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  • Psicoanalisi e laicità
    Ivan Ottolini (a cura di)

    M@gm@ vol.13 n.3 Settembre-Dicembre 2015





    LA BOTTEGA DI UNO PSICOANALISTA: AUTOBIOGRAFIA DI UN MESTIERE

    Andrea Menconi

    mencandrea@gmail.com
    Laureato in Filosofia e Dottore di ricerca in Fisolofia, Università degli Studi di Pisa. Si occupa da circa venti anni di filosofia, teologia e rapporti tra queste due discipline. Nel 2005 comincia ad interessarsi di consulenza filosofica e della psicanalisi come esperienza di conoscenza di sé e delle proprie relazioni col mondo. Lavora nel suo studio privato come psicanalista laico e come consulente in ambito filosofico a vari livelli.

    Questo testo vuole essere la narrazione del mio percorso di formazione e della decisione di diventare psicoanalista, o, meglio, di occupare quella posizione in cui sono stato messo dalla mia analisi personale e dal mio rapporto con gli altri e le cose. Mi sembra interessante in questo senso l'analogia suggerita dal titolo: l'esperienza della bottega. Fino a non molto tempo fa quando si voleva imparare un mestiere si andava da qualcuno che già lo sapeva “fare” e si iniziava a lavorare con lui, facendo e osservando, spesso condividendo molto tempo insieme, diverse ore a settimana.

    Questa esperienza non era semplicemente riducibile all'apprendimento di contenuti e di tecniche ma era un vero e proprio “lavoro su se stessi”, sul proprio modo di vedere le cose e di intendere la vita. Finito un lungo e faticoso percorso, l'apprendista poteva cominciare a “lavorare in proprio” declinando a suo modo ciò che aveva appreso dal maestro, ma soprattutto da se stesso, durante il percorso. La grande intuizione lacaniana di chiamare colui che si sdraia sul divano “analizzante” rende ragione della mia prospettiva: l'analisi è portata avanti da chi, avendo scoperto che qualcosa nella sua vita “non torna”, sceglie di mettere in gioco tutte le proprie certezze e cerca di ricombinare i pezzi della propria vita in una modalità più autentica. Questo non è opera dello psicoanalista, anche se è reso possibile dalla sua presenza, e assenza, solo perché lui stesso ha compiuto la traversata che il divano rende possibile.

    Ho vissuto una lunga parte della mia vita aderendo alla Chiesa Cattolica: all'interno di questa istituzione, che ho abbandonato a circa trent'anni, ho fatto due scoperte fondamentali; la necessità di trovare una spiritualità che fosse davvero mia e l'altrettanto pressante urgenza di andare oltre la morale e scoprire un desiderio che fosse autenticamente mio. La psicoanalisi successivamente ha portato a compimento questo discorso perché mi ha detto con chiarezza che esiste una spiritualità che non rende necessario un contesto istituzionale, né la presenza di un qualsiasi dogma.

    Nella mia esperienza la filosofia si è dimostrata una compagna di viaggio decisamente migliore della psicologia o della medicina per introdurmi all'analisi. Le grandi certezze della scienza medica tradizionale e della maggior parte degli indirizzi psicologici non mi ha mai davvero convinto. Trovavo sempre concetti oltre i quali non si poteva andare, granitiche certezze, con qualche eco vagamente religiosa, che pretendevano di incasellare l'umano, il mio “troppo umano”, in categorie prestabilite. La prima “bottega” che ho frequentato, quella filosofica, mi ha insegnato la ricerca del senso, ricerca spasmodica e appassionata, fatta di carne e sangue. Poi, improvvisamente, per circostanze fortuite e straordinariamente coincidenti, ha fatto irruzione nella mia vita l'analisi. I primi colloqui con quello che sarebbe diventato il mio analista gettarono già una luce sull'elemento centrale di ogni analisi: la scoperta dell'inconscio. Da subito ho intuito che l'inconscio non era un contenitore, né una profondità inattingibile, ma una “funzione”. Non si tratta di qualcosa che “non sappiamo” ma di qualcosa che sappiamo ma non diciamo, o diciamo ma non sappiamo. Il dire, il sapere e il fare nella mia vita non coincidevano, perché la struttura che aveva preso forma nella mia esistenza rendeva impossibile la coincidenza e la congruenza di questi elementi.

    La coincidenza del gesto e della parola, mai del tutto conquistata e ogni giorno da ottenere: questo è il frutto dell'analisi nella mia percezione più lucida. Ecco allora la decisione, presa dopo alcuni anni di analisi di mettermi nella posizione dello psicoanalista laico [1]. Due parole su questa questione dell'“occupare una posizione”, sulla quale molto è già stato scritto. La prima indicazione su questo non la fornisce la prospettiva soggettiva ma la modalità di rapporto con gli altri. Non a caso il filosofo che più di tutti aveva catturato la mia attenzione al Liceo era stato Socrate, soprattutto per un elemento: la maieutica, l'arte del tirar fuori, senza mettere dentro nulla, senza dare risposte. E' stato straordinariamente bello per me leggere molti anni dopo il seminario VIII di Lacan sul Simposio [2], nel quale descrive il celebre dialogo platonico come una serie di resoconti di sedute analitiche. E' successo molto presto nella mia vita che le persone mi mettessero nella posizione “socratica” di colui che “doveva ascoltarle”. Forse anche per questo motivo a 19 anni decisi di entrare in Seminario per fare il prete cattolico. Successivamente nella mia analisi ho dettagliatamente discriminato cosa c'era di etico e cosa di fobico in questa scelta. Indubbiamente in quest'ultimo aspetto rientravano la negazione del corpo e della sessualità; di etica, però c'era la necessità di un percorso individuale, da fare in solitudine, dove lo studio fosse finalizzato a una progressiva individualizzazione, come direbbe Jung, e a una scelta di distacco e di distinzione dal mio passato.

