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  • La somatizzazione della precarietà
    Roberta Cavicchioli e Andrea Pietrantoni (a cura di)

    M@gm@ vol.9 n.2 Maggio-Agosto 2011

    QUANDO IL TEMPO DEL LAVORO FINISCE: CRONACHE DAL LAVORO

    Augusto Debernardi

    augudebe@gmail.com
    Presidente Iniziativa Europea (www.iniziativaeuropea.it); Laureato in Sociologia all'Università degli studi di Trento è stato componente dell’équipe del Prof. Franco Basaglia all’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste.

    La mia sociologia è clinica, ha lo sguardo clinico, lo sguardo che si infila nelle pieghe dove si può osservare il malato sociale e il normale sociale. Malattia e normalità nel sociale sono equipollenti. La mia sociologia è il mio racconto che nasce dal sangue del mio cuore e dal sangue del cuore di colui o di colei o di coloro che osservo. È il racconto che vuole emozionare, commuovere, far riflettere, fermare un microsecondo il lettore\umanità muovendosi fra l’analisi, la passione, l’epica del cambiamento possibile. Ciò che sono sta lì nelle mille scintille dell’universo umano che osservo e che si riflettono nella struttura policroma del pensiero e dei suoi rimandi ad altri. Sono stufo dell’eterna e sterile liturgia dell’oggettività di una para-natura. Che solo lei sappia nutrire i pensieri e fondare il canone che rende infecondo il pensare con la generazione di pensieri che non osano perché inautentici e dunque disonesti. Non ci si può cristallizzare fra numeri e numeretti - che poi mica tanto sono conosciuti – ma val la pena emozionare. L’emozione domina l’occhio e fa aprire il pensiero e lo rigenera e il sangue ritorna al cuore. Così dico, comunico, comunichiamo con gli Altri e la natura è strumento. La mia sociologia nasce dal cuore e a esso ritorna. Se riesco attrarre è tutto. Il resto è mestizia e malinconia. Qualcuno dirà che non è sociologia ma malinconia. Io dico che è sociologia che osa. Altrimenti come potremo condividere i versi di P.P. Pasolini – in La nuova gioventù, 1975 – che ci dicono: «se vogliamo andare avanti, bisogna che piangiamo il tempo che/ non può/ più tornare, che diciamo di no/ a questa realtà che ci ha chiusi nella sua prigione…»

    Luigi Remotti matricola 6230/KN
    Quando il tempo del lavoro finisce


    Luigi, che ha due figli, si sta domandando come faranno i suoi due figli, sì proprio loro, a trovare un lavoro se tutti restano a lavorare più a lungo; se la tecnologia continua a far sì che ci sia sempre meno bisogno di addetti. É pur vero che si creano altri posti, con altre condizioni ed in altre situazioni, ma chi ha due figli che già dovrebbero stare a lavorare non è che questa cosa sia di grande aiuto. «Già, perché quelle altre situazioni non è mica facile trovarle», dice Luigi fra sé e sé! E si ricorda pure che sua nonna Maria aveva ogni tanto la lavandaia in casa. Gli pare di ricordare che l’avesse al lunedì di ogni settimana, per il bucato grosso. Questa donna con le mani arrossate ma con la pelle stranamente senza screpolature veniva dalla campagna attorno alla città della mittleuropa per arrotondare il suo reddito, anzi per farlo visto che con i prodotti agricoli che riusciva a vendere non avrebbe certo potuto campare. Al pensiero di quelle mani poco o per nulla screpolate Luigi ne era certo che esse si avvalessero dell’aiuto di tutta la famiglia, delle figlie in particolare e dei guanti di gomma. Luigi ricordando quando era bambino e grande osservatore, si dice «se oggi non ci fosse l’Europa che assiste i vari paysannes sai che trionfo per gli agricoltori del terzo mondo che, quando va loro bene, si trovano a fare un po’ di commercio equo e solidale, visto che buona parte del budget europeo va ai loro colleghi che vivono nel vecchio continente». Lì, in quel settore, sembra che la globalizzazione sia stata tenuta un po’ alla larga ed anche che gli aiuti alle imprese agricole non costituiscano una distorsione del mercato. Mah? In ogni caso Luigi rivede i momenti della sua infanzia e ricorda che quando la nonna Maria aveva acquistato la lavatrice anche la lavandaia, che si chiamava Jolka, era diventata superflua, inutile. Non perché crescevano gli anni anche per lei, ma perché veniva a costare troppo: costava meno il bucato fatto con la lavatrice. Insomma Luigi rifletteva sul fatto che la tecnologia, avendola vista all’opera, produceva una riduzione fra gli addetti ed anche un risparmio. «Evidentemente la storia del capitale costante non era affatto una balla, anzi, è con la remunerazione del capitale che andrebbe approfondita di più la faccenda della difficoltà a trovare lavoro per i suoi figli» conclude Luigi nel suo pensiero ricordando quegli incontri al sindacato. Incontri che non si fanno più.

    Insomma Luigi ha sperimentato fin da ragazzino cosa significa l’introduzione della tecnologia: minore bisogno di addetti ma anche risparmio dall’altra parte. Allora nessuno scandalo, come nel campo dell’economia domestica sperimentata, se anche nell’agricoltura italiana che contava nel 1950 dodicimilioni di addetti e dopo mezzo secolo ne conta solo più poco più di duemilioni. E non si può dire che si sia mangiato di meno o significativamente peggio a fronte di meno agricoltori. Però… se ci potesse essere sulle tavole per davvero il cibo “del kilometro zero” forse avremo qualche addetto in più nei campi e negli orti e qualche kilometro di strada in meno da percorrere per i vari camion che sulle autostrade sembrano delle enormi e interminabili anaconde meccaniche. Ma, forse, qualche euretto in più per comprare i cibi sarebbe necessario, se non altro nel primo periodo.

