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  • Analisi qualitativa e nuove tecnologie della comunicazione
    Massimiliano Di Massa (a cura di)

    M@gm@ vol.1 n.3 Luglio-Settembre 2003

    ELEMENTI PER UN'ETNOGRAFIA CRITICA DEL DIGITALE


    Flavio De Giovanni

    f.degiovanni@fastwebnet.it
    Laureato in Scienze della Comunicazione nel 1999, è dottorando di ricerca in 'Teoria e Ricerca Sociale' presso l'Università di Roma "La Sapienza", Dipartimento di Sociologia e Comunicazione.

    La mostra avrà inizio alle 19;00;00 ora locale. Mi presento in ritardo: dalle finestre dell'edificio filtrano luci intermittenti, l'happening deve essere già cominciato. L'edificio basso, esclusivamente un piano rialzato, è stato costruito per l'occasione e riproduce nello stile architettonico le abitazioni che sorgono di fronte. I pannelli delle pareti sono modulari e quindi facilmente articolabili. I mattoncini rossi contrastano con l'azzurro intenso del cielo e il verde del giardino che sto calpestando. Per entrare è necessario salire due scalini. Entro. Non troppe persone, ma la sala è organizzata: sulle pareti sono appesi i quadri, poco distanti le sculture. C'è anche un computer: un biglietto attaccato sul desk indica che può essere usato per avere informazioni sulle opere esposte. Gli interni sono in legno scuro e la sensazione è quella di entrare in una baita sulle montagne canadesi, stile Twin Peaks. Sulla parete di sinistra, completamente bianca, una scritta nera: Grand Opening of 'the Chaos' - a joint exhibition. Intorno alla scritta fiori di un viola molto kitsch. Ancora fiori negli angoli della struttura. In fondo a destra, l'unico oggetto di arredamento è un tavolo con una tovaglia bianca lunga fino al pavimento: sopra, direi, generi alimentari per un rinfresco, ma mi avvicino per vedere meglio. Sì, un rinfresco. Pasticcini, tartine e birra. Chiaramente birra. "Beer... We can't afford a champagne!". Mi volto. "I'm Bille, i'm the arranger of this... 'Chaos'. Are you the photoreporter?". Fa riferimento alla macchina fotografica che porto appesa al collo. "I'm a tourist", rispondo. "Yes, guess... Just looking at your dress code, my dear", replica. Indosso una camicia in stile hawaiiano, un paio di bermuda e un cappello di paglia largo. Sì, si vede da come sono vestito. "By the way, even if there's no champagne, enjoy yourself!". Mi saluta, si allontana e si avvicina ad altri. Comincia un discorso di ringraziamento per chi ha reso possibile l'organizzazione di questo evento e una breve descrizione delle opere esposte. Mi bevo una birra e esco a farmi un giro.

    ETNOGRAFIA DELLE OSSESSIONI

    Qui il termine ossessione è inteso in senso vincolante e congelante, come il desiderio letale che anziché produrre rinchiude l'alterità nella percezione distorta verso il sé, nel folle progetto dell'assimilazione, nell'incapacità dello sguardo differenziato e nella pietrificazione di uno sguardo dell'essere: ciò che vede l'occhio ossessionato da quest'ossessione è ciò che è e deve essere. Uno sguardo autoritario e assoggettante. Lo sguardo che getta nell'abisso dell'autorità singolare. Profezie, ossessioni profetiche e profezie dell'ossessione. Un termine: guru. Toffler, Negroponte, Gates, Bell, Masuda: solo alcuni.

    La linea di sviluppo legata alle nuove tecnologie viene tracciata lungo la convinzione che il possibile si dissolva nel futuro come già presente. Ancora più forte e più marcato del positivismo e del concetto di progresso: l'utopia è topos, in un vortice linguistico che riesce a costruire il presente come possibilità parlando delle possibilità del futuro. Medusa bicefala che pietrifica con il suo duplice sguardo rivolto all'identificazione del futuro. Tutta la retorica legata alla società dell'informazione si basa sulla strutturazione di una visione di rottura rispetto al passato recente, una rottura introdotta dall'innovazione tecnologica nel trattamento dell'informazione che viene assunta come elemento di significato fondamentale per la produzione sociale.

