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    CONTRIBUTI SU AREE TEMATICHE DIFFERENTI

    M@gm@ vol.4 n.2 Aprile-Giugno 2006



    • Editoriale

      Massimo Canevacci

      Nel mese di maggio 2006 si è svolto al palazzo dei congressi di Roma il sesto evento di musiche elettroniche, arte digitale, spazi metropolitani. La mia riflessione per una rivista come m@gm@ che naviga on line e quindi sperimenta nuovi metodi per nuovi linguaggi e nuove scene culturali inizia da questo evento e lo prende come esemplare per qualcosa che da tempo sta mutando stili, valori, percezioni, corporalità, affetti, erotismi, sensorialità. La ricerca contemporanea ha questa spinta: di cercare di collocarsi su diversi punti di vista, non tanto di osservazione neutra, quanto di immersione desiderante ed empirica su quanto – magmaticamente – sta svolgendosi in mutazione.

    • ANALISI ED ESPERIENZE

      Orazio Maria Valastro

      Quello che determina l’identificazione con un territorio è la possibilità di potersi riconoscere nell’appartenenza ad uno spazio sociale, appartenenza che ha bisogno di associare la propria esperienza sociale e personale ad una realtà collettiva che rivela la propria esperienza affettiva, professionale e sociale. La memoria è quindi intesa come riscoperta e rivalorizzazione di un territorio e di un patrimonio umano espresso attraverso i riti, i costumi, le relazioni sociali, la produzione materiale o intellettuale della comunità locale. L’interesse per il patrimonio umano locale può vivificare il legame con il vissuto personale e collettivo, attivando una nuova circolazione e condivisione di saperi locali, valorizzando forme di saperi locali della storia e della vita quotidiana di una comunità, generando infine un’implicazione esistenziale e mettendo in relazione degli elementi costitutivi dell’identificazione con il territorio: l’appartenenza sociale e l’identificazione esistenziale. Ricercare nella storia locale e nell’esperienza sociale dei collegamenti e dei legami di un destino che è in relazione a quello della comunità e del suo stesso futuro. Il lavoro di ricerca e questa prima analisi provvisoria del profilo antropologico culturale di Misterbianco, potrebbe avere una sua conseguenza necessaria e coerente con le finalità del progetto “Polis”: costituire dei laboratori territoriali della memoria individuale e collettiva.

    • Cecilia Edelstein

      Per agevolare un processo di integrazione è necessario leggere il fenomeno in termini circolari, relazionali, di reciprocità ed ecologici: il processo integrativo si innesca quando entrambe le componenti - gruppi minoritari e società d’accoglienza - vivono un cambiamento che crea un intreccio, senza che questo intreccio sia la semplice somma del vecchio e del nuovo, ma qualcosa di diverso che prima non esisteva, salvaguardando le peculiarità dei diversi gruppi etnici, compreso quello locale. Se l’aspettativa è di integrazione del soggetto migrante nella società d’accoglienza, il rischio è quello di pretendere un processo vicino a quello di assimilazione, di confondere sia dinamiche che concetti e di adottare prospettive lineari. Pur dipendendo da processi macrosociali, un processo di integrazione è, allo stesso tempo, strettamente legato ad un microlivello personale di conoscenza reciproca, incontro e scambio di idee, di pareri, di vissuti e di percezioni. Questo microlivello contribuisce alla conoscenza personale e aiuta ad uscire dagli stereotipi e dall’anonimato. In una visione circolare, attraverso un approccio narrativo e con un atteggiamento di curiosità basato sul desiderio di conoscere, è possibile avviarci su una strada di cui sappiamo com’è l’inizio, ma non dove ci porta.

