Comunità e relazioni sociali su internet
Nicola Cavalli - Oscar Ricci - Elisabetta Risi (a cura di)
M@gm@ vol.4 n.1 Gennaio-Marzo 2006
ETNOGRAFIA MEDIATA: COMUNITÀ VIRTUALI E RICERCA ETNOGRAFICA
      Elisabetta Risi
elisabetta.risi@unimib.it
        Ha studiato all’università IULM 
                    di Milano dove si è laureata a pieni voti in Relazioni Pubbliche. 
                    Ha svolto presso la stessa Università attività di ricerca, 
                    applicando metodologie qualitative nell’ambito di alcuni progetti 
                    dell’Istituto di Comunicazione. E’ attualmente iscritta all’ultimo 
                    anno di dottorato di ricerca sulla qualità della vita nella 
                    società dell’informazione presso l’Università degli Studi 
                    di Milano Bicocca e si sta occupando di studiare il complesso 
        rapporto tra anziani e new media.
1.	
                    Introduzione
                    
                    L'etnografia è tradizionalmente impiegata nell'antropologia 
                    culturale, ma viene utilizzata anche nelle altre scienze sociali 
                    per produrre “descrizioni dettagliate della concreta esperienza 
                    di vita entro una particolare cultura, delle regole e dei 
                    modelli sociali che la costituiscono” (Hammersley, Atkinson, 
                    1983). Per condurre una ricerca etnografica, gli studiosi 
                    vivono con le persone del gruppo sociale oggetto di rilevazione, 
                    osservando e cercando di comprendere la loro visione del mondo, 
                    le loro credenze e valori. Questo tipo di ricerca permette 
                    di descrivere il comportamento abituale dei soggetti e dà 
                    la possibilità all’etnografo, che generalmente vive in un’altra 
                    società, di osservare ciò di cui essi non hanno consapevolezza.
                    
                    La potenzialità di questo approccio di ricerca è quella di 
                    non ridurre la complessità dell’oggetto di indagine, ma di 
                    giungere a quella che Geertz (1973) chiama “thik description”. 
                    L’etnografia quindi prevede di utilizzare la combinazione 
                    di una pluralità di metodi di ricerca quali l’osservazione 
                    diretta, interviste e raccolte di documenti. Lo scorso secolo, 
                    etnografi come Malinowski (1966) hanno rivoluzionato il concetto 
                    di etnografia - in antropologia -, spiegando che la comprensione 
                    delle comunità e della loro cultura era possibile solo attraverso 
                    un’immersione duratura sul campo oggetto di studio (piuttosto 
                    che dalla propria scrivania).
                    
                    In questo articolo si cercherà di rispondere alla domanda 
                    su come sia possibile adattare l’approccio entografico allo 
                    studio delle forme di aggregazione che si sviluppano in Internet 
                    attraverso la Computer Mediated-Communication (CMC), e quali 
                    implicazioni metodologiche questo comporta. L’ obiettivo è 
                    quindi l’analisi dell’ormai copiosa letteratura relativa a 
                    quella che abbiamo chiamato un’etnografia mediata, per riferirci 
                    alle tecniche qualitative di osservazione delle comunità che 
                    nascono e si sviluppano in Rete.
                    
                    Dopo aver affrontato il dibattito sullo statuto ontologico 
                    delle cosiddette comunità virtuali, si analizzeranno i contributi 
                    più significativi e recenti della letteratura, evidenziando 
                    le più importanti questioni relative le issue metodologiche 
                    di cui tener conto nella conduzione di uno studio etnografico 
                    online.
                    
                    2. Il dibattito sulle comunità virtuali
                    
                    L’influenza del libro di Rheingold (1994), uno dei pionieri 
                    degli studi sulle comunità virtuali, nel quale la rete era 
                    dipinta come luogo di socialità, creatività e scambio disinteressato, 
                    prospettando un ritorno ad una certa forma di comunità originaria 
                    (simile al concetto di Gemeinschaft di Tönnies, 1963), diede 
                    il via ad un ampio e complesso dibattito. Con la diffusione 
                    dei media elettronici, alcuni studiosi hanno visto un ritorno 
                    ad una socialità di tipo comunitario, una sorta di retribalizzazione 
                    del moderno. Ci si riferisce in particolare ai lavori di McLuhan 
                    (1999), secondo cui “l’uomo è trasformato in tribù dai media 
                    elettrici” e del francese Maffesolì (1988), che parla di un 
                    mondo immaginale dove i media sono tra i componenti che aiutano 
                    a comporre le reti tribali dove le persone costruirebbero 
                    la loro identità.
                    
