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  • La somatizzazione della precarietà
    Roberta Cavicchioli e Andrea Pietrantoni (a cura di)

    M@gm@ vol.9 n.2 Maggio-Agosto 2011

    IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTANZA SINDACALE DEI LAVORATORI ATIPICI: CAUSE, EFFETTI E POSSIBILI RIMEDI

    Andrea Pietrantoni

    pietrantoniandrea@libero.it
    Ricercatore nell'ambito delle relazioni industriali e sindacali, ha conseguito un Phd in “Scienze del Lavoro”, ha collaborato con vari enti e organizzazioni attive nel settore. E' l'autore di studi e inchieste sull'occupazione.

    Il problema della rappresentanza dei lavoratori atipici può essere affrontato da diverse prospettive. Lo si può fare analizzandolo dal punto di vista del sindacato , dal punto di vista dei lavoratori o infine dal punto di vista dell’impresa. Gli attori sociali che entrano in gioco in questa analisi sono appunto tre : il sindacato, i lavoratori atipici e l’impresa. Quello che segue è un tentativo di argomentare il problema della rappresentanza sindacale dei lavoratori atipici centrando il focus dell’analisi sui lavoratori e sui motivi che li spingono a decidere se aderire o no al sindacato.

    In primo luogo, dopo aver trattato dei nuovi rischi del mercato del lavoro di cui fa parte anche lo stesso problema della rappresentanza dei lavoratori atipici, cercherò di spiegare i motivi che stanno alla base dell’assenza di mobilitazione di questo tipo di lavoratori, confermata anche dai dati empirici. In secondo luogo, mi soffermerò sulle conseguenze derivanti da questa assenza e sui meccanismi alternativi di protezione dei lavoratori atipici. In ultimo, cercherò di concludere spiegando che il problema della rappresentanza dei lavoratori atipici non è solo un problema relativo a certi diritti di cui sono esclusi i lavoratori ma anche un problema, non meno importante, relativo alla funzione di coesione sociale del sindacato per questi stessi lavoratori.

    1. La difficoltà di mobilitazione dei lavoratori atipici

    Entro la categoria “contratto di lavoro atipico” esiste una pluralità di tipi di contratto e di condizioni di lavoro difficilmente tra loro equiparabili: si va dal part-time a tempo determinato fino al nuovissimo “non contratto” di lavoro pagato in voucher nel settore dei lavori di cura (Saraceno 2005). Il lavoro atipico si definisce in generale a partire dall’assenza di una o più caratteristiche del rapporto di lavoro standard, ovvero la durata indeterminata del rapporto avviato, l’orario a tempo pieno, la definizione di un preciso status e di una precisa collocazione in una divisione del lavoro organizzata (Ballarino 2002). Il fenomeno per cui le forme contrattuali atipiche possono coprire rapporti di lavoro standard denota che esistono forme contrattuali atipiche senza necessariamente modalità di rapporto di lavoro atipico.

