• Home
  • Rivista M@gm@
  • Quaderni M@gm@
  • Portale Analisi Qualitativa
  • Forum Analisi Qualitativa
  • Advertising
  • Accesso Riservato


  • Contributi su aree tematiche differenti
    M@gm@ vol.2 n.4 Ottobre-Dicembre 2004

    IL RAZZISMO: IL RICONOSCIMENTO NEGATO

    Renate Siebert, Il razzismo: il riconoscimento negato, Carocci, Roma, 2003


    Francesco Bachis

    Dottorando in Metodologie della Ricerca Etnoantropologica dell'Università degli Studi di Siena, con un progetto di ricerca sull'immigrazione straniera nei piccoli comuni della Sardegna; Tutor alla cattedra di Antropologia Culturale nella facoltà di Scienze della Formazione nell'università degli studi di Cagliari, anno accademico 2003-2004; Laureato in Filosofia con una tesi in Antropologia Culturale, relatore il Prof. Giulio Angioni, dal titolo "L'alterità in negativo: l'immagine degli immigrati nel quotidiano La repubblica - 1997".

    Il testo di Renate Siebert si colloca all'interno del dibattito sul razzismo e prende in considerazione principalmente la letteratura in lingua francese, tedesca ed italiana. La finalità didattica del testo tende a far risaltare un percorso a più voci lungo le principali problematiche che hanno animato il dibattito pubblico negli ultimi trent'anni. Il razzismo viene concepito come un fenomeno storico ma "è costituito allo stesso tempo di una serie di rappresentazioni, immagini e fenomeni cognitivi che hanno a che fare con la psiche, con la coscienza e con i sentimenti": è "una sorta di filtro che si frappone tra le persone strutturando le proiezioni degli uni sugli altri e influendo sui processi di identità e di riconoscimento". Il lavoro è quindi animato dall'intento di dar conto di questa articolazione e dalla necessità di impegnarsi su un duplice fronte: uno interno, teso alla scoperta dei "meccanismi psicologici della proiezione e la dimensione cognitiva, ciò che ci fanno essere tutti un po' razzisti"; dall'altra parte "cercare di conoscere la storia la geografia, le società non-europee e non occidentali".

    La centralità dell'individuo, tanto nella "diagnosi" e quanto nella "cura" del razzismo, deve portare a percorrere una via che "parte da noi stessi e ritorna a noi, alla nostra sensibilità nelle relazioni con gli altri, e soprattutto alla nostra responsabilità." Nel testo, la preoccupazione di mantenere questa centralità, è accompagnata dalla necessità di collocare il razzismo nella sua epoca storica e nel suo contesto sociale, nella convinzione che si tratti di una parte non secondaria della modernità. L'orientamento della ricerca, la scelta di un approccio che sia già in partenza "etico", muove dalla convinzione che le razze siano biologicamente dei falsi concetti e socialmente delle produzioni del razzismo. Nell'enorme congerie di studi sull'argomento, un testo anche in parte compilativo come quello della Siebert, deve compiere delle scelte, delle inclusioni e delle esclusioni: queste vengono rivendicate e sono orientate dalla necessità di "disimparare il razzismo": "In un certo senso, come suggeriscono i cultural studies e i postcolonial studies, occorre scoprire le radici dei sistemi della conoscenza moderna nelle pratiche coloniali, cominciando con un processo per disimparare attraverso il quale possiamo mettere in crisi le verità ricevute".

    La chiave di lettura principale tramite cui viene analizzato il razzismo è quella del "riconoscimento negato", un approccio che implica una "particolare attenzione alla sfera relazionale e alle implicazioni che il processo della costruzione sociale dell'altro comporta nell'esperienza di colui o colei che sono investiti di un'alterità segnata da un misconoscimento di tipo razzista". La "via di fuga" dal mancato riconoscimento dell'umanità dell'altro, può essere fornita da una società multiculturale che concepisca i diritti dell'individuo prima di tutto come "diritti dell'altro" o "doveri verso l'altro". Cercheremo di fornire una serie di rilievi a queste due tematiche, nelle connessioni che legano la prima al pensiero di Frantz Fanon e alla dialettica "servo - signore", e la seconda alla concezione di "multiculturalismo ben temperato" e alla via etica per andare "oltre il razzismo" di Taguieff.

