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La vita, l’eccesso, l’autobiografia / A cura di Beatrice Barbalato / Vol.20 N.1 2022

Marisa Ombra: l’esperienza resistenziale come punto di partenza per la maturazione sociale e politica in prospettiva autobiografica

Aleksandra Janczarska

magma@analisiqualitativa.com

Aleksandra Janczarska è laureata in Studi Italiani presso l’Università di Varsavia, dove svolge anche attività didattica e studi di dottorato presso l’Istituto per la Comunicazione Specialistica ed Interculturale. Ha vissuto a Torino, dove ha lavorato come traduttrice ed interprete. Si è specializzata nella ricerca su opere di memorialistica femminile delle donne protagoniste della Resistenza Italiana e sul loro influsso nell’ottica dell’emancipazione femminile in Italia.

 

Abstract

L’analisi delle due opere autobiografiche di Marisa Ombra mette in risalto l’importanza della lotta antifascista e delle decisioni prese in giovane età dall’autrice nel quadro della crescita personale e dell’emancipazione individuale e collettiva delle donne dopo il 1945. Oltre che legati ad una particolarissima storia individuale, i temi trattati, sempre rapportati a fatti concreti e circostanziati, appaiono molto interessanti per individuare quei valori, come la libertà e la responsabilità, che hanno accompagnato le decisioni più importanti di tutte le donne che hanno scelto di dedicare, in parte o in toto, la loro vita al perseguimento di ideali politici o alla liberazione del proprio paese, assumendo così il ruolo di portatrici di cambiamento all’interno di tutta la società italiana.

 

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Pentesilea regina delle Amazzoni, 1892, New York Public Library.

Resistenza, memorialistica, femminismo, emancipazione, autobiografia

 

In questo lavoro si cercherà di evidenziare, secondo la prospettiva autobiografica offertaci dalla testimonianza di Marisa Ombra, il valore dell’esperienza resistenziale per la maturazione sociale e politica delle donne italiane. L’analisi si baserà sui suoi due testi autobiografici, cercando di definire il punto di vista dell’autrice riguardo al tema della crescita della consapevolezza antifascista e del bisogno di autorealizzazione individuale che la spinge ad intraprendere molte iniziative già in giovane età.

 

In effetti, il periodo della guerra di liberazione ha rappresentato una fase delicata per lo sviluppo sociale e culturale dell’Italia; tuttavia, solo recenti fonti e studi sulla intensa partecipazione delle donne ne hanno messo in luce una prospettiva finora inesplorata e sicuramente sottovalutata. D’altra parte, attraverso un’attenta analisi della memorialistica femminile e quindi delle considerazioni delle donne protagoniste, si è potuto rilevare un filo comune che unisce esperienze individuali anche molto diverse da loro, nell’ambito di un cambiamento che avrebbe presto riguardato l’intera tematica del ruolo della donna e dei diritti civili in tutto il paese.

 

In questo contesto, Marisa Ombra è una delle personalità femminili antifasciste con un’esperienza individuale ricca e complessa; partigiana in prima linea nelle Langhe, membro dei GDD (Gruppi di difesa delle donne), in seguito funzionaria del Partito Comunista e poi dell’Unione Donne Italiane. La fonte principale per questo tipo di studio, cioè la memorialistica, è costituita da opere a carattere autobiografico che, secondo un taglio tipicamente femminile, privilegiano spesso il racconto di vicende ed emozioni intime e quotidiane, piuttosto che di gloriosi e altisonanti avvenimenti da tramandare al prossimo per manifestare, elogiare e celebrare le proprie gesta eroiche (tratto frequente invece nella memorialistica maschile).

 

Seppure nella loro diversità di concezione e di stile, questa caratteristica è a nostro parere pienamente rispettata anche dalle due opere autobiografiche di Marisa Ombra La bella politica Famiglia operaia. La resistenza, “Noi donne”, il femminismo e Libere sempre. Una ragazza della Resistenza a una ragazza di oggi. Sono queste le due testimonianze che l’autrice ci ha lasciato, dense di fatti, emozioni, considerazioni, di messaggi da trasmettere alle nuove generazioni.

 

Nella memorialistica femminile resistenziale, il tema della narrazione di sé trova il suo punto di debolezza, nonché allo stesso tempo di forza, poiché dalle opere che ne sono scaturite emerge una prospettiva radicalmente diversa sui vari temi intrecciatisi con le vicende storiche ed autobiografiche vissute dalle protagoniste. Al ricordo delle proprie imprese, traspaiono spesso riflessioni nelle quali sembra riecheggiare una sorta di intima giustificazione, sulle note di una voce interiore che afferma «l’ho fatto perché si doveva». Le autrici non sottolineano quasi il proprio coraggio e la propria eccezionalità.

