 
 
      Percorsi di pedagogia della narrazione
Dalle fonti orali alle nuove tecnologie
       Fabio Olivieri (a cura di)
M@gm@ vol.8 n.2 Maggio-Agosto 2010
IMPARARE A RACCONTARSI, RACCONTARSI PER IMPARARE
      Ornella Martini
o.martini@uniroma3.it
        Università Roma Tre. Facoltà di Scienze della Formazione e alla Facoltà di Lettere. Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento e Comunicazione di rete per l’apprendimento.
Questo contributo 
                    costituisce un’ulteriore occasione per riflettere su un ambito 
                    centrale della mia attività didattica e di ricerca intorno 
                    e dentro le logiche e le modalità comunicative in Rete: Internet 
                    come luogo nel quale si offrono molteplici e significative 
                    opportunità di plasmare la propria, meglio le proprie, identità 
                    attraverso la partecipazione e la condivisione, soprattutto 
                    con la scrittura. Troppo spesso si parla di Internet come 
                    di un universo caotico e corrotto, perverso e dispersivo, 
                    nel quale le persone rischiano di perdersi o, peggio, di essere 
                    trovate come prede; nel quale soprattutto i giovani dis-perdono 
                    le loro potenzialità cognitive, sensoriali, emotive; nel quale 
                    sempre soprattutto i giovani disimparano a scrivere. Per chi, 
                    come per me, Internet è una dimensione quotidiana della propria 
                    esperienza di vita, connessa dinamicamente alle altre dimensioni 
                    della propria esistenza, poco o nulla di quei facili e ingiustificati 
                    allarmismi ha fondamento. Al contrario, Internet è uno straordinario 
                    laboratorio cognitivo ed esperienziale, alimentato in modo 
                    incessante e giornaliero da milioni di esseri umani intorno 
                    e dentro la scrittura. Proprio la Rete, dunque, contesto apparentemente 
                    immateriale e incorporeo, ripropone la centralità della presenza 
                    emotiva e carnosa del corpo come fondamento dell’esperienza, 
                    anche dell’esperienza, si spera il più possibile avventurosa 
                    e coinvolgente, della conoscenza. Proprio la Rete ripropone 
                    la radice etimologica del termine “testo” come tessitura, 
                    costruzione condivisa collettiva e molteplice, dei tanti che 
                    al testo danno vita.
                    
                    E qui vorrei riproporre un richiamo a un librettino, leggero 
                    ma molto denso, intitolato Il Talmud e Internet. 
                    Un viaggio tra mondi, una sorta di pamphlet autobiografico 
                    di Jonathan Rosen, che apre squarci brevi ma molto intensi 
                    su analogie tra mondi soltanto apparentemente così diversi. 
                    Scrive Rosen: " Il mio computer ora è una porta di ingresso 
                    su una galassia di parole che sono infinitamente più numerose 
                    delle stelle del cielo o della sabbia del mare. … Ho la sensazione 
                    che la vera sfida, che è anche una strategia, stia nel trovare 
                    la totalità nell'infinitezza. … È possibile dunque vivere 
                    (…) prendendo atto che il concetto stesso di padronanza, di 
                    totalità è sempre stato una fantasia, come il Talmud del resto 
                    non si è mai stancato di sottolineare". Questo a p. 42 
                    e a p. 14, sulla natura intrinsecamente frammentaria, perciò 
                    infinita del sapere mediata da libro (in quanto testum 
                    ovvero trama, ordito) e/o da Internet: "Il termine ebraico 
                    per trattato è massekhet che letteralmente significa 
                    tessuto, trama. Proprio come per il World Wide Web, è la metafora 
                    del telaio, antica e inclusiva, che riesce a catturare la 
                    ricchezza e la casualità, l'infinita interconnessione delle 
                    parole".
                    