    Un peso decisivo nella riflessione di Renate Siebert assume il pensiero di Frantz Fanon e i concetti di proiezione ed identificazione proiettiva. I due concetti freudiani vengono declinati come la costruzione del soggetto razzizzato da parte del soggetto razzizzante: se per Fanon il bianco proietta sul nero le proprie intenzioni e "si comporta come se il nero le avesse realmente", e per Sartre l'antisemita ha paura di tutto (e specialmente di se stesso) fuorché degli ebrei, Siebert sembra estendere il meccanismo a tutte le forme del razzismo, recuperando anche la riflessione sui risultati che questa proiezione di incubi ha sugli individui che ne sono investiti. E' a partire da dalla considerazione della "necessità di socialità" che viene negata ai gruppi razzizzati che si approda al nodo del "riconoscimento negato". La socialità dell'uomo è necessaria e il bisogno di riconoscimento è un bisogno universale: solo in epoca moderna tale bisogno è stato affrontato poiché solo in questa epoca si sono poste le condizioni perché venisse meno. La dialettica servo - signore di Hegel mette in evidenza la "possibilità di un rapporto tra diseguali (...) che tuttavia hanno in comune la qualità dell'umano che si rinnova e conferma nello scontro fra di loro".

    L'ideologia razzista, viceversa, struttura le relazioni secondo la dicotomia "umano - non umano", analoga in ciò alla naturalizzazione delle differenze di genere, impedendo il riconoscimento e la reciprocità nella lotta. L'abolizione della schiavitù è una concessione che non altera questo meccanismo, poiché il pieno riconoscimento avrebbe dovuto produrre l'occupazione dello spazio che nelle dinamiche imperialiste viene riservato alla subordinazione totale dell'altro: implicherebbe ciò che Said chiama una "reiscrizione". La rioccupazione di questo spazio di subordinazione può passare per il rovesciamento radicale della prospettiva, facendo diventare oggetto di osservazione coloro che solitamente sono soggetti osservanti: questa è la risposta che fornisce l'antropologa africana Geneviève Makaping, con una "sovversione dello sguardo" che sembra sgretolare le certezze quotidiane sugli "extracomunitari", con esercizi di osservazione etnologica che "denudano" il "bianco" mostrando ciò che accade normalmente con il "nero". Ma non restano fuori dalla riflessione dell'autrice altri modi di rispondere alla violenza del riconoscimento negato, dal silenzio che non riconosce il potere perché non lo celebra, alla violenza "sedimentata nei muscoli" colonizzato di cui parla Fanon.

    Se la questione dell'alterità ha segnato profondamente l'epoca moderna e il colonialismo, essa resta dentro di noi, nei nostri rapporti con i migranti, come "forma interiorizzata dell'ordine coloniale" nei confronti del quale si sviluppano nuove strategie di sovversione che, come sostiene Bhabha, puntino al raggiungimento di una "libertà rischiosa", che superi forme di "mediazione tra servo e signore" proposte dalla riflessione di Fanon. Ma ciò che meriterebbe maggior approfondimento è proprio questo salto dalle tematiche di lotta anticolonialista di Frantz Fanon e il pensiero "postcoloniale" di Bhabha e Said. Se ci si ferma all'aspetto di analisi del colonialismo, alla ricostruzione storica o culturale, tutti i passi per restituire lo sguardo coloniale, provincializzare l'Europa e rompere la gabbia di quella particolare forma di etnocentrismo che è l'eurocentrismo, convergono con l'intento di recupero della "piena umanità" dei gruppi razzizzati. Quando si giunge alla "elaborazione delle nuove modalità di rapporto", quando si collocano le relazioni con l'alterità non su un piano neutro, "al di là e al di sopra della storia e dei rapporti di forza economici e politici", ma in concrete realtà storico-politiche nelle quali la prospettiva di dominio e di "razzizzazione" è tutt'altro che tramontata, la forza delle elaborazioni sugli studi culturali sembra venire meno, e così anche il loro legame con il pensare rivoluzionario di Fanon. Il processo di decostruzione dell'unidimensionalità con cui viene presentata l'esperienza coloniale, "l'insurrezione delle voci subalterne" (Loomba), la constatazione dell'intima contraddizione tra la democrazia in patria e il dominio nelle colonie (Bhabha), rischiano di restare sul terreno della decostruzione "astratta" o sulla constatazione, come a tratti sembra fare Siebert, dell'ibridazione e della molteplicità differente delle esperienze e delle realtà postcoloniali.