    Il fenomeno risulta eterogeneo e ciò ha un’importante conseguenza costituita dall’ ulteriore forma di segmentazione del mercato del lavoro e della forza di lavoro, non solo rispetto ai lavoratori con contratti standard, ma anche all’interno dei lavoratori atipici. E proprio questo secondo aspetto risulta importante per l’analisi dell’ assenza di motivazioni dei lavoratori atipici ad istituire un rapporto di rappresentanza. Prendiamo in esame i lavoratori a part-time, i lavoratori a tempo determinato, i lavoratori interinali e infine i lavoratori parasubordinati (collaborazioni e prestazioni d’opera). Partendo dai primi, si può dire che le difficoltà relative alla motivazione del lavoratore ad aderire a qualche forma di rappresentanza sindacale, risiedono non tanto nel rapporto di lavoro che gode degli stessi diritti del lavoro standard ma nella motivazione stessa all’adesione. Motivazione che risulta assente in quanto foriera soltanto di costi in proporzione al tempo dell’investimento lavorativo. Anche per i lavoratori a tempo determinato si possono trarre le stesse conclusioni dei lavoratori part-timer anche se in aggiunta va detto che una difficoltà ulteriore all’iscrizione al sindacato è rappresentata dal timore di questi lavoratori che un’eventuale adesione comprometterebbe la loro riconferma da parte dell’azienda. Per i lavoratori interinali il discorso è “sui generis”. In questo caso gli attori in gioco sono tre: lavoratore, azienda fornitrice e azienda utilizzatrice. Se è vero che il lavoratore è dipendente dalla seconda è anche vero che i contenuti giuridici e contrattuali del rapporto di lavoro e conseguentemente gli eventuali benefici di un’eventuale contrattazione derivano dalla prima. Quindi, c’è innanzitutto una difficoltà alla base della struttura di questo tipo di rapporto lavorativo che rende complicata l’adesione del lavoratore al sindacato. Ma non basta. A complicare l’adesione del lavoratore al sindacato bisogna aggiungere la dispersione territoriale dei lavoratori interinali e secondo Ballarino (2005, p. 174-190) “una mancanza di fiducia nella capacità del sindacato di rappresentare adeguatamente gli interessi, mancanza di fiducia di cui parlano i lavoratori atipici vicino al sindacato per motivi personali (politici, ideologici, familiari) e che cercano di coinvolgere nel loro impegno colleghi privi di queste motivazioni”. Infine il caso dei lavoratori parasubordinati. Qui le difficoltà all’adesione risiedono nella mancanza della tutela dei diritti sindacali, nella regolazione giuridica del rapporto di lavoro e nella conseguente difficoltà per l’instaurazione del rapporto di rappresentanza che richiederebbe alla base una forte motivazione volontaristica sia da parte del lavoratore che da parte del sindacato. Le cose si complicano per i prestatori d’opera con partita IVA che formalmente sono imprenditori e non lavoratori e ciò complica la comunicazione tra lavoratore e sindacato e rilancia l’organizzazione di questi interessi nella competizione tra sindacato dei lavoratori e organizzazioni datoriali.

    A livello generale bisogna poi citare la teoria delle aspettative di status che influisce sulla mobilitazione dei lavoratori atipici. È il caso delle intervistatrici del settore delle ricerche di mercato e dei sondaggi di opinione concentrato nazionalmente a Milano che a fronte delle negative condizioni lavorative si sono mobilitate consentendo l’accordo Assirm-Nidil, che può essere visto come il primo contratto nazionale di lavoro per lavoratori non dipendenti. Ed è il caso anche degli istruttori di nuoto del Comune di Milano che nonostante le loro condizioni lavorative peggiori di quelle delle intervistatrici non si sono mobilitati. La spiegazione di questo diverso comportamento va ricondotta al fatto che le intervistatrici hanno presentato maggior disponibilità alla mobilitazione per il maggior investimento nel lavoro che le caratterizza. Esse non hanno grandi possibilità di trovare un lavoro migliore, e sono soddisfatte della loro attività in quanto tale. Al contrario gli istruttori di nuoto sono giovani e istruiti e con buone prospettive di carriera in un mercato del lavoro teso come quello milanese. Non vi è reale investimento nel lavoro, se non funzionale alla loro indipendenza economica dalla famiglia. Le aspettative di status cercano risposta nella carriera universitaria e nella vita sociale che la circonda, in attesa di un lavoro adeguato (Ballarino 2002). Ciò conferma le acquisizioni della teoria sociologica dell’azione collettiva secondo cui, diversamente dal senso comune, non sempre si mobilita chi ne avrebbe più bisogno, anzi spesso l’azione collettiva parte dai livelli medio-alti della stratificazione occupazionale (Pizzorno 1980).

