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    M@gm@ vol.7 n.1 Gennaio-Aprile 2009

    IL SOCIALE E IL SENSIBILE: INTRODUZIONE AD UN'ANTROPOLOGIA MODALE



    Georges Bertin

    (Traduzione Marina Brancato)

    (Le social et le sensible, introduction à une anthropologie modale, Paris, Teraèdre, 2005, 220 p.)

    georges.bertin49@yahoo.fr
    Socio Onorario dell'Osservatorio dei Processi Comunicativi collabora con il Comitato Scientifico della rivista elettronica m@gm@ e il Comitato Scientifico della Collana dei Quaderni di m@gm@ pubblicata da Aracne Editrice; Dottore in Scienze dell'Educazione; ha conseguito l'Abilitazione a Dirigere attività di Ricerche in Sociologia; Coordinatore Ricerche in scienze sociali, CNAM des Pays de la Loire, Angers -France; Ha insegnato all'Università degli Studi di Angers, alla Scuola Normale Nazionale Pratica dei Quadri Territoriali; Vice-Presidente esecutivo Cercle d'Etudes Nouvelles d'Anthropologie (CENA); Membro del GRECo CRI (Gruppo Europeo di Ricerche Coordinate dei Centri di Ricerca sull'Immaginario) e della Società Francese di Mitologia; Membro del Consiglio di Amministrazione dell'A.F.I.R.S.E. (Associazione Francofona Internazionale di Ricerche Scientifiche nell'Educazione); Fondatore del GRIOT (Gruppo di Ricerche sull'Immaginario degli Oggetti simbolici e delle Trasformazioni sociali); Direttore Scientifico e Fondatore dei quaderni di Ermeneutica Sociale, Edizioni Teraèdre, Paris; Direttore Esprit Critique, rivista francofona internazionale in scienze sociali e sociologia.

    L’opera di François Laplantine, professore a Lyon II, antropologo di fama internazionale, è per il suo lavoro sul campo, principalmente orientato verso l’America latina. Laplantine è uno specialista dell’Immaginario. Qui egli pone, in un’opera che contribuisce a rinnovare le nostre categorie, una serie di interrogativi ai quali dovrebbero rispondere le scienze umane in Occidente. Opera capitale, sintesi necessaria e allo stesso tempo opera di lotta epistemologica…

    Il tema di questo saggio, suggerito dalla sua esperienza di ricerca sul campo, appare evidente fin dalle prime pagine: il sensibile, la vita delle emozioni, il corpo, e ancora il “carattere fisico del pensiero nel suo farsi”. L’autore vuole chiarire la dicotomia sostenuta dal pensiero occidentale tra l’intelligibile e il sensibile, quando tutto ciò che concerne le sensazioni è situato dallo scienziato “verso il basso”, e dunque pericoloso, incontrollabile; e quando si ritenta “verso l’altro” nell’esercizio della ragione, quando si ritaglia, si classifica, si gerarchizzano i fenomeni sociali e umani.

    L’opera si apre su una deliziosa parabola, quella degli axolots di un lago messicano rilevando l’ossessione classificatoria dei nostri scienziati, preoccupati più di nominare che di comprendere. Laplantine articola il suo discorso illustrando alcuni studi sulle molteplici messe in scena del sociale in Brasile: la ginga (camminare / danzare), e la sua estensione, la bossa nova, il jetinho (letteralmente: abilità nel trarsi d’impiccio). Tutte scappano al pensiero categoriale, se le si vuole capire. L’autore invoca i concetti di piega, curvatura, molteplicità, concetti che tendono a interrogare la nostra logica paradigmatica, la quale mira a spazializzare il pensiero che comprende il sociale solo in termini di “topos e non di choros”, la coreografia essendo per l’autore un modello che restituisce la logica del vivente, quando si propone di “pensare il tempo nel suo divenire”. È il rovescio dei nostri modelli risolutamente dualisti e gerarchici, come quando li si agghinda , talvolta, trattenendone la confusione, con il nome di antropologia.

    Secondo Laplantine, la maggior parte delle nostre forme di pensiero, se si elimina la soggettività, sono distribuite sulla base di un’alternativa: ludica e seria, soggetto e oggetto, forma e sfondo… obbligando il ricercatore a “congedare una parte di sé”, nel momento in cui egli si elimina dal suo testo sapendo che tutto è vagabondaggio, esitazione, spavento. Lo sappiamo bene, grazie a numerosi ricercatori, da più di vent’anni, nella cornice del nostro centro di ricerca sull’Immaginario, o ancora del laboratorio di Pau “Processo, accompagnamento, formazione”, tentiamo di restituire vita e legittimità agli interrogativi di questa apertura del senso, quella del vissuto, nella sua dimensione imprescrittibile, una sorta di vizio della critica come ben sottolinea l’autore, di fronte ai separatisti puritani, nei loro diversi mutamenti: scolastici, cartesiani, kantiani.

