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  • Comunità e relazioni sociali su internet
    Nicola Cavalli - Oscar Ricci - Elisabetta Risi (a cura di)

    M@gm@ vol.4 n.1 Gennaio-Marzo 2006

    ETNOGRAFIA MEDIATA: COMUNITÀ VIRTUALI E RICERCA ETNOGRAFICA


    Elisabetta Risi

    elisabetta.risi@unimib.it
    Ha studiato all’università IULM di Milano dove si è laureata a pieni voti in Relazioni Pubbliche. Ha svolto presso la stessa Università attività di ricerca, applicando metodologie qualitative nell’ambito di alcuni progetti dell’Istituto di Comunicazione. E’ attualmente iscritta all’ultimo anno di dottorato di ricerca sulla qualità della vita nella società dell’informazione presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e si sta occupando di studiare il complesso rapporto tra anziani e new media.

    1. Introduzione

    L'etnografia è tradizionalmente impiegata nell'antropologia culturale, ma viene utilizzata anche nelle altre scienze sociali per produrre “descrizioni dettagliate della concreta esperienza di vita entro una particolare cultura, delle regole e dei modelli sociali che la costituiscono” (Hammersley, Atkinson, 1983). Per condurre una ricerca etnografica, gli studiosi vivono con le persone del gruppo sociale oggetto di rilevazione, osservando e cercando di comprendere la loro visione del mondo, le loro credenze e valori. Questo tipo di ricerca permette di descrivere il comportamento abituale dei soggetti e dà la possibilità all’etnografo, che generalmente vive in un’altra società, di osservare ciò di cui essi non hanno consapevolezza.

    La potenzialità di questo approccio di ricerca è quella di non ridurre la complessità dell’oggetto di indagine, ma di giungere a quella che Geertz (1973) chiama “thik description”. L’etnografia quindi prevede di utilizzare la combinazione di una pluralità di metodi di ricerca quali l’osservazione diretta, interviste e raccolte di documenti. Lo scorso secolo, etnografi come Malinowski (1966) hanno rivoluzionato il concetto di etnografia - in antropologia -, spiegando che la comprensione delle comunità e della loro cultura era possibile solo attraverso un’immersione duratura sul campo oggetto di studio (piuttosto che dalla propria scrivania).

    In questo articolo si cercherà di rispondere alla domanda su come sia possibile adattare l’approccio entografico allo studio delle forme di aggregazione che si sviluppano in Internet attraverso la Computer Mediated-Communication (CMC), e quali implicazioni metodologiche questo comporta. L’ obiettivo è quindi l’analisi dell’ormai copiosa letteratura relativa a quella che abbiamo chiamato un’etnografia mediata, per riferirci alle tecniche qualitative di osservazione delle comunità che nascono e si sviluppano in Rete.

    Dopo aver affrontato il dibattito sullo statuto ontologico delle cosiddette comunità virtuali, si analizzeranno i contributi più significativi e recenti della letteratura, evidenziando le più importanti questioni relative le issue metodologiche di cui tener conto nella conduzione di uno studio etnografico online.

    2. Il dibattito sulle comunità virtuali

    L’influenza del libro di Rheingold (1994), uno dei pionieri degli studi sulle comunità virtuali, nel quale la rete era dipinta come luogo di socialità, creatività e scambio disinteressato, prospettando un ritorno ad una certa forma di comunità originaria (simile al concetto di Gemeinschaft di Tönnies, 1963), diede il via ad un ampio e complesso dibattito. Con la diffusione dei media elettronici, alcuni studiosi hanno visto un ritorno ad una socialità di tipo comunitario, una sorta di retribalizzazione del moderno. Ci si riferisce in particolare ai lavori di McLuhan (1999), secondo cui “l’uomo è trasformato in tribù dai media elettrici” e del francese Maffesolì (1988), che parla di un mondo immaginale dove i media sono tra i componenti che aiutano a comporre le reti tribali dove le persone costruirebbero la loro identità.

