• Home
  • Rivista M@gm@
  • Quaderni M@gm@
  • Portale Analisi Qualitativa
  • Forum Analisi Qualitativa
  • Advertising
  • Accesso Riservato


  • Analisi qualitativa e nuove tecnologie della comunicazione
    Massimiliano Di Massa (a cura di)

    M@gm@ vol.1 n.3 Luglio-Settembre 2003

    L'INTERACTION DESIGN COME STRUMENTO DI RICERCA ANTROPOLOGICA: THE CROSSING PROJECT DI RANJIT MAKKUNI


    Luca Simeone

    luca@vianet.it
    Interaction designer e antropologo, ha sviluppato interfacce interattive, videogames e esperienze immersive per molte aziende e istituzioni (tra cui Nintendo, Mtv, Sony, Telecom Italia).

    Ranjit Makkuni è un interaction designer indiano, che attualmente dirige The Sacred World Foundation, un laboratorio di Nuova Delhi che sviluppa media digitali sperimentali come maxischermi interattivi, wearable computers, strumenti musicali digitali, sculture e murales elettronici. Makkuni ha cominciato la sua carriera professionale nei laboratory della Xerox di Palo Alto, sviluppando i linguaggi di programmazione e le prime interfacce utente GUI (Graphic User Interface). Gli studi della Xerox sulle GUI sono stati poi ripresi dalle grandi aziende informatiche, come Microsoft e Apple, per sviluppare la quasi totalità dei softwares oggi diffusi in milioni di copie in tutto il pianeta (giusto per citarne alcuni: il sistema operativo Windows, tutti i pacchetti Office, Macromedia, Adobe ... ).

    A un certo punto del suo percorso professionale, Makkuni ha però effettuato una svolta radicale, rendendosi conto delle limitazioni di questi softwares, realizzati da aziende americane e principalmente per un mercato americano e poi invece venduti in moltissimi paesi e a persone con culture, abitudini, esigenze radicalmente diverse. Già nella sua India, che ancora nel 2000 presentava un tasso di analfabetismo del 50% (dati Unesco e WLC), Makkuni ha rilevato che softwares come Windows erano poco diffusi e risultavano difficili da utilizzare, soprattutto alla popolazione delle zone rurali.
    I problemi più rilevanti erano:
    * le limitate disponibilità economiche;
    * non tutti gli utenti erano in grado di leggere e decodificare con facilità testi e icone;
    * l'uso del mouse e della tastiera non riusciva affatto naturale a molte fasce di popolazionemo.

    Ecco come Makkuni descrive il nodo centrale della sua osservazione: "In rural communities, villagers may be illiterate with respect to Silicon Valley's notions of GUI, i.e., button pushing, point and click, but highly sophisticated with respect to hand skills and tactile interfaces. What is the equivalent of GUI in village contexts? What narratives are found in the village in the traditional performing arts of puppetry, theatre, mask dance? How do these narrative forms reflect a traditional society's perception of time and space? How might these inform the design of non-Windows based GUI?" [1].

    Makkuni ha cominciato quindi a sviluppare una serie di progetti sperimentali, per creare interfacce digitali meno etnocentriche e più glocal, in simbiosi con le specifiche esigenze di specifici gruppi etnici. Il suo lavoro pionieristico lo ha portato a sviluppare maxischermi digitali e telecamere robotiche a Benares, templi indù interattivi, fino a computers indossabili, integrati negli abiti tradizionali indiani. Progetti che lo hanno portato nelle grandi metropoli e nelle zone rurali dell'India, del Tibet, del Messico, fino ai più importanti laboratori e musei d'arte.

    The Crossing Project è una delle ricerche più interessanti della Sacred World Foundation. Finanziato dalla Xerox di Delhi, "The Crossing Project presents a vision of Indian creativity and interaction design combining traditional and modern technology. As computing proliferates in the world, retaining identity becomes an important value in the new millennium. Hence, the time-tested visions of developing nations and ancient living cultures can shape the form of future information technology" [2].

    Come antropologo di frontiera, sono estremamente affascinato da questi progetti, che ambiscono a riscoprire, anzi a reinventare una nuova tradizione culturale, attraverso l'uso dei media interattivi. Generalmente, si tende a ritenere che la tecnologia costituisca una minaccia per le tradizioni culturali locali e native, che verrebbero contaminate dai media fino a perdere la loro purezza originaria. L'idea alla base di The Crossing Project invece va nella direzione opposta: la tecnologia può e deve diventare un prezioso strumento di riscoperta delle differenze e delle tradizioni locali.

    Ecco una presentazione di alcuni prototipi sviluppati da Makkuni.

    Smart high-touch UI



    In questo prototipo, grazie a una tecnologia a raggi infrarossi, gli utenti possono interagire con lo schermo attraverso degli anelli elettronici. Invece di utilizzare tastiera e mouse, gli utenti possono quindi interagire con il computer usando il linguaggio gestuale e prossemico. In questo modo, oltre a una maggiore ergonomia [3], si crea un'interazione più ricca, dato che può essere collegata ad abitudini e forme gestuali locali.

    Wearable computers



    Le interfacce tradizionali (schermi rettangolari, mouse, tastiere) relegano al corpo e al movimento fisico un ruolo molto marginale. I prototipi di computer indossabili invece restituiscono una forte fisicità alle dinamiche di interazione. In questa foto potete vedere una donna che interagisce con uno schermo elettronico 'tessuto' dentro la sua t-shirt. Queste t-shirt elettroniche contengono un piccolo chip e possono anche memorizzare informazioni, funzionando come agendine personali o reminder ...