    Così va il mondo, dice Luigi, «e forse è giusto così, meno fatica per tutti e più risorse», Luigi, abituato fin da bambino a riflettere su quanto vede ed a pensare in maniera eclettica, non si scandalizza più di tanto perché sa che esiste quella cosa che si chiama produttività e che è il derivato di ogni innovazione tecnologica. Certo si potrebbe sempre avere più prodotti con più addetti che vi lavorano, ma poi i profitti ed i poteri in campo cambierebbero, ma questa è un’altra storia che per ora Luigi rimanda. Per ora, visto che Luigi deve trovare una ragione per la difficoltà a trovare lavoro per i suoi due figli, accontentiamoci di sapere che siamo di fronte a “più prodotti e a costi inferiori”. Oh sì, è vero che quando si parla di queste cose è come quando si discute su qualche cosa in cui la parola utile è centrale, ovvero tutte le volte in cui il problema riguarda la vita delle persone nella società e, indipendentemente dai partecipanti, la discussione è sempre falsata e il problema sempre eluso. Non esiste alcun mezzo corretto per definire ciò che è utile alle persone! Giustificare utilitaristicamente la condotta umana come vogliono fare certi economisti e psicologi e sociologi è insensato perché intanto non viene mai in mente a nessuno l’idea dell’interesse di fronte a perdite considerevoli: guerre, dissipazioni, crisi, bolle che sono state gonfiate fino al punto di scoppio. Si ragiona sempre su momenti parziali e si gettano le croci. Se si guarda un po’ più in grande si passa per essere ‘comunisti’ e comunque degli idealisti senza presente né futuro. Ma Luigi qualche volta sa mettersi dalla parte delle cause perse. Sulla faccenda di produrre a costi inferiori la sua attenzione è attirata dalla serie dei costi che riguardano gli addetti, cioè per il personale - proprio perché si preferisce l’innovazione che permette di ristabilire certi margini di potere e controllo e di guadagno – che oggi si dice ‘risorse umane’. Queste risorse umane richiedono un sacco di attenzioni (cioè di controllo) ovvero organizzazione e gestione continua, formazione permanente che non serve tanto alle competenze vere e proprie quanto a creare appartenenza e quindi a sedare le ansie di ribellione latente, le rivalità interne e le lagne.

    Comunque certe volte capitano certe rotture come quella volta, quando Luigi faceva il sindacalista, che era stato chiamato perché gli impiegati degli uffici amministrativi volevano un’indennità di rischio contagio perchè qualche vecchietto o diversamente abile veniva nei pressi della loro postazione lavorativa – lavoravano in un servizio assistenziale comunale – e si fermava per fare due chiacchiere o per chiedere qualche aiuto o elemosina. E pensare che lui, Luigi, avrebbe voluto proporre anche agli impiegati di accettare le ‘borse di lavoro’ per permettere alle persone emarginate di stare in ambienti qualificati dal e del lavoro e quindi consentire anche a loro uno statuto sociale molto più consono. Una cosa utile per gli impiegati, cioè per gli addetti veri e propri perché avrebbe dato loro un prestigio sociale maggiore e basato sulla solidarietà ed ovviamente per gli esclusi che avrebbero avuto lo spazio di una formazione ad ampio spettro ed una socializzazione non effimera. Figurarsi! Ad esempio, gli viene in mente, che un dirigente alcuni lustri fa era riuscito ad “aprire” gli uffici della sua area alle “borse di lavoro” per persone in difficoltà, non necessariamente invalide. Ma in difficoltà. Un esame con l’assistente sociale e un colloquio approfondito e si apriva un accesso per quattro ore al giorno in ambiti decorosi e con gente motivata alla relazione. Meglio lì che in strada o isolati in casa e con 300€ al mese… e la possibilità dei buoni pasto per restare più tempo insieme a tutti, per integrarsi ed apprendere anche attraverso le relazioni informali e le ritualità. Bene, così era scritto nella deliberazione, ma subito altri addetti dissero che non c’era la copertura per i buoni pasto e che il contratto non lo prevedeva, il contratto.! A nessuno venne in mente di fare una non difficile variazione di bilancio e quando fu proposta si vantarono problematiche amministrative, di gara etc. Accade spesso che è più comodo non pensare, non migliorare insieme ed è meglio gettare la croce sugli altri perché soffrire o far finta di soffrire procura anche un godimento, direbbe lo psicanalista! E per restare in tema Luigi ricorda con angoscia quello che è successo ad un infermiere. Egli aveva visto che le porte della struttura in cui lavorava non lasciavano passare i letti dei degenti in caso di incendio: troppo strette rispetto alla larghezza dei letti. Anziché trovare una soluzione, certo non facilissima, si inasprirono gli animi in un crescendo impossibile.. che poi portò alla emarginazione più che totale del lavoratore. Mobbing. Nessuno aveva voluto capire che quell’infermiere era diventato camussiano come l’homme révolté narrato da Albert Camus. L’infermiere ‘rivoltoso’ esprimeva la necessità di dire no all’insensatezza, ovvero no alla alienazione rilevata fra le norme di tutela e la realtà. Non solo, il sistema organizzativo per mantenersi aveva bisogno della complicità evidente dell’apparato (dirigenti, quadri e capi vari) per ogni tipo di razionalizzazione e spostamento o sublimazione: istituzionalizzazione cioè. Rivolta per il raro contestatore, non rivoluzione in senso marxista, ma contro l’assurdo e se si vuole contro chi si era presentato come ricercatore di rivoluzione ed invece aveva trovato il benessere e la carriera aggrappandosi con tenacia e mantenendo ad interim il controllo su ciò che si può dire davvero rivoluzionario.