    In questo senso si tratta di una teoria molto 'moderna': costantemente la rottura si traduce linearmente nella visione di un futuro a portata di mano, talmente a portata che sembra già immobilizzato e congelato in un presente cieco, nell'idea di una società amorfica e tuttificata che necessita esclusivamente di essere edotta sulle potenzialità ancora inespresse. Il concetto d'informazione ne inchioda ogni istanza sperimentale nell'illusione magica che il solo evocarla costituisca la materializzazione delle utopie programmate: in realtà se l'evocazione dell'informazione fosse sperimentata in un senso filologico essa non si dissolverebbe nell'abisso del positivismo evolutivo.

    Ma questa evocazione è invece una costruzione, la costruzione di un'identità che congela l'informazione come moneta, come valore di risoluzione, come elemento di assimilazione. L'informazione è il futuro. Non importa il suo "che cosa", ma esclusivamente la sua velocità di scambio. L'informazione è conoscenza. Più conoscenza informatica aumenta la qualità del lavoro, aumenta il lavoro disponibile, aumenta la democrazia, diminuisce il pericolo di un potere centrale poiché aumenta la configurazione della rete negli scambi sociali, tralasciando l'importante osservazione che una rete è costruita di nodi e, per quanto possa essere orizzontale la sua distribuzione, questi nodi possono ingrandirsi fino a diventare luoghi in cui l'informazione rallenta. "In effetti non si tratta che del familiare schema evolutivo rintracciabile in buona parte della produzione sociologica dal XVIII secolo in poi.

    I cambiamenti attuali sono letti sulla base di un modello desunto da quelli passati, e secondo questo stesso modello sono concepiti anche gli sviluppi futuri" (Kumar 1995, p. 18). Le previsioni diventano oggetto delle politiche economiche statali e soggetto unico e unificante della società dell'informazione. Le previsioni possono essere vendute. Nuova categoria professionale, i professional prognosticators (si veda Mattelart 2001) vendono i loro scenari futuribili agli Stati e alle imprese con l'obiettivo di creare nei (futuri) consumatori il desiderio del futuro. Di quel futuro. La tensione e l'ossessione di dissolvere ogni soggetto nel tutto di un futuro reificato nel modello delle possibilità del presente. L'ossessione dell'identità evolutivo-progressista. [Strategie di non-identificazione, di negazione determinata nei linguaggi autenticamente evidenti e dissonanti dell'ironia: futurefeedforward.com è un giornale elettronico che scrive dal futuro, presentando notizie che riguardano i prossimi cento anni come se fossero accadute ieri...].

    L'altra ossessione vede nel futuro dell'illusione un'illusione del futuro resa drammaticamente attiva dalla perdita del reale. Questo è l'autentico cuore di tenebra delle teorie della simulazione. Qui i nomi sono ben lontani dalla terminologia del guru, viceversa sono nomi potentemente dominati dalla nostalgia di ciò che è stato rotto. Baudrillard, Virilio. Anche in questo caso, solo alcuni. La nostalgia ossessiva è quella che origina e ha origine. L'origine è sempre il punto di vista che comanda autoritariamente lo sguardo. Questo punto di vista, nel senso letterale del termine, è la realtà, cioè la percezione della realtà e come questa entri in confusione per effetto della percezione di una realtà mediata con sempre maggiori e più convincenti risultati.