                    L’emergere e il diffondersi di Internet come mezzo di comunicazione 
                    è stato quindi accompagnato dalle discussioni rigurdanti la 
                    possibile nascita di “nuovi” modelli di interazione sociale. 
                    Castells (2002, trad.it p.7) ha dedicato alla contemporanea 
                    network society una trilogia di saggi, osserva come la comunità 
                    “…si basa su valori e sulla relativa stabilità delle sue componenti. 
                    Una comunità si definisce mediante i suoi confini. Le reti 
                    invece sono prive di confini.” Il concetto di cyberspazio, 
                    come un mondo multidimensionale generato dal computer ed in 
                    cui il soggetto può esperire una realtà virtuale, è stato 
                    sviluppato venti anni fa da Gibson (1984), un autore di fantascienza. 
                    Il lato mitico della cibernetica e l’immagine di un mondo 
                    privo di fisicità ha rappresentato per molti studiosi il pericolo 
                    che le comunicazioni elettroniche diventassero un fattore 
                    di isolamento, qualora la gente si abituasse a vivere una 
                    vita sociale virtuale. La letteratura, fondata su studi di 
                    ricercatori accademici di qualche anno fa, ha quindi rivolto 
                    molta attenzione agli scambi sociali basati su identità false 
                    e giochi di ruolo (cfr. Turkle, 1987; Reihgold, 1994).
                    
                    L’identità in Rete è inevitabilmente caratterizzata dalla 
                    non-corporeità: le comunità virtuali sono da considerarsi, 
                    secondo alcuni autori, delle comunità “rarefatte”, proprio 
                    perché chi naviga in rete deve passare dalla materialità e 
                    dalle emozioni che attraversano il mondo reale, alle interazioni 
                    prevalentemente effettuate attraverso dei testi, la cosiddetta 
                    Computer-Mediated Communication. Tuttavia, immaginare che 
                    una tecnologia, che facilita e aumenta i processi di comunicazione 
                    in maniera impensabile prima della rivoluzione digitale, riduca 
                    nello stesso tempo il contatto umano, sarebbe una contraddizione, 
                    nonché un grave limite; nuove forme di comunicazione stanno 
                    cambiando la natura di quel contatto oppure si stanno aggiungendo 
                    ad esso.
                    
                    Non è corretto rifiutare la nostra “vita sullo schermo”, ma 
                    non lo è neppure il considerarla come una vita alternativa 
                    (Turkle, 1997). Nei computer collegati in rete, le persone 
                    hanno rapporti dipendenti dalle rappresentazioni online che 
                    ciascuno dà di se stesso, tuttavia -conclude la Turkle nel 
                    suo noto libro sull’identità nell’era di Internet- il concetto 
                    di reale non sparisce, poiché quegli stessi soggetti sono 
                    vincolati dai desideri, dalle sofferenze e dalla mortalità 
                    dei propri sé fisici.
                    
                    Buona parte del dibattito sulle comunità virtuali, fino alla 
                    fine degli anni ’90, è stato condizionato secondo Castells 
                    (2001) da tre limiti. In primo luogo, esso ha preceduto di 
                    gran lunga l’ampia diffusione attuale di Internet, costruendo 
                    le proprie affermazioni su un immaginario collettivo costruito 
                    dalla pubblicistica internazionale o sulle osservazioni di 
                    poche esperienze dei primi utilizzatori di questo medium; 
                    secondo limite è quello che il dibattito è andato avanti in 
                    assenza di un corpo sostanziale di ricerca empirica affidabile 
                    sugli effettivi usi di Internet; infine, il dibattito è stato 
                    costruito intorno a questioni piuttosto fuorvianti, come la 
                    contrapposizione ideologica tra l’armoniosa comunità locale 
                    e l’esistenza alienata di solitari nettadini (abitanti della 
                    rete).
                    
                    Anche se le critiche allo statuto ontologico delle comunità 
                    virtuali sono state utili ad evidenziare alcune istanze importanti, 
                    i suddetti limiti dovrebbero essere oggi superati. E’ necessario 
                    riuscire a valutare i modelli di socialità che nascono in 
                    rete, almeno nelle società sviluppate, adattando opportunamente 
                    le metodologie di ricerca per giungere a risultati empirici 
                    validi.
                    