                    Ecco, la cultura nella quale siamo immersi tutti oggi, molto 
                    spesso inconsapevolmente, recupera la natura aperta e condivisa 
                    del testo, la sua connotazione di tessitura frammentaria ed 
                    infinita, attraverso il lavorio e il chiacchierare collettivi 
                    e partecipi di milioni di cyber-Penelopi. Le si adatta ancora 
                    benissimo l'espressione di Ong “Oralità di ritorno” o “Oralità 
                    secondaria”, per sottolineare l'intreccio tra i due sistemi: 
                    quello dell'oralità primaria (oramai pressoché sparito, ché 
                    se pure sopravvivono comunità non mai esposte agli effetti 
                    della mentalità scrittoria, nel momento stesso dell'incontro 
                    con l'eventuale studioso, avventuriero o viaggiatore queste 
                    verrebbero immediatamente a contatto con modalità comunicative 
                    e forme della scrittura, magari anche solo vedendo tracce 
                    di marchi riprodotti sugli oggetti del nuovo arrivato) e quello 
                    della scrittura. Sì, perché i due universi che noi siamo abituati 
                    ad esplorare e a conoscere in forme decisamente ibride, sono 
                    costitutivamente diversi, al limite, conflittuali; mentre 
                    l'oralità è partecipazione pubblica, stabilità astorica, memoria 
                    poetica, sonora e musicale, la scrittura quasi appare come 
                    il completo opposto: è isolamento, addirittura, per Ong, “alienazione” 
                    di sé scrivente dal sé scritto rappresentato nel testo (lettera, 
                    diario, saggio, quel che sia); invenzione della storia come 
                    modello di interpretazione, per lo più lineare, del mondo; 
                    trasmissione di saperi organizzati nello “spazio tipografico” 
                    (che la diffusione della stampa a caratteri mobili ha costituito 
                    una sorta di vera e propria affermazione di una nuova era 
                    delle forme di rappresentazione e di trasmissione del sapere, 
                    esercitando un’egemonia così forte da imporre un’implicita 
                    gerarchia tra i media, dalla quale risulta tanto più superiore 
                    quanto meno appare il suo stato “naturale” di tecnologia). 
                    Questo, in estrema sintesi, per Ong, prima per McLuhan, e 
                    insieme, per un manipolo di studiosi, soprattutto americani, 
                    canadesi, inglesi, in sintonia ma ciascuno per suo conto, 
                    senza vessilli di scuole da innalzare (eppure, per insistenza 
                    di alcuni di loro sul Canada, e forse per un implicito e inevitabile 
                    riconoscimento di paternità delle idee a McLuhan, tale disparato 
                    e produttivo sviluppo di idee e progetti di ricerca sulle 
                    matrici comunicative della cultura vengono spesso indicati 
                    come ‘Scuola di Toronto’), che hanno adottato il punto di 
                    vista delle tecnologie come matrici, come ‘brainframes’, cioè 
                    ambienti di determinazione.
                    
                    La cultura in cui siamo immersi tutti, almeno in Rete, per 
                    chi vive la Rete in superficie come estensione di possibilità, 
                    e in profondità come intensità di approfondimenti, dicevo, 
                    intreccia in forme ibride partecipazione e introspezione, 
                    storia personale e racconto della storia, memoria personale 
                    e costruzione condivisa della conoscenza. Proviamo a entrare 
                    dentro questa nuova dimensione, provocazione per chi, occupandosi 
                    tradizionalmente di insegnamento, di formazione, di didattica, 
                    fa molta fatica a misurarsi con l’entità e il senso di tali 
                    radicali (eppure paradossalmente antichi) cambiamenti.
                    
                    Dunque, Internet, sembra assurdo, ripropone al centro della 
                    scena l’importanza del contesto come fondamento dell’esperienza 
                    e della conoscenza, e lo fa proprio nutrendo in modo famelico, 
                    a volte convulso disordinato egocentrico, il bisogno delle 
                    persone di nutrirsi della propria storia, per poter crescere, 
                    imparare, lavorare, stare con gli altri.
                    
                    Intanto, con Silvano Tagliagambe, ricordiamo la centralità 
                    del contesto: il suo mi pare un modo davvero efficace per 
                    proporre la questione oggi, e per individuare nel linguaggio, 
                    in particolare nello scambio dialogico, la condivisione di 
                    uno spazio d’azione comune, di un contesto comunicativo, appunto.
                    