    I risultati - e quindi la meta ripudiata dall'origine - si concentrano in una riproduzione sempre più fedele del reale, in una sua simulazione sempre più identica. Il punto di partenza è anche il punto d'arrivo poiché è l'unico punto di vista. La nostalgia è quella di una realtà originaria, unica; l'ossessione produce una realtà ri-unificata. Ogni rappresentazione è subordinata alla potenza autoritaria del suo oggetto che si rovescia in soggetto totalizzante, poiché non vi è oggetto all'infuori della realtà ma neanche un soggetto diverso, differente, dissonante. Reality rules. Per fare questo il pensiero si contorce, si osserva dalla nuca, annulla ogni molteplicità a favore di uno sguardo ciclopico-monologico. La previsione identifica sempre il futuro, ma lo identifica come futuro depredato, assassino inconsapevole della realtà e delle sue categorie kantiane aprioristicamente percepite e concepite - in questo senso è un pensiero sempre più 'occidentale' nella sua monologicità. "The Cassandra's vision of disappearing future mirrors Virilio's vision of the lost past. Virilio fears that we have lost space under the impact of acceleration in time, that space is now all past, and even time, at a certain imminent point, will reduce to an eternal present, the speed of light: a flat line on the monitors tending the terminal patient in simulation's intensive care ward" (Cubitt 2001, p. 144).

    Lo spazio dissolve la tensione fra dimensione individuale e dimensione sociale unificandole in un tutto ipostatizzato e amorfo. Il tempo è identicamente percepito come linea costante, non importa se verso un progresso o un regresso: la linea su quel monitor c'è e annuncia, nella sua piattezza, la morte del paziente numero uno della contemporaneità, cioè il reale, questo soggetto una volta puro e solo nel suo potere-guida e ora insidiato da assassini che portano la sua stessa faccia, indossano i suoi vestiti e si muovono come lui. Cambierà il monarca, non la monarchia. Eppure il monarca nuovo è identico al vecchio e questo fa del vecchio il vero e autentico potere dominante. Un falso movimento dialettico, il rischio dell'identico del non-identico.

    Altro teorico dell'omicidio, del delitto, caro alla terminologia della nostalgia, è Baudrillard. Un delitto perfetto perché compiuto, isotopico, identico: "Dunque, il delitto è nello stesso tempo un delitto contro il mondo reale, che diviene una funzione inutile; ma è in maniera più profonda e più radicale, un delitto perpetrato contro l'illusione del mondo, cioè contro la sua incertezza radicale, contro la sua dualità, il suo antagonismo - tutto ciò che fa sì che ci sia il destino, il conflitto, la morte" (Baudrillard 2000, p.59). Il soggetto di questo pensiero dovrebbe essere la teoria stessa di Baudrillard, non certo le realtà altre. Ciò che sconcerta è la capacità di inglobare ogni aspetto in un tutto che muore non certo per effetto delle realtà altre, ma per effetto delle sue stesse derive fagocitanti, del suo essere funzione di se stesso. Il delitto perfetto è un suicidio per autofagia. Il mondo duale di Baudrillard è quello che chiaramente definisce ciò che è e ciò che non è, un mondo in cui i soggetti sono delimitati e confinati, in cui perfino l'incertezza è, a dire il vero, una certezza, cioè l'illusione in quanto opposizione circoscritta e dipendente dal reale. Solo se concepito in maniera duale il mondo genera conflitto, destino (!) e perfino morte, attanagliato in un'immagine dialettica talmente sbiadita e ipostatizzata che l'unica nostalgia che attiva è quella per la dialettica negativa, una dialettica negativa tale, però, da imboccare la strada dissonante della trasfigurazione ed essere così in grado di sollecitare un'alterazione della dialettica stessa in quanto divenire altro. Un'alterità che rovesci le ossessioni dell'identico e dell'identificazione.

    TRASFIGURAZIONE CRITICA DELLA DIALETTICA
    (Cfr. sull'argomento un mio saggio dal titolo "linguaggi non identica" che sarà pubblicato sulla rivista 'Avatar' n.4, Meltemi Editori, in uscita a Settembre 2003.)