                    Lo spazio delle comunità virtuali è stato anche descritto 
                    come un non-luogo, usando un noto concetto di Augè: un luogo 
                    di passaggio, privo di tempo e di memoria, nel senso che non 
                    è riconoscibile attraverso le temporalità di coloro che vi 
                    transitano (Fabietti U., in Carbone P., Ferri P., 2000). Questa 
                    interpretazione però non è pienamente condivisibile dopo un’attenta 
                    osservazione empirica: le comunità virtuali sono infatti un 
                    luogo, in cui i soggetti interagiscono lasciando una traccia 
                    di sé e della propria identità attraverso le parole digitate 
                    all’interno di uno spazio. Molti gruppi e forum di discussione 
                    mantengono ad esempio, per un certo periodo di tempo, gli 
                    archivi dei messaggi “postati”.
                    
                    Ferri (2000) propone l’ipotesi secondo cui queste forme di 
                    socialità online potrebbero essere adottate come un modello 
                    di analisi delle pratiche comunitarie delle società postmoderne. 
                    La strutturale caratteristica della fragilità può quindi essere 
                    interpretata, non come un limite delle comunità virtuali, 
                    ma come un tratto profondo della società contemporanea. Concetti 
                    propri della cosiddetta filosofia post-moderna, come la mutevolezza 
                    delle relazioni comunitarie, la relatività dei significati, 
                    la mancanza di un sé unitario (multiplo, ma coerente), sembrano 
                    incarnarsi nelle forme identitarie e comunitarie possibili 
                    coi nuovi media. Una delle conseguenze dell’attuale ipermodernità 
                    è infatti, secondo Giddens (1994), proprio la tendenza alla 
                    disaggregazione, all’indebolimento dei legami, allo sradicamento 
                    dai luoghi, un processo riassumibile nel termine disembedding.
                    
                    Si è lungi quindi dal rappresentare le comunità virtuali come 
                    contrapposte a una società reificata (Gemeinschaft versus 
                    Gesellschaft di Tonnies), bensì come nuovi luoghi di interazione 
                    e produzione di significato, ove diviene possibile la costruzione 
                    cooperativa di un sapere comune e un nuovo livello di condivisione 
                    di esperienze, fra un gruppo di pari egualmente co-autori. 
                    [1]
                    
                    Il concetto di comunità virtuali proposto dai primi studiosi 
                    di Internet ha quindi provocato un rilevante misunderstanding: 
                    il termine “comunità”, con tutte le sue potenti connotazioni, 
                    ha stimolato infatti la discussione in diverse discipline. 
                    Esso però aveva anche un grande pregio: voleva richiamare 
                    l’attenzione sui nuovi supporti tecnologici per la socialità 
                    che, pur essendo differenti ed essendosi aggiunti alla precedenti 
                    e rilevanti forme di interazione, sono sempre più diffusi 
                    nelle società occidentali. Al di là dei toni entusiastici, 
                    quello che va riconosciuto alla definizione di Rheingold (1994) 
                    di comunità virtuale, è l’accento sul coinvolgimento, la condivisione, 
                    anche emotiva, e sulla costruzione collaborativa del processo 
                    esperienziale che la partecipazione in questi luoghi comporta 
                    (Di Fraia, 2004).
                    
                    3. Ricerca etnografica e comunità virtuali
                    
                    Il primo passo di una ricerca è quello di rispondere alla 
                    fondamentale questione metodologica, di tutte le indagini 
                    sociali, che Bourdieu (1993) descrive come “la costruzione 
                    dell’oggetto”, ossia la definizione di ciò che si vuole studiare. 
                    Fino a qualche anno fa, la maggior parte dell’ingente quantità 
                    di lavori che si sono occupati di comunità virtuali, lo hanno 
                    fatto considerando queste forme di interazione, soprattutto 
                    come dibattuto oggetto di studio, piuttosto che come ambienti 
                    per lo stesso (crf. Reihgold, 1994; Turkle, 1997; Baym, 1998).
                    
                    Con la diffusione dell’uso di Internet e delle comunità che 
                    nascono e si sviluppano in Rete, si è aperta la strada all’approfondimento 
                    sui metodi di ricerca, opportunamente adattati, per analizzare 
                    tutto ciò che concerne, in un’accezione allargata, le diverse 
                    forme di comunità online (chat, forums, BBSs, newsgroup). 
                    Un passo rilevante è stato quindi quello di superare la questione 
                    circa la bontà o meno delle interazioni online, e di considerare 
                    Internet un luogo di ricerca sempre più “abitato”, nel quale 
                    studiare alcune dinamiche sociali contemporanee.
                    
                    Utilizzare le comunità virtuali come ambienti di ricerca significa 
                    imbattersi in alcuni interrogativi, ai quali non vi è risposta 
                    unanime. Come sottolinea la Baym (2000), il termine di “etnografia 
                    della rete” è stato spesso utilizzato in riferimento a ricerche 
                    che poco avevano a che fare con i requisiti che comporta uno 
                    studio etnografico, il primo dei quali è l’effettiva immersione 
                    del ricercatore nel contesto di fruizione e la permanenza 
                    “sul campo” per un periodo sufficientemente lungo, in modo 
                    da cogliere la “prospettiva del nativo” riguardo a questioni 
                    di ordine comunicativo e socio-culturale, che gli sono proprie.
                    