    A conferma di queste tendenze soggettive relative alla mobilitazione dei lavoratori atipici, sono i dati relativi agli iscritti alle organizzazioni apposite per gli atipici, relativamente autonome ma inserite nel complesso dell’organizzazione sindacale [1].

    L’adesione dei lavoratori atipici al sindacato è dunque un problema complesso che al di là delle scelte soggettive dei singoli è riconducibile in ultima analisi all’elemento oggettivo dell’eterogeneità dell’universo atipico che indebolisce gli incentivi identitari, che hanno un ruolo importante e a volte determinante ai fini dell’azione collettiva e, quindi della stessa rappresentanza sindacale (Pizzorno, 1980). Tuttavia, la scelta dei singoli soggetti nell’aderire o no al sindacato è razionale in termini di costi-benefici: “rational, self-interested individuals will not act to achieve their common or group interests” (Olson 2005). Ma il problema non è a livello micro dove appunto le scelte sono razionali, ma a livello macro. Infatti le decisioni auto-interessate dei singoli soggetti atipici non portano a un’azione collettiva che a sua volta potrebbe avere esternalità positive a livello micro del singolo soggetto. I motivi di questa azione collettiva mancata rientrano nel problema più generale che riguarda anche l’adesione dei lavoratori standard al sindacato. Infatti, in assenza di informazione, benefici selettivi, vincoli morali e coercitivi ci troviamo di fronte alla scelta del singolo come attore che si comporta da “free rider” e che preferisce il meccanismo di uscita ai meccanismi di lealtà o protesta che presuppongono l’azione collettiva e l’adesione al sindacato. Quindi, andando oltre il problema delle scelte motivazionali dei singoli lavoratori atipici, passando dal problema dell’eterogeneità, si arriva infine a considerare, a mio avviso, il problema dell’azione collettiva in cui rientrano anche le scelte dei lavoratori standard nell’adesione al sindacato. Ma il problema dell’azione collettiva dei lavoratori atipici, è ben più grave di quello dei lavoratori standard. Infatti, se nel caso dei lavoratori standard il problema è ridimensionabile per la ormai lunga e consolidata tradizione del sindacato che riveste un ruolo autorevole di primaria importanza (anche se leggermente in diminuzione se guardiamo i dati relativi alla densità sindacale in tutta Europa) nella regolazione delle relazioni industriali e che ha consentito forme di protezione per quel tipo di lavoratori, nel caso dei lavoratori atipici in assenza di diritti e garanzie, il problema si fa più pesante, almeno per ora. Inoltre, a differenza di quanto avviene per i lavoratori standard, nel caso dei lavoratori atipici è sempre l’eterogeneità ad avere un ruolo di primaria importanza nella spiegazione della mancata adesione al sindacato di questi lavoratori. Perché, come già detto, è proprio l’eterogeneità dei lavoratori atipici ad indebolire gli incentivi identitari e conseguentemente l’azione collettiva facendo ricadere la scelta di aderire al sindacato all’interno delle diverse motivazioni individuali. L’eterogeneità dei lavoratori atipici potenzia il problema del “free rider”, comune anche ai lavoratori standard, e depotenzia la possibilità dell’azione collettiva. Rifacendomi al contributo della “the theory of the critical mass”, la partecipazione degli attori all’azione collettiva è inversamente proporzionale all’eterogeneità tra i membri del gruppo nella disponibilità di risorse e/o interesse e all’interdipendenza tra gli attori intesa come interazione in cui le decisioni hanno luogo in maniera sequenziale, e cioè dove le precedenti scelte di alter possono influenzare il comportamento attuale di ego (Marvel 1993). L’interdipendenza rappresenta così un vincolo reciproco in cui l’influenza interpersonale è intesa come una limitazione alla libertà di scelta ed il successo dell’azione collettiva dipende dal fatto che le forme di regolazione sociale che inducono alla cooperazione siano più forti dell’inclinazione che spinge alla defezione (Kim 1997). Interdipendenza che a sua volta sarà minore dove maggiore sarà l’eterogeneità perché le differenti risorse e i differenti interessi riducono la possibilità di influenza reciproca.