 

Allo stesso modo, i racconti delle protagoniste femminili sono molto meno incentrati sui dettagli delle azioni militari, sulle operazioni, sui fatti di battaglia. Le donne dedicano più spazio alla solidarietà, alla collettività e ai sentimenti. Ciò viene rilevato anche dalla stessa Marisa Ombra, che qui così si esprime durante un intervento del 23 Aprile 2009: «E mi sono resa conto, facendomi questa domanda – e qui arrivo a quello che diceva Anna Bravo –, che la memoria mia era completamente diversa dalla memoria dei partigiani che avevo ascoltato fino ad allora, per i quali la memoria era: ‘il giorno tale a Bossolasco ci fu questa azione, successe questo, successe quest’altro’. Io non avevo registrato niente di questo genere. Alcune mie paure avevo registrato, i miei discorsi con Trottolina6. Ecco: tutta un’altra memoria della Resistenza. Ed allora, quindi, evidentemente, c’è un problema di memoria differente. Perché? Perché noi donne registriamo alcune cose e gli uomini ne registrano altre? Non lo so. È un problema al quale io non so dare risposta, però registro di nuovo questo fatto».

 

Questa citazione è la trascrizione dell’intervento di Marisa Ombra durante il dibattito svolto nell’ambito del ciclo di appuntamenti Le stagioni della memoria. Resistenze e politica nella scrittura delle donne, del 23 aprile 2009.

 

Spesso, la definizione degli elementi caratteristici della memorialistica partigiana è passata anche tramite il filtro dei valori culturali del dopoguerra e dei filoni di interpretazione della Resistenza, privilegiando ancora una volta la narrazione maschile e le testimonianze maschili. A questo proposito, spiega Marisa Teresa Sega nell’articolo Passaggi di memoria. Le donne, la Resistenza, la storia: «Ciò che poteva essere giustificato dall’eccezionalità della guerra, l’azione combattente accanto ai partigiani nelle brigate, viene occultato, nel clima di ritorno ai valori tradizionali del dopoguerra, come sconveniente, tacendo così gli aspetti più radicalmente innovativi di quell’esperienza. […] Ciò che invece era coerente col ruolo femminile, come la cura, viene svalutato come gesto ‘normale’, non degno di essere raccontato» (Sega M. T. 2005).

 

Tale contesto appare importante anche nella comprensione del primo testo di Marisa Ombra, La bella politica Famiglia operaia. La resistenza, “Noi donne”, il femminismo (2009).

 

Questa opera autobiografica, che tratta il periodo dagli anni Venti fino agli anni Novanta esce in pubblicazione presso la casa editrice Seb solo nel 2009, grazie alla collaborazione con Ilaria Scalmani, sociologa, che assiste l’autrice nel lavoro di ricomposizione delle memorie; uno sforzo, questo, che, come viene accennato nella nota al testo, Marisa Ombra era stata reticente a compiere per una intrinseca timidezza «troppo esibizionismo per come lei è» (Ibid.: 111).

 

Il ruolo dell’interlocutore / moderatore, come sottolinea Marisa Ombra, deve essere stato fondamentale per ottenere la massima precisione e franchezza nella stesura del racconto e per evitare «forse qualche involontaria falsa memoria» (Ibid.: 110). Si ha a che fare quindi con una considerazione significativa che dimostra la consapevolezza di un’eventualità difficile da aggirare per qualsiasi scrittore intenzionato a raccontare i fatti della propria vita. Da questo genere di confronto con tale interlocutore / moderatore si sviluppa frequentemente ogni ragionamento sulla necessità e sull’opportunità di una narrazione femminile (autobiografica o no) che possa essere in qualche modo ‘interessante’ e ‘giustificata’. Aggettivi, questi, che non erano invece quasi mai messi in discussione, per definizione, quando applicati alla memorialistica maschile.

 

La prima parte del libro è dedicata ad una descrizione molto dettagliata dei luoghi d’origine, delle esperienze di infanzia e delle condizioni di vita della famiglia di Marisa Ombra prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Allo scopo di comprendere le scelte politiche e personali di Marisa Ombra, non occorre trascurare né sottovalutare l’influenza dell’ambiente familiare in cui cresce. La stessa autrice sembra confrontarsi con questa sorta di domanda identitaria in modo molto profondo. Nel testo traspare un intimo attaccamento a quelle esperienze pregresse e a quella lingua relazionale che si instaura nel rapporto madre-figlia, che sembra portarci ad un riferimento piuttosto esplicito a quella che è conosciuta in filosofia ed in psicanalisi come la teoria dell’ordine simbolico della madre. Quasi sicuramente, tale parallelo con la teoria di Luisa Muraro non è espressamente cercato dall’autrice, seppure se ne percepisca l’impatto. Più volte, tramite la narrazione spontanea, viene sottolineata la straordinaria importanza e il senso di appartenenza dell’autrice alla catena genealogica (generativa, per usare un termine più tecnico) della madre e della nonna, proprio in quanto donne.