    Un'integrazione di altri elementi e altre riflessioni potrebbe rendere più fertile questo approccio. La "ricolonizzazione del mondo" nell'economia-mondo capitalista può spingere ad una analisi differente del ruolo delle migrazioni internazionali, collocandole anche all'interno della divisione internazionale del lavoro e non solo riponendole nell'ambito della cattiva coscienza occidentale del proprio passato coloniale. Forse occorre ripensare i processi di razzizzazione all'interno di una fase storica in cui la gestione diretta del potere nelle ex colonie da parte degli stati occidentali pare tornata drammaticamente d'attualità. La guerra infinita al terrorismo che proietta la potenza economico-militare americana sul globo, ma anche le esperienze precedenti di instaurazione di protettorati de facto, possono spingerci a considerare l'ipotesi che ci si trovi davanti ad un nuovo colonialismo, e ad una fase nella quale non è tanto lo "stato nazione" in astratto ad entrare in crisi, quanto "alcuni stati", specialmente le ex colonie. Se, come afferma Bhabha, è finito il tempo di "assimilare minoranze entro olistiche e organiche nozioni di valore", è anche vero che la prospettiva del razzismo culturalista non concede neppure questa forma di rapporto e di riconoscimento nell'assimilazione.

    Ancor più che il "come", penso, valga la pena di discutere il "chi", possa e debba spezzare le catene del riconoscimento negato. In questi termini cercheremo di affrontare l'aspetto della società multiculturalista e dell'approccio etico al razzismo. Nell'ultimo capitolo si fa riferimento alle differenti declinazioni che questa prospettiva può assumere. Il multiculturalismo, in generale, viene presentato come una occasione che ci consente finalmente di "vedere gli altri": se Taguieff sostiene che occorra "contrastare questi tempi grami con forme di eroismo quotidiano" Siebert, con Claussen, propone di "non perdere di vista i fondamenti illuministici" per combattere l'antiuniversalismo del razzismo. Questa pulsione illuminista porta ad un "multiculturalismo ben temperato", nella versione di Turraine: un multiculturalismo che non sia un semplice pluralismo delle ortodossie, cosa che avrebbe come effetto la fine del dibattito pubblico, ma uno spostamento in avanti della democrazia verso la pratica del riconoscimento. In questo ambito solo il richiamo al soggetto può fornire una risposta agli interrogativi che oggi i problemi della democrazia pongono come spazio di libertà pubblica. Si tratta insomma di una opzione multiculturalista ancorata non sulla comunità ma sull'individuo che ripercorre, oltre alle formulazioni di Turraine, le critiche di Taguieff ad un comunitarismo integrale, richiamandosi alle riflessioni di Habermas sulle forme di sopravvivenza garantite alle culture che porterebbero ad un imprigionamento dell'individuo nella scelta fra un sì o un no ad entità date.

    Dal punto di vista dei diritti civili vengono prese in considerazione due posizioni: quella di Ferrajoli e quella di Habermas. Il primo si colloca nel quadro di uno "stato nazione", l'altro all'interno della "utopia" dell'eliminazione di questo. Habermas, afferma che non esiste solo il diritto all'autodeterminazione dell'individuo ma anche quello di un ordinamento democratico complessivo che si deve far valere nei confronti dell'immigrazione. Ferrajoli invece propone un radicale superamento dei contesti e dei vincoli dei diritti fondamentali. Sopprimere i diritti di cittadinanza per fare una cittadinanza universale. La problematica del rapporto tra individuo e comunità, così come tra universalismo e diritto alla differenza attraversa tutta la riflessione sul razzismo. La posizione che assume Siebert nei confronti di quello che pare essere diventato "il problema" della riflessione in questo campo, si può articolare a partire da due elementi: la centralità dei diritti dell'individuo, mediati dalla assunzione, utopistica ma non per questo considerata meno feconda, della prospettiva di un diritto universale di cittadinanza fuori (e in qualche modo contro) gli stati; una nuova etica che contenga il rovesciamento dei diritti del soggetto in diritti dell'alterità, derivato da Taguieff e Lévinas. Su quest'ultimo aspetto cercheremo di argomentare qualche rilievo.