    Quindi l’eterogeneità dei lavoratori atipici comprende e sta prima delle motivazioni individuali e del problema dell’azione collettiva nello spiegare la mancata adesione al sindacato di questi lavoratori. Come dire, le motivazioni individuali dei lavoratori atipici relativamente alla scelta di non iscriversi al sindacato stanno alla razionalità individuale come l’eterogeneità sta all’azione collettiva e alla razionalità collettiva. Pertanto, in primo luogo, concettualizzando l’insieme dei lavoratori atipici come primo livello macro si può dire, a mio parere, che essendo questo insieme caratterizzato dall’eterogeneità, l’azione collettiva e conseguentemente la costituzione di un secondo livello macro, il sindacato, risultano problematici. In secondo luogo, la mancata azione collettiva dei lavoratori atipici ha ricadute al primo livello macro sulla stessa percezione identitaria di gruppo. In ultimo, la mancata azione collettiva ha ricadute anche a livello micro dei singoli lavoratori facendone sopportare i costi e il sindacato non fa altro che riprodurre l’eterogeneità dei lavoratori atipici frammentandosi in sigle sindacali rivolte prevalentemente chi a un gruppo di lavoratori atipici chi a un altro.

    Sorgono allora le seguenti domande. Quali sono le conseguenze dell’azione collettiva mancata dei lavoratori atipici e della conseguente non possibilità di usufruire potenzialmente di diritti e di qualche forma di protezione attraverso un sindacato che li rappresenti e che costituisca per loro una funzione identitaria? Di fronte a questa vulnerabilità, quali sono le reti di protezione attivate dai lavoratori atipici? E’ da qui che bisogna partire per capire conseguenze che non investono solo direttamente il comportamento dei lavoratori atipici ma che li superano per avere un importante rilievo a livello sociale.

    2. I rischi dei lavoratori atipici

    Le conseguenze dell’azione collettiva mancata pongono i lavoratori atipici di fronte a rischi rilevanti. Sono presenti individui che rimangono intrappolati in occupazioni instabili e che non riescono a fuoriuscire da una spirale viziosa di precarietà e di esclusione sociale (Gallino 2001). Come molte analisi documentano, i lavoratori atipici hanno più probabilità di rimanere invischiati in impieghi precari e marginali caratterizzati da una minor protezione sociale e standard salariali più bassi. Allo stesso modo, paiono scarse per alcuni le opportunità di crescita professionale e di miglioramento del proprio status. In assenza di un sindacato che contratti e che cerchi di migliorare tale situazione si configura, come sostiene Rizza, “un contesto dominato da logiche di mercato foriere di esiti squilibrati e fortemente precarizzanti per alcuni soggetti. Parrebbe emergere, da questo punto di vista, un orizzonte regolativo del lavoro non-standard profondamente individualizzato e retto principalmente dalla “legge” di mercato della domanda e dell’offerta” (Rizza 2005, p. 58). Dunque non solo mancanza di diritti ma anche isolamento e individualizzazione dei lavoratori atipici. In riferimento al secondo aspetto, secondo Zucchetti, (2005, p. 28) “sembra sgretolarsi la “gabbia di acciaio” di cui parlava Weber, ovvero quelle realtà, tipiche della società industriale che abbiamo lasciato alle nostre spalle , come il luogo di lavoro, le grandi organizzazioni, le grandi chiese e appartenenze ideologiche, i grandi partiti di massa, ecc. La “gabbia di acciaio” schiacciava in qualche modo l’individuo, ma consentiva anche la costruzione di una biografia continua e prevedibile: attorno al lavoro si programmavano la vita e il tempo libero. Nella società postfordista, invece, il lavoro e la produzione tendono a organizzarsi su spazi economici e politici complicati e non coincidenti, per il venir meno della sovrapposizione tra gli ambiti istituzionali della politica, dell’economia e della cultura”.