 

Nel caso di Marisa Ombra la catena di relazioni fondative che è soprattutto femminile, ha un punto focale di riferimento nella nonna paterna, la quale svolge un ruolo fondamentale nella formazione dell’autrice e di sua sorella. Si tratta di una donna forte e trasgressiva per l’epoca in cui vive. Sarà infatti lei ad accogliere senza problemi la madre di Marisa Ombra rimasta incinta prima del matrimonio, cosa non facile a farsi nel contesto di quei primi anni Venti. A margine, è doveroso precisare che la stessa catena generazionale figlia-madre-nonna si ritrova spesso anche nelle testimonianze di altre donne protagoniste della Resistenza. Tuttavia, è la stessa Marisa Ombra a contestare un’interpretazione troppo rigida di questo principio, quando dice: «Trovai un ostacolo per me non superabile nell’affermazione che solo la gratitudine verso la madre può dare a una donna l’autentico senso di sé. Mi respinse il senso totalizzante del principio che escludeva ogni altra influenza sulla formazione della persona donna e sulla sua identità […]. Non riuscivo a tagliare niente. Mi sembrava chiaro che tutto – l’ambiente, sociale e familiare, la storia personale, il primo libro che papà mi aveva messo in mano, la dolcezza e il coraggio della mamma e della nonna – avesse concorso a fare di me quella che ero, nel bene e nel male» (Ibid.: 20).

 

Consapevole delle proprie origini e dei propri legami con esse, sia a livello affettivo, che concreto ed anche simbolico, la giovane Marisa Ombra è dunque già estremamente matura quando, interrogandosi sulla propria identità, capisce l’importanza e la complessità di questo background, che anche in futuro si sarebbe rivelato significativo, conferendole gli strumenti raffinati per interpretare nuove scelte e nuove situazioni nel tentativo di spendersi per una nobile causa e di realizzarsi come persona. L’autrice stessa ripercorre, nel testo, con un certo senso logico, quelli che furono gli elementi costitutivi, anche a livello aggregativo e simbolico, del suo ambiente famigliare. L’autrice nasce ad Asti nel 1925 in una famiglia operaia povera e numerosa. Sua madre per molti anni lavora in una filanda (in quell’epoca occupazione tipica delle donne del Nord Italia), mentre suo padre è assunto prima come tornitore, poi collaudatore presso la Way Assauto, la fabbrica più grande della zona, che si occupava della produzione di componenti per l’industria meccanica ed automobilistica. Gli zii Gigi e Celso, con cui la famiglia condivide la casa, lavorano rispettivamente in fonderia e in ferriera. Per i tre fratelli, ma anche più estesamente per tutta la generazione, il lavoro è il perno intorno al quale si concentra tutta la loro esistenza. Appartengono a quel sostrato metalmeccanico e tecnico che ha reso il Piemonte dell’epoca la regione più industrializzata d’Italia e terreno fertile per la fondazione della FIAT. Permane una dedizione alla tecnica notevole, dove è importante osservare, studiare, cercare di perfezionarsi; mentre la fabbrica vera e propria, d’altra parte, è spesso considerata un luogo di cui si fa parte, ma che spreme il lavoratore fino in fondo e lo lascia senza la minima considerazione quando questo diventi ormai inutile alle finalità produttive.

 

L’infanzia e l’adolescenza dell’autrice scorrono felicemente, tra i libri e la musica fino alla morte della nonna, che provoca una sofferenza incolmabile, tramutata successivamente in anoressia, una malattia allora poco conosciuta per la quale non esistevano cure. Tale male interiore viene in sconfitto – in modo non del tutto clinicamente giustificato, come si direbbe oggi – nel momento in cui suo padre le affida un compito rischioso, ma anche emozionante, in una sera invernale del 1942-43. La giovane ragazza, dunque, inizia così la sua attività clandestina contro il ‘fascismo’. Nel racconto, in verità, l’autrice confessa al lettore che non si rendesse conto del significato di tale parola: «più che altro odiavo le adunate, la stupidità dei riti […] i sabati fascisti […] mi era antipatica la divisa da piccola italiana […] non mi piacevano le divise nere degli adulti […] né la faccia quadrata di Mussolini rivolta all’insù [...]» (Ibid.: 23). Comincerà invece a capire di più, elaborando un antifascismo più consapevole e maturo, proprio quando riceverà dal padre la macchina da scrivere che servirà per la produzione dei volantini contro la guerra.