                    Scrive Tagliagambe, in Più colta meno gentile. Una 
                    scuola di massa e di qualità: “Riprendendo e facendo propri 
                    alcuni spunti del pensiero di Heidegger, Winograd e Flores 
                    mettono in rilievo che il rapporto che ciascun soggetto, individuale 
                    e collettivo, ha con le cose con le quali entra in contatto 
                    no ha affatto bisogno di mediazioni e mediatori, perché è 
                    qualcosa di originario, determinato dall’appartenenza a uno 
                    specifico contesto che non è stato scelto, ma in cui ci si 
                    trova ‘gettati’ e di cui si deve costantemente tener conto. 
                    Cruciale, da questo punto di vista, è la distinzione heideggeriana 
                    tra vedere e guardare. Non è il vedere in se stesso ad avere 
                    un senso e soprattutto a dare un senso alle cose, ma il guardare, 
                    che significa inquadrare un oggetto come funzione del mio 
                    mondo, che ha senso in relazione al mio vivere. Quando guardo 
                    nel senso heideggeriano guardo sempre una funzione, 
                    cioè considero un oggetto in quanto utilizzabile da me all’interno 
                    dello specifico ambiente in cui vivo o del modo in cui vivo. 
                    Il senso dipende dunque in modo essenziale dal 
                    contesto, in quanto il guardare è contestualmente determinato. 
                    Ciò non implica che esso sia arbitrario, perché dipende strutturalmente 
                    dalle regole del gioco che vigono all’interno del contesto 
                    medesimo. In questo quadro la descrizione dell’essere nel 
                    mondo deve necessariamente partire dai dati originari e costitutivi 
                    fornitici dalla nostra presenza in esso. Essere nel mondo 
                    è essere e agire in un contesto, ma non come soggetto passivo, 
                    bensì come agente capace di progettare in vista di determinati 
                    fini che ci si propone di conseguire” (p.24). 
                    
                    Il contesto in senso generale costituisce l’‘ambiente’ affettivo, 
                    personale nel quale avviene un’esperienza, compresa un’esperienza 
                    di apprendimento. Il contesto è lo spazio proiettivo del soggetto, 
                    delle sue passioni, delle sue motivazioni, nel quale accadono 
                    le cose, comprese le conoscenze e i saperi praticati, importanti, 
                    significativi, per lui, per lei. Che cosa attraente e produttiva 
                    sarebbe sapere che la scuola e l’università sono per studenti 
                    e professori dei sistemi che alimentano contesti, che danno 
                    vita a dei contesti, che li promuovono e li fanno incontrare!
                    
                    Ora, qui, scelgo di considerare il richiamo fondamentale al 
                    contesto esclusivamente in riferimento all’universo Internet, 
                    nel quale, così come per il testo, la radice etimologica esprime 
                    esattamente le caratteristiche delle pratiche di scrittura 
                    di rete: il contesto in realtà è un con-testo, cioè l’azione 
                    del connettere, del tessere insieme (con-téxere, 
                    appunto). A differenza di quanto, purtroppo, i limiti di un’organizzazione 
                    degli studi universitari eccessivamente formale e trasmissiva, 
                    secondo le logiche del LIBRO-matrice, non riesce a fare per 
                    promuovere una presenza significativa e partecipe, la presenza 
                    in rete, se sostenuta, appunto, da intenzionalità connettive, 
                    partecipative, riesce a promuovere la presenza come riconoscimento 
                    di un contesto comune.
                    
                    Internet, dunque, si offre (tanto più quanto più prendono 
                    corpo ambienti dinamici e interattivi Web 2.0) come un con-testo 
                    in cui stare, trovarsi, esprimersi, raccontarsi: un luogo, 
                    uno spazio, una condizione, comunque fluidi, aperti, magari 
                    rumorosi, autoreferenziali, ridondanti, ma straordinariamente 
                    attivi e vitali, che agiscono, per lo più attraverso la scrittura, 
                    secondo tempi e modi della comunicazione orale. Dunque, in 
                    questi ambienti di rete la scrittura è flusso e trama, è testo 
                    e corpo, è storia e persona: in quanto con-testo è occasione 
                    sempre presente di partecipazione e racconto di sé; in quanto 
                    possibilità costante di contestualizzazione, dunque attribuzione 
                    di senso della propria esperienza e conoscenza, costituisce 
                    lo spazio di significazione più coerente con l’esigenza di 
                    raccontarsi.
                    
                    La scrittura, allora, da pratica “transitiva”: io scrivo qualcosa, 
                    assume piuttosto la funzione di pratica ‘intransitiva’: ‘io 
                    in quanto scrivo’, è come dire, e prendo in prestito, dal 
                    libro di Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, le 
                    parole di Trinh T. Minh-ha: “Scrivere è divenire. Non divenire 
                    scrittore (o poeta), ma divenire, verbo intransitivo” (p. 
                    33).
                    