    • Augusto Debernardi

      Per condividere esperienze occorre riuscire a superare le staticità ed i pre-giudizi che ci si è portati avanti fin dai tempi dell’infanzia; occorre avere una mente in grado di accettare aperture e scambi, un mind set elaborato e disponibile che purtroppo cozza e friziona con le forme di partecipazione che di solito ci si rappresenta. Nella modernità le forme di partecipazione rivestono caratteri che sono strumentali. Inoltre esse sono radicate nel bisogno di condividere esperienze ma pretendono di stare al riparo da condivisioni di senso delle esperienze stesse e conseguentemente senza ricadute in termini di legami intersoggettivi e di coesione sociale. Il progetto redatto fin dal 1999 per la Provincia di Trieste aveva il titolo dell’Età Libera. Richiamava il testo di Cicerone che affermava che alle persone anziane non venivano più richieste dalla società i lavori e le opere proprio per lo statuto derivante dalle molte primavere vissute, ponendole nell’età libera. Ma, così facendo, si apre la porta anche alla loro emarginazione. Il progetto prevedeva allora di attivare questo mondo sempre più maggioritario per costruire forme di invecchiamento pro-positivo ed al servizio di altri, specie di coloro che per varie ragione accedono alle strutture protette. Portare in quei posti animazione significa ridurre le forme di contenzione oltre che aprire le strutture stesse ed i vari mind set, anche dei familiari, alla partecipazione ed agli ascolti. Ma anche produrre tout court, cultura e senso. Insomma, l’obiettivo del progetto erano migliori condizioni di espressione per le persone in età libera che diventavano i suoi legittimatori. Non dovevano essere di certo i portatori di “sfiga” a dare il senso al tutto. Se questi fossero stati determinanti avrebbero costituito di nuovo la base dell’ideologia statalista dell’assistenza ed il suo presunto ammodernamento senza innovazione. Le persone in stato di bisogno non erano ovviamente escluse, anzi, con la loro presenza e partecipazione avrebbero potuto liberarsi da certe condizioni di necessità più o meno estrema e dalla solitudine provocata dall’anomia nei rapporti. Un progetto che, nella sua estrinsecazione operativa, avrebbe dovuto produrre socialità solidale, con l’associazionismo sociale, appunto. Gli strumenti della cultura, nel senso più ampio e più eclettico possibile, dovevano essere gli utensili operativi del “fare solidale” e del “fare emancipativo-liberatorio”.

    • Michel Maffesoli

      Nel mite totalitarismo che stende il suo velo melenso su delle masse inquiete, si sa che i diversi tecnocrati rinsaldano il loro potere alimentando il timore. Ciò che non è molto complicato, tanto il timore dell'ombra, il timore della sua ombra lavora tutto su ciascuno. Se si deve caratterizzare l'epoca, è perfetto il termine di codardia generalizzata che viene immediatamente allo spirito. È noto che il virus dell’influenza aviaria non può contagiare l’uomo che da un contatto diretto e prolungato. Per esempio, bere l’acqua di una palude infettata da escrementi di uccelli contaminati o fornicare con un pollo afflitto da questo male. Ugualmente, il pericolo di pandemia non potrebbe arrivare che da congiunzione con l’influenza umana. Così, i virologi considerano che sarebbero necessarie centinaia di persone infettate per avere un pericolo reale d’infezione generale. Come si vede, il rischio è grande! Ma non è questo il problema. È sufficiente, per noi tecnocrati, che l’immaginario dell’insicurezza sia lì. Essi vi trovano una ragione d’essere. Possono, sapientemente, giocare le utilità. Si sa che di qualsiasi tempo, è puntando su un'angoscia diffusa che i diversi poteri hanno fatto accomodare la loro legittimità. In realtà ciò che è da prendere seriamente, sono le isterie collettive. La caduta spettacolare del consumo di pollame di qualsiasi tipo lo testimonia. Ricordiamoci anche che non è lontano il tempo dove lo stesso sospetto incombeva sulla carne bovina! Bando agli scherzi! Attualizziamo l’apologo. Così l'emozione causata dal doppio scandalo che colpirà il CNRS non manca di suscitare inquietudini e interrogativi. Naturalmente in termini di epidemiologia. Preoccupazioni quanto alla salute mentale dell’ambiente sociologico capace di far petizioni mescolando, senza accigliarsi, la gallina ed il bue, la parità e il problema di una nomina considerata come provocatrice. Preoccupazioni sulla semplice moralità di questo “ambiente”.