 

La scelta della mobilitazione sociale o politica, nel contesto della Resistenza, è un momento di assoluta importanza per capire le tante storie di donne che si sono trovate a prendere quel tipo di decisioni (che assumevano, a quei tempi, svariate sfaccettature, secondo il ruolo e i compiti che si sarebbero andati a ricoprire). Ad una attenta lettura di svariate testimonianze di questa ‘altra memoria’ della Resistenza, cioè di quella femminile, si possono identificare a grandi linee tre elementi di spinta verso la mobilitazione: la necessità di scegliere un campo nella guerra civile, di schierarsi; la necessità di combattere il nemico tedesco; per i comunisti e le comuniste, la guerra di classe e dunque l’opportunità di autodefinire una nuova società.

 

Proprio in un arco temporale dove tutto cambia, la mobilitazione femminile, pur contenendo tante motivazioni diverse, si esprime anche come estensione del terzo elemento, cioè viene mossa e potenziata dalla visione di un cambiamento sociale epocale, dove le donne, sfruttando un’occasione quasi irripetibile, finiscono per uscire finalmente dagli schemi prefissati di una società patriarcale e focalizzata sulle gesta e sugli onori degli uomini. Tale momento di decisione, su cui non molti studi si soffermano, per la verità, è di fatto cruciale per capirne la valenza emancipatrice. Sono decisioni, a tutti gli effetti, estreme per le conseguenze che potranno avere sulla vita di chi le intraprende. Marisa Ombra ne è un esempio e lo racconta in prima persona: avendo deciso di arruolarsi partigiana nelle Langhe, si trova a motivare tale iniziativa davanti al comandante di distaccamento della 16a brigata Garibaldi, Benvenuto Santus, nel momento in cui le viene chiesto se preferisse il lavoro politico o militare. Da quel momento, Marisa Ombra comprende che la sua vita non sarebbe mai stata più uguale a prima, poiché sarebbe cambiata per sempre. Il ricordo di quell’incontro è limpido e le considerazioni sono chiare e tranchant: «Per la prima volta prendevo decisioni importanti, assumevo responsabilità personali impensate fino a quel momento, e me le assumevo da sola, senza il sostegno e il consiglio di famigliari. Improvvisamente ero adulta e responsabile di me stessa. Questo sentimento si accompagnava a una sensazione di straordinaria libertà» (Ibid.: 29). In tale interpretazione, dunque, leggiamo la cifra, del valore della ‘responsabilità’ e di quello della ‘libertà’ come ce la presenta l’autrice Marisa Ombra, la quale, ricordando la conversazione con Benvenuto Santus, racconta che la cosa più importante rimastale impressa nella memoria fosse proprio la sensazione di libertà e un forte senso di responsabilità: «Libertà e responsabilità sono stati i sentimenti più forti che mi hanno accompagnato lungo tutto il periodo delle Resistenza» (Ibid.: 30).

 

Da Marisa a Lilia

 

Dal punto di vista interpretativo, ai fini di questo studio, appare chiaro il momento di rottura con le sicurezze dell’ambito famigliare ed infantile, con cui ogni persona combatte, in fondo, nel proprio periodo di crescita e durante l’adolescenza. Con la differenza, qui, che si trattava di un passaggio ancora più particolare in quanto veniva messa in primo piano la capacità decisionale di una donna adulta e responsabile. Si tratta di un significativo momento di transizione, contrassegnato come ogni crescita da un qualcosa che si perde per essere in qualche modo conquistato, da sicurezze che si lasciano alle spalle per acquistarne delle nuove.

 

Nel testo La bella politica Famiglia operaia. La resistenza, “Noi donne”, il femminismo si percepisce molto chiaramente, dunque, con quali emozioni e quali sensazioni emergano, dal punto di vista autobiografico, i tratti distintivi della coscienza antifascista, che avrebbe portato Marisa Ombra verso un lungo percorso di attività e di militanza. Il suo impegno nella lotta contro il fascismo si dividerà infatti sostanzialmente tra il lavoro politico e quello militare. Il primo consiste nella consapevolizzazione delle donne sulla condizione in cui si trova il paese. È un compito di divulgazione e di educazione di un immenso valore sociale e al quale Marisa Ombra si avvicina aderendo ai Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà. Come numerose altre partigiane, non approva il nome conferito all’associazione, in quanto esso non dava giusta importanza al lavoro e al ruolo delle donne, spesso sottovalutate, proprio in questa sede, nelle loro fattuali capacità.