    Ad oggi The Crossing Project ha sviluppato 41 prototipi di media interattivi, seguendo un processo dialogico di emergent design, cioè una pratica di progettazione condotta in stretto contatto con gli utenti finali. Nell'emergent design, il design non viene sviluppato dal designer e poi presentato all'utente, ma viene negoziato in un continuo processo dialogico tra il designer e l'utente. Sono gli utenti, siano essi contadini delle pianure del Kashmir, indios Maya o monaci tibetani, a partecipare direttamente alla progettazione dell'interfaccia, a suggerire soluzioni operative e cambiamenti, a dare consigli sulle funzionalità, le tecnologie, i materiali e l'aspetto visuale del prototipo. Durante questo processo, designer e utente si incontrano molte volte e insieme elaborano idee, disegnano sketches, costruiscono e testano il prototipo. Il design, letteralmente,'emerge' dall'interazione tra designer e utente. La pratica di emergent design è un processo simile al dialogo etnografico, in cui due e più mondi radicalmente diversi si incontrano, ognuno attraversando i propri confini e tessendo trame sincretiche.

    Il design di Makkuni nasce all'incrocio di culture diverse e mira a produrre un artefatto fisico, che viene sviluppato in un processo 'costruzionista', in cui entrambi gli attori (designer e utente) partecipano insieme alla costruzione fisica di un oggetto. La definizione di 'processo costruzionista' è stata elaborata da Seymour Papert, uno scienziato del MIT di Boston, che ritiene ci sia un collegamento molto stretto tra l'attività fisica del costruire e il processo cognitivo di costruzione mentale della conoscenza: "One of my central (...) tenet is that the construction that takes place 'in the head' often happens especially felicitously when it is supported by a construction of a more public sort 'in the world' - a sand castle, a Lego house or a corporation, a computer program, a poem, a theory of the universe" [4].

    The Crossing Project è un tipico esempio di processo costruzionista, in cui l'attività di design dei prototipi consente uno scambio fecondo tra designer e utente, spesso provenienti da mondi radicalmente diversi. Il processo di design è lo strumento e l'occasione per intessere trame dialogiche tra configurazioni culturali etnograficamente distanti.

    I progetti di Ranjit Makkuni e, più in generale, tutti i processi di emergent design sono estremamente interessanti e possono costituire una valida base per ricerche qualitative di tipo antropologico. Il dialogo continuo che si intesse tra designer e utenti durante tutte le fasi dell'emergent design costituisce la trama e il canovaccio dell'incontro etnografico tra mondi culturali radicalmente diversi.


    BIBLIOGRAFIA

    Nielsen, Jakob, Designing Web Usability, Indiana, New Riders, 1999, pp. 432, ISBN 156205810X.
    Papert, Seymour, The Children's Machine, New York, Basic Books, 1993, pp. 242, ISBN 0465010636.


    NOTE

    [1] "Nelle comunità rurali, gli abitanti possono essere analfabeti rispetto alle nozioni di GUI elaborate nella Silicon Valley, come ad esempio spingere un bottone, spostare il mouse e cliccare, benché possano essere altamente predisposti verso l'uso del linguaggio gestuale e le interfacce tattili. Quale può essere dunque l'equivalente di un'interfaccia GUI nei contesti dei villaggi? Quali narrative possono essere rintracciate nelle arti tradizionali del teatro, delle marionette, della danza delle maschere? Come queste forme narrative riflettono una tradizionale percezione del tempo e della spazio? Come tutti questi elementi possono influenzare il design di GUI non basate su interfaccia Windows?".
    Tratto dal sito Sacred World Foundation ( www.sacredworld.com/ ).
    [2] "The Crossing Project presenta una visione della creatività indiana e dell'interaction design che combina teconologia tradizionale e moderna. Man mano che i computer si diffondono in tutto il mondo, la conservazione dell'identità culturale diventa un valore sempre più importante nel nuovo millennio. In questa prospettiva, le visioni tradizionali delle nazioni in via di sviluppo e le culture antiche possono dar vita al futuro dell'information technology".
    Tratto dalla presentazione ufficiale del progetto, nel sito The Crossing Project
    ( www.crossingproject.net/project/intro.htm ).
    [3] "Interacting with physical icons have advantages over conventional mouse-based interactions, the learners eye and hand are separated: although the hands manipulate visual representations on a screen, the user's eye never sees the hand. With the physical icons, the eye, the hand and sense of touch are integrated", "Interagire con icone fisiche presenta un vantaggio rispetto alle convenzionali interazioni basate sul mouse, in cui l'occhio e la mano dell'utente agiscono separatamente: nonostante le mani utilizzino rappresentazioni visuali sullo schermo, l'occhio dell'utente non segue mai lo spostamento delle mani. Con le icone fisiche, invece, l'occhio, la mano e il senso tattile sono fortemente integrati", nel sito The Crossing Project
    ( www.crossingproject.net/tech/develop/develop3.htm ).
    [4] "Uno dei miei assunti fondamentali è che la costruzione cognitiva che accade 'nella mente' avviene in maniera molto più efficace quando è supportata dalla costruzione di un oggetto 'nel mondo' - un castello di sabbia, una casa costruita con il Lego o una società, un applicativo software, una poesia, una teoria dell'universo", in Papert, 1993: p. 142.


    Collana Quaderni M@GM@


    Volumi pubblicati

    www.quaderni.analisiqualitativa.com

    DOAJ Content


    M@gm@ ISSN 1721-9809
    Indexed in DOAJ since 2002

    Directory of Open Access Journals »



    newsletter subscription

    www.analisiqualitativa.com