    La non adesione dei lavoratori atipici al sindacato e la loro mancata azione collettiva si traducono in spinte individualizzanti che contrastano con un destino collettivo sul mercato del lavoro che diventa disoccupazione di massa e dequalificazione intesi non soltanto come eventi sociali in senso statistico ma anche in termini di vissuto individuale e che conseguentemente, cadendo sulle spalle dei singoli, diventa destino personale. È il risultato dell’aggregazione delle scelte individuali che non si traducono in azione collettiva. In questo senso i lavoratori atipici sono esposti ad un mercato del lavoro in cui l’assunzione del rischio si fa individuale e che, non essendo dunque sostenuto a livelli organizzativi ed istituzionali, può enfatizzare il senso di provvisorietà individuale (stato di incertezza, di precarietà, di fallibilità). Oggi il lavoratore atipico corre il rischio di diventare l’uomo radar, “ di non emergere (ex-sistere), ma di adattarsi; vive come se avesse un radar sulla testa che gli dice di continuo ciò che gi altri si aspettano da lui. Questo uomo radar trae le proprie motivazioni e direttive dagli altri; al pari di colui che descrisse se stesso come un insieme di specchi, egli è in grado di rispondere ma non di scegliere; non ha un effettivo centro di movimenti suo proprio” ( Rollo 1992). In un’ottica più generale, “il mancato cristallizzarsi di significative forme di opposizione sociale nell’ambito del lavoro flessibile sarebbe riconducibile al fatto che il conflitto generato dalle contraddizioni del capitalismo si è trasferito all’interno del soggetto, frammentandone il sé e rendendo impossibile la fissazione di un’identità ovvero di un punto stabile da cui interpretare il mondo, sapersi collocare consapevolmente in esso e definire i propri interessi.

    L’inesistenza del sostegno del sindacato, enfatizza sul piano individuale i disagi personali dei lavoratori atipici. I lavoratori atipici sono “deboli” e la loro incapacità di tradurre tale debolezza sul piano collettivo li rende ancor più vulnerabili. Quali sono allora le reti di protezione messe in atto dai lavoratori atipici per fronteggiare tale situazione?

    3. I meccanismi alternativi di protezione dei lavoratori atipici

    Il sistema di welfare non può assurgere al ruolo di protezione dei lavoratori atipici . Infatti, per quanto riguarda il caso italiano, esso ha preso forma contestualmente all’espansione della grande industria manufatturiera a conduzione manageriale e a una società a pieno impiego caratterizzata da rapporti di lavoro standard che poggiava sull’occupazione del maschio adulto capofamiglia a crescente produttività (breadwinner). È a questo soggetto che i programmi di welfare erano diretti (Zanetti 2005). Ed è ancora su questo soggetto che si fondano attualmente i programmi di welfare che entrano in gioco soltanto in un secondo momento, cioè quando la famiglia, poggiante sul breadwinner, non può fornire la protezione sufficiente. Le politiche di protezione dell’impiego del breadwinner erano e sono ancora politiche di protezione del posto fisso. Quindi, il sistema di welfare non riesce a far fronte all’attuale segmentazione del mercato del lavoro caratterizzato dal diffondersi dei lavori atipici (Rizza 2005).