 

D’altra parte, Marisa Ombra è convinta che il programma dei GDD contenga, in buona sostanza, i punti cruciali dell’emancipazione femminile, tra cui il diritto al voto e l’accesso a tutte le professioni con un solo criterio di scelta, cioè il merito. Capisce da subito che non può perdere l’occasione di contribuire alle attività dell’associazione, nella prospettiva di compiere un passo fondamentale verso l’emancipazione.

 

Riguardo alla sua militanza nei GDD, Marisa Ombra descrive in poche, ma precise parole la condizione femminile prima della Resistenza. È un commento essenziale per rendersi conto dell’importanza della mobilizzazione politica e sociale delle donne avvenuta in quel periodo. L’autrice scrive così: «Fino ad allora, la vita per le donne cominciava e finiva dentro una casa. Oltre i muri della casa esistevano la chiesa, le visite ai parenti, lo scambio con le vicine. Gli argomenti giravano per lo più intorno alle malattie dei bambini, le ricette di cucina, i fatti del vicinato» (Ibid.: 32). Grazie all’operato dei GDD, il quale induce numerose donne ad interessarsi alle problematiche politiche e sociali, il processo di emancipazione, seppure in modo magari indiretto e ponderato, si sviluppa e progredisce. L’autrice definisce per i suddetti motivi i Gruppi di difesa delle donne «la rottura della tradizione e una grande scuola di addestramento alla politica» (Ibid.: 31).

 

Per quanto riguarda invece l’attività operativa, Marisa Ombra fa la staffetta sotto il nome di battaglia Lilia. È un compito molto rischioso per lo svolgimento del quale sono richieste mente lucida, prontezza di riflessi e capacità decisionale. Si vivono sensazioni vivide e forti. Evocando quei tempi, l’autrice esprime alcuni commenti particolarmente interessanti e significativi al riguardo: «[...] noi ragazze per la prima volta stavamo misurando e scoprendo le nostre vere possibilità e capacità e scoprivamo che, nella sfida con i ragazzi, noi non eravamo da meno» (Ibid.: 43).

 

Tali parole dell’autrice mettono nuovamente in rilievo l’importanza della Resistenza per l’acquisizione dell’autoconsapevolezza femminile. E sicuramente già il contesto che le donne sperimentano vivendo nelle bande partigiane, trovandosi ad operare in mezzo ai ragazzi per la prima volta, è una circostanza insolita. Per questo motivo, infatti non mancano sospetti, visto che, «[...] mai prima di allora il rapporto uomo - donna era stato concepito in termini differenti dal rapporto amoroso, sessuale o famigliare» (Ibid.: 49).

 

È doveroso sottolineare che grazie alle attività compiute insieme ai partigiani uomini, le donne cominciano a modificare la propria visione di sé, e forse per la prima volta su così larga scala si rendono conto di possedere le stesse abilità fino ad allora considerate proprie del sesso maschile. Si ha a che fare con una scoperta fondamentale. Grazie alle esperienze sul campo, i modelli astratti di femminismo si trasformano in una spinta per la definizione di un nuovo sé; essi sono per la prima volta sperimentati dalle donne nel loro cammino di emancipazione.

 

Coprendo le testimonianze di Marisa Ombra un periodo di svariati decenni, l’autrice sofferma la sua attenzione anche sul periodo post-resistenziale, quindi, in primis, sul periodo della liberazione e degli anni seguenti. In questo momento storico, dominano entusiasmo ma anche l’incognita del futuro di un paese da riorganizzare politicamente e non solo. Per le donne, anche, le sensazioni sono miste e controverse: «Finiva, per noi ragazze, la trasgressione. L’idea di un ritorno indietro rispetto alla libertà che ci eravamo prese non ci sfiorava neppure» (Ibid.: 47).

 

Il nuovo che si è sperimentato, vissuto, creato, seppure in via trasgressiva, non tornerà più indietro, non sarà mai più fermato: modelli e processi nuovi, insieme ad una nuova consapevolezza, sono ormai nati insieme a tutte le donne partecipanti che li avevano condivisi. L’impulso all’emancipazione è irreversibile, mentre il percorso ancora da tracciare. Marisa Ombra darà il proprio contributo diretto continuando ad esempio la sua battaglia per l’emancipazione e la parità dei sessi, aderendo al partito comunista e successivamente all’UDI.

 

Le donne e le partigiane, maggiormente sicure di sé rispetto ad un tempo, vanno dunque a colmare, con la loro ‘spavalderia’, quelle situazioni di discontinuità, di vuoto, di inespresso potere che sovente si sono create subito dopo il 1945. Lo fanno con maggiore responsabilità e con maggiore esperienza di vita rispetto a prima, avendo potuto vivere in prima persona tante vicende di guerra o di lotta che hanno ora interiorizzato. Lo stesso riguarda la consapevolezza sulla loro stessa esistenza e su quel ruolo che alla fine sono riuscite a svolgere, al pari o anche meglio degli uomini.

