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    VIOLENZA MASCHILE E FEMMINICIDIO

    Vittoria Tola - Giovanna Crivelli (a cura di)

    M@gm@ vol.12 n.1 Gennaio-Aprile 2014

      Presentazione Numero Monografico

    • Giovanna Crivelli

      L'UDI, Unione Donne in Italia, ha collaborato con l'Osservatorio dei Processi Comunicativi a un numero monografico della rivista scientifica M@gm@ dal titolo "Violenza maschile e femminicidio". Il numero monografico vuole mettere a disposizione le analisi, l’esperienza e la storia nostra e delle nostre interlocutrici, come contributo al nostro comune lavoro di sensibilizzazione, contrasto alla violenza maschile sulle donne – femminicidio. “UDI STOP femminicidio” è da anni la nostra campagna contro la violenza di genere, la collaborazione con l’Osservatorio dei Processi Comunicativi è parte integrante di questo sforzo. Il primo e dichiarato dei nostri progetti politici è il contrasto alla cultura e al potere ideologico che consente il femminicidio, la subordinazione culturale e sociale, la percezione della donna come oggetto di dominio, la riduzione in schiavitù di tante donne, comprese molte donne prostitute... Sappiamo di non voler tradire una “responsabilità di genere” che deve necessariamente concretizzarsi in tanti “gesti responsabili”, nella lunga pazienza quotidiana che consente la sedimentazione di un cambiamento radicale nelle coscienze. Vogliamo continuare ad essere l’associazione che coniuga insieme la soggettività personale e l'assunzione diretta di responsabilità, della progettualità a lungo termine che non trova “contraddittorio” misurarsi con la solidarietà concreta e quotidiana con le altre donne, nel tentativo di far nascere le nuove maniere di pensare.

    • Introduzione Numero Monografico

    • Vittoria Tola

      I contributi presentati un questo numero monografico della rivista scientifica “M@gm@” su violenza e femminicidio sono dovuti a donne che da anni si misurano per ragioni politiche e professionali con un tema duro e difficile e che hanno lavorato perché la violenza maschile uscisse dal cono d’ombra in cui è stata relegata da tempi immemorabili, ma anche per sfatare le giustificazioni e le minimizzazioni che questa ha trovato nel suo esistere informando di sé le strutture culturali, sociali e psicologiche che nei secoli si sono succedute fino ai nostri giorni. Lungi dall’essere infatti, come spesso, è stata presentata da mass media e politica, soprattutto in relazione al femminicidio, atto estremo della violenza contro le donne, non si tratta né di un’emergenza né del risultato delle azioni di pochi uomini violenti e patologici o sconvolti da motivi passionali, ma di una struttura di potere di cui tutti - uomini, stati e istituzioni - beneficiano anche quando nessuno di loro apparentemente agirebbe comportamenti violenti nei confronti di una donna.

    • Contributi

    • Stefania Cantatore

      L’impianto istituzionale è fondato sulla disuguaglianza e sull’asimmetria tra uomini e donne in fatto di godimento delle libertà, pur mostrandosi flessibile e benevolo verso donne nelle dichiarazioni di principio tanto dei progressisti quanto dei conservatori. L’opposizione politica e sociale espressa dal movimento delle donne è l’unica capace di durare oltre il tempo di una rivoluzione, perché anche la disuguaglianza tra generi resiste, oltre le rivoluzioni. Il fatto che il termine “femminicidio” sia stato ufficializzato nelle sedi politiche ufficiali e neutre, ha comportato un nuovo occultamento della reale dimensione che la violenza acquista nella vita di tutte. Un occultamento del significato e della significanza della parola, inventata per rappresentare la fenomenologia dell’esclusione violenta delle donne dalla gestione del governo personale e politico del mondo. Un occultamento dei fatti, come sempre, manipolando le parole. Ma la parola, femminicidio, continua ad essere insostituibile rispetto ad una fenomenologia che altrimenti definita la disperderebbe nella banalità di un linguaggio che da sempre normalizza, giustifica e ridicolizza la violenza sessuata.

    • Rosangela Pesenti

      Le radici della violenza sono nella cultura patriarcale che ancora informa di sé le strutture e i programmi di scuola e università, le scelte di valutazione delle risorse necessarie all’umanità e le istituzioni che regolano la relazione donna-uomo in ordine alla riproduzione della specie umana.

