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  • La narrazione e l'empowerment
    Federico Batini (a cura di)

    M@gm@ vol.4 n.3 Luglio-Settembre 2006

    IO È UN ALTRO: la narrazione come strumento di decentramento


    Simone Giusti

    direzione@laltracitta.gr.it
    Dottore di ricerca in italianistica; Formatore e saggista; Insegna al Centro Territoriale Permanente per l'Educazione degli Adulti di Follonica e dirige l'agenzia formativa L'Altra Città di Grosseto; Condirige la rivista «Per leggere. I generi della lettura» e da anni conduce ricerche e studi su questioni di teoria, storia e didattica della letteratura. Tra i volumi pubblicati: Sulla formazione dei "Trucioli" di Camillo Sbarbaro (Le Lettere 1997), L'instaurazione del poemetto in prosa (Pensa Multimedia 1999), La congiura stabilita (Franco Angeli 2005) e Linea meridiana (Unicopli 2005). Con Federico Batini dirige la collana "Comunità e persone. Sviluppo, Formazione e Orientamento", Edizioni Erickson, nella quale ha pubblicato il volume Oggi vado volontario (2005).

    Se per l'essere umano risulta, dunque, impossibile cambiare, trasformarsi radicalmente, esso però è in grado di riconoscere la densa stratificazione di cui è composta la sua identità/personalità, e prospettare la possibilità di maturare all'interno di certe sedimentazioni e di poter "migrare" tra diversi atteggiamenti e pregiudizi.
    (Giovanni Nadiani)

    Perché una via narrativa per l'educazione interculturale? Si può rispondere in tanti modi a questa domanda, ma non v'è dubbio che senza una modalità di incontro e di scambio, ossia senza una relazione di ascolto e una narrazione reciproca, ogni ipotesi di intercultura sarebbe impossibile e impensabile. La narrazione è l'a priori dell'intercultura, la sua conditio sine qua non.
    (Antonio Nanni)

    Da qualche anno vanno proliferando premi letterari, pubblicazioni e seminari dedicati agli scrittori migranti. Si è cominciato negli anni ’90 con la narrazione di testimonianza da parte di immigrati che mettevano in scena il loro percorso biografico, per arrivare oggi a una fase più complessa, in cui le testimonianze convivono con vere e proprie narrazioni letterarie che oltre a rinnovare profondamente la lingua italiana, consentono l’introduzione nel nostro immaginario di temi e punti di vista nuovi, stranianti.

    Si tratta di uno dei modi attraverso cui i processi migratori esaltano - aiutandoci nel nostro processo di empowerment di comunità - uno dei fenomeni quotidiani delle società multiculturali e postmoderne: l’interculturalità come condizione stessa della comunicazione umana. Ogni atto di parola, infatti, è un atto di traduzione, che richiede esattamente - ma senza che ce ne rendiamo conto - l'attuazione di strategie interpretative che comportano l'interazione di punti di vista distinti.

    La scrittura dei migranti, dunque, può avere in ambito educativo - sia nella lettura e che nella scrittura creativa - una funzione motivante, utile per altro a potenziare l'autostima dei ragazzi stranieri e ad attivare le loro risorse narrative per conseguire la finalità di educare al decentramento, alla dislocazione al di fuori della propria cultura, fuori di sé. Ma, - ed è quel che più interessa discutere in questa sede - al di là dei temi affrontati e dei racconti svolti, è la narrazione in quanto tale il motore della crescita interculturale.

    Innanzitutto, come ha ben messo in evidenza la pedagogia narrativa (Mantegazza R., 1999) la narrazione è la garanzia che siano rispettate alcune regole e che sia mantenuta la finalità di empowerment sottesa ad ogni processo di apprendimento.

    - La contaminazione: ovvero la trasversalità dei materiali e il superamento dell'ottica disciplinare (prima vera barriera interculturale che anche gli italiani dovrebbero superare). L'approccio narrativo coinvolge, oltre alla letteratura e il cinema, la televisione, il fumetto, i videogiochi, internet, la musica pop e rock, contaminando i generi e i livelli linguistici e consentendo un primo punto di contatto e una reale condivisione di obiettivi, contenuti e competenze (Mantegazza R., 1999, pp. 7-10).

    - L'ascolto: il senso profondo della narrazione risiede nell’essere ascoltati e nell’ascoltare. Ciò non significa solo parlare mentre gli altri sono in silenzio: l’ascolto prevede che tutti siano co-costrutturi dei significati attraverso un atteggiamento partecipativo (Mantegazza R., 1999, pp. 7-10).

    - La sospensione del giudizio: in campo narrativo, nessuno possiede verità definitive. In particolare, il narratore-educatore non è colui che ha l’accesso ai veri significati, bensì un animatore-facilitatore in grado di stimolare le narrazioni e il loro ascolto.