    Le tensioni che oppongono T. W. Adorno e W. Benjamin dischiudono l'ellisse che contiene le loro teorie come se ne fossero i due fuochi. La distanza fra questi due fuochi non può essere colmata né aumentata: essa va trasfigurata. Solo in questo modo possono esserne i colti i riferimenti che producono punti di vista moltiplicati e in continuo divenire dissonante-non armonico-non lineare per la sperimentazione di un'etnografia critica delle culture digitali.

    Queste tensioni si presentano, a chi le sa cogliere nel loro estraniamento, come una tavola imbandita per un affamato. Chi ha fame è la ricerca etnografica, fame di sfuggire ai dualismi che la costringono ad essere pro o contro, di sfuggire al corpo imbalsamato del reale che si presenta come simulazione e all'avvilimento della simulazione nell'assimilazione alla realtà. Fame d'alterità, soprattutto d'esperienze dell'alterità, nell'alterità.

    Uno degli elementi che attraversano la tensione è il linguaggio, nell'accezione più ampia che questo termine può raggiungere e sarebbe, quindi, meglio parlare di linguaggi, cioè di plurale e non di singolare. Ciò che Adorno coglie nelle composizioni atonali e dissonanti della musica di Schoenberg è ciò che egli stesso non percepisce (e anzi sentenzia come elemento magico, positivo, a-dialettico) nella scrittura di Benjamin e nella sua teoria dell'esperienza: Erlebnis, l'esperienza choccante, frammentata, distratta, accecante nella sua evidenza tanto da non potersi sedimentare nella coscienza del soggetto, si contrappone e distrugge Erfharung, l'esperienza mediata dalla tradizione.

    Per Adorno questo processo indica la dissoluzione del soggetto nella mera contemplatività, il suo istupidimento nella massa, la rinuncia al pensiero critico. Per Benjamin è il preludio di una forma liberata della percezione che accosta l'individuo all'ancora-una-volta e alla grazia dei bambini, in direzione di quella felicità non disciplinata che Adorno vede come promessa tradita dalla società amministrata. Eppure lo sguardo di Adorno sembra trasfigurarsi nell'elogio a Schoenberg, al suo comporre musica concreta, linguaggio del "che cosa" anziché del "come", linguaggio che trasfigura la tradizione rovesciandola nell'azione della non-identità, azione evidentemente pragmatica.

    Ciò che egli riesce a vedere nella musica, non riesce ad ascoltarlo nella scrittura. D'altro canto quello che tradisce Benjamin è la fiducia 'ascetica' nel "che cosa" e il suo spingerlo troppo in avanti fino a distenderlo in una dimensione lineare-metafisica di recupero del nome originario e divino delle cose. In questo senso egli ricompone un'identità proprio dove crea una frattura non-identica con la sua scrittura fatta di citazioni dissonanti. Sembrano, quindi, strutturarsi dei campi di forza che tirano e strattonano le opposizioni fra Adorno e Benjamin in direzioni multiple, liberando costellazioni di significati e strumenti linguistici ricchi di derive sperimentali. La tensione Adorno-Benjamin, così irrisolvibile, non cerca una sua soluzione o un suo superamento, ma una sua alterazione, una trasfigurazione nello scarto dalla dialettica verso l'alterità della superficie percettiva nell'esperienza dissonante.

    ETNOGRAFIA CRITICA DEGLI SCARTI DIGITALI

    Se si considera l'opposizione riflessiva fra reale e virtuale attraverso la rappresentazione dei linguaggi digitali e la si trasfigura nelle costellazioni dissonanti di Adorno e Benjamin, può essere colta una prospettiva multipla non progettuale che si frantuma sulla superficie della ricerca etnografica del digitale. Del digitale perché questa ricerca non può ignorare le istanze linguistiche al cui interno intende posizionare il suo sguardo moltiplicato e, quindi, deve farle proprie e non semplicemente attraversarle. Farle proprie vuol dire sperimentare una teoria dell'esperienza digitale che si opponga in termini critici nei confronti di ogni identificazione-ipostatizzazione-denominazione, sia sul piano linguistico che su quello propriamente etnografico.