    • Simona Lanzoni

      Questo articolo nasce dalle osservazioni fatte in 12 anni in diversi Paesi del mondo sul fenomeno della violenza maschile sulle donne e le bambine, e sulle risposte politiche e legislative di contrasto date nei diversi Stati. Tale analisi nasce dall’esperienza maturata durante il lavoro svolto con Fondazione Pangea (www.pangeaonlus.org), in Nepal, in India, in Afghanistan e in Italia, dove realizziamo programmi volti al contrasto della violenza, la promozione dei diritti umani e dell’autodeterminazione delle donne, per favorire il loro l’empowerment personale ed economico, la loro partecipazione e il rafforzamento del loro ruolo decisionale nella famiglia come nella comunità in cui vivono. In tutti i Paesi di cui si parlerà, a nord o a sud dell’equatore, sono i comportamenti, le tradizioni, gli stereotipi e gli assunti culturali che determinano le relazioni e il linguaggio tra le persone e che “giustificano” discriminazioni e violenze, mantenendo di fatto uno sbilanciamento dei rapporti di potere tra il genere maschile e quello femminile.

    • Elisabetta Rosi

      Con la Convenzione di Istanbul la violenza su ogni singola donna deve essere considerata quale violenza contro le donne, resa possibile perché non è stata sradicata la discriminazione sessuale nei confronti delle donne. Per fronteggiare i fenomeni criminali di violenza contro le donne e, soprattutto per prevenirli, occorrono interventi che mirino ad eliminare tale discriminazione sessuale, per mezzo di azioni strutturali nelle politiche sociali, educative, di rappresentanza. E’ giunto il momento di bandire ogni riferimento al movente passionale in relazione ai reati di violenza sulle donne: tali delitti sono conseguenza di comportamenti violenti, aggressivi e prevaricatori che non hanno alcun collegamento con la passione amorosa, ma sono mossi invece da sentimenti di gelosia, rabbia, odio, vendetta, discriminazione sessuale.

    • Delia La Rocca

      Il recente decreto legge sul femminicidio nasce in un clima, soprattutto mediatico, nel quale la violenza sulle donne viene letta come “emergenza”. Questa chiave di lettura del fenomeno presenta alcuni rischi: in primo luogo, quello di riproporre un modello di intervento pubblico centrato soprattutto sull’approccio repressivo. Il decreto assegna, infatti, una valenza residuale ad una strategia di sostegno delle azioni di prevenzione e di assistenza delle vittime di violenza, al momento rinviate ad un “Piano d'azione straordinario” per il quale non viene previsto alcun finanziamento. E’ tempo di uscire dalla logica emergenziale: la questione della violenza di genere non è solo problema di ordine pubblico. E’ un fenomeno che colpisce al cuore la riscrittura delle regole sulla convivenza tra i generi avviata nel secolo scorso. Ciò che serve è un nuovo momento di elaborazione delle teorie e delle prassi delle donne sul ruolo del sistema giuridico e sulle forme più adeguate per garantire la libertà femminile.

    • Maria (Milli) Virgilio

      La legge «sul femminicidio» (L. 119/2014) viene analizzata nella sua portata di legge di politica criminale e nel suo significato di primo (preteso) passo legislativo verso un intervento organico, articolato e finanziato per prevenire e contrastare la violenza di genere contro le donne. Si critica la scelta del decreto legge e si analizzano i singoli contenuti, di natura penale: le norme che inaspriscono il trattamento punitivo degli autori; quelle di protezione e tutela, previste per i soggetti “deboli” ed ora estese alle donne, nonché quelle di tutela anticipata e rafforzata. Queste ultime sono ritenute le più significative: l’ammonimento del questore per i casi di «violenza domestica», l’allontanamento d’urgenza della casa familiare disposta dalla polizia giudiziaria e la irrevocabilità per la querela di stalking (nei casi più gravi). Le misure (penali) previste sono finalizzate a far emergere il più possibile il sommerso di violenza maschile contro le donne e a porvi fine; tuttavia possono entrare in frizione con i percorsi di autonomia femminile, perché possono comprimere la volontà della donna che ha subito violenza di genere; sopravanzano il suo consenso, il suo parere e, in sintesi, la sua autonomia: o ne prescindono o la travalicano, realizzando una limitazione dell’autodeterminazione delle donne. Ha prevalso una linea pubblica interventista, agita attraverso gli strumenti della penalità e si è attribuita priorità alle logiche istituzionali repressive rispetto alla libertà femminile: non con la donna, ma anche contro lei stessa.