                    Scrivere, dunque, è divenire di sé; in rete è un agire incarnato, 
                    che serve a plasmare se stessi e la propria storia, da soli 
                    insieme ad altri, ciascuno insieme agli altri. E qui ritrova 
                    il suo senso più vasto e profondo proprio la scrittura, non 
                    come solo e semplice comunicazione, ma come teatro esistenziale, 
                    come mistero, magia, ornamento, rituale. E’ Roland Barthes 
                    a scrivere aggressivamente: “la scrittura oltrepassa largamente 
                    e, per così dire, statutariamente, non solo il linguaggio 
                    orale, ma il linguaggio in quanto tale (se questo – come insistono, 
                    per la maggior parte, i linguisti – viene ristretto a una 
                    pura funzione di comunicazione): innanzitutto perché il suo 
                    rapporto con il linguaggio orale è in più punti oscuro (l’ideogramma, 
                    per esempio, trascrive un gesto, a sua volta segno di una 
                    azione); e inoltre perché è evidente che la scrittura ha avuto 
                    ben altre funzioni che quelle comunicative; infine perché, 
                    legata alla mano, la scrittura resta in certa misura fisiologicamente 
                    distinta dall’apparato facciale della fonazione e dunque il 
                    corpo non s’impegna in essa allo stesso modo che nella parola; 
                    da ultimo, perché c’è - e c’è sempre stata - una frattura 
                    sociale tra la parola e la scrittura” (in Variazioni sulla 
                    scrittura, p. 26). 
                    
                    Certo, scrivere per raccontarsi è attività che si pratica 
                    anche senza rete, sia in ambito propriamente letterario sia 
                    in ambito più diffusamente biografico e autobiografico. Vorrei 
                    sottolineare qui l'ampiezza e varietà di proposte editoriali 
                    attualmente sul mercato; i personaggi sono i più vari, soprattutto 
                    quando di provenienza televisiva: si va dalla biografia di 
                    Alessandra Amoroso, la vincitrice dell'edizione 2009 di Amici, 
                    alla confessione di Paolo Brosio della sua conversione in 
                    A un passo dal baratro. Perché Medjugorje ha cambiato 
                    la mia vita, per arrivare al libro firmato da Carlo Conti, 
                    Noi che... Gli sms del programma I migliori anni, 
                    inviati dagli spettatori della trasmissione I migliori 
                    anni, e così via, attraversando l'affollatissimo mercato 
                    del ‘divismo’ televisivo che offre merce a buon mercato con 
                    straordinari risultati di vendita. I librai della mia libreria 
                    di fiducia dichiarano che questo genere di libri in pochissimo 
                    tempo sono stati stampati più volte; tra questi, anche le 
                    memorie di Patrizia D'Addario, Gradisca, Presidente. Tutta 
                    la verità della escort più famosa al mondo. Di sicuro 
                    sono facili operazioni commerciali, ma il fatto è che vendono 
                    moltissimo perché moltissime persone desiderano farsi raccontare 
                    la storia personale di personaggi considerati famosi. Si tratta 
                    forse di un fenomeno rozzo e un po' volgare che, però, rivela 
                    una tendenza: un bisogno diffuso di ascoltare e di essere 
                    ascoltati. D'altra parte, in Rete sono disponibili molti siti 
                    che offrono servizi per pubblicare da sé il proprio libro.
                    
                    La specificità e la significatività delle scritture di Rete 
                    sta nel tessere insieme, in modo individuale e collettivo: 
                    blog, social network, forum, giochi di ruolo, wiki, sono alcuni 
                    degli spazi di partecipazione e condivisione di pratiche di 
                    scrittura non solitarie né solipsistiche, ma dialogiche e 
                    comunitarie. In Rete si scrive di sé con gli altri; per sé 
                    e per gli altri: testo e contesto coincidono. Offrono continue 
                    occasioni di costruire, esprimere, modificare, moltiplicare 
                    la propria identità, ma pare più corretto e pertinente dire: 
                    le differenti personae della propria identità. Molti studiosi 
                    ed esperti di scrittura, sia di ambito pedagogico che psicologico, 
                    sia linguistico che filosofico, ma non altrettanto studiosi 
                    ed esperti di scritture di rete, sostengono che scrivere di 
                    sé e per sé in questo modo non è altro che un investimento 
                    egoistico, un gonfiamento forzato e falso del proprio io. 
                    Chi pratica scrittura di rete in rete sa che non è così, o 
                    meglio, sa che non è la Rete di per sé che provoca questi 
                    comportamenti; in questi casi di inautenticità tutto dipende 
                    dal modo di rappresentarsi a se stesso di quell'io che, scrivendo, 
                    non riesce a farlo se non mentendo a se stesso. Esattamente 
                    come avviene senza rete, se accade.
                    
                    Il contesto offerto dai tanti luoghi e modi della scrittura 
                    in rete, di rete, è un fantasmagorico laboratorio del racconto 
                    di sé, centrale, fondamentale attività di costruzione della 
                    propria identità e del proprio sapere.
                    
