ogni testo narrativo, quindi, è sempre preceduto da un progetto in cui si operano delle scelte che talvolta possono modificarsi nel corso della composizione. L’autore ha davanti a sé una molteplicità di soluzioni: se anche tutti i fatti, gli episodi e gli eventi raccontati rimangono identici, tuttavia la scelta di impostare la narrazione in un modo o in un altro cambia radicalmente la qualità della storia e il suo significato. Ogni soluzione comporta la narrazione dei fatti e delle azioni in una diversa ottica, secondo un differente punto di vista. In base alle scelte compiute e alla soluzione prescelta viene determinata una serie di aspetti del narrare: per esempio la vicenda può essere raccontata secondo l’ordine cronologico dei vari episodi che ne costituiscono la materia, o può svolgersi nel presente, con inserimenti di ricordi o ricostruzioni al passato, oppure può essere fatta interamente al passato. Gli aspetti tras-formativi della narrazione si consumano principalmente nella conclusione di un lavoro di preparazione, di selezione tra i vari modi di raccontare in modo da saperne prevedere gli effetti: il soggetto comincia a narrare quando in testa ha ormai chiaro un vero e proprio progetto narrativo.

    Narrare, dunque, significa realizzare un progetto in modo che il risultato corrisponda il più possibile alle intenzioni del soggetto. Le narrazioni si pongono come contenitori di pensieri, emozioni, sensazioni, ricordi reali che si nascondono dietro pensieri, emozioni, sensazioni, ricordi fittizi, che una volta ospitati nello spazio narrativo necessitano di una lettura tra le righe.

    La scelta sintagmatica e paradigmatica, sia essa specifica o casuale, rivela e denuncia, magari in sordina, il passaggio da un’immanenza e l’altra: dalla narrazione all’extra narrazione. “È una trasmutazione verso parole immagini e strategie compositive fra le quali è facile smarrirsi” (Canavesi, 1993, p.13).

    Il ‘narrar se stessi’, come diceva Manzoni, designa una genesi doppia del senso e dell’io nel loro divenire narrazione, e implica una rilettura in cui la decodifica comporta una ricostruzione consapevole. La narrazione è, dunque, da intendersi come figura di una lettura e di una comprensione che vanno oltre le parole. Il momento narrativo si verifica come un allineamento tra due soggetti (un io e un tu, l’io reale e l’io narrato), implicati nel processo di lettura nel quale essi si determinano a vicenda con sostituzioni reciproche e riflessive (Paul de Man, 1979, pp. 67-72).

    La narrazione esplicita lo spazio esterno del soggetto, la sua scena del mondo, uno spazio illuminato, in cui i comportamenti, le ragioni, i motivi di ciascuno si lasciano decifrare a prima vista. Lo spazio interiore, invece, per sua natura tenebroso, resta intrappolato ‘dentro’ le storie narrate. Il concetto di ‘spazi narrativi’ elaborato dal sovietico Lotman [12] nella semiotica della letteratura per descrivere lo spazio in un testo narrativo, si può estendere anche alla narrazione, utilizzata come metodologia qualitativa, dove l’IN e l’ES [13], sono da intendersi rispettivamente come ‘spazi del sé narrante e narrato’.

    Il narrato diventa il resoconto di un altro testo narrativo e/o drammatico. D’altronde già Bruner (1990) aveva introdotto l’idea di ‘sé distribuito’, riferendosi al fatto che il sé non è solo dentro al soggetto, ma anche al di fuori, e cioè, si potrebbe aggiungere, in quei “blocchi” contestuali (Smorti, 1997 p.31), in quei ‘pezzi’ di mondo [14] che la narrazione si incarica di portare ‘dentro’.

    Le narrazioni sono il frutto di una presa di coscienza dell’originalità di ciascuna vita personale [15], ma protette dal “patto autobiografico” (Lejeune, 1986) diventano ‘copie di un originale’ [16] di cui perennemente ricerchiamo il senso. Poichè il soggetto narratore è guidato dall’esigenza di riconoscere se stesso in quello specchio narrativo distorto, il valore semantico delle narrazioni è da ricondurre ad una rilettura critica del non detto.