    Un'esperienza che riesca a cogliere le linee spezzate e sanguinanti della superficie digitale, che si configuri come evidenza choccante della dissonanza nella sua trasfigurazione della dialettica dualistica reale-virtuale verso l'alterazione delle loro soggettività, l'emersione delle loro differenze. Solo chi ha uno sguardo viziato dalla profondità può non cogliere l'importanza della superficie. Il nome singolare del virtuale, variamente modificato nel corso della storia occidentale lungo uno spectrum che oscilla sulle semantiche della possibilità e dell'assenza (si veda Shields 2003), deve moltiplicarsi in nomi differenziati e scarti linguistici che dissolvano il suo rapporto feticistico con il reale per restituirlo come soggetto altro, come citazione trasfigurata, aperta e sanguinante: come le citazioni di Benjamin.

    Benjamin sosteneva di voler liberare le cose dalla loro schiavitù di essere utili. La ricerca deve liberare la simulazione dalla schiavitù di essere simulazione, dall'essere in funzione del reale e dalla sua misurazione e quantificazione in base alla fedeltà verso la realtà: liberarla dall'essere chiusa in un testo ordinato, scritto dalla realtà. Rovesciare la riflessività ossessiva che restituisce alla realtà nella riproducibilità simulata l'aura assolutizzante. In questo senso l'etnografia diventa critica, cioè attiva nella ricerca della non-identità trasfigurata nelle istanze dei linguaggi digitali.

    Un'etnografia che rinunci allo sguardo che ha origine, originario e originante e abbracci sguardi, suoni, odori, percezioni - esperienze non vincolate alla realtà o al virtuale, all'identità o all'identico del non-identico, ma esperienze liquide che scivolano sulla superficie alterata di questi dualismi dialettici. Un'etnografia dello scarto, inteso come movimento dissonante-evidente che altera e trasfigura l'esperienza della ricerca e la ricerca sull'esperienza. Se è vero, come sostiene Christine Hine, che "an ethnography of the Internet can look in detail the ways in which the technology is experienced in use" (2000, p. 4), un'etnografia critica, posizionata nel movimento, valuta le possibilità di esperienze differenti svincolate dalla logica della simulazione identica e identificata: "an ethnography of, in and through the Internet can be conceived of as an adaptive and wholeheartedly partial approach which draws on connection rather than location in defining its object" (p. 10).

    La connettività invece della localizzazione, la costellazione invece delle tassonomie, una dimensione che rifiuta l'abbaglio ipertestuale (si vedano in tal senso le ambiguità in Landow 1992) in quanto comprende che ogni strutturazione per quanto orizzontale o eterodiretta non è una costellazione con i suoi campi di forza e le sue tensioni accecanti e dissonanti.

    MONDI IDENTICI

    "Molte delle prime conferenze online e BBS sembrano essere scaturite dal bisogno di costruire un certo sentimento comunitario dopo il fallimento degli esperimenti controculturali nella realtà del mondo fisico" (Castells 2001, p. 61). "Un modo differente di considerare la realtà virtuale è riconoscere che negli ultimi decenni del ventesimo secolo la realtà si sta volatilizzando dietro ad uno schermo. (...) Non possiamo fermare la realtà virtuale, anche se scoprissimo che è la cosa migliore da fare. Ma potremmo essere in grado di indirizzarla, se cominciamo a rifletterci sopra a partire da ora" (Reinghold 1992, p. 19). Una comunità virtuale 3D è una comunità in internet che non basa i suoi linguaggi esclusivamente sulle pratiche testuali di scrittura ma struttura i suoi spazi in una rappresentazione grafica tridimensionale. L'effetto è simile a quello di un videogioco. Ogni individuo decide come rappresentarsi graficamente attraverso un avatar - termine che deriva dall'antico Hindu ed indica l'incarnazione di una divinità nel mondo materiale - oltre al consueto nickname. In comunità virtuali di questo genere, di solito, l'avatar lo si può scegliere fra una serie determinata di 'tipi', legati più o meno ad un certo e definito referente (...essere in grado di indirizzarla...).