    Luigi impara con la sua esperienza che le ‘rivolte’ dell’uomo costano parecchio. Adamo ed Eva che si perdono nel disordine della realtà ed incontrano la morte; Prometeo che socializza il sapere del fuoco e dunque fa nascere la scienza ma è incatenato; Sisifo che con la sua sagacia contesta gli dei (e dà acqua a Corinto) è condannato a portare all’infinito il macigno che rotola sempre non appena raggiunge la cima del monte; la scienza moderna che deve per forza trovare in se stessa le proprie ragioni e propri fini e che decreta che ogni dramma è malattia, ogni mito è fantasia, ogni ribellione o rivolta è reazionaria e contro la ragione; il potere che è sempre autoreferenziale… che ogni lavoro è produzione di merce. Intanto l’obiettivo della produzione è sempre la maggiore efficienza , più risultati in minore tempo e con minori risorse. Appunto, nessuno si immagina la dépense, la dissipazione, anche se le leggi della termodinamica stanno lì a ricordarcelo, ma solo nei domini della scienza. Cosi Luigi pensa a quelle imprese che alcune decine di anni fa abitavano la periferia della città mittleuropea e che ora se ne sono andate ad abitare le città dei paesi dell’est, del sud America e dell’Asia estrema. Gli viene da fare un sorriso da compatimento a pensare che alcuni di questi stati che ospitano le nuove produzioni ex-italiane od ex-europee od ex-Usa (gli USA sono un po’ meno propensi a delocalizzare) erano fino a poco tempo fa spietatamente comunisti ovvero “nemici” del libero progresso e del rispetto dei diritti umani - ed alcuni tali sono rimasti o quasi - e suscitavano gli improperi della classe dirigente ed imprenditoriale! Sul piano generale è la riprova che la forma capitalistica è “senza mondo” cioè è in grado di attecchire ovunque, indipendentemente dalle condizioni concrete. Sul piano locale, ora, osserva Luigi, quelle ‘imprese’ hanno portato la direzione strategica o il brand come si dice in un delizioso appartamento trasformato in ufficio nel centro cittadino mentre si sono godute le plusvalenze di quei terreni che diventano man mano edificabili. All’estero non è che hanno fatto grandi investimenti in innovazioni; sembra che abbiamo goduto di regimi fiscali più generosi e di costi del personale più vicini ai quintili più bassi. Luigi si ricorda che il «saggio di profitto è il rapporto tra profitti realizzati in un anno e il capitale anticipato e indica, dunque, in quale misura il capitale può essere valorizzato». E dunque al calare del saggio del profitto la disoccupazione tenderà a salire… se poi il capitale anticipato come i vari macchinari, le tecnologie e annessi knowhow vengono soltanto traslocati.. è facile capire il perché delle delocalizzazioni. Non vi pare? Così dice Luigi. E passando sotto quegli uffici tutti lustrini Luigi si rende conto che il marketing è centrale a troppe realtà perché il mercato è regolato dal desiderio più che dall’oggetto in sé: supporting evidence, dicono gli strateghi delle vendite. L’oggetto deve essere il desiderio stesso oppure il desiderio di un oggetto che dice altro ed oltre. Sarà, dice Luigi, la comunicazione sarà pure tutto ma a me manca l’officina, il pezzo finito, magari l’auto lì davanti che esce e fa rumore anche se i profitti sono quelli che sono. Ma un bicchiere di vino al bar, con gli amici, un giro di valzer o di disco music in discoteca con la moglie ci può sempre stare. Però è circondato da veline.

    Quando era giovane gli dicevano che le veline le scrivevano i politici per lasciare trapelare solo certe notizie, ora le veline sono dappertutto, scritte da emeriti professional della carta stampata e non. Ma sono anche delle belle ragazzotte che mostrano quasi tutto ciò che madre natura ha dato o qualche chirurgo plastico ha loro costruito. E magari a qualcuno che “può” mostrano tutto, senza imbarazzo. Luigi passa dalle veline – che pur centrano – alle pensioni. Lui vorrebbe già andarci ma ha dei dubbi. Intanto “come mai mi dicono che le pensioni non si possono più avere perché non nascono più bambini?” Luigi ha letto queste cose su giornali molto accreditati; non è che se li può comperare tutti, questo no, ma quando esce dal lavoro si ferma in un vecchio caffé e davanti ad un bicchiere di prosecco come aperitivo serale legge tutti quelli che non stanno fra le mani degli altri avventori. Se ha un po’ di fortuna riesce a farsi una rassegna stampa completa. D’altronde visto che va a lavorare presto al mattino mica può ascoltare la radio, no? Poi si incammina verso casa dove trova quasi sempre Elisabetta, la sua sposa e di cui è sempre innamorato. Alla faccia della jouissance compulsiva! Per Luigi e per Elisabetta c’è amore, tenerezza, parole, anche quando ci si tende come corde di violino per qualche incomprensione o aspettativa frustrata.. sesso e complicità spontanea ed anche le ambasce della vita. Luigi pensa al calo della natalità: ma che centra con le pensioni? Luigi sa che lui, uno che è padre di due figli, ha qualche problema in più oggi stesso, anche se i figli sono grandi. Si ricorda delle serate insieme, dei primi compiti, delle malattie, della ricerca di qualcuno che li tenesse quando doveva correre dal padre, il loro nonno, che improvvisamente aveva avuto la compagnia della morte... gioie e sofferenze, difficoltà che l’amore riusciva a far superare senza dolore. Ora le donne non fanno più bambini, ne fanno pochi. E si continua a far finta di essere in salute e si dice che c’è la ripresa della natalità, che il tasso di fecondità risale. Forse grazie agli immigrati. Ma Luigi l’altro sabato è andato in biblioteca a leggere delle statistiche – avrebbe preferito andare al sindacato ma lì le cose di cultura sono diventate troppo burocratiche – e le ha viste inforcandosi gli occhialini. Luigi si è trascritto i numeri su un pezzetto di carta spiegazzato, eccoli: dall’1,42 del 1995 all’ 1,48 del 2008, ma nel 2009 ecco la ridiscesa: 1,41. Sono finite le coorti delle quarantenni primipare, e le donne immigrate si adattano al costume delle donne autoctone. E le scelte della politica sono sempre quelle dell’ignavia condite dalla chiacchiera ad infinitum. Che errore di valutazione! E così nella mente di Luigi, forse un po’ incline a quella depressione che però è sanità mentale perché cerca un’elaborazione, prende corpo l’idea che con la disoccupazione giovanile centrano, paradossalmente, più le “veline” che le pensioni, sicuramente.