                    Analizzare gli “spazi” virtuali permessi da questo medium 
                    presenta diverse difficoltà dovute alla complessità, alla 
                    diffusione e alla non materialità fisica di questi luoghi: 
                    le comunità create online sono infatti ambienti fondati sulla 
                    CMC e sulle interazioni performative tra i membri che utilizzano 
                    un medesimo software.
                    
                    Nel descrivere la vita online, Markham (1998) spiega cosa 
                    dovrebbe comprendere l’etnografia delle comunità virtuali:
                    “text of people who constitute these social spaces. This medium 
                    offers unique ways of expressing the self and constructing 
                    social reality. The process of building relationships and 
                    social structures, though, is thoroughly dialogic: online 
                    cultures exist because interact with each other through writing 
                    over time.”(p.210)
                    
                    L’etnografia applicata alle relazioni su Internet, basando 
                    sulla concreta pratica di immersione nel contesto sociale, 
                    cerca di descrivere la storia e la natura delle comunità virtuali, 
                    analizzando lo spazio costruito dagli individui, i loro discorsi 
                    e le loro pratiche (Valastro, 2002). Ma qual è il contesto 
                    di riferimento di una comunità virtuale? Partendo dalla risposta 
                    a questa domanda, andremo ad analizzare le problematiche metodologiche 
                    secondo noi più rilevanti per la conduzione di uno studio 
                    etnografico online.
                    
                    3.1 Un contesto multi-sited
                    
                    A seconda di ciò che è considerato compreso nel contesto di 
                    ricerca, l’uso della tecnica dell’osservazione, peculiare 
                    dell’etnografia, per studiare le comunità virtuali, può essere 
                    applicata limitatamente al contesto online delle interazioni, 
                    oppure anche al contesto offline in cui sono immersi gli individui 
                    che partecipano alle interazioni in Rete.
                    
                    Da un lato, gli studiosi possono considerare il mondo online 
                    come un’estensione del mondo fisico (reale): l’attore sociale 
                    comunica quotidianamente in diversi contesti, ad esempio famigliari, 
                    lavorativi, ludici. I contesti online sono un altro possibile 
                    ambiente dove gli attori interagiscono, attraverso la CMC, 
                    ma “nessuno vive solamente nel cyberspazio” (Kendall, 1999). 
                    Inoltre, quando si accede in una comunità virtuale, non solo 
                    si è legati inscindibilmente ai propri Sé fisici (pensiamo 
                    ad esempio come un dolore fisico oppure un segnale percepito 
                    da uno dei nostri cinque sensi può distogliere la nostra attenzione 
                    dall’interazione online ed essere causa di interruzione), 
                    ma i significati trasmessi attraverso la CMC, sono legati 
                    a linguaggio, esperienze e valori propri di ogni soggetto, 
                    che sono costruiti nella vita quotidiana e reale.
                    
                    Dall’altro lato, il cyberspazio può essere concepito come 
                    come campo saparato dal mondo reale: come uno “spazio là, 
                    che va oltre i limiti degli ambienti fisici” (Fernback, 1999). 
                    Alcune delle comunità che nascono online sono, infatti, create 
                    volontariamente sulla base degli interessi comuni e mostrano 
                    possedere un proprio sistema di norme e valori, un peculiare 
                    senso di indentità e caratteristiche proprie.
                    
                    Anche la Hine (2000) sottolinea la distinzione tra i due suddetti 
                    approcci: un conto infatti è studiare Internet e gli ambienti 
                    interattivi come una cultura a sé stante e rivolgere quindi 
                    l’attenzione alle dinamiche che avvengono online, come spazi 
                    circoscrivibili e isolabili; un altro è invece considerare 
                    questo medium interattivo come un artefatto culturale socialmente 
                    prodotto, tenendo quindi in considerazione anche le pratiche 
                    che vanno oltre i confini dello spazio virtuale.
                    
                    Nella letteratura odierna questi due approcci sono ritenuti 
                    complementari e la critica metodologica auspica da più parti 
                    (Hine, 2000; Mann & Stewart, 2000) di considerare entrambi 
                    gli aspetti, sebbene non sia semplice. L’idea di field come 
                    campo di ricerca chiuso e definito è sbiadita anche nell’approccio 
                    etnografico “tradizionale” a fronte della complessità delle 
                    relazioni e interazioni tra i diversi gruppi sociali e l’influenza 
                    delle istanze delle globalizzazione in molte culture (soprattutto 
                    conseguenze della pervasività delle comunicazioni mediali 
                    e delle migrazioni).
                    