    L’emergere e il diffondersi di Internet come mezzo di comunicazione è stato quindi accompagnato dalle discussioni rigurdanti la possibile nascita di “nuovi” modelli di interazione sociale. Castells (2002, trad.it p.7) ha dedicato alla contemporanea network society una trilogia di saggi, osserva come la comunità “…si basa su valori e sulla relativa stabilità delle sue componenti. Una comunità si definisce mediante i suoi confini. Le reti invece sono prive di confini.” Il concetto di cyberspazio, come un mondo multidimensionale generato dal computer ed in cui il soggetto può esperire una realtà virtuale, è stato sviluppato venti anni fa da Gibson (1984), un autore di fantascienza. Il lato mitico della cibernetica e l’immagine di un mondo privo di fisicità ha rappresentato per molti studiosi il pericolo che le comunicazioni elettroniche diventassero un fattore di isolamento, qualora la gente si abituasse a vivere una vita sociale virtuale. La letteratura, fondata su studi di ricercatori accademici di qualche anno fa, ha quindi rivolto molta attenzione agli scambi sociali basati su identità false e giochi di ruolo (cfr. Turkle, 1987; Reihgold, 1994).

    L’identità in Rete è inevitabilmente caratterizzata dalla non-corporeità: le comunità virtuali sono da considerarsi, secondo alcuni autori, delle comunità “rarefatte”, proprio perché chi naviga in rete deve passare dalla materialità e dalle emozioni che attraversano il mondo reale, alle interazioni prevalentemente effettuate attraverso dei testi, la cosiddetta Computer-Mediated Communication. Tuttavia, immaginare che una tecnologia, che facilita e aumenta i processi di comunicazione in maniera impensabile prima della rivoluzione digitale, riduca nello stesso tempo il contatto umano, sarebbe una contraddizione, nonché un grave limite; nuove forme di comunicazione stanno cambiando la natura di quel contatto oppure si stanno aggiungendo ad esso.

    Non è corretto rifiutare la nostra “vita sullo schermo”, ma non lo è neppure il considerarla come una vita alternativa (Turkle, 1997). Nei computer collegati in rete, le persone hanno rapporti dipendenti dalle rappresentazioni online che ciascuno dà di se stesso, tuttavia -conclude la Turkle nel suo noto libro sull’identità nell’era di Internet- il concetto di reale non sparisce, poiché quegli stessi soggetti sono vincolati dai desideri, dalle sofferenze e dalla mortalità dei propri sé fisici.

    Buona parte del dibattito sulle comunità virtuali, fino alla fine degli anni ’90, è stato condizionato secondo Castells (2001) da tre limiti. In primo luogo, esso ha preceduto di gran lunga l’ampia diffusione attuale di Internet, costruendo le proprie affermazioni su un immaginario collettivo costruito dalla pubblicistica internazionale o sulle osservazioni di poche esperienze dei primi utilizzatori di questo medium; secondo limite è quello che il dibattito è andato avanti in assenza di un corpo sostanziale di ricerca empirica affidabile sugli effettivi usi di Internet; infine, il dibattito è stato costruito intorno a questioni piuttosto fuorvianti, come la contrapposizione ideologica tra l’armoniosa comunità locale e l’esistenza alienata di solitari nettadini (abitanti della rete).

    Anche se le critiche allo statuto ontologico delle comunità virtuali sono state utili ad evidenziare alcune istanze importanti, i suddetti limiti dovrebbero essere oggi superati. E’ necessario riuscire a valutare i modelli di socialità che nascono in rete, almeno nelle società sviluppate, adattando opportunamente le metodologie di ricerca per giungere a risultati empirici validi.