    Inoltre, la narrazione letteraria è uno dei più potenti strumenti di decentramento, in grado di portare i soggetti al di fuori dei propri orizzonti mutando prospettive e voce a piacimento. Tali mutamenti di prospettiva sono costitutivi della narrazione stessa, tra le cui caratteristiche, abbiamo visto, è fondamentale la prospettiva, ovvero la necessità di qualcuno che narri la storia dal suo punto di vista. Ciò è vero sempre, anche nel caso, come nei romanzi realistici dell'Ottocento o in molti gialli, o nelle favole stesse (C'era una volta...) che il narratore sia implicito, invisibile. Poi ci sono, all'interno del racconto, i punti di vista dei personaggi, che a loro volta possono raccontare storie, come Ulisse nell'Odissea, come il conte Ugolino nella Divina Commedia ecc.

    Secondo il modello della comunicazione letteraria, un lettore concreto - ad esempio Simone Giusti - legge un libro - ad esempio Il nome della rosa - in un determinato tempo e spazio della sua vita (era l'inverno del 1987). Libro che, in un altro tempo e in un altro spazio, era stato scritto da un autore concreto, Umberto Eco, e pubblicato a Milano nel 1980.

    MITTENTE --> MESSAGGIO --> DESTINATARIO

    AUTORE CONCRETO --> TESTO NARRATIVO --> LETTORE CONCRETO

    UMBERTO ECO --> IL NOME DELLA ROSA --> SIMONE GIUSTI

    La cosa interessante è che all'interno del testo narrativo si riproduce lo stesso meccanismo comunicativo, per cui un narratore - Adso - racconta le vicende capitategli durante una settimana trascorsa, quand'era giovane, insieme al suo maestro Guglielmo da Baskerville. Naturalmente, perché il narratore possa raccontare ha bisogno di un lettore (il destinatario), che è sempre presente in maniera esplicita (come nel caso di una lettera ad un amico o come nel romanzo Frankestein di Mary Shelley, straordinario esempio di plurivocità narrativa) o implicita (come accade nella maggior parte dei romanzi). Nel Nome della rosa Adso - il narratore - si rivolge ad un ipotetico lettore - che prende il nome di narratario.

    "Ecco, ho detto di frate Guglielmo cose forse insensate, quasi a raccogliere sin dall'inizio le impressioni sconnesse che ne ebbi allora. Chi egli fu, e cosa facesse, mio buon lettore, potrai forse meglio dedurre dalle azioni che operò nei giorni che trascorremmo all'abbazia. Né ti ho promesso un disegno compiuto, bensì un elenco di fatti (questi sì) mirabili e terribili."

    Questo è il modello di comunicazione del Nome della rosa:

    NARRATORE --> MESSAGGIO --> NARRATARIO

    ADSO --> RACCONTO DEL NOME DELLA ROSA --> IL "MIO BUON LETTORE"

    Il narratore e il narratario sono due figure interne al racconto, esistenti solo nella finzione testuale (anche quando, come nel romanzo autobiografico, si presentano come reali).
    Altra cosa, naturalmente, è la presenza dei personaggi nel libro. Basti pensare al ruolo del protagonista, Guglielmo da Baskerville, il cui punto di vista è fondamentale per la scoperta del colpevole.

    L'invenzione dello schema narrativo del Nome della rosa è stata concepita da Umberto Eco come uno strumento di allontanamento da se stesso del punto di vista del narratore, in nome di un'idea dell'arte come fuga dall'emozione personale e oggettivazione di sentimenti. Eco vuole mettere quanta più distanza è possibile fra la propria vita e la vita del racconto, scegliendo di raccontare il mondo attraverso gli occhi di un altro completamente diverso, estraneo, lontano.

    Così le vicende che si svolgono nel Nome della rosa sono raccontate dal vecchio Adso che ricorda quanto gli accadde da giovane. Scrive in proposito Eco (1983):
    "duplicando Adso - in Adso giovane e Adso vecchio - duplicavo ancora una volta la serie di intercapedini, di schermi, posti fra me come personalità biografica, o come autore narrante, io narrante, e i personaggi narrati, compresa la voce narrativa. Mi sentivo sempre più protetto, e tutta l'esperienza mi ha ricordato certi giochi infantili sotto le coperte, quando mi sentivo come in un sottomarino, e di lì lanciavo messaggi a mia sorella, sotto le coperte di un altro lettino, entrambi isolati dal mondo esterno, e totalmente liberi di inventare lunghe corse sul fondo di mari silenziosi. Adso è stato molto importante per me. Sin dall'inizio volevo raccontare tutta la storia (coi suoi misteri, i suoi eventi politici e teologici, le sue ambiguità) con la voce di qualcuno che passa attraverso gli avvenimenti e li registra con la fedeltà fotografica di un adolescente, ma non li capisce. Far capire tutto attraverso le parole di qualcuno che non capisce nulla."

    Che significa anche, dal punto di vista del lettore e dello scrittore creativo, saper guardare il mondo nella sua complessità - e saperlo abitare attraverso i racconti - senza diminuirne la complessità, senza semplificarlo, senza attendere la comprensione definitiva.


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    SITOGRAFIA

    Rivista e seminari di scrittori migranti: https://www.sagarana.net/
    Banca dati di scrittori migranti: https://www.disp.let.uniroma1.it/basili2001/
    Premio letterario per scrittori migranti: https://www.eksetra.net/concorso/bando.shtml


    Collana Quaderni M@GM@


    Volumi pubblicati

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    M@gm@ ISSN 1721-9809
    Indexed in DOAJ since 2002

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