 

Le donne si sono sia confrontate con i loro colleghi uomini, che con loro stesse e con i propri stereotipi, modelli, problemi. Si sono conosciute personalità diverse, si sono consolidate relazioni femminili multilaterali che resteranno, per lasciare il segno nello sviluppo sociale e politico della comunità, del piccolo paese, della propria regione e del paese intero. Nuovamente, ci si trova di fronte ad una rottura con il passato, sostenuta da uno slancio verso un futuro certamente non meno difficile, ma che viene affrontato con strumenti ‘mentali’ rafforzati.

 

Libere sempre o dell’anticelebrazione

 

Il secondo libro a carattere autobiografico di Marisa Ombra, Libere sempre, è un testo pubblicato nel 2012, che allo stesso modo è pervaso da quei valori che così tante volte furono condivisi durante l’esperienza delle donne della Resistenza. L’opera è redatta sotto forma di una lettera divisa in 23 capitoli, indirizzata ad una ragazza di 14 anni, conosciuta in un parco. Si tratta di un simpatico e non casuale stratagemma dell’autrice che ci rimanda ad un riferimento autobiografico molto importante. L’età della ragazza destinataria della storia non è casuale, poiché proprio quando Marisa Ombra aveva compiuto 14 anni, era infatti morta sua nonna e questa tragedia personale aveva dato inizio alla sua anoressia (Ombra M. 2012: 10).

 

Lo stile di narrazione è sobrio, estremamente semplice, ma elegante e concreto. Nello sviluppo del racconto, le vicende della sua vita si intrecciano con riflessioni più generali, non meno interessanti, sulla condizione delle donne oggi, in un’opera che è al tempo stesso narrazione e trasmissione generazionale di valori, forte di una prospettiva molto attenta e molto critica nei confronti dell’attualità. La preziosità di questa trasmissione di valori è data anche dall’incredibile tatto e dalla delicatezza con cui vengono spiegate e concretizzate anche le tematiche più complesse. Si ritrova, in questo stile, tutta la sensibilità d’animo e la dolcezza che contraddistingue una figura di grande calibro come quella di Marisa Ombra, ma, nuovamente, senza moralismi e senza velleità autocelebrative.

 

La narratrice-autrice racconta infatti alla giovane ragazza le sue esperienze e la battaglia condotta per l’emancipazione femminile, ma partendo sempre da contesti e problemi reali, affrontati in prima persona. Spiega: «Per capire la nostra amarezza bisogna tornare a cosa ci aspettavamo» (Ibid.: 29). Successivamente confessa: «Non immaginavo allora, a diciassette anni, che la decisione di entrare nella lotta antifascista clandestina e poi nella Resistenza avrebbe guarito non solo la mia anoressia, ma molti altri problemi che stavano agitando la mia adolescenza. Per esempio, il come e il chi volessi essere» (Ibid.: 31). Il richiamo all’anoressia, l’ammissione del problema e della sua non conoscenza della soluzione di quest’ultimo sono sincere condivisioni di momenti e stati d’animo irripetibili, ma fondamentali per la propria crescita individuale; e ci pare proprio che questi valori siano in fondo il messaggio che l’autrice, in età ormai avanzata, desidera trasmettere alla giovane ragazza.

 

Alla domanda, che sorge spontanea al lettore, di come mai tutto ciò sia iniziato (nel senso dell’impegno antifascista), l’autrice risponde così: «Non potevo essere indifferente, starne fuori. Dovevo fare qualcosa» (Ibid.: 32). Un atto dovuto perché quello era il suo presente, la sua giovinezza, il suo qui ed ora, cosa troppo importante da trascurare. Ma per cui agire richiede una grande dose di coraggio. Anche nel caso di Libere Sempre, quindi, il concetto di un nuovo inizio, di maturazione è fortemente collegato alla decisione di partecipare alla Resistenza.