    Ma la china è difficile da rimontare sottolinea ancora Laplantine, poiché dopo più di millecinquecento anni, ci hanno insegnato a pensare che la grande qualità del sapere fosse il distacco, “l’incompatibilità della conoscenza e del piacere”, condannati “al prosciugamento dei concetti o all’inondazione delle immagini” come se non esistesse una terza prospettiva, come se la singolarità del sensibile scappasse all’intelligibile? E se questa categorizzazione del vissuto, uscita dalla logica greca dell’identità e della permanenza, quella del terzo escluso, miri a stabilizzare il vissuto, a neutralizzarlo? È ben visibile nelle immagini del “Corpo Macchina” cartesiano, dell’ “Uomo Macchina” di La Mettrie, dell’oggettività dei sistemi di relazione opposti e separati da Durkheim a Bourdieu, tutti fondati su una cultura delle invariabili e di cui il metodo di sperimentazione (che l’autore oppone qui all’esperienza) ci fornirebbe il paragone metodologico.

    All’opposto, Laplantine ci fa risalire ai presocratici(Eraclito: tutto scorre), da Spinoza a Deleuze, passando per Rousseau, Bergson, Simmel e aggiungeremo volentieri François Rabelais, per scoprire un altro pensiero, quello dell’energia, del tempo, della tensione e del ritmo, che tenta di pensare le trasformazioni, la dinamica del vissuto, “tutto ciò che è in un flusso continuo”. Il metodo di approccio è qui implicito, quello dell’esperienza, che rifiuta una concezione fisica del vivente rivolta a “naturalizzare il sociale, l’umano”. E di evocare, in questo rifiuto, il mana di Marcel Mauss, in quanto energia, forma e vita, il processo d’incontro tra le società studiate da Georges Balandier, e ancora da Roger Bastide: le forme si deformano e si trasformano, le società sono luoghi di scambio permanente mosse dall’energia. L’autore richiama qui il soggetto - ricercatore come attore iniziato(come per Bastide quando si è fatto iniziare al cadomblé).

    E poi si rinvia ancora a Georges Bataille per il quale il pensiero della categoria era ormai immersa dal pensiero eccedente dell’energia, dell’esuberanza, e che ci convince ad “accettare la vita senza riserve, nella sua espressione plurale, nelle sue convulsioni elettive, quando l’intensità del vivente può essere portata al suo punto più alto di effervescenza”. Perciò, l’antropologo, non può essere che parte pregnante delle società umane salvo lasciar scappare il vivente in alcune “facoltà” sempre inadeguate: luoghi astratti, impersonali, e anche il famoso incatenamento Progetto / Programma / Organizzazione. Gli uni e gli altri non si occupano che di rinchiudere il vissuto in quelle categorie irreali, e i loro discorsi, dominanti, sono, di fatto, delle macchine da guerra contro il sensibile.

    Nel vivente, il sensibile è, in effetti, inessenziale, il corpo si sottrae, e Laplantine proponendo una epistemologia della continuità, ci obbliga a pensare insieme l’estetica, la politica, l’etica, la storia… L’esempio del dibattito contemporaneo sul razzismo gli fornisce così l’occasione di mostrare a che punto le categorie accettate conducano alla domesticazione dei corpi.

    L’opera si chiude su un bel riferimento a Montaigne, “se l’uomo è instabile e diverso, differente da se stesso e non punto di adeguamento e chiusura è perché tutto, nel mondo, è movimento, cambiamento, instabilità, variazione… niente resta simile a se stesso, tutto si trasforma, la natura modifica e obbliga tutto a cambiare”.

    In appendice, l’autore ci consegna sette proposizioni costitutive di ciò che chiama una “antropologia modale”, veritiera porta aperta a una terza prospettiva metodologica, proponendo di impegnarci verso un altro orizzonte di conoscenza per la reintegrazione, nella ricerca, dell’esperienza sensibile, della lotta contro la violenza identitaria del sapere, dell’accettazione del reale, di un lavoro sul linguaggio e le parole che non de-personalizzino il soggetto. Il corpo, il cinema, l’arte, sono in tal modo, per l’autore, i luoghi possibili di una esperienza di continuità generalizzata tra l’uomo, la natura e la cultura. Poiché la nostra vita è composta, come l’armonia del mondo, da caos contrari.



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