    Infatti Luigi ha ragione. La relazione con le pensioni non è tanto nel calo della natalità quanto piuttosto nei “giovani lavoratori”, dunque con l’occupazione. Luigi conosce oltre ai suoi due figli molti altri disoccupati giovani, dunque sa che la forza lavoro dei giovani è in esubero. E come non potrebbe conoscerli visto che i giovani disoccupati sono il 27,9% cioè quasi 900mila individui? Luigi aumenta la cifra assoluta in verità perchè in senso stretto i giovani che cercano lavoro sono di meno cioè circa 700mila, ma lui sa che nella categoria ‘disoccupati’ è bene far rientrare anche quei giovani che sono in balia delle cose e non si attivano molto nel cercare perché già frustrati o perchè aspettano l’esito di qualche promessa fatta da qualcuno/a che se la prende comoda nell’onorarla... ed allora arrotonda per eccesso. E forse fa bene. In verità tutta la fascia dei giovani senza lavoro supera i due milioni. Né si accontenta di quanto legge come spiegazione e cioè che i giovani non vogliono fare certi lavori – cosa che per lui è più legata alla formazione, cioè alla scuola succube del mediatico ed alla sua neoideologia che reifica le relazioni nelle immagini, che alla loro indole – e preferisce mettere insieme ciò che osserva e sente con roboante sicumera: innovazione, ci vuole innovazione… Siamo sempre lì, si dice, innovazione tecnologica e disoccupazione, anche nella burocrazia che per esistere riesce sempre ad inventare nuovi modi di rompere le balle. D’altro canto dare regole agli altri è un’azione che non costa nulla per chi le eroga! Dunque Luigi, mentre continua il suo percorso verso casa, si sente preso in giro: balle.

    Luigi ora mette insieme i tassi, contrapponendosi a tutti quelli che gli fanno credere che le pensioni consumano troppo PIL. La Ragioneria Generale dello Stato dice che alla fine dell’anno 2010 c’è bisogno del 15,2% del PIL (nel 2007 il fabbisogno era del 13,9%) e che questo costo salirà al 16% intorno al 2030/40. Ma dopo questa bella forchetta di dieci anni… comincerà a scendere, e non si dice. Perché non sanno assolutamente dei giovani e delle loro pensioni senza copertura. E non dicono nemmeno che il 47% delle pensioni è sotto i 500€ al mese, solo il 13,6% supera la cifra di 1500€ mensili. Il grosso delle pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti viene erogato al Nord (51,3%) mentre al Sud si concentrano le pensioni sociali (50,6%) e quelle di indennità agli invalidi civili, ai non vedenti e ai non udenti (43,9%). Ma nel 2035 Luigi avrà 95 anni e gli viene da ridere: con una vita di lavoro, di sberle belle grosse che ha ricevuto non pensa proprio di arrivarci! E vede accanto una signora con due bei bambini per mano e un nonno con altre due piccoli che frignano: «ecco, ma pensa un po’… sono proprio i bambini e i vecchi che hanno bisogno degli altri e qui si vogliono ribaltare le scale dei valori e della realtà!» Dunque non è lui la canaglia. Nelle sue letture si è imbattuto in quel genio di Lacan, difficile quanto volete, ma geniale. Lui gliela cantò bene alle canaglie che sono per definizione di destra e sostenitrici dell’ordine sociale dato ed immutabile ed anche agli sciocchi che invece sono di sinistra e si accontentano di strappare un pò di godimento al padrone. Luigi sa che canaglie e sciocchi si sono alleati, sono diventati una cosa sola. Tempi duri, nonostante la bella storiella del gitano con la scimmiotta come metafora del discorso sulle canaglie e gli sciocchi.

    Quello che non va giù a Luigi è la confusione totale fra destra e sinistra. Sa benissimo che sono classificazioni limitative, ma far finta che tutto sia uguale a tutto non gli va giù. E si ricorda, proprio per questo, che un giorno, non tanto tempo fa aveva origliato una conversazione fra un giovanotto - che sembrava anzi era un rampollo di quelle famiglie importanti dell’industria italiana e che così giovanissimo già scorrazzava fra l’Italia, la Cina, gli States – e un signore dall’aria preoccupata. Questi invitava il giovane ad essere prudente, una parola sconosciuta nel vocabolario contemporaneo e di quel giovanotto (tutt’al più si dice ‘prevenzione’ dimostrando così che la prudenza può essere trasformata in merce) e lui rispondeva che «finchè dura si va avanti e se poi anche i cinesi si danno da fare e tutto va a catafascio allora si tornerà a zappettare la terra!». Che cinismo si disse Luigi… ed oggi aggiunge «ma che vada lui subito a zappettare, mi sa che gli farebbe un gran bene perché secondo me non sa assolutamente cosa significa e vorrebbe che Altri andassero a zappare per lui, ovvio!». Una riprova che tutto non è uguale a tutto, dice Luigi e sospira così forte che quasi lancia un grido ed una signora che sta passando gli chiede se si sente male. «Si – le risponde - ma non è un male fisico, è che sono stato assalito da una preoccupazione enorme, temo che i nostri giovani abbiano perso la capacità di leggere la bussola, non tutti, ma parecchi!». «Non mi dica, risponde la signora, però meglio così, avevo paura che stesse male, con quello che si sente e che si legge..» ed ognuno ritorna alle sue cose.

    E Luigi, riprendendo il cammino, pensa che si voglia per davvero far credere a tutti che i “vecchi e i bambini” sono un costo! Già di bambini con questa litania se ne fa di meno.. per i vecchi bisogna aspettare ancora un po’... per farli andare a zappettare magari la loro fossa. Ma allora, si domanda Luigi: gli ospedali, le scuole, i ponti, le ferrovie, i palazzi pubblici, i moli del porto, le stazioni, le strade più o meno ardite, insomma tutti i beni durevoli, anche quei beni che si è riusciti a proteggere da feroci andate tsunamico-speculative come certi boschi, certi litorali, certe spiagge, certi corsi d’acqua, certi monti, certe coline, certi paesaggi che sono stati costruiti i primi e preservati i secondi proprio da quei lavoratori quando erano più giovani come non rientrano più in gioco? Non sono forse dei valori – in tutti i sensi – lasciati come una specie di eredità a godere ad altri?