 

Nel quadro di un’emancipazione vera e significativa, secondo Marisa Ombra, la crescita femminile va interiorizzata e le libertà vanno conosciute e comprese. Nel libro l’autrice esprime una preoccupazione per come ‘l’essere donna’ viene vissuto ai tempi moderni: si sente perplessa notando che, per tante ragazze di oggi, ‘la libertà’ è considerata solo nei suoi aspetti più materiali, come libertà del corpo, libertà di immagine. La narratrice più volte, invece, incita ad una riscoperta più profonda e più intima di questo concetto. Ciò è fortemente collegato con le aspettative delle libertà femminili e con l’emancipazione delle donne. L’emancipazione deve essere quindi una positiva crescita soprattutto individuale, soddisfacente per la singola donna, che afferma da una parte una rottura nei confronti del passato, ma cerca dall’altra di ritrovarsi in quelli che sono i valori primordiali e relazionali vissuti fin da piccola. Si tratta di una interiorizzazione consapevole del cambiamento: tornando anche al tema della famiglia, delle proprie origini e del proprio contesto educativo, c’è anche in questo libro un altro importante riferimento ai valori che l’autrice ha riscoperto durante le sue numerose esperienze. L’autrice si appropria, durante la sua vita adulta di antifascista, di quei valori di uguaglianza che le erano stati impartiti nella sua educazione domestica.

 

Le stesse decisioni individuali di molte delle leader della sinistra italiana, in fatto di matrimonio e relazioni private con i propri mariti o compagni, si collocano in un contesto del tutto nuovo, dove la donna sceglie e dà priorità al vivere una vita senza costrizioni, perseguendo ideali politici e di realizzazione individuale al di fuori dei riduttivi schemi di limitazione della figura femminile. Le relazioni interpersonali e di coppia si devono basare su altro che non su visioni sociali imposte, se il matrimonio deve esistere, deve essere un atto d’amore e non una convenzione sociale. Su questa linea, l’autrice-narratrice tenta di spiegare alla giovane interlocutrice l’importanza di come si sia arrivati a tale pensiero e con quali fatiche e con quali stereotipi si siano dovute misurare le donne che lo hanno applicato.

 

Si tratta quindi di un cambiamento che va iniziato, con coraggio, dal basso, da atti concreti, che tiene presenti le prerogative più sincere e più profonde dell’animo di ciascuna donna, poiché solo di ciascuna di esse può essere la decisione. Si tratta quindi di una visione adulta, che vada al di là di visioni troppo semplicistiche del bene e del male, della morale facile, dei doveri costituiti.

 

Alcuni degli elementi di cambiamento percepiti dalla narratrice e che trovano un’esposizione propria nel testo sono quelli che hanno segnato il passaggio di generazione e l’evoluzione del costume nella seconda metà del Novecento in Italia. Gradualmente, iniziano ad essere possibili rapporti di amicizia tra persone di sesso differente, superando alcune limitazioni preesistenti (si pensi alle donne partigiane che dovevano condividere momenti di quotidianità e di emozione con i colleghi maschi, senza per questo esserne mogli o amanti o fidanzate, ma semplici compagne o amiche). Si indaga quindi su un legame tra uomo e donna che è più sfumato e più strutturato, più inclusivo, rispetto a quello che esisteva in precedenza, per cui all’epoca era proibito o malvisto, per le donne, intrattenere rapporti e conversazioni con uomini senza essere a loro legate o ‘promesse’.

 

Similmente, si menziona l’evidente cambiamento dei rapporti amorosi, che faticosamente, a partire dagli anni Sessanta, evolvono al di là degli schemi matrimoniali oppure, anche all’interno dell’istituto del matrimonio, cominciano a tenere in conto con più lucidità il principio dell’uguaglianza tra i due coniugi, grazie ai cambiamenti della giurisprudenza italiana. Questi cambiamenti di costume non sarebbero stati possibili se dietro di essi non ci fossero stati casi concreti, quindi donne, che scelsero di ‘dire di no’, di andare coraggiosamente contro l’ordine costituito.

 

Riallacciandosi ad alcune tematiche molte attuali, in una originalissima reinterpretazione, Marisa Ombra mette in questione la valenza dei ‘miti’ della sua generazione e delle nuove generazioni. Ai tempi dell’autrice esistevano molti miti forti, quelli ‘capaci di evocare ideali assoluti’, o comunque di rappresentare modelli e sogni, a volte pure impersonati da personaggi politici e carismatici (riferimenti a Mao, Che Guevara, Stalin, ma anche Coppi e Bartali). Per inteso, è risaputo che alcuni di questi miti si sono portati dietro profonde derive e gravi conseguenze, generando riflessione, dibattito, delusione, critica. Oggi, nonostante il loro fascino si sia per forza di cose ridimensionato (le giovani generazioni in generale sono più diffidenti verso gli ideali teorici e politici), il mito del corpo e dell’apparenza sembrano dilaganti e pongono in essere numerose questioni, che riguardano le donne in prima persona. L’ideale del corpo ‘come involucro’ intrappola ancora troppo, secondo l’autrice, le stesse donne in una visione altamente controproducente, riduttiva e non rispettosa delle conquiste segnate dall’emancipazione femminile.