    Dentro la vita narrata ‘normalizzata’, l’identità idem (ciò che il soggetto ha in comune con gli altri) convive con l’ ipse (Ricoeur,1990). Come ha osservato Polkinghorne “noi siamo in mezzo alle nostre storie e noi sappiamo bene come esse si concluderanno” (1998), allora è necessario rivedere le nostre trame man mano che si aggiungono nuovi eventi, verificare le aggiunte e le correzioni, individuare le diverse strategie di rappresentazione del sé e dell’altro.

    Dietro al processo di ‘redazione’ di una narrazione c’è una memoria che non è solo episodica, ma semantica “organizzata e culturalmente schematizzata” (Bruner e Weisser, 1991), che non può tuttavia celare fino in fondo un carico di significati e di sensi transcontestuale. “Il sé narrante rimane necessariamente sempre al di qua del sé narrato. Si apre qui una voragine per ogni conclusione irrazionalistica; ci sono tanti sé, o tante ‘seità’, quante sono le narrazioni, ma nessuna di queste è ciò che il sé realmente è, se c’è’” (Battacchi, 1997, p. XI).

    Il sé narrante oggettivandosi si nasconde, ma allo stesso tempo si esprime e si tradisce ed è inferenzialmente ricostruibile attraverso i racconti in linea di principio passibili di controllo come ogni altro racconto. Questo vale per le narrazioni, come per qualsiasi rappresentazione del sé.

    Il momento speculare (Genette, 1979) in cui l’io si specchia in un tu, e dunque si relaziona, fa parte del processo narrativo (come d’altronde di ogni processo di conoscenza) e rivela la struttura tropologica della conoscenza di sé nel narrato. Pur senza nulla togliere all’alto valore pedagogico-formativo della metodologia narrativa, la consapevolezza dell’esistenza di questi due ‘spazi narrativi’ rappresenta i limiti e le illusioni della narrazione, che si riconducono all’impossibilità di giungere totalmente al cuore dell’essere (Paul de Man) e di scoprire quel ‘sé privato e silenzioso’ di cui parla Winnicott [17].


    NOTE
    1] Si fa riferimento agli studi di Milella M. su Le possibilità trasformative dell’identità narrabile.
    2] Cfr. Marchese A., L’officina del racconto, Milano, Mondatori, 1999 p. 2.
    3] Il lemma ‘narrare’ deriva dal latino gnarare, con successivo raddoppiamento della - r -, che significa ‘comunicare’.
    4] Elena Agazzi nell’introduzione al testo “Il segno dell’io” accenna al concetto di ‘autobiografia del noi’, p.10.
    5] Cfr. Segre C., Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino 1990, p. 5 ss.
    6] Cfr Chatman S., Storia e discorso, Parma, 1981 p. 15.
    7] A tal proposito si può consultare Sommers per il quale l’autobiografia contiene sia narrazioni ontologiche sia narrazioni pubbliche, sintesi di più linguaggi, culture e comunità.
    8] Si dà senso agli eventi solo quando si socializzano.
    9] Si fa riferimento agli studi di Duccio Demetrio e non solo.
    10] Cfr. Colapietro V., La maschera e la soglia, Milano, FrancoAngeli, 2004.
    11] A tal proposito Alessandro Bosi scrive un interessante saggio, Il sentimento del tempo e del luogo. La socialità nei modi di raccontarsi, Unicopli, 2000.
    12] Lotman Ju. M., La struttura del testo poetico, Milano, Mursia, 1972.
    13] IN sta per ‘spazio interno’, mentre ES sta per ‘spazio esterno’. In altri termini nelle narrazioni si rivela l’eterno rapporto dialettico tra ragione e cuore, finito e non finito, conscio e subconscio e così via.
    14] Cfr. Polkinghorne D. E., Narrative Knowing and the human sciences. New York, State University of New York Press, 1988.
    15] Cfr. Gusdorf G., Conditions et limites de l’autobiographie, in AA.VV., Formen der Selbstarstellung. Analekten zu einer Geschichte des literarischen Selbstportraits, Berlin, Duncker & Humblot, 1956, pp.105-231.
    16] Gargani A., La copia e l’originale, in Vattimo G. (a cura di), Filosofia ’91, Bari, Laterza, 1992.
    17] Winnicott D. (a cura di), Sviluppo affettivo e ambiente, Roma, Armando, 1981.


    BIBLIOGRAFIA

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