                    Similmente, anche il campo online delle comunità virtuali 
                    oggetto di studio non può essere circoscritto solo alle relazioni 
                    via CMC, ma deve estendersi verso quei luoghi e momenti di 
                    interazione che si rivelano significativi per comprendere 
                    la complessità del gruppo sociale che si sta osservando. L’etnografia 
                    di una comunità virtuale, basata solamente su una ricerca 
                    online, fornisce informazioni su soggetti fisicamente distanti 
                    dal ricercatore, ma non non può essere l’unica fonte di raccolta 
                    dei dati, poiché permetterebbe di ottenere solo una descrizione 
                    parziale e non una “overflowing description” (Geertz, 1973). 
                    “In research conducted in single-site, that is to say from 
                    the researchers office computer, it might be more appropriate 
                    to dispense with the term ethnography and talk about conversation 
                    analysis, text analysis or discourse analysis” (Wittel, 2000).
                    
                    Pertanto, gli studiosi dovrebbero indirizzarsi verso una multi-sites 
                    ethnography (Marcus, 1995, in Di Fraia, 2004), indagando quindi 
                    i contesti d’uso e di accesso a Internet come artefatto culturale 
                    (scuole, posti di lavoro, Internet cafè etc.). Ma la crescita 
                    delle interazioni mediate e la complessità delle influenze 
                    tra comunità online e offline, allarga maggiormente il contesto 
                    di riferimento oltre i contesti di fruizione: l’osservazione 
                    etnografica dovrebbe quindi comprendere tutti quegli ambienti 
                    e i soggetti che si rivelano significativi per la comprensione 
                    e la descrizione di quella che è la comunità secondo la percezione 
                    dei membri stessi; è per questo che Hine (2000) parla di mobile 
                    ethnography.
                    
                    3.2 Confini e reti
                    
                    Da quanto esposto nel paragrafo precendente si può notare 
                    come ci siano profondi cambiamenti tra lo studio etnografico 
                    di comunità localizzate in uno spazio fisico e lo studio delle 
                    cosiddette comunità virtuali, che interagiscono attraverso 
                    la CMC in uno spazio senza confini. Di conseguenza, le frontiere 
                    del field non dovrebbero essere definite a monte della ricerca, 
                    bensì dovrebbero essere esplorate nel corso dell’etnografia, 
                    attraverso un costante processo di ridefinizione. Le prospettive 
                    di ricerca, secondo Hine (2000), vanno indirizzate verso un’idea 
                    di campo maggiormente legata alle nozioni di flusso e di connettività.
                    
                    La sfida dell’etnografia delle comunità virtuali è proprio 
                    quella di eplorare la negoziazione dei confini, la costruzione 
                    delle connessioni e dei legami, anche quelli tra online e 
                    offline. Come sostiene Howard (2002), la nozione di campo 
                    deve essere adattata a ciò che sono le peculiarità della rete: 
                    il ricercatore deve analizzare ciò che emerge come comunità 
                    percepita e selezionare quei nodi che ne compongono la struttura 
                    reticolare.
                    
                    Questo studioso ha proposto un’interessante etichetta terminologica, 
                    a cui corrisponde un particolare adattamento dell’approccio 
                    entrografico per lo studio delle complesse forme di organizzazioni 
                    possibili attraverso i new media: la network ethnography. 
                    Essa consiste in un metodo che combina l’etnografia online 
                    alla social network analysis, con l’obiettivo di cercare di 
                    comprendere sia la cultura e le dinamiche sociali di un gruppo 
                    complesso, sia le sue strutture organizzative, delle sue reti 
                    e gerarchie di potere. [2]
                    
                    Negli ultimi anni si è infatti iniziato a parlare di comunità 
                    (virtuali e non) anche come network sociali. Secondo questa 
                    prospettiva, viene ridimensionata la componente culturale 
                    delle comunità, dando invece più rilievo al loro ruolo di 
                    relazione e supporto per i soggetti. A livello metodologico, 
                    il significato acquisito dalle connessioni tra i membri, comporterebbe 
                    un adattamento nell’approccio etnografico: “a thik description 
                    of a network has to illustrate and illuminate the nodes, links, 
                    and flows” (Wittel, 2000).
                    