    Sono necessari altri meccanismi di protezione. La famiglia è uno di questi. Essa svolge una funzione positiva integrando redditi inadeguati, sostituendo ammortizzatori sociali inesistenti e consentendo la ricerca di un lavoro più sicuro, o più soddisfacente, o più remunerativo, o tutte e tre queste cose. Vivere con i propri genitori costituisce per i giovani interinali o collaboratori una garanzia in caso di lunghi periodi senza missioni o commesse per malattia o contrazione della domanda di lavoro. Altri, che hanno costituito un nucleo famigliare, si appoggiano sul reddito del partner per avere una stabilità economica. Una collaboratrice, secondo un’indagine, ha parlato del proprio partner come di uno sponsor che con il suo reddito sicuro le permette di avere un’attività gratificante, ma instabile (Reyneri 2002). La famiglia però, non si limita ad avere soltanto una funzione positiva. Infatti nei confronti delle donne con responsabilità famigliare e con contratti di lavoro atipici non ci sono le stesse protezioni che esistono per donne con la stessa responsabilità famigliare ma con contratti standard. Dunque la famiglia assume un ruolo come risorsa e come vincolo, perché svolge un’importante funzione di protezione per i lavoratori atipici là dove non riescono a farlo sindacato e welfare.

    Specificatamente poi al caso degli interinali, l’agenzia svolge un ruolo “protettivo”. Essa infatti può assicurare loro un flusso quasi continuo di missioni qualora posseggano professionalità molto richieste o siano disposti a svolgere qualsiasi lavoro. Già l’aver portato a termine con successo una missione rende probabile essere inviati in un’altra, per un effetto cumulativo della fiducia (Reyneri 2002).

    Un ulteriore e ultimo meccanismo di protezione utilizzato dai lavoratori atipici è quello che fa riferimento all’attivazione delle reti informali. È un meccanismo di protezione che si distingue dagli altri in quanto è l’unico, a parte quello problematico dell’adesione al sindacato, che mette direttamente in gioco i lavoratori nell’affrontare la loro vulnerabilità. Il tema delle reti informali è riconducibile alla teoria dell’ ”embeddedness” di Granovetter secondo cui i rapporti economici tra i soggetti sono radicati nei rapporti sociali. Alla base delle transazioni economiche non ci sarebbero meri comportamenti autointeressati ma la reciprocità fra i soggetti. Ma la teoria di Granovetter è importante e utile anche per quanto riguarda le relazioni di lavoro. In questo senso l’incontro tra domanda e offerta di lavoro sarebbe garantito da reti di relazioni sociali, che spesso si sono sviluppate al di fuori dell’ambito economico e le ricerche empiriche confermano questa tendenza dimostrando che le reti informali di relazioni familiari e amicali costituiscono la via più efficace per trovare lavoro (Reyneri 2002). Se allora tale meccanismo è utilizzato ed è importante per tutti i soggetti del mercato del lavoro, per i lavoratori atipici diventa un “salvagente” fondamentale per difendersi dalla precarietà dei rapporti di lavoro.

    Conclusioni

    I meccanismi di protezione dei lavoratori atipici, alternativi a un sindacato che li rappresenti adeguatamente, costituiscono soltanto una “secon best solution” che non dà una risposta efficace al problema della vulnerabilità dei lavoratori di questo tipo. Se da un lato, i meccanismi di protezione alternativi al sindacato possono in qualche modo assurgere alla funzione di garantire una certa protezione ai lavoratori atipici dal punto di vista economico, dall’altro, non possono compensare la mancanza di una rappresentanza collettiva che soltanto il sindacato può dare. E abbiamo visto come la mancanza di una rappresentanza collettiva ha conseguenze sui lavoratori atipici in termini di isolamento e spinte individualizzanti. Ma non solo. Allargando l’angolatura di analisi, l’assenza di un sindacato che rappresenti adeguatamente i lavoratori atipici ha conseguenze anche in termini della più generale coesione sociale. Utile in questo senso è richiamarsi al pensiero di Durkheim. Secondo il sociologo francese, l’organizzazione del lavoro è il pilastro della società in grado di diffondere la solidarietà organica fra gli individui che la compongono. Ma proprio questo autore classico suggeriva attraverso le parole di Nisbet (Nisbet 1996, p. 219) “che una solidarietà più profonda fra gli individui doveva essere ricercata nelle corporazioni che sarebbero state, e in questo consiste la loro vera rilevanza rispetto alle esigenze economiche e sociali, dei depositi di autorità morale sufficienti a frenare gli impulsi egoistici (e quindi suicidogeni) degli uomini, attualmente dispersi come granelli di polvere”. È in questo senso che il sindacato potrebbe giocare una funzione fondamentale per i lavoratori atipici, fondandone una base identitaria collettiva, (sebbene, secondo Giddens (1998, p. 53), “i sindacati, così come sono organizzati oggi, non adempiono a questa funzione. Essi anticipano sicuramente le organizzazioni di mestiere, ma operano solo come gruppi rivendicativi e non come comunità morali”). Credo che ciò, oggi, sia che mai necessario in un mercato del lavoro “frammentato” caratterizzato dall’indebolimento della solidarietà organica su cui poggia in ultima analisi la coesione sociale.