                    Scrive Jerome Bruner, in La fabbrica delle storie, 
                    libro tanto trasparente e apparentemente semplice, quanto 
                    estremo e creativo: “Questa capacità che ha il racconto di 
                    modellare l’esperienza quotidiana non può venire semplicemente 
                    attribuita a un ennesimo errore nell’umano sforzo di dare 
                    un senso al mondo, come sono soliti fare gli scienziati cognitivisti. 
                    Né va abbandonata al filosofo da tavolino, che si occupa del 
                    secolare dilemma di come i processi epistemologici portino 
                    a validi risultati ontologici (vale a dire, di come la pura 
                    esperienza ci faccia pervenire alla vera realtà). Nel trattare 
                    la ‘realtà narrativa’, noi amiamo invocare la classica distinzione 
                    di Gottlob Frege tra ‘senso’ e ‘referenza’: il primo è connotativo, 
                    la seconda denotativa. La finzione letteraria – amiamo dire 
                    – non si riferisce ad alcunché nel mondo, ma fornisce soltanto 
                    il senso delle cose. Eppure, è proprio quel senso delle cose, 
                    spesso derivato dalla narrativa, che rende in seguito possibile 
                    la referenza alla vita reale” (pp. 8-9).
                    
                    Il contesto, come ambito di costruzione e condivisione della 
                    propria storia, alla ricerca del suo senso, attraverso l’azione 
                    del raccontare e l’attività del narrare, in Rete anima dimensioni 
                    partecipate dell’apprendere e dell’insegnare, perché s’impara 
                    davvero ciò che si sente come parte integrante e significativa 
                    della propria storia, individuale e collettiva. Uso qui il 
                    termine ‘narrazione’ per sottolineare con Jack Goody la specificità 
                    delle forme scritte di racconto, mentre il raccontare è più 
                    ampiamente e universalmente espresso in forme orali. Essendo, 
                    però, le scritture di Rete, come dicevo sopra, fortemente 
                    orali, seppure di oralità secondaria o di ritorno, perché 
                    partecipate, collettive, rituali, parlate, possiamo indicare 
                    più ampiamente come azione del raccontare l’intensa attività 
                    dello scrivere in Rete.
                    
                    Scrivere in Rete, però, non è affatto semplice, anzi: più 
                    si è scolarizzati e abituati ad utilizzare le forme e i modelli 
                    della scrittura di scuola, più risulta difficile e insensato 
                    scrivere in Rete, soprattutto scrivere di sé. Non a caso, 
                    ad incontrare le maggiori resistenze sono gli insegnanti, 
                    i quali non si capacitano del fatto che raccontare di sé, 
                    ad esempio redigendo il proprio profilo in un ambiente didattico 
                    on line, abbia a che fare sia con l’apprendimento della comunicazione 
                    scritta sia con problemi di più ampia portata, relativi alla 
                    contestualizzazione delle esperienze di apprendimento, ovvero 
                    al fatto che, per avere senso, qualunque apprendimento deve 
                    essere ‘situato’, cioè legato all’esperienza personale di 
                    ciascuno.
                    
                    A proposito del primo ambito segnalato, quello relativo all’apprendimento 
                    delle diverse forme e modelli della comunicazione scritta, 
                    vorrei proporre almeno due esempi.
                    
                    C’è qualcosa che mi ha molto colpito in ciò che Marco Bonechi, 
                    un studente di Scienze della Comunicazione nel mio Ateneo, 
                    l’Università Roma Tre, nella sua tesina sul fenomeno delle 
                    Fanfiction, “La rimediazione nel mondo Fan”, di cui 
                    sono stata relatrice, racconta sul conflitto quotidiano di 
                    un adolescente tra la sua pratica di scrittura di rete e le 
                    tipologie di compiti di scrittura, come i temi, praticati 
                    nella scuola e solo nella scuola.
                    