    Lo spazio delle comunità virtuali è stato anche descritto come un non-luogo, usando un noto concetto di Augè: un luogo di passaggio, privo di tempo e di memoria, nel senso che non è riconoscibile attraverso le temporalità di coloro che vi transitano (Fabietti U., in Carbone P., Ferri P., 2000). Questa interpretazione però non è pienamente condivisibile dopo un’attenta osservazione empirica: le comunità virtuali sono infatti un luogo, in cui i soggetti interagiscono lasciando una traccia di sé e della propria identità attraverso le parole digitate all’interno di uno spazio. Molti gruppi e forum di discussione mantengono ad esempio, per un certo periodo di tempo, gli archivi dei messaggi “postati”.

    Ferri (2000) propone l’ipotesi secondo cui queste forme di socialità online potrebbero essere adottate come un modello di analisi delle pratiche comunitarie delle società postmoderne. La strutturale caratteristica della fragilità può quindi essere interpretata, non come un limite delle comunità virtuali, ma come un tratto profondo della società contemporanea. Concetti propri della cosiddetta filosofia post-moderna, come la mutevolezza delle relazioni comunitarie, la relatività dei significati, la mancanza di un sé unitario (multiplo, ma coerente), sembrano incarnarsi nelle forme identitarie e comunitarie possibili coi nuovi media. Una delle conseguenze dell’attuale ipermodernità è infatti, secondo Giddens (1994), proprio la tendenza alla disaggregazione, all’indebolimento dei legami, allo sradicamento dai luoghi, un processo riassumibile nel termine disembedding.

    Si è lungi quindi dal rappresentare le comunità virtuali come contrapposte a una società reificata (Gemeinschaft versus Gesellschaft di Tonnies), bensì come nuovi luoghi di interazione e produzione di significato, ove diviene possibile la costruzione cooperativa di un sapere comune e un nuovo livello di condivisione di esperienze, fra un gruppo di pari egualmente co-autori. [1]

    Il concetto di comunità virtuali proposto dai primi studiosi di Internet ha quindi provocato un rilevante misunderstanding: il termine “comunità”, con tutte le sue potenti connotazioni, ha stimolato infatti la discussione in diverse discipline. Esso però aveva anche un grande pregio: voleva richiamare l’attenzione sui nuovi supporti tecnologici per la socialità che, pur essendo differenti ed essendosi aggiunti alla precedenti e rilevanti forme di interazione, sono sempre più diffusi nelle società occidentali. Al di là dei toni entusiastici, quello che va riconosciuto alla definizione di Rheingold (1994) di comunità virtuale, è l’accento sul coinvolgimento, la condivisione, anche emotiva, e sulla costruzione collaborativa del processo esperienziale che la partecipazione in questi luoghi comporta (Di Fraia, 2004).

    3. Ricerca etnografica e comunità virtuali

    Il primo passo di una ricerca è quello di rispondere alla fondamentale questione metodologica, di tutte le indagini sociali, che Bourdieu (1993) descrive come “la costruzione dell’oggetto”, ossia la definizione di ciò che si vuole studiare. Fino a qualche anno fa, la maggior parte dell’ingente quantità di lavori che si sono occupati di comunità virtuali, lo hanno fatto considerando queste forme di interazione, soprattutto come dibattuto oggetto di studio, piuttosto che come ambienti per lo stesso (crf. Reihgold, 1994; Turkle, 1997; Baym, 1998).

    Con la diffusione dell’uso di Internet e delle comunità che nascono e si sviluppano in Rete, si è aperta la strada all’approfondimento sui metodi di ricerca, opportunamente adattati, per analizzare tutto ciò che concerne, in un’accezione allargata, le diverse forme di comunità online (chat, forums, BBSs, newsgroup). Un passo rilevante è stato quindi quello di superare la questione circa la bontà o meno delle interazioni online, e di considerare Internet un luogo di ricerca sempre più “abitato”, nel quale studiare alcune dinamiche sociali contemporanee.

