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    M@gm@ vol.1 n.4 Ottobre-Dicembre 2003

    T.J. - S.D.



    Fiamma Montezemolo

    fmontezemolo@yahoo.it
    Vive e lavora tra Mexico e Stati Uniti; insegna all'Università di Tijuana (Colegio de la Frontera Norte) ed è visiting scholar all'Università di Stanford (California); si è addottorata all'Orientale di Napoli in Antropologia e analisi del mutamento culturale; è autrice - tra le altre cose - di un libro edito da Liguori sullo zapatismo, 'Senza volto, Etnicita' e genere nel movimento zapatista', di video, saggi e di un libro sui Chicanos/as che uscirà a breve presso la casa editrice Guerini.

    La collaborazione e l'interscambio tra arte, architettura e antropologia si fa sempre più stretta. E in una frontiera come quella tra Messico e Stati Uniti, in cui ogni evento sembra essere connotato in senso sociale e culturale, questa collaborazione si fa ancora più intensa. Tra San Diego e Tijuana, dove vivo ormai da quasi due anni, s'impara a fluire con la fluidità dello spazio fronterizo. Nonostante il muro spesso che divide i due paesi, qui fermare gli incroci e definire i ruoli sembra impossibile.

    In occasione dell'incontro nazionale statunitense degli architetti, mi hanno chiesto di collaborare come artista-antropologa alla mostra che si sarebbe tenuta per l'evento, di sviluppare un rapporto interdisciplinare che desse il senso dell'artificialità delle frontiere: anche di quelle teoriche che vorrebbero definire in modo esageratamente limitante dove inizia l'interpretazione artistica e dove finisce quella antropologica. In fondo il dramma dell'etnografo come dell'artista è lo stesso: quello della rappresentabilità dei vari mondi di cui siamo costituiti e di quelli circostanti.

    Dunque mi sono chiesta a lungo come rappresentare con un linguaggio che non fosse il mio solito, quello della scrittura, una frontiera tanto complessa. Ho optato per la fotografia digitale e per un gioco di specchi tanto apparentemente semplice quanto sostanzialmente complesso.

    Ho presentato due fotografie che si relazionavano alle mie tematiche: l'identità e il mutamento culturale.

    Una fotografia rappresenta Tijuana e l'altra San Diego, ma ciò che 'appare' tijuanense è sandieguino e ciò che 'appare' sandieguino è tijuanense. il senso delle fotografie è la confusione, il mio intento era di dar spazio alla visibilità di una artificialità e alla complessità del concetto di identità nel secolo presente.

    La fotografia in cui tutti hanno creduto riconoscere una taqueria di tijuana (luogo di fondamentale passaggio per qualsiasi messicano che ama la propria cucina), era stata in realtà fatta a San Diego; e la foto in cui tutti hanno creduto di riconoscere il grande magazzino Cosco (tipicamente statunitense e frequentato da moltissimi americani) era stata in realtà fatta a Tijuana.

    Il punto è che Tijuana potrebbe stare a San Diego e in parte ci sta e che San Diego potrebbe stare a Tijuana e in parte a sua volta vi sta. Le frontiere sono politicamente e culturalmente costruite a partire da un discorso di potere implicito nel concetto di stato-nazione.

    Nella foto della taqueria c'è un uomo di spalle perché questo è ciò che preponderantemente il Messico 'esporta' negli Stati Uniti nella percezione comune: ossia, immigrazione.

    Nella foto del Cosco appaiono prodotti in vendita perché ciò che gli Stati Uniti esportano maggiormente verso il Messico nella percezione comune è il consumo. I prezzi in pesos e dollari sono l'unico indizio evidente della reale circostanza in cui si sono realizzate le due fotografie.

    A mio avviso, impliciti nelle due fotografie vi sono molte problematiche inerenti la contemporaneità, per lo meno questa contemporaneità. Problematiche che preoccupano ormai non solo persone con un background nelle scienze sociali, ma anche persone che vanno dagli economisti fino agli artisti.

    La crisi del concetto tradizionale omogeneizzante di identità - e con esso, del concetto di frontiera come confine invalicabile di due stati-nazione - che esisteva in Occidente è conseguenza del processo di globalizzazione e localizzazione. Questa crisi ha prodotto un mutamento sociale e culturale dell'identità relazionato con l'ibridismo dato dall'attraversamento della frontiera, dalle migrazioni e dalle sempre più strette interconnessioni tra i cosi detti 'primo' e 'terzo' mondo (centro e periferia). Attualmente è difficile mantenere la rigida logica dualista occidentale con la quale per lungo tempo siamo stati abituati a organizzare il mondo: Occidente- altri; uomini-donne, bianchi-altri, ecc.). le identità diciamo così non si lasciano più 'intrappolare' in certe concezioni unitarie che le privano delle loro potenzialità multiple, lo stato nazione non è più 'abbastanza' per dare l'identità a un suo cittadino in opposizione a un non-cittadino, per esempio. Le identità si ricostruiscono in modi nuovi, modi che sfidano in primo luogo le culture nazionali. Le sfidano, ma non necessariamente ne prescindono.