                    “Nella vita di tutti i giorni i ragazzi a contatto con lo 
                    schermo sono liberi di creare e inventare propri testi a piacimento 
                    su qualsiasi argomento vogliano, secondo un proprio schema 
                    logico; a scuola si assiste all’imposizione di un metodo di 
                    studio, di esposizione o di scrittura completamente diversi 
                    dall’approccio con cui gli studenti sono abituati a casa. 
                    Patrizio, un ragazzo di 14 anni che frequenta il primo anno 
                    di liceo, mi racconta di come a scuola abbia alcune difficoltà 
                    nello scrivere temi di italiano con carta e penna, essendo 
                    abituato a casa a navigare su Internet e a tenere costantemente 
                    aggiornato un blog personale. Patrizio è solito correggere 
                    gli errori di pari passo mentre scrive, ha la possibilità 
                    di tagliare e incollare delle parti che reputa possano essere 
                    inserite in una posizione diversa all’interno del foglio, 
                    effettua quello che viene chiamato il ‘bricolage testuale’. 
                    Non è costretto a seguire un insieme di regole stabilite in 
                    anticipo, perdere tempo a correggere con il bianchetto, chiedere 
                    ai compagni dei fogli protocollo, dover essere vincolato alla 
                    velocità dello scrivere a mano rispetto a quella del computer: 
                    egli è nato nella “cultura della simulazione” e ha interiorizzato 
                    un metodo di scrittura che, rapportato alla carta e alla penna, 
                    gli rende difficile esprimere le potenzialità che invece possiede. 
                    Patrizio racconta di come gli capiti spesso di non riuscire 
                    a finire un tema in tempo entro la fine delle due ore concesse; 
                    questo non sarebbe capitato se avesse avuto il suo portatile 
                    davanti o gli fosse stato concesso l’utilizzo di un computer 
                    munito del pacchetto Office Word. Con questo non 
                    voglio dire che la scrittura a mano debba essere abbandonata, 
                    ma che ci sono materie per cui l’utilizzo del computer può 
                    facilitare il processo creativo, considerando che i ragazzi 
                    di oggi sono abituati a pensare stando davanti ad uno schermo”.
                    
                    Un’altra testimonianza molto interessante in questa direzione 
                    viene al momento dalla Gran Bretagna, dai risultati di una 
                    ricerca, condotta dal National Literacy Trust, che documentano 
                    come e quanto l’uso delle tecnologie di rete da parte dei 
                    giovanissimi per scrivere – su blog, social network, siti 
                    – alimenti non soltanto le loro abilità di scrittura, comprese 
                    quelle richieste per svolgere compiti scolastici, ma anche 
                    e soprattutto il piacere di scrivere testi che raccontano 
                    storie, come racconti brevi, canzoni, poesie. Jonathan Douglas, 
                    direttore della National Literacy Trust dichiara alla BBC 
                    che «le nuove tecnologie alimentano l'entusiasmo verso i racconti 
                    brevi, i testi delle canzoni e i diari». E aggiunge che nemmeno 
                    le piccole storture (come il linguaggio derivato dagli sms) 
                    sono un problema: «Più forme di comunicazione usano i bambini, 
                    più crescono le loro abilità nel comunicare» (https://news.bbc.co.uk/2/hi/technology/8392653.stm).
                    
                    A proposito del secondo ambito di riflessione proposto, quello 
                    di carattere più metodologico, vorrei soffermarmi a raccontare 
                    alcuni aspetti e momenti di mie esperienze didattiche on line.
                    
                    Da più di dieci anni il gruppo di cui faccio parte, il Laboratorio 
                    di Tecnologie Audiovisive della Facoltà di Scienze della Formazione 
                    del mio Ateneo è impegnato in attività didattiche e formative 
                    a distanza, ogni volta coerenti con le caratteristiche e le 
                    potenzialità di tutte le tecnologie a disposizione, in una 
                    logica di sistema integrato dei media. Abituati ad esplorare 
                    potenzialità e specificità di ogni tecnologia, vecchia, nuova, 
                    “rimediata” – per dirla con Bolter e Grusin – abbiamo incontrato 
                    Internet fin dagli esordi e seguito in tempo reale il suo 
                    sviluppo esponenziale. E’ stato ‘naturale’, per noi, cercare 
                    possibilità e soluzioni operative corrispondenti al nostro 
                    approccio teorico ‘costruzionista’, dialogico e partecipativo 
                    , concreto e personale, in cui centrale è chi apprende, il 
                    suo come e, soprattutto, il suo perché. Non è stato facile, 
                    perché la maggior parte degli ambienti proposti si configuravano, 
                    e tuttora si configurano, come spazi di e-Teaching piuttosto 
                    che di e-Learning, quindi centrati su chi insegna, sulle sue 
                    esigenze di controllo e di verifica dell’efficacia della trasmissione 
                    (erogazione è il termine solitamente usato in quegli ambienti) 
                    di contenuti predisposti fin dal principio in modo lineare 
                    e gerarchico. Alla fine, raccolta una segnalazione sull’esistenza 
                    di Moodle, una piattaforma Open Source, gestita e alimentata 
                    da una comunità internazionale di sviluppatori e di sostenitori, 
                    per la costruzione e/o il montaggio di percorsi didattici 
                    e formativi on line, abbiamo trovato il nostro spazio come 
                    gruppo membro della comunità Moodle nel mondo. Abbiamo così 
                    realizzato, e continuiamo a farlo, master on line di primo 
                    e secondo livello rivolti a professionisti della formazione, 
                    scolastica ed extra-scolastica; attivato in forma sperimentale 
                    un modulo di insegnamenti di area pedagogica nel corso di 
                    laurea in Scienze della Comunicazione della Facoltà di Lettere 
                    della nostra Università; integrato e sviluppato i nostri insegnamenti 
                    di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento e di Comunicazione 
                    di rete per l’apprendimento presso la nostra Facoltà di Scienze 
                    della Formazione. A queste attività, diciamo accademiche, 
                    si sono aggiunte ed intrecciate molte altre attività formative 
                    che vedevano, e vedono, coinvolti gruppi di adulti in aggiornamento 
                    e in formazione per conto di enti, aziende, uffici pubblici.
                    