    La posizione che propone Taguieff, citando Emanuel Lévinas, è quella di un approccio etico ai diritti umani: essi vanno concepiti anzitutto come diritti altrui. L'alterità non va considerata come una "immagine dello stesso", cioè dell'Io. I diritti dell'uomo vanno riconsiderati innanzitutto come doveri verso l'uomo. E' quello che Taguieff chiama una filantropia nonostante l'uomo. Siebert recupera questa posizione come una possibile soluzione che, provocatoriamente, riprende i termini del riconoscimento rovesciandoli: occorre riconsiderare "la relazione tra noi e gli altri in termini etici come essenzialmente dissimetrica". Da una dissimetria del soggetto nei confronti dell'alterità ad una dissimetria dell'alterità nei confronti del soggetto. Le problematiche aperte da un approccio "etico" al riconoscimento negato sono numerose: dal rischio volontaristico ad una forma forse più subdola di un nuovo eurocentrismo. Proveremo ad argomentare questa seconda ipotesi a partire dal testo, citato da Siebert, di Kossi Komla-Ebri. Durante un incontro dell'autore con gli alunni di una scuola, alla domanda: "che cosa è il razzismo?" un bambino risponde "il razzista è il bianco che non ama il nero". "E il nero che non ama il bianco?" chiede Komla-Ebri. "Come può permettersi il nero di non amare il bianco?", risponde il bambino. Siebert deduce da questo episodio la profonda e inconsapevole "strutturazione etnocentrica della nostra percezione". Ma si può andare oltre chiedendosi anche per quale motivo sembra inconcepibile ad un bambino che un nero non ami un bianco, che possa odiarlo. Credo che uno dei motivi sia un'intuitiva percezione della superiorità economica che schiaccia il mondo dei "poveri" (razzizzati come neri) sotto il mondo dei "ricchi" (razzizzati come bianchi). Il nero ha ben poco per non dover "amare il bianco", poiché, essendo concepito come "inferiore" ad esso si pensa inevitabilmente speri di divenire "bianco" anch'esso. E' una tematica, quella del rifiuto della propria soggettività, che ha attraversato una buona parte della riflessione antirazzista ed anticolonialista, ed il superamento dell'autofobia è stato uno dei primi obiettivi che i movimenti di emancipazione delle comunità razzizzate si sono posti.

    La considerazione di una soluzione etica che superi le negazione del riconoscimento rischia di porre il problema fuori dalla considerazione materiale dei rapporti di dominio: il "nero" non ha il problema di dover "riconoscere il bianco come umano", poiché l'umanità di questo è imposta dai rapporti di potere dissimetrici. Di conseguenza la considerazione dei diritti prima di tutto come doveri verso l'alterità, il rovesciamento provocatorio della dissimetria tra soggetto e alterità, riguarda il gruppo razzizzante, poiché i doveri del razzizzato sono già imposti dal rapporto di dominio. Il rischio è che la soluzione del conflitto scaturisca dal razzizzante, e sia ancora una volta una sua "concessione benevola" nei confronti del dominato; una nuova filantropia che lascia inalterato il rapporto dissimetrico che ha generato il mancato riconoscimento, con il paradossale risultato di riprodurlo. Il pericolo è che quella particolare forma di etnocentrismo che è l'eurocentrismo, inteso in senso ancor più ampio di "centralità dell'occidente", venga ribadito da una impostazione che rischia di lasciare inalterato il ruolo del "bianco" come attore principale e dominante del rapporto. E' il bianco a prendere in considerazione prima di tutto i doveri verso l'altro, poiché al "nero" questi doveri sono già imposti.


    SCHEDA BIBLIOGRAFICA



    [ Renate Siebert / Il razzismo: il riconoscimento negato, Carocci, Roma 2003. ]

    Presentazione dell'autrice

    Renate Siebert (Renate Siebert Zahar), allieva di Adorno, è professore ordinario di Sociologia del mutamento all'università della Calabria, si occupa di questioni che riguardano il Mezzogiorno d'Italia e l'area del Mediterraneo, specialmente in riferimento a questioni di genere, di sessismo e di violenza mafiosa, ai temi del razzismo e del colonialismo.