    Non si può dar torto a Luigi che scopre il senso a partire dalla realtà, dal praticamente-vero oppure dal fondamento, dall’aitìa greca. Non possono farci credere, per lo più coloro che godono di redditi variabili e persino quelli che annunciano per tv o per radio che la borsa è scesa dello 0,20% oppure del 2% e lo dicono con aria mesta e quasi piangente come se i titoli azionari non fossero soggetti all’inflazione da un lato e alle speculazioni al ribasso dall’altro, che tutti i beni durevoli, tutti gli atti che hanno portato dei miglioramenti durevoli, anche nel campo della salute sempre sotto tiro per i costi sanitari – siano cose irrilevanti. Anche loro potrebbero avere un significato contabil-capitalista e dunque giustificare le pensioni: non solo ragioni umanitarie, umane – che pur sarebbero già ben che sufficienti – ma anche contabili! Ma Luigi torna alle ‘azioni’, quelle quotate in borsa. Esse risentono moltissimo del valore effettivo degli investimenti apportati alle aziende di riferimento e se c’è del truffaldino prima o poi vanno verso il basso. E vanno anche verso il basso secondo certi giochi borsistici. E poi si sa anche, forse un po’ meno, che il valore di un’azione, proprio per tutte queste cosette, è più o meno il valore attuale degli utili – che costituiscono la base dei dividendi - che sono previsti ed attesi. Il fatto che spesso le azioni diano dei guadagni del 15-20% (e così anche altri titoli) è qualche cosa di “senza senso”: è speculazione, bolle, cioè falsa virtualità per nulla reale - ma con effetti reali - che garantisce ed è riservata a ben poche persone dell’umanità. Anzi, pochissime. Luigi, per quel che lo riguarda cioè le contorsioni regressive e repressive sulle pensioni dopo aver tanto lavorato, sa che ci sono i moltiplicatori, che sono in funzione della dinamicità dei soldi e dei capitali… ah il mercato dei capitali, non solo della frutta e verdura! E a proposito di quel mercato del danaro Luigi sorvola a quell’ipotesi fatta da James Tobin nel 1972: tassare un po’ le transazioni valutarie! Solo l’idea provocò e provoca tanti pianti e piagnistei in pochissime famiglie! Ma quanti pennaioli a consolarle.. e ministri e esperti e politologi… che ne dicono tante e tante. Se usassero la stessa lena per dire che la tassazione del reddito da lavoro è eccessiva il salario sarebbe già oggetto di sacralità!

    Il mondo dei rapporti sociali è un po’ diverso, col suo annesso mercato, dal microcosmo della famiglia ideale esistente, come quella di Luigi, dove si guarda anche al centesimo di euro. A casa di Luigi non si fanno spese se non ci sono soldi; non si compra a rate nemmeno se ti garantiscono per iscritto sconti tali che si può comperare a sottocosto. Qualche volta la tentazione è forte perché i bisogni lo sono altrettanto. Ad esempio ci sarebbe da cambiare quel divano che ne ha viste di tutti i colori, anche improvvisi amori quando la passione esplode fra Luigi ed Elisabetta ed i figlioli sono fuori. Piacerebbe compiere quei riti della vacanza lontana e dei fine settimana fuori città. Ma l’idea che fra non molto sarà in pensione lo fa ‘fermare’. Luigi sa bene che i soldi messi in banca non stanno fermi.. sono girati ad altri... al mercato... e se le cose stanno così perché non pagare le pensioni? Importante che i soldi delle pensioni rientrino in circolo, no? I pensionati danno lavoro ad altri come tutti i consumatori e quando hanno bisogno di assistenza specializzata e non (come tutti del resto), magari hanno bisogno di qualche struttura protetta a meno che non si voglia innalzare al rango di valore il suicidio o inventare l’olocausto dei vecchi. Luigi non è mica stupido: sa distinguere fra rispetto alla persona - anche chi compie gesti estremi merita sempre la nostra pietas e rispetto profondo - e le parole. Per questo sa che è corretto che il ‘suicidio’non sia penalmente rilevante – aveva letto che all’epoca del potere temporale ecclesiastico le persone suicide venivano impiccate, da morte, fuori dalle mura delle città – e dunque anche tante altre azioni o comportamenti umani lo potrebbero essere senza alcuna significanza o rilevanza penale e non per questo elevarli a rango di valore. Ma sa anche che l’organizzazione e la ritualità sono in agguato: come fare per assecondare certe volontà che solo in apparenza sembrano non richiedere costi, apparentemente gratis? Infatti quando si vuole organizzare ci si imbatte nelle spese e nei cambiamenti nelle referenzialità dei poteri. Ma è anche fermamente convinto che se si fossero fatte le strutture necessarie certi problemi sarebbero veramente minimalizzati!

    E a proposito di strutture protette Luigi sa che con l’aria che tira la sua pensione non basterà a pagare la retta nel caso diventasse non autosufficiente e i suoi familiari, sua moglie, non ce la facesse più a tenerlo in casa dove hanno sempre vissuto. La casa sarà dei figli, altrimenti come faranno? Si sa che qualche ben pensante di quella categoria degli sciocchi vorrebbe eliminare l’eredità per fregare i ‘padroni’ ma, così facendo, fregherebbe proprio e con maggiore incisività proprio chi è al limite della sopravvivenza ed ha lavorato una vita per un minimo di sicurezza, cioè di difesa attiva nei confronti della volubilità dei proprietari specie di quelli grandi che si perdono dietro – ma non troppo – l’anonimato delle società per azioni o delle fondazioni. Diverso il discorso sulle patrimonialità. Inoltre, quando uno è non autosufficiente la assistenza sanitaria, in un certo senso ma con ricadute assai pratiche, si sospende, va in default. Bisogna pagare, e se non può l’interessato devono pagare i familiari. Ben pochi si sono opposti a questo andazzo di mentalità e di eterodirezione, solo alcune associazioni di consumatori come la Confconsumatori con l’avv. Franchi di Parma e Truzzi di Trieste che qualche causa riescono a vincerla. Che strano silenzio.. si dice Luigi, una grande identificazione con l’aggressore! Una volta che disse queste cose fu rimproverato da un tipo che l’apostrofò con «lei dice bene, ma come farebbero i comuni?» Già, come farebbero? Semplice, farebbero diversamente, meno spese per l’effimero, perché a pensarci bene sarebbe come dire “se mi capita una multa perché pagarla visto che mi riduce una parte del mio tenore di vita?”. Quel tipo, scoprì più tardi, era il dirigente del comune che aveva ideato un contratto al momento del ricovero di un anziano non autosufficiente nella struttura protetta comunale che impegnava i parenti a pagare. «Se non firmi, non ti ricovero il vecchietto o la vecchietta!». Così i premi corrono senza ostacoli anche per i dirigenti pubblici come se si fosse aumentato il fatturato.