                    La sottolineatura che sopra ho fatto sulla difficoltà di af-fidarsi 
                    alla scrittura come attività personale per presentarsi, raccontare 
                    di sé, condividere con altri un percorso di apprendimento, 
                    proviene proprio dall’insieme di queste esperienze: ogni volta, 
                    infatti, si ripropone lo stesso copione, noi che invitiamo 
                    a scrivere e cifrare con un’immagine il proprio profilo, e 
                    parecchi dei nostri corsisti che nicchiano, prendono tempo, 
                    si schermiscono, spesso impermeabili ai nostri inviti-proposte 
                    operative e ai loro presupposti teorici. Come dicevo, il sentimento 
                    più diffuso, considerando che per molti si tratta di pratiche 
                    del tutto nuove, è la paura di esporsi, di mettersi a nudo 
                    di fronte ad altri, d’incorrere nel giudizio del docente e 
                    dei membri del gruppo. Eppure, ogni volta noi proviamo a rispecchiare, 
                    praticandolo, il piacere di mettere in comune un ritratto 
                    di sé scrivendo nel profilo, nei testi collettivi, nei forum, 
                    nelle chat, nelle esercitazioni; ogni volta cerchiamo di rinnovare 
                    e diffondere un sentimento condiviso di generosità cognitiva, 
                    attraverso l’allestimento di un con-testo comunicativo e didattico 
                    aperto, collaborativo, dialogico, in cui costruire e condividere 
                    forme e contenuti di apprendimento. 
                    
                    Solitamente scegliamo di mettere a disposizione materiali 
                    di studio aperti, da ampliare di riferimenti e di link, da 
                    commentare, criticare, approfondire, interpretare in forme 
                    multimediali, attraverso il lavoro comune nei forum di discussione, 
                    nei wiki, nei lavori di gruppo e in quelli individuali. Il 
                    percorso di lavoro e di studio non è mai del tutto strutturato, 
                    al punto che, a volte, l’ambiente all’inizio è pressoché vuoto: 
                    nelle nostre intenzioni, per favorire al massimo, sul piano 
                    della partecipazione personale e consapevole, il percorso 
                    di apprendimento, attraverso la messa in comune dei saperi 
                    individuali e la loro valorizzazione dentro la comunità. Nelle 
                    reazioni da parte di alcuni, il vuoto viene percepito come 
                    mancanza, non come opportunità di costruire insieme il proprio 
                    con-testo di apprendimento. Come ho avuto già occasione di 
                    affermare, infatti, è il con-testo che dà il senso alle esperienze 
                    e agli apprendimenti. I contesti materiali che danno corpo 
                    alle esperienze in cui si apprende possono essere differenti 
                    e vari, non importa: che sia il palco di un teatro, un laboratorio 
                    di chimica o di fisica, un orto o una console per videogiochi, 
                    un cinema o una biblioteca, quel che importa è il senso che 
                    l’esperienza ha per il soggetto che la vive.
                    