    Abstract

    "Il razzismo è un riconoscimento negato: all'altro si rifiuta di riconoscere dignità pari alla nostra. Le forme di tale misconoscimento sono differenti nella storia e richiedono, per essere comprese, diversi chiarimenti concettuali: si tratta di studiare i meccanismi di formazione di ideologie e di sentimenti, quelli della loro trasmissione, quelli del loro radicarsi in opinioni, pregiudizi e senso comune. Questo volume propone un percorso attraverso tali temi e attraverso la storia della modernità. Le questioni dell'alterità e della costruzione sociale dell'altro vengono analizzate facendo leva sull'esperienza, al fine di individuare come e dove si innescano le dinamiche psichiche e cognitive che deformano la nostra percezione in modo razzista. Le varie forme storiche del razzismo - da quello biologico a quello culturale o differenzialista, passando per l'esperienza cruciale dell'antisemitismo- sono presentate nelle sfaccettature che assumono nel vasto dibattito attuale e in un quadro che ne sottolinea la particolare collocazione nella modernità occidentale. I fenomeni migratori e le prospettive multiculturali che oggi si aprono sono analizzati in stretto rapporto con il lascito storico del colonialismo, dell'imperialismo e del nazionalsocialismo, evidenziando al contempo le innovazioni concettuali proposte dai più recenti studi postcoloniali. Il volume si pone come strumento per disimparare il razzismo - che porta tanto a un immiserimento di noi stessi quanto a un impoverimento della società - seguendo un tracciato originale che è anche un prezioso ausilio per la didattica universitaria."

    Indice del volume

    Introduzione

    1. La questione dell'Alterità
    Esperienza, alienazione, sofferenza
    Il nodo del riconoscimento, del mancato riconoscimento, delle dinamiche che ne conseguono

    2. La costruzione sociale dell'Altro
    Rappresentazione sociale, opinione, senso comune, pregiudizio
    Culture ed etnocentrismo: un ambivalenza

    3. Razzismi
    Il razzismo biologico: l'invenzione della razza
    Il differenzialismo: il tabù della razza

    4. L'ideologia razzista
    Nazionalismo ed eticità
    Immigrazione e modernità postcoloniale

    5. L'antisemitismo
    I Limiti dell'illuminismo
    Olocausto e modernità

    6. La prospettiva del multiculturalismo
    Tra colpa, diniego e lavoro del lutto
    Tra particolarismo e universalismo: lo scoglio della cittadinanza

    Conclusioni

    Bibliografia dell'autrice

    1970
    Il pensiero di Frantz Fanon e la teoria dei rapporti tra colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano. (Edizione originale in Tedesco del 1969)
    Kritische Analyse von Schulbüchern zur Darstellung der Probleme der Entwicklungsländer und ihrer Positionen in internationalen Beziehungen (con K. Fohrbeck), Institut für Sozialforschung, Frankfurt/Main.

    1971
    Heile Welt und Dritte Welt - Medien und politischer Unterricht (con K. Fohrbeck, A. J. Wiesand) Leske Verlag, Opladen.

    1984
    Le ali di un elefante - Sul rapporto adulti/bambini in un paese in Calabria, Franco Angeli, Milano.

    1991
    E' femmina, però è bella - Tre generazioni di donne al Sud, Rosenberg & Sellier, Torino.

    1994
    Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano.

    1995
    La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli.

    1996
    Mafia e quotidianità, Il Saggiatore-Flammarion, Milano.
    Lorica:Un ritratto a più voci, Rubbettino, Soveria Mannelli.

    1997
    Andare ancora al cuore delle ferite. Intervista a Assia Djebar, La Tartaruga, Milano.

    1999
    Cenerentola non abita più qui. Uno sguardo di donna sulla realtà meridionale, Rosenberg & Sellier.

    2001
    Storia di Elisabetta. Il coraggio di una donna sindaco in Calabria, Pratiche Editrice, Milano.


    Collana Quaderni M@GM@


    Volumi pubblicati

    www.quaderni.analisiqualitativa.com

    DOAJ Content


    M@gm@ ISSN 1721-9809
    Indexed in DOAJ since 2002

    Directory of Open Access Journals »



    newsletter subscription

    www.analisiqualitativa.com