    Che follia! Dunque per i pensionati in gravi difficoltà… strutture protette costose, badanti che facilmente possono essere sfruttate e così consentendo sempre il gioco perverso dei premi dei vari addetti delle cosiddette aziende pubbliche con la facile considerazione che “si evita il ricovero”. Una volta Luigi era stato anche accusato di non capire niente da un attivista del partito dei pensionati che diceva che bisognava avere pensioni più alte e che bisognava fregarsene dei ‘diritti’ da esigere: una diretta apertura al privato assoluto! Mentre lui, Luigi, avrebbe voluto tanto che si fosse introdotto il budget di cura, ma non come procedura del potere dei servizi bensì come empowerment del cittadino bisognoso per aprire a lui più opportunità e modalità di azione e di scelta nel suo contesto. Per far sì che sia il cittadino a condizionare i servizi secondo i suoi bisogni e non viceversa. Luigi si ricorda che un suo amico, sociologo, aveva fatto un bel progettino di formazione per “il budget di cura” indicando fra i docenti l’équipe inglese che l’ha introdotto, sperimentato, valutato. Richiese al centro servizi volontariato di sostenere i costi delle docenze; la risposta fu un bel no. Non si va contro l’establishment monopolistico, non vi pare? Meglio fare corsi e corsetti per Badanti, per qualificare gli OSS al terzo livello che interrogarsi se avere trasformato in dottori tutti gli infermieri professionali sia stata una cosa eccezionale veramente e se la pletora dei medici sia davvero sensata e rispondente alle esigenze. A Luigi vien da ridere (per non piangere), pensando al fatto che ieri l’altro un suo amico affetto da un principio di polmonite aveva dovuto recarsi con la febbre dal medico di base per avere il certificato di malattia e per ottenere i farmaci necessari. Il suo medico di medicina generale – meno di famiglia – non era disponibile. Ma.. alla sera stessa si presenta al domicilio dell’amico il medico legale inviato dall’ASL per il controllo! Ma allora non varrebbe affidare le cose a questi solerti funzionari della medicina? Cosa spinge all’efficienza solo per effettuare i controlli? Risposta: il controllo stesso, dove tutte le frustrazioni si fondono nel crogiolo della precarietà della vita e dei registri sociali e si assapora il profumo del potere. Povero PIL!

    Però, dice Luigi, che male c’è se quando uno è vecchio e male in arnese ci sono altri che pensano a lui? Il PIL non è forse lì anche per quelle persone? Ed anche per i bimbi! Anzi è lì proprio per chi non ce la fa. Come quando si chiusero i manicomi. A parte le carenze assistenziali laddove l’ignavia della politica, dell’amministrazione e della scienza psichiatrica hanno retto le cose per parecchio tempo dopo la promulgazione della legge 180; a parte le ricadute grevi su familiari spesso lasciati soli o con i quali il dialogo non era facile (d’altro canto erano condizionati alla delega in bianco al potere sanitario e medico); a parte certi casi che richiedono più tempo per la loro evoluzione verso un equilibrio accettabile… beh sono tutte cose che necessitano di una cambiamento culturale, di un radicale cambio di mentalità spesso profondamente radicata e di nuovi assetti di potere. Né si può addurre come considerazione negativa che l’assistenza senza manicomi costa troppo rispetto ad una procedura di ghettizzazione, di catalogazione e basta. Questa è solo stupidità. La libertà è sempre terapeutica, non l’abbandono, ovvio.

    È diverso, si dice Luigi, quando per la sopravvivenza, per sopravvivere – forse non per vivere – c’è bisogno o comunque ci sia spetta fortemente che si prendano carico del bisogno strutture capaci di fornire veramente delle assistenze specialistiche, altamente complesse e con tanta dedizione. Occorre dunque mettere su strutture corrette, fornirle di personale preparato e garantire ad esso condizioni di lavoro eccellenti – si dice così, no? – per prendersi carico della persona gravemente non autosufficiente e immettere l’energia per ri-abilitarlo sul serio. Mantenere cioè la speranza di una cura forte, volta al miglioramento effettivo della qualità della vita di chi è maggiormente provato dal dolore e dalla malattia. Si potrebbe anche, continua nel suo ragionamento Luigi, trasformare l’esistente, le strutture che ci sono anche se private, modificando la loro mission. Ad esempio Luigi pensa che le cosiddette case di riposo potrebbero diventare anche oppure come dei “campi base” dell’assistenza domiciliare per un’area data e per magari favorire l’accoglimento quando è necessario di qualche anziano solo ed ammalato, un’assistenza domiciliare ‘vicina’ alla quotidianità e non immersa nella prosopopea delle istituzioni sanitarie che, sul territorio, dovrebbero essere assai delicate, flessibili, umili. Si dovrebbe favorire una grande poliarchia nel sociale e non una gerarchizzazione. Ma anche ci sarebbe bisogno di una “fondazione del volontariato” promossa da importanti enti pubblici, magari come costola autonoma della ”protezione civile” – al fine di avere il massimo del controllo democratico e popolare - che sappia non unire associazioni ma “persone” per svolgere competenze specifiche.

    Con la massa di ‘pensionati’ non sarebbe proprio male: importante che ciò che si svolge dentro queste neo-istituzioni che immagina Luigi ci sia sempre ‘dono’ e basta. Dono per gli altri, per le scuole mal messe, per strade sporche, per andare all’appuntamento in piazza o al teatro quando certe strutture protette più sensibili portano a spasso i loro ospiti e quindi accoglierli e spingere le carrozzelle o prenderli a braccetto per una bella passeggiata od altro, per accompagnare ad altre agenzie anche di volontariato, per rendere decorosi i luoghi pubblici, per la cultura, per manifestazioni sensate etc. etc. Luigi si proietta già alla pensione, ma in realtà ci dice che ha senso “investire” sulle persone visto che tutto sommato tutti sti imprenditori non è che stanno operando per il pieno impiego: la redditività del capitale costante li condiziona, eccome. Né pensa, Luigi, che riempire le cassette delle lettere di carte pubblicitarie sia un lavoro: e infatti oltre a fare incazzare i condomini degli stabili quando si trovano la cassetta postale intasata da cartacce che spingono solo al consumo e il loro riempimento è fatto dal lavoro nero di persone immigrate e solo qualche volta da studenti in vena di farsi un po’ di grana. E allora, in attesa che le leggi facciano il loro corso (!), perché non dare una chance relazionale a queste persone, magari anche garantendo loro qualche corso di italiano etc..? Luigi sorride, sarà dura, visti i massimalisti e azzecca garbugli che si annidano da tutte le parti, dalle associazioni di ogni ordine e grado alle migliori istituzioni della solidarietà e della tutela dei diritti. Sa che nella società dello spettacolo vale più la copia – il falso – della realtà.