    Utilizzare le comunità virtuali come ambienti di ricerca significa imbattersi in alcuni interrogativi, ai quali non vi è risposta unanime. Come sottolinea la Baym (2000), il termine di “etnografia della rete” è stato spesso utilizzato in riferimento a ricerche che poco avevano a che fare con i requisiti che comporta uno studio etnografico, il primo dei quali è l’effettiva immersione del ricercatore nel contesto di fruizione e la permanenza “sul campo” per un periodo sufficientemente lungo, in modo da cogliere la “prospettiva del nativo” riguardo a questioni di ordine comunicativo e socio-culturale, che gli sono proprie.

    Analizzare gli “spazi” virtuali permessi da questo medium presenta diverse difficoltà dovute alla complessità, alla diffusione e alla non materialità fisica di questi luoghi: le comunità create online sono infatti ambienti fondati sulla CMC e sulle interazioni performative tra i membri che utilizzano un medesimo software.

    Nel descrivere la vita online, Markham (1998) spiega cosa dovrebbe comprendere l’etnografia delle comunità virtuali:
    “text of people who constitute these social spaces. This medium offers unique ways of expressing the self and constructing social reality. The process of building relationships and social structures, though, is thoroughly dialogic: online cultures exist because interact with each other through writing over time.”(p.210)

    L’etnografia applicata alle relazioni su Internet, basando sulla concreta pratica di immersione nel contesto sociale, cerca di descrivere la storia e la natura delle comunità virtuali, analizzando lo spazio costruito dagli individui, i loro discorsi e le loro pratiche (Valastro, 2002). Ma qual è il contesto di riferimento di una comunità virtuale? Partendo dalla risposta a questa domanda, andremo ad analizzare le problematiche metodologiche secondo noi più rilevanti per la conduzione di uno studio etnografico online.

    3.1 Un contesto multi-sited

    A seconda di ciò che è considerato compreso nel contesto di ricerca, l’uso della tecnica dell’osservazione, peculiare dell’etnografia, per studiare le comunità virtuali, può essere applicata limitatamente al contesto online delle interazioni, oppure anche al contesto offline in cui sono immersi gli individui che partecipano alle interazioni in Rete.

    Da un lato, gli studiosi possono considerare il mondo online come un’estensione del mondo fisico (reale): l’attore sociale comunica quotidianamente in diversi contesti, ad esempio famigliari, lavorativi, ludici. I contesti online sono un altro possibile ambiente dove gli attori interagiscono, attraverso la CMC, ma “nessuno vive solamente nel cyberspazio” (Kendall, 1999). Inoltre, quando si accede in una comunità virtuale, non solo si è legati inscindibilmente ai propri Sé fisici (pensiamo ad esempio come un dolore fisico oppure un segnale percepito da uno dei nostri cinque sensi può distogliere la nostra attenzione dall’interazione online ed essere causa di interruzione), ma i significati trasmessi attraverso la CMC, sono legati a linguaggio, esperienze e valori propri di ogni soggetto, che sono costruiti nella vita quotidiana e reale.

    Dall’altro lato, il cyberspazio può essere concepito come come campo saparato dal mondo reale: come uno “spazio là, che va oltre i limiti degli ambienti fisici” (Fernback, 1999). Alcune delle comunità che nascono online sono, infatti, create volontariamente sulla base degli interessi comuni e mostrano possedere un proprio sistema di norme e valori, un peculiare senso di indentità e caratteristiche proprie.

    Anche la Hine (2000) sottolinea la distinzione tra i due suddetti approcci: un conto infatti è studiare Internet e gli ambienti interattivi come una cultura a sé stante e rivolgere quindi l’attenzione alle dinamiche che avvengono online, come spazi circoscrivibili e isolabili; un altro è invece considerare questo medium interattivo come un artefatto culturale socialmente prodotto, tenendo quindi in considerazione anche le pratiche che vanno oltre i confini dello spazio virtuale.