    Le identità si fanno sempre più fluide, transnazionali, siamo tutti presi tra più culture e identificazioni che siano sociali, etniche, di classe. Sempre più raramente avviene che le persone, per lo meno in questo spazio che è il più attraversato del mondo, si riconoscano in una esclusività locale. E così avviene per i prodotti che, incuranti dei limiti geografico-politici degli stati, si diramano senza esitazioni nei luoghi a loro più congeniali per essere comprati.

    Migrazione e consumo, dunque, stanno trasformando il mondo in un processo iniziato da tempo e ormai irreversibile. E con la trasformazione di questo mondo obbligano una trasformazione concettuale, spingono a concepire questo mondo in termini differenti da quelli che ci erano usuali, per esempio quelli esclusivamente nazionalistici.

    Una domanda fondamentale da porsi è: cosa succede quando i cosi detti 'altri' penetrano in Occidente attraverso un flusso migratorio inarrestabile, come si ridefiniscono le opposizioni tradizionali di centro e periferia, globale e locale, primo e terzo mondo? Come si può delimitare, definire dove finisce tijuana e dove comincia San Diego e il contrario? Il concetto di nazionalità - storicamente tanto importante per la fondazione degli stati-nazione europei - entra in crisi quando si scontra con l'ibridismo dato dal movimento dei gruppi etnici, delle tecnologie, dei mezzi di comunicazione, delle finanze, delle merci.

    Può oggi la cultura statunitense essere definita esclusivamente in termini nazionali? Può una donna messicana-americana nata negli USA o un indigeno messicano immigrato in questo paese sentire di far parte integrante della cultura nazionale in cui vivono o da cui provengono? La cultura nazionale si è a lungo appoggiata al concetto di appartenenza ed esclusione che oggi non funziona più per 'organizzare la differenza' e tenerla lontana in una strenua difesa di un ingenuo 'noi'. Con ciò non voglio dire che lo stato/nazione non ha più ragion d'essere e che i confini siano aperti, tutt'altro, vorrei semplicemente sollevare il problema della impossibilità della persona singola di far parte integrante ed esclusiva della propria cultura nazionale.

    Una nazione è un'entità politica composta di troppe differenze culturali che si è storicamente cercato di omogeneizzare per darle una supposta unitarietà , in questo senso il concetto di 'comunità immaginata' di Anderson è assai pertinente. Nessuna comunità, tanto meno quelle così dette 'tradizionali', autentiche, pure, esotiche, oggi può concepirsi come totalmente chiusa al suo intorno. Questa concezione, come quella del rischio della 'corruzione' di questa supposta purezza da parte dell'Occidente se entra in contatto con i suoi 'altri', è una concezione che si dà per mantenere isolate le culture altre e per mantenere ben saldo l'asse dell'egemonia e della subalternità. Gli zapatisti del Chiapas in rivolta lo hanno capito bene e per questo non hanno mai rifiutato l'uso di una tecnologia occidentale come quello di Internet. Quel che pero hanno anche scelto di fare, è stato di reinterpretare questo strumento del globale per dare a conoscere il proprio locale, per far sapere al mondo che un movimento di indigeni maya del sud del Messico erano in rivolta contro il proprio governo nazionale. E da questo felice connubio tra locale e globale è nato e si è affermato un movimento indigeno di grande importanza.

    Con la fine della seconda guerra mondiale e il processo di decolonizzazione, in scala sempre più alta, le 'periferie' si sono mosse verso 'l'impero'. Queste migrazioni hanno apportato cambi radicali all'ordine mondiale e con essi hanno portato alla creazione di nuove forme identitarie. Le emigrazioni dei lavoratori che si spostano dal Messico agli Stati Uniti fanno parte di questo mutamento. L'influenza messicana assai visibile nel contesto statunitense determina la trasformazione di questo paese in una società inevitabilmente plurietnica.

    Se l'ibridismo non elimina affatto le asimmetrie esistenti tra culture a un livello di dominio e di gestione fattiva del potere, le dinamiche tra gli Stati Uniti e il Messico dimostrano che la soluzione non si da' con la chiusura delle frontiere. Come non si può rinunciare in todo al concetto di identità, cosi non si può annullare quello di frontiera, ma ciò non vuol dire che dobbiamo rinunciare a decentralizzare entrambi, a relativizzarli, a renderli meno solidi e chiusi.


    Collana Quaderni M@GM@


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
    Indexed in DOAJ since 2002

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