    Lui, contrariamente al detto comune che ha declinato in senso dispregiativo il nome di Solone, si sente più vicino a questo giurista dell’antica Grecia che voleva portare un po’ di giustizia, come togliere la schiavitù per i debitori che di solito erano piccoli contadini. Oggi si può dire che impegnarsi per affrancare dalla povertà e coinvolgere le persone anche bisognose nel “dono” sia un processo importante e foriero di tutto. Da cosa nasce cosa. Luigi sa, è consapevole, che per vivere meglio tutte le età e specialmente la vecchiaia bisogna avere la capacità e il coraggio di andare controcorrente. Se una persona, specie se anziana, non va controccorente è solo un anziano/a. Certo, bisogna lasciarsi alle spalle quegli atteggiamenti belli e rassicuranti con cui si ammiravano le lotte di liberazione che si svolgevano nel terzo e quarto mondo e si osannavano quelle popolazioni: ora quelle popolazioni vengono qui e si vedono troppi nasi storti. Anche di quelle dedite a bere kir royal per lo più sostituito dallo spritz. A Luigi è piaciuto il nobel per la letteratura assegnato al peruviano Vargas Llosa perché, pur ammirando molto Sartre, seppe dire al filosofo francese «e no, caro mio, perché non dovrei scrivere … forse perché quando io e il mio popolo saremo liberi potremo solo leggere le opere degli europei?». Si, ci vorrebbero tante borse di lavoro, ci vorrebbe il ”reddito da cittadinanza!”. Ma quanti moralismi di basso cabotaggio!

    Eppure le pensioni, e Luigi lascia le sue apparenti libere associazioni che qualche psichiatra, in cui quel pizzico di potere di salvificazione del sistema sopravvive sempre, potrebbe codificare come fughe del pensiero o delle idee, erano nate per far sì che il lavoratore una volta diventato vecchio, con qualche inevitabile acciacco, potesse sopravvivere con un po’ di dignità Suo papà aveva visto ancora i vecchi storpiati dal lavoro, ai margini, in fila a prendere un po’ di rancio avanzato dai soldati delle caserme. Beh, l’avvento delle pensioni aveva eliminato quelle indegne realtà sociali. E’ vero però che per esigenze strumentali di tipo elettorali spesso si è abusato... fino ai famosi 15 anni sei mesi e un giorno. Una cosa grave, ma allora nessun giudice, nemmeno della Corte dei Conti ebbe qualche cosa da ridire. Strano. Diverso era aver concesso le pensioni a quelle categorie che non avevano mai versato contributi e che non è che avessero pagato tutte quelle tasse come i commercianti, gli agricoltori, gli artigiani. Infatti si usciva da una guerra lunga e dolorosa che aveva fatto fuori migliaia di giovani e c’era bisogno di giustizia sociale e di pace.

    Oggi è tutto diverso. Sembra che si faccia di tutto per seminare zizzania fra le giovani generazioni e le vecchie, saltando a pié pari il capitolo della solidarietà e della coesione sociale. Che ci marcino? A Luigi, con quella sana paranoia che accompagna i miti e i lavoratori, frulla per la mente che si stia arrischiando di mettere le mani su certe fette del PIL riservato alle pensioni - un 15% - per stornarlo ad altre fasce di persone che magari non sono nemmeno cittadini italiani ma “investitori”. Si sa, il capitale non ha un’identità codificata dallo stato civile. Pecunia non olet. E nemmeno si può credere che l’eventuale accaparramento di quella quota del PIL sia fatto per diminuire il debito pubblico, come se fosse da attribuirsi ai lavoratori trasformati in debitori esclusivi anche perché il mondo dei politicanti è così pieno di creatività che saprebbe, appunto, destinare i soldi carpiti per altre spese da elargire a destra e a manca per il mantenimento delle ‘poltrone’. Ma affermare che i pensionati sono troppi, cioè le pensioni sono troppo elevate, è come dire che in una famiglia dove sono nati tre gemelli e dunque i neonati sono ‘troppi’ essi devono mangiare come se fosse nato un solo figlio. Smettiamola con le cazzate, si sta cazzeggiando troppo nelle sfere delle dirigenze. Se si aprisse il lavoro per giovani lavoratori, se nelle scuole anziché eliminare le materie difficili come il latino ed il greco – perché i figli delle classi abbienti vanno alle scuole dove queste materie in cui l’Italia primeggiava sono insegnate e lo sono persino a Washington DC – ma lasciarle facoltative o quasi, se si eliminasse tanta ma proprio tanta di quella pubblica istituzione nei cui meandri di sportelli non si capisce mai quale carta sia necessaria e tanto meno il perché province comprese, piccoli comuni da unificare, responsabilizzazione dei privati anche sulle tasse, rimborsi elettorali in proporzione ai voti e così pure per i vari seggi che dovrebbero rappresentare l’intera popolazione e non solo una parte e dunque se in troppi non vanno a votare si può benissimo scalare il numero delle “poltrone” teoriche stimolando così una vera responsabilizzazione degli ‘eletti’, compiere un po’ di giustizia retributiva che presenta lati oscuri come quello delle indennità degli insegnanti inferiori rispetto a quelle concesse agli insegnanti di religione e nel silenzio sindacale (solo i radicali si danno da fare), lasciare spazio al buon senso concreto e vedete che il lavoro si trova.

    E avere il coraggio di domandarsi, almeno domandarsi, se sia proprio giusto che lo stato debba avere Xn di televisioni, di radio etc.. e sempre meno ospedali efficienti e scuole votate all’eccellenza. L’ambiente è sicuramente un grande volano e legato ad esso c’è una filiera infinita sia per la tecnologia e sia per la comunicazione e formazione. Ma anche l’industria, quella vera, con la cultura che ridiventi cultura e non pseudo-azienda – al massimo questa è una modalità di gestione non un valor in sè – allora non si è fuori dal tempo, fermi. Luigi, laureatosi come studente-lavoratore, con uno stipendio da 1859€ al mese, dopo quasi 40anni di lavoro ininterrotti, alle soglie dell’età della pensione messa in discussione da troppi poteri, vede la periferia industriale della città con quella nuvola di fumo bianco che annuncia che il carbon coke per la ghisa è pronto… e che anche quella fabbrica è pronta per essere riciclata e pronta al riutilizzo dei suoi 35 ettari di terreno da bonificare e da destinare ad altri marchingegni produttivi e meno inquinanti, senza arrecare danno ai lavoratori ed ai cittadini.