    Nella letteratura odierna questi due approcci sono ritenuti complementari e la critica metodologica auspica da più parti (Hine, 2000; Mann & Stewart, 2000) di considerare entrambi gli aspetti, sebbene non sia semplice. L’idea di field come campo di ricerca chiuso e definito è sbiadita anche nell’approccio etnografico “tradizionale” a fronte della complessità delle relazioni e interazioni tra i diversi gruppi sociali e l’influenza delle istanze delle globalizzazione in molte culture (soprattutto conseguenze della pervasività delle comunicazioni mediali e delle migrazioni).

    Similmente, anche il campo online delle comunità virtuali oggetto di studio non può essere circoscritto solo alle relazioni via CMC, ma deve estendersi verso quei luoghi e momenti di interazione che si rivelano significativi per comprendere la complessità del gruppo sociale che si sta osservando. L’etnografia di una comunità virtuale, basata solamente su una ricerca online, fornisce informazioni su soggetti fisicamente distanti dal ricercatore, ma non non può essere l’unica fonte di raccolta dei dati, poiché permetterebbe di ottenere solo una descrizione parziale e non una “overflowing description” (Geertz, 1973). “In research conducted in single-site, that is to say from the researchers office computer, it might be more appropriate to dispense with the term ethnography and talk about conversation analysis, text analysis or discourse analysis” (Wittel, 2000).

    Pertanto, gli studiosi dovrebbero indirizzarsi verso una multi-sites ethnography (Marcus, 1995, in Di Fraia, 2004), indagando quindi i contesti d’uso e di accesso a Internet come artefatto culturale (scuole, posti di lavoro, Internet cafè etc.). Ma la crescita delle interazioni mediate e la complessità delle influenze tra comunità online e offline, allarga maggiormente il contesto di riferimento oltre i contesti di fruizione: l’osservazione etnografica dovrebbe quindi comprendere tutti quegli ambienti e i soggetti che si rivelano significativi per la comprensione e la descrizione di quella che è la comunità secondo la percezione dei membri stessi; è per questo che Hine (2000) parla di mobile ethnography.

    3.2 Confini e reti

    Da quanto esposto nel paragrafo precendente si può notare come ci siano profondi cambiamenti tra lo studio etnografico di comunità localizzate in uno spazio fisico e lo studio delle cosiddette comunità virtuali, che interagiscono attraverso la CMC in uno spazio senza confini. Di conseguenza, le frontiere del field non dovrebbero essere definite a monte della ricerca, bensì dovrebbero essere esplorate nel corso dell’etnografia, attraverso un costante processo di ridefinizione. Le prospettive di ricerca, secondo Hine (2000), vanno indirizzate verso un’idea di campo maggiormente legata alle nozioni di flusso e di connettività.

    La sfida dell’etnografia delle comunità virtuali è proprio quella di eplorare la negoziazione dei confini, la costruzione delle connessioni e dei legami, anche quelli tra online e offline. Come sostiene Howard (2002), la nozione di campo deve essere adattata a ciò che sono le peculiarità della rete: il ricercatore deve analizzare ciò che emerge come comunità percepita e selezionare quei nodi che ne compongono la struttura reticolare.

    Questo studioso ha proposto un’interessante etichetta terminologica, a cui corrisponde un particolare adattamento dell’approccio entrografico per lo studio delle complesse forme di organizzazioni possibili attraverso i new media: la network ethnography. Essa consiste in un metodo che combina l’etnografia online alla social network analysis, con l’obiettivo di cercare di comprendere sia la cultura e le dinamiche sociali di un gruppo complesso, sia le sue strutture organizzative, delle sue reti e gerarchie di potere. [2]

    Negli ultimi anni si è infatti iniziato a parlare di comunità (virtuali e non) anche come network sociali. Secondo questa prospettiva, viene ridimensionata la componente culturale delle comunità, dando invece più rilievo al loro ruolo di relazione e supporto per i soggetti. A livello metodologico, il significato acquisito dalle connessioni tra i membri, comporterebbe un adattamento nell’approccio etnografico: “a thik description of a network has to illustrate and illuminate the nodes, links, and flows” (Wittel, 2000).