    Note

    1] Esse sono tre: il Nidil-Cgil, l’Alai-Cisl, il Felsa- Cisl e il Cpo-Uil. La Cgil ha creato il Nidil (Nuove Identità di lavoro) nel 1997, partendo da un gruppo auto-organizzato di giovani professionisti milanesi e romani (Caa:Collaboratori e consulenti associati), nato nel 1995, in un primo momento federatosi al sindacato, poi trasformato (inizialmente con il nome di Pegaso) in una struttura trasversale ma molto simile a quella di categoria. L’Alai-Cisl (Associazioni lavoratori autonomi e interinali) è nata nel 1998 ed è organicamente collegata con diverse iniziative orientate al mercato del lavoro create dall’associazionismo cattolico. Infine, la Uil seguendo le altre due confederazioni ha riconvertito la propria organizzazione di disoccupati, il Cpo (Coordinamento per l’occupazione), estendendola alla rappresentanza dei lavoratori atipici.

    Bibliografia

    Ballarino, G. 2005 Strumenti nuovi per un lavoro vecchio. Il sindacato italiano e la rappresentanza dei lavoratori atipici, in “Sociologia del Lavoro”, n. 97.
    Gallino, L. 2001 Il costo umano della flessibilità, Laterza, Roma –Bari.
    Kim, H. Bearman, P.S. 1997 The structure and dynamics of movement participation, in “American Sociological Rewiev”, n. 62.
    Marvel, G. Oliver, P. E. 1993The critical mass in collective action: a microsocial theory, New York, Cambridge University Press.
    Nisbet, R. 1996 La tradizione sociologica, Firenze, La Nuova Italia.
    Olson, M. 2005 The logic of collective action. Public goods and the theory of groups, in Oltre il “free rider”: l’utilizzo di modelli formali nello studio dell’azione collettiva, di D. Baldassari, in “Rassegna Italiana di Sociologia”, n. 1.
    Pizzorno, A. 1980 I soggetti del pluralismo. Classi partiti sindacati, Bologna, Mulino.
    Regalia, I. 2002 Politiche di protezione del lavoro. Esperienze a livello territoriale in Europa, in “Stato e Mercato”, n.65.
    Reyneri, E. 2002 Sociologia del mercato del lavoro, Bologna, Mulino.
    Rizza, R. 2005 La costruzione sociale del mercato del lavoro: forme di embeddedness del lavoro mobile, in “Sociologia del Lavoro”, n. 97.
    Rollo, M. 1992 Man’s search for himself, Paperback.
    Saraceno, C. 2005 Le differenze che contano tra i lavoratori atipici, in “Sociologia del Lavoro”, n. 97. Zanetti, M.A. La soggettività del lavoratore flessibile e il problema del consenso alle nuove forme di lavoro, in “Sociologia del Lavoro”, n.97.
    Zucchetti, E. 2005 Un mercato del lavoro plurale: tra “vecchi” e “nuovi” equilibri, in “Sociologia del Lavoro” n.97.


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