    • Michel Maffesoli

      Dans le totalitarisme doux étendant son voile sirupeux sur des masses inquiètes, l’on sait que les divers technocrates assoient leur pouvoir en entretenant la crainte. Ce qui n’est pas très compliqué, tant la peur de l’ombre, la peur de son ombre travaille tout un chacun. Si l’on doit caractériser l’époque, c’est bien le terme de lâcheté généralisée qui vient, immédiatement, à l’esprit. L’on sait que le virus de la grippe aviaire ne peut infecter l’homme que par contact direct et prolongé. Par exemple, boire l’eau d’un marais infecté de fiente d’oiseaux contaminés ou forniquer avec une poule atteinte de ce mal. De même, le danger de pandémie ne pourrait advenir que s’il y avait conjonction avec la grippe humaine. Ainsi, les virologues considèrent qu’il faudrait plusieurs centaines de personnes infectées par la grippe aviaire, dans un milieu lui-même en pleine épidémie de grippe humaine pour qu’il y ait un danger réel d’infection généralisée. Comme on le voit le risque est grand! Mais là n’est pas le problème. Il suffit, pour nos technocrates, que l’imaginaire de l’insécurité soit là. Ils y trouvent une raison d’être. Ils peuvent, savamment, jouer les utilités. On sait que de tous temps, c’est en misant sur une angoisse diffuse que les divers pouvoirs ont assis leur légitimité. En fait ce qui est à prendre au sérieux, ce sont les hystéries collectives. La chute spectaculaire de la consommation de volailles de toutes sortes en témoigne. Souvenons-nous aussi que n’est pas loin le temps où la même suspicion planait sur la viande bovine! Trêve de plaisanterie! Actualisons l’apologue. Ainsi l’émotion provoquée par le «double scandale» qui frapperait le C.N.R.S ne manque pas de susciter inquiétudes et interrogations. En terme d’épidémiologie bien entendu. Inquiétudes quant à la santé mentale du «milieu» sociologique capable de pétionner en mélangeant, sans sourciller, la poule et le bœuf, la parité et le problème d’une nomination considérée comme provocatrice. Interrogations quant à la simple moralité de ce «milieu».

    • Laura Tussi

      La funzione pedagogica dell’adulto educatore consiste quindi nel creare ostacoli invalicabili nel gruppo, che implicano resa, accettazione, sconfitta, rassegnazione, come gravi e irrimediabili incidenti di percorso, fratture emotive ed affettive, al fine di instaurare e avviare il processo di individuazione che si ottiene, per esempio, trasformando un insieme collettivo di pari, di coetanei e avviando una progettualità futura, una prospettiva interna al gruppo per sperimentare un senso unitario ed un significato sotteso, finalizzati ad una meta ad uno scopo e obiettivo da raggiungere, con un portato valoriale intrinseco. Il lavoro di strada si compie allontanando, dissociando i ragazzi dal luogo abituale di incontro, di ritrovo consueto del gruppo, generando uno “spiazzamento” affettivo, emotivo e cognitivo, introducendo la novità, la diversità, l’alterità, inserendo nel gruppo “accidenti” tutelati dall’educatore che introduce, tramite un atteggiamento dialogico aperto, di interscambio, esperienze di novità, di pensiero, di parole, messaggi e simboli che altrimenti verrebbero respinti e non si integrerebbero con progetti che apportino interrogativi, dubbi, perplessità, ricorrendo anche ad una serie di mezzi e strumenti a carattere artistico, espressivo, ludico/ricreativo e sportivo.

    • Giovanni Carlini

      Anche le organizzazioni si ammalano. I disturbi sono i più vari e riproducono fedelmente le comuni patologie individuali quali ossessività, depressione ed anche nevrosi e paranoia. Il punto di partenza della ricerca considera la devianza organizzativa direttamente influenzata dal contenitore caratteriale che la genera. In definitiva, a composizioni caratteriali diverse corrispondono sia forme organizzative specifiche che eventuali patologie connesse. Di conseguenza, la diagnostica occorrente per la gestione della problematica dovrà essere studiata a seconda del tessuto umano che effettivamente si rincontra in quell’ambiente e non in altri. La conclusione è che non si ritiene possibile impiegare strumenti conoscitivi e di analisi comuni fra i due “habitat” lavorativi.

    • RECENSIONI E SCHEDE BIBLIOGRAFICHE

      Orazio Maria Valastro

      Aprirsi ad una sociologia comprendente che riconosca il valore e l’interesse delle scienze umane e sociali per il sapere comune e il vissuto delle donne e degli uomini, significa aprirsi verso una comprensione del significato che gli attori sociali attribuiscono alle loro attività e relazioni, contrariamente ad una sociologia tradizionale concepita come scienza sociale normativa, dove le teorie sulla realtà sociale invalidano paradossalmente una conoscenza generata come co-costruzione collettiva di significati prodotti da soggetti interagenti.

    • Olivia Salimbeni

      Il fenomeno del traffico di esseri umani in Italia, in particolare di donne e minori, ha assunto, e in misura crescente negli ultimi dieci anni, proporzioni tali da preoccupare governi e istituzioni di controllo e da indurre un ricorso a misure sempre più severe di contrasto contro le organizzazioni che lo gestiscono. Il traffico degli esseri umani e della prostituzione coercitiva appare come la nuova frontiera che scaturisce dai processi di globalizzazione selvaggia tesi ad alimentare settori significativi del mercato mondiale del crimine organizzato. Si tratta ormai di un’emergenza sociale che ripropone con forza nel terzo millennio condizioni di grave sfruttamento, configurabile come para-schiavistiche, proprie del secolo scorso.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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