    Una prima circoscrizione della comunità e del contesto di riferimento su cui svolgere la ricerca è sicuramente utile, ma deve essere eseguita con la consapevolezza che le relazioni in rete sono dinamiche e potenzialmente infinite e che i limiti del campo etnografico dovranno essere ridiscussi durante le fasi di studio. Secondo Hine (2000), l’interruzione dell’osservazione etnografica diviene quindi una decisione soprattutto pragmatica (legata al tempo o all’ingenuità del ricercatore).

    3.3 La negoziazione dell’accesso e l’osservazione

    Nell’etnografia “tradizionale” una delle scelte da compiere è quella relativa al tipo di osservazione. Essa, infatti, può essere coperta, se l’etnografo partecipa alla vita della comunità in incognito, non rivelando la propria identità e i propri scopi, al fine di ridurre al minimo la reattività dei soggetti. Oppure può essere un’osservazione scoperta e partecipante, in cui il ricercatore rivela identità e finalità della ricerca. In questo caso l’accesso sul campo avviene generalmente attraverso il cosiddetto mediatore il quale, essendo una persona che conosce e gode della fiducia della popolazione oggetto di studio, è in grado di presentare l’etnografo.

    Negli ambienti online, l’etnografo risulta ampiamente facilitato rispetto all’accesso fisico sul campo; sia grazie ai vantaggi spazio-temporali connessi alla CMC, sia perché, salvo le aree protette da una password di accesso, il ricercatore può facilmente accedere alle conversazioni online delle comunità, che spesso i siti Internet lasciano pubblicate per un certo periodo di tempo. L’osservazione può limitarsi ad essere non partecipante: in questo caso il ricercatore agisce come un semplice lurker[3] che, se non sorgono proteste verbali da parte dei membri del gruppo, può osservare il comportamento le interazioni che hanno luogo.

    La tecnica dell’osservazione inizialmente coperta di una comunità, senza avere ancora chiaro in mente delle idee precise sul tipo di comportamento dei soggetti partecipanti, risulta molto utile al ricercatore per iniziare a comprendere alcune dinamiche comunitarie, norme, significati e valori condivisi dei membri (in particolare per gli studi etnografici sulle culture non famigliari). L’osservazione può invece essere immediatamente partecipante nel caso di culture già famigliari al ricercatore, oppure può diventare partecipante una volta che lo studioso abbia avuto modo di apprendere il linguaggio e le norme che regolano la comunità ed abbia eventualmente sviluppato delle ipotesi conoscitive.

    In molte ricerche etnografiche condotte in comunità virtuali, la presenza del ricercatore alle interazioni viene accettata, anche perché i membri si sentono in qualche modo “protetti” dal grado di anonimato che consente la CMC. [4] Non sempre però il ricercatore è bene accetto come attore partecipante alla dicussione, soprattutto in quelle comunità virtuali che raggruppano le cosiddette sub-culture, le quali difendono con forza la propria identità: i membri possono rifiutare la ricerca ed invitare il ricercatore a ritirarsi dalla comunità (Paccagnella, 1997).

    Inoltre, l’accesso alla comunità virtuale non è sempre “totale”: gli studiosi che hanno maggiore competenza con le navigazioni in Internet hanno sicuramente notato che esistono delle cosiddette hidden areas (Mann & Stewart, 2000). Alcuni software utilizzati per le chat, i newsgroups e forum di discussione, permettono infatti la creazione di aree pubbliche, dove possono facilmente accedere i membri abituali ed i newcomers, e di aree private, che i frequentatori regolari della comunità “costruiscono”, permettendo l’accesso solo ad alcuni membri. Solamente attraverso un’osservazione di entrambi gli ambienti il ricercatore ha la possibilità di afferrare la complessità delle interazioni comunitarie; tuttavia, negoziare l’accesso alle aree private non è sempre facile.