                    Eppure, nonostante i limiti e le difficoltà che ogni volta 
                    si ripropongono, alcune di queste nostre esperienze didattiche 
                    on line risultano sorprendentemente ricche, animate, emozionanti, 
                    soprattutto quelle che vedono coinvolti gli studenti universitari 
                    (giovani e meno giovani) degli insegnamenti di Tecnologie 
                    dell’istruzione e dell’apprendimento e di Comunicazione di 
                    rete per l’apprendimento, sia alla Facoltà di Lettere sia 
                    alla Facoltà di Scienze della Formazione. Un po’ della complessità 
                    e della contraddittorietà di almeno una di esse (l’insegnamento 
                    on line di Comunicazione di rete per l’apprendimento per il 
                    corso di laurea in Scienze della Comunicazione della Facoltà 
                    di Lettere) abbiamo provato – Roberto Maragliano, Ilaria Margapoti, 
                    Mario Pireddu ed io - a raccontarla in un libretto (quello 
                    a cui faccio riferimento qualche riga sotto), Didattica 
                    e comunicazione di rete. Racconto di un’esperienza 
                    universitaria (Stripes Edizioni, Rho, 2007). 
                    
                    Nel corso delle nostre attività on line, se è vero che un 
                    po’ tutti faticano a trovare la propria cifra in uno spazio 
                    di totale libertà comunicativa, è anche vero che proprio questa 
                    libertà totale, passati i primi momenti di paura, diffidenza, 
                    spaesamento, diventa travolgente (al punto che, in qualche 
                    caso, alcuni studenti hanno trovato la forza polemica di mettere 
                    in discussione cose come il prezzo del libro proposto per 
                    l’esame, che vedeva me tra gli autori, elemento critico divenuto 
                    oggetto di una discussione alimentata proprio da me come tentativo 
                    di approfondire tematiche legate ad alcuni meccanismi della 
                    produzione e diffusione editoriale). A quel punto, gli studenti 
                    che ritrovano la libertà di poter dire fare partecipare secondo 
                    uno stile e con dei contenuti di loro interesse, appartenenti 
                    alla loro geografia di fonti e riferimenti, ritrovano il piacere 
                    di imparare (almeno per una volta!), riconoscendo come valore 
                    aggiunto la possibilità di farlo insieme al docente e di farlo 
                    insieme agli altri. Scrivere, a quel punto, costituisce insieme 
                    lo strumento e la materia di ciò che s’impara, testo e contesto, 
                    appunto, storia personale e racconto collettivo, esperienze 
                    e saperi costruiti insieme. Non avviene sempre, non coinvolge 
                    tutti, purtroppo, ma ogni volta è una esperienza positiva 
                    che da senso anche alla mia storia personale e professionale 
                    di donna abituata a costruire il pensiero con tutto il corpo, 
                    a “tenere la penna come un ferro da calza” e a scrivere come 
                    se “rammendassi mutande”, per parafrasare ciò che della scrittura 
                    delle donne disse Frédéric Soulié, intellettuale francese 
                    di cui scrive Francesca Rigotti nella Premessa del suo Il 
                    filo del pensiero. 
Bibliografia
Barthes Roland, Variazioni sulla scrittura 
                    - Il piacere del testo (a cura di Carlo Ossola), Einaudi, 
                    Torino, 1999
                    Bolter Jay D., Grusin Richard, Remediation. Competizione e 
                    integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini e Associati, 
                    Milano, 2003
                    Braidotti Rosy, Nuovi soggetti nomadi. Transizioni e identità 
                    postnazionaliste, Luca Sossella Editore, Roma, 2002
                    Bruner Jerome, La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, 
                    vita, Laterza, Bari-Roma, 2006
                    Goody Jack, “Dall’oralità alla scrittura. Riflessioni antropologiche 
                    sul narrare”, in Il romanzo. Volume primo, La cultura del 
                    romanzo, Einaudi, Torino, 2001
                    Maragliano Roberto, Margapoti Ilaria, Martini Ornella, Pireddu 
                    Mario, Didattica e comunicazione di rete. Racconto di un’esperienza 
                    universitaria, Stripes Edizioni, Rho, 2007
                    Ong, J. Walter, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, 
                    Il Mulino, Bologna, 1986
                    Rigotti Francesca, Il filo del pensiero. Tessere, scrivere, 
                    pensare, Il Mulino, Bologna, 2002 
                    Rosen Jonathan, Il Talmud e Internet. Un viaggio tra mondi, 
                    Einaudi, Torino, 2001
                    Tagliagambe Silvano, Più colta e meno gentile. Una scuola 
                    di massa e di qualità, Armando Editore, Roma, 2006
Sitografia
                    
                     
                    www.trinhminh-ha.com/
                    it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Brosio
                    news.bbc.co.uk/2/hi/technology/8392653.stm
 
 
      
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