    • Laura Corradi - Vittoria Tola

      Due femministe con backgrounds e specializzazioni diversi, una studiosa e attivista coinvolta nei movimenti sociali radicali e la responsabile della più grande associazione femminile d'Italia (UDI) aprono un dialogo sulla violenza simbolica delle pubblicità sessualmente esplicite, particolarmente sull'uso di forme di violenza sessualizzata nelle pubblicità. Tali rappresentazioni della sottomissione delle donne sono ampiamente diffuse in Italia, e puntano a rinforzare gli stereotipi patriarcali e i rapporti di forza. L'eroticizzazione dei corpi di bambine e adolescenti è discussa in modo non moralistico. Il dialogo femminista si intreccia con forme di azione, sia a livello socioculturale che istituzionale.

    • Luisa Betti

      Cambiare la cultura significa cambiare il modo di pensare, con una consapevolezza e una conoscenza che permetta di rintracciare stereotipi e ruoli nascosti nelle pieghe profonde della società, e così tanto radicati nel nostro modo di essere, da risultare quasi invisibili. Stereotipi che sono parte integrante del nostro modo di vivere, e che pongono uomini e donne su piani di superiorità e subalternità in base al sesso, e senza alcuna altra motivazione, condizionando pesantemente le relazioni umane attraverso un pregiudizio. Una discriminazione che è già una forma di violenza che considera la donna come un oggetto da conquistare, possedere, controllare, e non un soggetto. La violenza maschile contro le donne non è un fenomeno né nuovo né solo italiano. E se il problema è strutturale e culturale, l’informazione e la narrazione mediatica di questa violenza, diventa uno dei fattori principali per il cambiamento. Per queste ragioni, non basta essere “sensibili” all’argomento ma bisogna conoscerlo, bisogna essere preparati, studiare, ed è fondamentale che la formazione valga per giudici, forze dell’ordine, avvocati e avvocate, psicologi e psicologhe, assistenti sociali, ma anche per i giornalisti e le giornaliste che si vogliano occupare di questi temi. La responsabilità mediatica è particolarmente grave, perché quando l’informazione si consuma sulla pelle di esseri umani – come donne e bambine che rischiano la loro stessa incolumità – ognuno di dovrebbe fare un esame di coscienza chiedendosi: quali potrebbero essere le conseguenze se sbaglio o se sono superficiale? Risolvere il problema culturale anche attraverso una corretta informazione, è il nodo da sciogliere.

    • Paola Castagnotto

      Dall’osservatorio diretto di un Centro antiviolenza in una città dell’Emilia Romagna si propone una riflessione sulla esperienza dei Centri antiviolenza e sui loro fondamenti metodologici. Una sommaria analisi delle forme di organizzazione, nazionale e regionale, anticipa la tesi di fondo dell’articolo: l’esperienza di oltre vent’anni di attività di aiuto alle donne che subiscono violenze di genere colloca i Centri antiviolenza nel cuore delle trasformazioni dello stato sociale. La relazione di cura e di aiuto, perno metodologico della pratica dei Centri rappresenta un modello innovativo di valore generale per la qualificazione dei servizi alla persona.

    • Maria Rosa Lotti

      In questi ultimi venti anni abbiamo vissuto in Italia una sempre maggiore attenzione alla violenza maschile verso le donne. Attenzione mediatica, attenzione politica, attenzione delle persone e delle comunità. La pratica di ascolto e relazione con donne in difficoltà a causa di violenza iniziata nella seconda metà degli anni ottanta è divenuta un discorso sociale sulla violenza maschile verso le donne, affermando nuovi paradigmi interpretativi e permettendo l’emersione di un problema strutturale della società, della cultura, del simbolico che ci iscrive nel mondo. Quella pratica ha determinato la possibilità di modificare un contesto che non aveva parole né rappresentazioni della violenza verso le donne, se non per la loro vittimizzazione salvifica di alcuni valori fondanti la società quale la famiglia. Il processo iniziato allora e nato nella fase finale del dibattito intorno alla nuova legge sulla violenza sessuale provava a dare una nuova risposta che aprisse lo spazio alla parola e ad un percorso di libertà femminile. Questa pratica ha accompagnato la nascita dei centri antiviolenza in Italia, con un processo creativo caratterizzato dal riconoscimento di autorità femminile nel percorso di cambiamento del reale in materia di violenza maschile verso le donne.



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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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