    Un primo passo per ottenere l’accesso è quello di un’immersione duratura dello studioso nella comunità virtuale e una costruzione di fiducia reciproca nei confronti dei membri della stessa. “Etnographers working in cyberspace must develop a sense about truthfulness and candour of their informants, just as etnographers of the nonvirtual must”(Fernback, 1999 in Mann & Stewart, 2000).

    E’ importante a questo punto ricordare un rischio presente tanto negli studi etnografici faccia a faccia, quanto in quelli condotti negli ambienti mediati dal computer, ossia quello di going native: dopo aver trascorso un periodo abbastanza lungo ad interagire con i membri della comunità, il ricercatore deve stare infatti attento a non adottare il punto di vista dei propri informatori. Bisogna quindi sapere mantenere, anche nell’osservazione partecipante delle comunità online, un giusto equilibrio tra coinvolgimento ed esperienza dell’alterità.

    3.4 Identità e privacy

    Come abbiamo visto, un approccio etnografico allo studio delle comunità che si sviluppano in Internet, mette in luce alcune problematiche metodologiche, rafforzando lo spessore di alcune regole e consuetudini etnografiche e stimolando l’adattamento di altre a questi particoli oggetti di ricerca (adaptive ethnography, Hine, 2000). Altre due importanti questioni a cui l’etnografo deve far fronte sono quelle relative all’identità dei partecipanti alle comunità virtuali e quelle riguardanti la natura etica del suo agire in Rete.

    Un’osservazione etnografica che avvene in un contesto in cui ricercatore ed informatori non si trovano compresenti fisicamente getta dei dubbi sulla validità dei dati dichiarati dai membri dei gruppi online [5]. Anche negli studi etnografici tradizionali i soggetti potrebbero dichiarare il falso, ma solo entro certi limiti: le caratteristiche ascritte, la comunicazione non verbale o certi comportamenti sono difficili da simulare.

    E’ stato sfatato il mito delle identità virtuali come fuga dalla realtà, ma come abbiamo accennato, si rafforza invece l’idea che le costruzioni identitarie in Rete non siano qualcosa di rigidamente separato dalla vita di tutti i giorni. L’identità online è costruita dalla somma di messaggi formulati quasi esclusivamente in una lingua scritta, ma in un contesto conversativo che si struttura in una modalità ibrida, recuperando iconograficamente alcuni aspetti dell’oralità. E’ evidente la funzione performativa e “posizionale” di molti atti linguistici, che servono a collocare socialmente se stessi rispetto agli altri nell’ambiente che comprende la comunità virtuale: l’identità “enunciativa” inizia a costruirsi con la scelta del nickname, il primo strumento di presenza in rete, un modo per essere riconosciuti. La modifica di caratteristiche fisico-corporee non verificabili in Rete, dipende dalla semplice enunciazione degli stessi. Ciò che però riguarda gli aspetti intellettuali, emozionali o spirituali, implica altresì un’esibizione dimostrativa poco simulabile, se non nel breve termine, poiché verificabile dagli altri membri della comunità. Partecipare ad una interazione online presentandosi con caratteristiche non proprie, non è tanto un’operazione menzognera, quanto quindi un’operazione inutile.

    Alcuni studi hanno inoltre dimostrato che le identità virtuali sono spesso coerenti con quelle reali (Baym N., 2002); inoltre, condurre un’etnografia di una comunità online, significa osservare e partecipare per un periodo di tempo abbastanza lungo e questo permetterebbe al ricercatore di “imparare ad interpretare l’identità performativa dei partecipanti, così come gli altri partecipanti fanno” (Kendall, 1999).

    Secondo la Hine (2000) esistono diversi gradi di autenticità delle dichiarazioni e comunque “the question remains then whether interactions in electronic space should be viewed ad authentic, since the ethnographer cannot readily confirm details thet informants tell them about thei offline selves.”

    L’ultimo punto chiave da prendere in considerazione riguarda invece la possibilità di celare, da parte del ricercatore, la propria identità nei casi di osservazione coperta e le questioni etiche che questo atto comporta. Ma le perplessità di natura etica riguardando però anche la possibilità di utilizzare le interazioni osservate ai fini di ricerca, anche quando l’etnografo si è presentato come tale ai partecipanti della comunità virtuale. Esistono infatti dubbi circa la violazione della privacy dei soggetti interagenti.