 

Il tema, chiaramente è attualissimo e le sue implicazioni profonde: fino a quando, nel discorso collettivo, negli stereotipi culturali, nei mezzi di comunicazione, sui social network sarà riposta una morbosa attenzione verso l’apparire, senza pensieri e senza riflessioni, soprattutto le donne ne saranno prigioniere, portando avanti un’immagine della femminilità non ‘libera’ e non autentica, in totale controtendenza con gli stessi principi che hanno reso possibile questi mutamenti. Lo sguardo verso il futuro non può quindi ignorare che, anche oggi, il portare avanti una battaglia per le libertà comporti necessariamente la responsabilità attiva delle donne, che vada al di là degli slogan femministi e che spinga sempre ad una sincera introspezione su che cosa significhi la vera libertà e su come si sia ad essa faticosamente arrivati in alcuni decenni.

 

Anche in Libere Sempre, quindi, si pone l’accento sul bisogno di interiorizzare l’esperienza individuale dei valori e del confronto con il mondo esterno, prima ancora di arrivare a celebrare battaglie e movimenti che mirino ai concetti di emancipazione e progresso. L’opera, che per sua natura è un dialogo generazionale e meno ‘memorialistica’ rispetto a La bella politica, è ugualmente significativa per l’identificazione dei valori chiave originatisi nel periodo resistenziale, che sono poi, in particolare, quelli che hanno fatto crescere la ‘ragazza della Resistenza’ (per usare le parole, semplici ma incisive, contenute nel sottotitolo del libro).

 

Per terminare

 

Per terminare, volendo arrivare a sintetizzare al massimo grado il tema chiave che traspare come forse il più importante nella testimonianza di Marisa Ombra, riteniamo che il valore più importante scoperto e acquisito dalle donne nel periodo resistenziale sia stato il valore della responsabilità, che riassume un po’ tutti i valori con cui le donne si sono confrontate nel corso del primo Novecento e durante le due guerre.

 

Nella guerra di liberazione, in particolare, l’aver dato per la prima volta responsabilità alle donne e, da parte loro, l’aver accettato questa responsabilità provocano un cambiamento con effetti multipli sulla vita sociale e personale delle donne. La politica, lo studio, la definizione e il perseguimento della libertà o di altri obiettivi si pongono in realtà tutti in strettissima correlazione con il tema della responsabilità, che è il vero grande tema dell’emancipazione femminile in quegli anni. Nell’opera Libere sempre, questo valore si proietta verso il futuro, auspicando che le generazioni di oggi, con la stessa audacia, ne sappiano cogliere e trasmettere la complessità e la bellezza. Come scrive Monica Lanfranco, giornalista, in un suo articolo di commemorazione in onore di Marisa Ombra «La bella politica e la libertà prima di tutto, connessa inestricabilmente con la responsabilità, individuale e collettiva, sono stati i due concetti che hanno accompagnato il lungo lavoro di Marisa Ombra» (Lafranco M. 19 dicembre 2019).

 

Bibliografia

 

Bravo, Anna 2002, Donne e uomini nelle guerre mondiali, Torino, Gius. Laterza & Figli Spa.

- 2000, «Maternage, resistenza civile, politica», in (a cura di) Gagliani, Daniella; Guerra, EldaMariani, Laura; Tarozzi, Fiorenza, Donne guerra politica. Esperienze e memorie della Resistenza, Bologna, CLUEB.

Lanfranco,Monica 2019, «Ombra, ovvero la libertà sopra ogni cosa», in Il fatto quotidiano, 19 dicembre 2019.

Muraro, Luisa 2006, L’ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti.

Ombra, Marisa 2009, La bella politica, “Noi donne”, il femminismo, Torino, Edizioni SEB27.

- Libere sempre 2012, Torino, Einaudi.

Orlandini, Laura 2018,«Per una storia della partecipazione femminile: i Gruppi di Difesa della Donna», in L’Italia delle donne. Settant’anni di lotte e di conquiste, (a cura di) Fondazione Nilde Iotti, Roma, Donzelli Editore.

Saraceno, Chiara 2008, «Le donne dalla battaglia per il voto alla ‘tutela’ fascista»in (a cura di), Derossi, Laura, Millenovecentoquarantacinque: il voto alle donne, Milano, Franco Angeli.

Addis Saba, Marina 1998, Partigiane. Le donne della Resistenza, Milano, Mursia.

Sarti, Maria Alberta 1986, La donna piemontese nella Resistenza, Torino, Agat.

Sega, Maria Teresa 2005, «Passaggi di memoria. Le donne, la Resistenza, la storia»,in Venetica. Rivista di storia contemporanea, terza serie 11(2005), Memoria della Resistenza.

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