                    Una prima circoscrizione della comunità e del contesto di 
                    riferimento su cui svolgere la ricerca è sicuramente utile, 
                    ma deve essere eseguita con la consapevolezza che le relazioni 
                    in rete sono dinamiche e potenzialmente infinite e che i limiti 
                    del campo etnografico dovranno essere ridiscussi durante le 
                    fasi di studio. Secondo Hine (2000), l’interruzione dell’osservazione 
                    etnografica diviene quindi una decisione soprattutto pragmatica 
                    (legata al tempo o all’ingenuità del ricercatore).
                    
                    3.3 La negoziazione dell’accesso e l’osservazione
                    
                    Nell’etnografia “tradizionale” una delle scelte da compiere 
                    è quella relativa al tipo di osservazione. Essa, infatti, 
                    può essere coperta, se l’etnografo partecipa alla vita della 
                    comunità in incognito, non rivelando la propria identità e 
                    i propri scopi, al fine di ridurre al minimo la reattività 
                    dei soggetti. Oppure può essere un’osservazione scoperta e 
                    partecipante, in cui il ricercatore rivela identità e finalità 
                    della ricerca. In questo caso l’accesso sul campo avviene 
                    generalmente attraverso il cosiddetto mediatore il quale, 
                    essendo una persona che conosce e gode della fiducia della 
                    popolazione oggetto di studio, è in grado di presentare l’etnografo.
                    
                    Negli ambienti online, l’etnografo risulta ampiamente facilitato 
                    rispetto all’accesso fisico sul campo; sia grazie ai vantaggi 
                    spazio-temporali connessi alla CMC, sia perché, salvo le aree 
                    protette da una password di accesso, il ricercatore può facilmente 
                    accedere alle conversazioni online delle comunità, che spesso 
                    i siti Internet lasciano pubblicate per un certo periodo di 
                    tempo. L’osservazione può limitarsi ad essere non partecipante: 
                    in questo caso il ricercatore agisce come un semplice lurker[3] 
                    che, se non sorgono proteste verbali da parte dei membri del 
                    gruppo, può osservare il comportamento le interazioni che 
                    hanno luogo.
                    
                    La tecnica dell’osservazione inizialmente coperta di una comunità, 
                    senza avere ancora chiaro in mente delle idee precise sul 
                    tipo di comportamento dei soggetti partecipanti, risulta molto 
                    utile al ricercatore per iniziare a comprendere alcune dinamiche 
                    comunitarie, norme, significati e valori condivisi dei membri 
                    (in particolare per gli studi etnografici sulle culture non 
                    famigliari). L’osservazione può invece essere immediatamente 
                    partecipante nel caso di culture già famigliari al ricercatore, 
                    oppure può diventare partecipante una volta che lo studioso 
                    abbia avuto modo di apprendere il linguaggio e le norme che 
                    regolano la comunità ed abbia eventualmente sviluppato delle 
                    ipotesi conoscitive.
                    
                    In molte ricerche etnografiche condotte in comunità virtuali, 
                    la presenza del ricercatore alle interazioni viene accettata, 
                    anche perché i membri si sentono in qualche modo “protetti” 
                    dal grado di anonimato che consente la CMC. [4] 
                    Non sempre però il ricercatore è bene accetto come attore 
                    partecipante alla dicussione, soprattutto in quelle comunità 
                    virtuali che raggruppano le cosiddette sub-culture, le quali 
                    difendono con forza la propria identità: i membri possono 
                    rifiutare la ricerca ed invitare il ricercatore a ritirarsi 
                    dalla comunità (Paccagnella, 1997).
                    
                    Inoltre, l’accesso alla comunità virtuale non è sempre “totale”: 
                    gli studiosi che hanno maggiore competenza con le navigazioni 
                    in Internet hanno sicuramente notato che esistono delle cosiddette 
                    hidden areas (Mann & Stewart, 2000). Alcuni software utilizzati 
                    per le chat, i newsgroups e forum di discussione, permettono 
                    infatti la creazione di aree pubbliche, dove possono facilmente 
                    accedere i membri abituali ed i newcomers, e di aree private, 
                    che i frequentatori regolari della comunità “costruiscono”, 
                    permettendo l’accesso solo ad alcuni membri. Solamente attraverso 
                    un’osservazione di entrambi gli ambienti il ricercatore ha 
                    la possibilità di afferrare la complessità delle interazioni 
                    comunitarie; tuttavia, negoziare l’accesso alle aree private 
                    non è sempre facile.
                    
                    Un primo passo per ottenere l’accesso è quello di un’immersione 
                    duratura dello studioso nella comunità virtuale e una costruzione 
                    di fiducia reciproca nei confronti dei membri della stessa. 
                    “Etnographers working in cyberspace must develop a sense about 
                    truthfulness and candour of their informants, just as etnographers 
                    of the nonvirtual must”(Fernback, 1999 in Mann & Stewart, 
                    2000).
                    