    Alcuni suggerimenti di orientamento etico sono stati esposti da Sharf (1999) a seguito della sua osservazione, prima coperta e poi partecipante, in un forum di malati di tumore. Egli suggerisce innanzitutto di verificare se lo scopo della ricerca non sia in conflitto o possa nuocere con quello della comunità; dopo aver osservato il gruppo e aver individuato degli obiettivi conoscitivi, è importante presentarsi e dichiarare le finalità dello studio, chiedendo il consenso dei partecipanti quando si ha la necessità di citare le loro dichiarazioni nel rapporto di ricerca.

    Il problema della privacy è comunque ancora irrisolto in quanto non è ancora chiaro se le conversazioni che avvengono in forum, chat, e newsgroups aperti a tutti siano da considerarsi come spazi pubblici oppure di natura privata.

    4. Conclusione

    Per condurre una ricerca etnografica in una comunità virtuale è importante riflettere sulle implicazioni che comporta l’utilizzo di un metodo di ricerca in un ambiente creato attraverso comunicazione mediata dal computer.

    Fin dalla loro comparsa in Internet, le comunità nate e sviluppate online, hanno fatto sorgere alcuni dibattuti interrogativi, che, superate le utopie iniziali, hanno messo in risalto alcune delle loro importanti caratteristiche.

    Queste peculiarità hanno costituito una premessa rilevante per lo studioso impegnato ad adattare metodologie e tecniche di ricerca per l’analisi di questi ambienti virtuali.

    Nel presente contributo, abbiamo voluto riflettere sulle principali implicazioni metodologiche che comporta un’etnografia online.

    In particolare abbiamo osservato che svaniscano i confini del field e come invece il contesto sia da considerare multi-situato, rendendo necessaria un’etnografia mobile, sia online che offline. Inoltre, le comunità virtuali assumono sempre più la forma di reti: nasce quindi l’esigenza di studiare i legami e i nodi di quella che è la comunità, così come è percepita dai membri stessi che la compongono.

    Abbiamo inoltre eplorato come sia possibile condurre un’osservazione sia nascosta (tramite il lurking), che partecipante, ponendo l’attenzione sulla negoziazione dell’accesso.

    Infine abbiamo sottolineato le delicate questioni relative all’identità e alla privacy dei partecipanti ad un gruppo virtuale.

    E’ importante sottolineare, che molte delle questioni analizzate rimangono tutt’oggi aperte ed è forse anche per queste istanze in fase di definizione che una tecnologia della comunicazione come Internet è da molti considerata e denominata ancora una “nuova” tecnologia.


    NOTE

    1] Questo è un processo che stimola la comparsa di particolari strutture, definite come intelligenza collettiva (Levy, 1997) e intelligenza connettiva, da essa derivata, (DeKerckhove, 1993), generate dalla rete delle menti dei soggetti, che partecipano e danno forma alla comunità stessa.
    2] Questo metodo supera la dicotomia tra approccio qualitativo e quantitativo, proponendo un campionamento attraverso la social network analysis dei membri della comunità ed un’osservazione etnografica dei deiversi nodi.
    3] Dal verbo to lurk, rimanere nascosco, il lurker è una figura molto diffusa in rete e rappresenta colui che entra in una chat, un forum o un newsgroup, limitandosi a leggere i messaggi e le conversazioni online, ma senza parteciparvi.
    4] Ne sono esempi il blasonato studio della Baym (1997) su un Newgroup di fans di una soap opera, di cui anch’essa faceva parte, della Turkle (1995) e di Correll (1995).
    5] Esistono infatti delle comunità create proprio come “giochi di simulazione” (i cosiddetti MUD), in cui l’identità dei membri è volutamente messa in gioco.


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