    Ma si sa, l’autopoiesi (autorefrenzialità) non è mica una robetta da poco conto anche se a sinistra come a destra diventa un concetto moralisticheggiante e nulla più. Alla faccia della scienza. Di quella scienza che è ottima venditrice di prevenzione, cura, riabilitazione (mai di precauzione) e che trasforma in malattia ciò che tocca e in ruoli per neo-professionisti che curano gli influssi negativi delle identità interinali, cioè precarie come … Stress, ansia, frustrazione, notti in bianco e depressione sono infatti le dirette conseguenze del vivere costantemente in uno stato di incertezza tra contratti di lavoro in scadenza, dubbi sul rinnovo e spettro della disoccupazione all'orizzonte. Una costellazione di sintomi che ha già un nome, "sindrome del precario" (che bello inventare i nomi! Ci si sente come Adamo quando dette i nomi agli animali… figli del dio Maggiore.). Gli esperti citano dati diffusi dal Comune di Milano in cui spiccano 47 mila lavoratori in difficoltà, l'80% dei quali (oltre 37 mila) con già problemi psicologici riconducibili a una sindrome da lavoro precario. Numeri che Luigi ha bene in testa perché nel cercare lavoro ai suoi figlioli si è imbattuto in un collega del sindacato che gli ha fatto vedere un articolo che si è fotocopiato. E così ci dice che secondo un sondaggio online condotto dall'Eurodap sull'emergenza precarietà è emerso che: "su 300 persone tra 25 e 55 anni, il 70% ha dichiarato di trovare proprio sul posto di lavoro la maggiore fonte di stress. Di questi, il 60% teme i colleghi mentre il 40% si dice completamente assoggettato al capo per paura di essere licenziato.” Una piccolissima consolazione per i disoccupati giovani!

    Luigi ha un amico sociologo che un tempo era uno dei collaboratori più vicini a Franco Basaglia. Gli ha fatto vedere questo: “non c´è solo la crisi economica. I precari bussano alle porte dei Servizi psichiatrici delle Asl piemontesi, dove si sa il manifatturiero è ben piazzato, in cerca di aiuto. E proprio tra questa categoria di utenti è stata condotta per conto della Regione un´indagine che punta a individuare il doppio filo che lega precariato e disturbo psichico. Il campione - 582 utenti, il 46% uomini ed il 54% donne - è stato scelto in 4 diverse aree del Piemonte. I precari che si trovano ad affrontare disturbi psichiatrici sono giovani, «in una fase della vita in cui emergono le esigenze di costruzione di un percorso», spiega il sociologo Roberto Cardaci, che ha condotto l´indagine: il 24,40% ha dai 36 ai 40 anni, il 22,85% dai 31 ai 35, il 18,73% dai 41 ai 45, il 16,15% dai 26 ai 30. Per molti di loro, il precariato è una burrasca in cui navigano da anni, in diversi casi (il 38,49% del totale) da sempre: il 2,58% è diventato precario nel periodo 1980-1990, il 17,18% nel 1991-2000, il 39,18% nel 2001-2007. Sono mediamente istruiti - il 49,14% ha un diploma di scuola media superiore, il 32,30% un diploma professionale, il 5,15% la licenza media inferiore, 4,30% la laurea, 0,17% la licenza elementare - ed hanno gli impieghi più disparati: il 14% lavora nel commercio, il 6% nel pubblico impiego, il 6% nell´industria, il 3% nella comunicazione, il 2% nell´edilizia, l´1% nell´artigianato, il 25% in altri settori, mentre il 43% è attualmente senza occupazione.

    Nella propria condizione di "vuoti a perdere", i precari subiscono pesanti contraccolpi dalla propria percepita inadeguatezza nel costruire un percorso di vita e lavorativo. Il 35,74% del campione soffre di schizofrenia e altri disturbi psicotici, il 19,24% di disturbi della personalità, il 16,15% di disturbi d´ansia, il 12,03% di disturbi depressivi maggiori, il 9,79% di disturbi bipolari, il 5,15% di disturbi dell´alimentazione, il 3,78% di distimia, il 3,26% di disturbi somatomorfi, il 2,58% di disturbi ossessivi. E se, come sottolinea Antonio Macrì, responsabile del Centro di salute mentale dell´Asl Torino 1, «chi si rivolge ai Servizi psichiatrici è solo la punta dell´iceberg», il numero di precari che bussano alla porta delle Asl piemontesi è in crescita esponenziale negli ultimi anni: «Da noi, se fino a qualche anno fa c´erano 2-3 arrivi a settimana, ora sono 2 al giorno», dice Cecilia Cismondi del Servizio sociale del Dipartimento di salute mentale dell´Asl Torino 2. Per puntellare le vite precarie di questi lavoratori a scadenza, la Regione Piemonte, unica in Italia assieme alla Toscana, mette a disposizione dei Servizi di salute mentale strumenti come borse di lavoro e percorsi di inserimento lavorativo. «Per questi servizi sono stati spesi nel 2007 sette milioni e mezzo. Ma l´insicurezza ed il disagio mentale non possono essere affidate soltanto ai clinici.” Ne siamo ben consapevoli, noi.

    Edvard Munch (Liturgia del pensiero medi-psi e socio)
    Sera sul viale Karl Johan 1892


    Forse invecchio, se ho fatto un lungo viaggio/ sempre seduto, se nulla ho veduto/ fuor che la pioggia, se uno stanco raggio/ di vita silenziosa… ( gli operai/ pigliavano e lasciavano il mio treno,/ portavano da un borgo a un dolce lago/ il loro sonno coi loro utensili)./ Quando giunsi nel letto anch’io gridai:/ uomini siamo, più stanchi che vili.
    (Sandro Penna, Peccati di gola, Libri Sheiwiller 1990)


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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