    L'avatar interagisce con l'ambiente che gli è stato disegnato intorno, ma può anche modificarlo e produrlo. Io frequento Activeworlds dal 1999. Non essendomi iscritto, la frequento da turista. E' la comunità virtuale in cui pratico ricerca etnografica. L'esperienza fruibile in AW è complessa e si articola su diversi livelli teorici e pratici. Ciò che è chiaro è che il rapporto fra rappresentazione e realtà ne viene chiaramente viziato da uno sbilanciamento nei confronti del reale, nella produzione delle istanze percettive. Activeworlds è una serie di mondi identici, identici perché strutturano, disegnano esperienze sempre uguali, sentimenti comunitari che slittano sui codici di una riproduzione simulata della realtà, di una realtà che è o che si sarebbe voluta o che si vorrebbe. Non c'è scarto, né superficie. C'è solo un abisso che conduce rovinosamente al trono della realtà unificata in cui si dissolvono le già deboli categorie di off-line e on-line: si dissolvono nell'identità.

    L'alterità della differenza è lontana sia dal sentire che dall'esperire. Il "come" è l'unico linguaggio che si può esperire. Eppure io continuo la ricerca di una non-identità, di una dissonanza talmente evidente da strutturarsi come esperienza per un'etnografia critica del digitale. Mi hanno invitato a una mostra, un'esposizione di opere d'arte digitali: ho deciso di andare , per applicare il mio sguardo affamato di non-identità. E se anche dovessi trovare l'identico, continuerò altrove la mia ricerca diasporica di orme dissonanti nell'alterazione e trasfigurazione dei linguaggi digitali.


    BIBLIOGRAFIA

    Adorno, T. W., 1958, Dissonanzen, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht; trad. it., 1990, Dissonanze, Milano, Feltrinelli.
    Adorno, T. W., 1966, Negative Dialektik, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag; trad. it., 1975, Dialettica Negativa, Torino, Einaudi.
    Baudrillard, J., 2000, Mots de passe, Pouvert, Fayard; trad. it., 2002, Parole chiave, Roma, Armando.
    Benjamin, W., 1955 [1936], "Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit", in Schriften, Frankfurt am Main, Suhrkamp; trad. it., 1966, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi.
    Benjamin, W., 1966, Briefe, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag; trad. it., 1978, Lettere 1913 - 1940, Torino, Einaudi.
    Castells, M., 2001, Internet Galaxy, Oxford, Oxford University Press; trad. it., 2002, Galassia Internet, Milano, Feltrinelli.
    Cubitt, S., 2001, Simulation and Social Theory, London, Sage.
    Hine, C., 2000, Virtual Ethnography, London, Sage.
    Kumar, K., 1995, From Post-Industrial to Post-Modern Society. New Theories of the Contemporary World, Oxford (UK), Oxford University Press; tr. it., 2000, Le nuove teorie del mondo contemporaneo, Torino, Einaudi.
    Landow, G. P., 1992, Hypertext. The Convergence of Contemporary Critical Theory and Technology, Baltimore, The Johns Hopkins University Press; trad. it., 1993, Ipertesto. Il futuro della scrittura, Bologna, Baskerville.
    Mattelart, A., 2001, Histoire de la société de l'information, Paris, La Découverte; trad. it., 2002, Storia della società dell'informazione, Torino, Einaudi.
    Reinghold, H., 1992, Virtual Reality, New York, Touchstone Books; trad. it, 1993, La realtà virtuale, Bologna, Baskerville.
    Shields, R., 2003, The Virtual, London, Routledge.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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