    Doveva venire l'analisi per insegnarmi che avevo un corpo e soprattutto un corpo sessuato, segnato in maniera indelebile da un desiderio che non riuscivo a dire, da una parola che non riuscivo a pronunciare. Come, citando Wittgenstein, “il lavoro in architettura è soprattutto un lavoro su se stessi” [3], anche “imparare” a diventare psicoanalista è un'esperienza in cui nell'analisi del proprio vissuto entra la propria formazione intellettuale e culturale. Le voci dei filosofi, dei letterati, dei grandi del passato che avevo letto e frequentato in precedenza, nell'analisi hanno attinto nuova linfa e il loro messaggio nuovo senso e nuovi significati.

    Freud faceva fatica a indicare con precisione il percorso formativo di uno psicoanalista; non a caso autorizzava a praticare come tale, persone con estrazioni culturali e sociali molto diverse. Anche Lacan, con la procedura della “passe” [4], indica un sistema possibile di passaggio verso questo “mestiere impossibile” dove giocano un ruolo centrale l'analisi personale e la categoria della “testimonianza per altri”. In questo senso Lacan affianca l'”autorevolezza” dello psicoanalista a quella dello sportivo o dell'artista. Non a caso sempre più spesso la mia esperienza analitica mi sta portando verso l'arte, la poesia, il teatro. Anche questo rende ragione della complessità di un evento, come quello analitico, che non può essere rinchiuso tra le maglie della formazione stabilita della legge 56/89 (Legge di regolamentazione della professione dello psicologo, detta Legge Ossicini). E questo è stato per me, nel mio lavoro di “bottega”, l'ulteriore conferma che per sostenere il transfert, il fenomeno centrale dell'evento dell'analisi, sono molteplici e variegate le esperienze attraverso le quali bisogna essere passati, e non sono codificabili a priori.

    A un certo punto è entrata in gioco però, per me come per tutti coloro che si accingono a fare questo passo, la questione del “terzo”. E' chiaro che non si può scegliere di diventare psicoanalista in maniera autistica e totalmente autoreferenziale. Serve una comunità, un referente “altro” che sia il luogo in cui dirsi analista sia “reale” e preveda una responsabilità. Qui la mia ricerca personale ha trovato nel Coopi [5] la sua dimensione. Un gruppo che rifiuta l'assimilazione della psicoanalisi alle psicoterapie ma allo stesso tempo accetta la sfida di essere riconosciuto a livello pubblico secondo criteri ben riconoscibili. Quello che per me ha contato di più nella scelta di adesione a questa nuova esperienza della storia della psicoanalisi, così somigliante a quella dei primi pionieri che si radunarono intorno a Freud, è stata la assoluta chiarezza verso le persone che a noi si rivolgono per fare l'esperienza dell'analisi. E' fondamentale marcare la nostra differenza dagli psicoterapeuti attraverso una pratica originale e chiara, dove si afferma con chiarezza un elemento a mio avviso centrale: non può esistere una sola categoria di individui che detenga il “monopolio della psiche”. Troppo spesso dimentichiamo che questo termine definisce innanzitutto l'”anima”, non la mente (concetto, tra l'altro, alquanto ambiguo e discutibile). Definisce dunque la complessità del vissuto umano e la ricerca del suo senso che prevede ovviamente non “ricette” ma “soluzioni infinite”. La psicoanalisi laica, così come io la pratico e la vivo, mette al centro la “storia” irripetibile e assolutamente singolare di ogni individuo. Freud e tutti coloro che ci hanno preceduto, ci hanno fornito una cassetta degli attrezzi con la quale però è possibile ricombinare materiali, oggetti, strutture di ogni tipo. A nostra volta aggiungiamo strumenti e perché no, tecniche e strategie nuove, che si armonizzano con quelle originali, per far sì che possa accadere di nuovo quell'evento che a mio parere si colloca alla fine di ogni analisi: un'esperienza creativa dove “facciamo qualcosa di ciò che è stato fatto di noi”. Si accetta il proprio passato, soprattutto per ciò che non possiamo cambiare, e si prova, con “timore e tremore”, a declinare la propria scoperta nella realizzazione del proprio desiderio, che non esplode in maniera disordinata, ma tenta di innervare tutte le fibre dell'esistenza fino a renderla davvero un'opera d'arte.

    Note

    [1] Riguardo alla questione della psicoanalisi “laica” o “profana”, quindi non praticata da medici o psicologi si possono vedere: S. Freud, La questione dell'analisi laica, traduzione e commento di Davide Radice e Antonello Sciacchitano, Mimesis, Milano, 2013 e AA.VV., Professione psicoanalisi. La psicoanalisi in Italia e il pasticcio giuridico delle psicoterapie, a cura di Ettore Perrella, Aracne Editrice, Roma, 2014.

    [2] J. Lacan, Seminario. Libro VIII. Il transfert (1960-61), Einaudi, Torino, 2008.

    [3] Cfr. L. Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi, Milano, 1980, pp. 40-41.

    [4] Una breve sintesi di questa pratica stabilita da Lacan si può vedere in A. Di Ciaccia - M. Recalcati, Jacques Lacan, Mondadori, Milano, 2000, pp. 217-219.

    [5] Il Coopi (Coordinamento degli Psicoanalisti Italiani, www.coopiweb.it) nasce nel 2011 per dare alla psicoanalisi, in particolare alla psicoanalisi laica, un posto chiaro e distinto nel panorama delle professioni non regolamentate e non ordinistiche.



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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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