                    E’ importante a questo punto ricordare un rischio presente 
                    tanto negli studi etnografici faccia a faccia, quanto in quelli 
                    condotti negli ambienti mediati dal computer, ossia quello 
                    di going native: dopo aver trascorso un periodo abbastanza 
                    lungo ad interagire con i membri della comunità, il ricercatore 
                    deve stare infatti attento a non adottare il punto di vista 
                    dei propri informatori. Bisogna quindi sapere mantenere, anche 
                    nell’osservazione partecipante delle comunità online, un giusto 
                    equilibrio tra coinvolgimento ed esperienza dell’alterità.
                    
                    3.4 Identità e privacy
                    
                    Come abbiamo visto, un approccio etnografico allo studio delle 
                    comunità che si sviluppano in Internet, mette in luce alcune 
                    problematiche metodologiche, rafforzando lo spessore di alcune 
                    regole e consuetudini etnografiche e stimolando l’adattamento 
                    di altre a questi particoli oggetti di ricerca (adaptive ethnography, 
                    Hine, 2000). Altre due importanti questioni a cui l’etnografo 
                    deve far fronte sono quelle relative all’identità dei partecipanti 
                    alle comunità virtuali e quelle riguardanti la natura etica 
                    del suo agire in Rete.
                    
                    Un’osservazione etnografica che avvene in un contesto in cui 
                    ricercatore ed informatori non si trovano compresenti fisicamente 
                    getta dei dubbi sulla validità dei dati dichiarati dai membri 
                    dei gruppi online [5]. Anche negli studi 
                    etnografici tradizionali i soggetti potrebbero dichiarare 
                    il falso, ma solo entro certi limiti: le caratteristiche ascritte, 
                    la comunicazione non verbale o certi comportamenti sono difficili 
                    da simulare.
                    
                    E’ stato sfatato il mito delle identità virtuali come fuga 
                    dalla realtà, ma come abbiamo accennato, si rafforza invece 
                    l’idea che le costruzioni identitarie in Rete non siano qualcosa 
                    di rigidamente separato dalla vita di tutti i giorni. L’identità 
                    online è costruita dalla somma di messaggi formulati quasi 
                    esclusivamente in una lingua scritta, ma in un contesto conversativo 
                    che si struttura in una modalità ibrida, recuperando iconograficamente 
                    alcuni aspetti dell’oralità. E’ evidente la funzione performativa 
                    e “posizionale” di molti atti linguistici, che servono a collocare 
                    socialmente se stessi rispetto agli altri nell’ambiente che 
                    comprende la comunità virtuale: l’identità “enunciativa” inizia 
                    a costruirsi con la scelta del nickname, il primo strumento 
                    di presenza in rete, un modo per essere riconosciuti. La modifica 
                    di caratteristiche fisico-corporee non verificabili in Rete, 
                    dipende dalla semplice enunciazione degli stessi. Ciò che 
                    però riguarda gli aspetti intellettuali, emozionali o spirituali, 
                    implica altresì un’esibizione dimostrativa poco simulabile, 
                    se non nel breve termine, poiché verificabile dagli altri 
                    membri della comunità. Partecipare ad una interazione online 
                    presentandosi con caratteristiche non proprie, non è tanto 
                    un’operazione menzognera, quanto quindi un’operazione inutile.
                    
                    Alcuni studi hanno inoltre dimostrato che le identità virtuali 
                    sono spesso coerenti con quelle reali (Baym N., 2002); inoltre, 
                    condurre un’etnografia di una comunità online, significa osservare 
                    e partecipare per un periodo di tempo abbastanza lungo e questo 
                    permetterebbe al ricercatore di “imparare ad interpretare 
                    l’identità performativa dei partecipanti, così come gli altri 
                    partecipanti fanno” (Kendall, 1999).
                    
                    Secondo la Hine (2000) esistono diversi gradi di autenticità 
                    delle dichiarazioni e comunque “the question remains then 
                    whether interactions in electronic space should be viewed 
                    ad authentic, since the ethnographer cannot readily confirm 
                    details thet informants tell them about thei offline selves.”
                    
                    L’ultimo punto chiave da prendere in considerazione riguarda 
                    invece la possibilità di celare, da parte del ricercatore, 
                    la propria identità nei casi di osservazione coperta e le 
                    questioni etiche che questo atto comporta. Ma le perplessità 
                    di natura etica riguardando però anche la possibilità di utilizzare 
                    le interazioni osservate ai fini di ricerca, anche quando 
                    l’etnografo si è presentato come tale ai partecipanti della 
                    comunità virtuale. Esistono infatti dubbi circa la violazione 
                    della privacy dei soggetti interagenti.
                    
                    Alcuni suggerimenti di orientamento etico sono stati esposti 
                    da Sharf (1999) a seguito della sua osservazione, prima coperta 
                    e poi partecipante, in un forum di malati di tumore. Egli 
                    suggerisce innanzitutto di verificare se lo scopo della ricerca 
                    non sia in conflitto o possa nuocere con quello della comunità; 
                    dopo aver osservato il gruppo e aver individuato degli obiettivi 
                    conoscitivi, è importante presentarsi e dichiarare le finalità 
                    dello studio, chiedendo il consenso dei partecipanti quando 
                    si ha la necessità di citare le loro dichiarazioni nel rapporto 
                    di ricerca.
                    
                    Il problema della privacy è comunque ancora irrisolto in quanto 
                    non è ancora chiaro se le conversazioni che avvengono in forum, 
                    chat, e newsgroups aperti a tutti siano da considerarsi come 
                    spazi pubblici oppure di natura privata.
                    
                    4. Conclusione
                    
                    Per condurre una ricerca etnografica in una comunità virtuale 
                    è importante riflettere sulle implicazioni che comporta l’utilizzo 
                    di un metodo di ricerca in un ambiente creato attraverso comunicazione 
                    mediata dal computer.
                    
                    Fin dalla loro comparsa in Internet, le comunità nate e sviluppate 
                    online, hanno fatto sorgere alcuni dibattuti interrogativi, 
                    che, superate le utopie iniziali, hanno messo in risalto alcune 
                    delle loro importanti caratteristiche.
                    
                    Queste peculiarità hanno costituito una premessa rilevante 
                    per lo studioso impegnato ad adattare metodologie e tecniche 
                    di ricerca per l’analisi di questi ambienti virtuali.
                    
                    Nel presente contributo, abbiamo voluto riflettere sulle principali 
                    implicazioni metodologiche che comporta un’etnografia online.
                    
                    In particolare abbiamo osservato che svaniscano i confini 
                    del field e come invece il contesto sia da considerare multi-situato, 
                    rendendo necessaria un’etnografia mobile, sia online che offline. 
                    Inoltre, le comunità virtuali assumono sempre più la forma 
                    di reti: nasce quindi l’esigenza di studiare i legami e i 
                    nodi di quella che è la comunità, così come è percepita dai 
                    membri stessi che la compongono.
                    
                    Abbiamo inoltre eplorato come sia possibile condurre un’osservazione 
                    sia nascosta (tramite il lurking), che partecipante, ponendo 
                    l’attenzione sulla negoziazione dell’accesso.
                    
                    Infine abbiamo sottolineato le delicate questioni relative 
                    all’identità e alla privacy dei partecipanti ad un gruppo 
                    virtuale.
                    
                    E’ importante sottolineare, che molte delle questioni analizzate 
                    rimangono tutt’oggi aperte ed è forse anche per queste istanze 
                    in fase di definizione che una tecnologia della comunicazione 
                    come Internet è da molti considerata e denominata ancora una 
                    “nuova” tecnologia.
                    
                    
                    NOTE
                    
                    1] Questo è un processo che 
                    stimola la comparsa di particolari strutture, definite come 
                    intelligenza collettiva (Levy, 1997) e intelligenza connettiva, 
                    da essa derivata, (DeKerckhove, 1993), generate dalla rete 
                    delle menti dei soggetti, che partecipano e danno forma alla 
                    comunità stessa.
                    2] Questo metodo supera la 
                    dicotomia tra approccio qualitativo e quantitativo, proponendo 
                    un campionamento attraverso la social network analysis dei 
                    membri della comunità ed un’osservazione etnografica dei deiversi 
                    nodi.
                    3] Dal verbo to lurk, rimanere 
                    nascosco, il lurker è una figura molto diffusa in rete e rappresenta 
                    colui che entra in una chat, un forum o un newsgroup, limitandosi 
                    a leggere i messaggi e le conversazioni online, ma senza parteciparvi.
                    4] Ne sono esempi il blasonato 
                    studio della Baym (1997) su un Newgroup di fans di una soap 
                    opera, di cui anch’essa faceva parte, della Turkle (1995) 
                    e di Correll (1995).
                    5] Esistono infatti delle 
                    comunità create proprio come “giochi di simulazione” (i cosiddetti 
                    MUD), in cui l’identità dei membri è volutamente messa in 
                    gioco.
                    
                    
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