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    M@gm@ vol.0 n.0 Ottobre-Dicembre 2002

    IL COLORE E LE DISSOLVENZE NELLA RELAZIONE TERAPEUTICA DELLA NUOVA PEDAGOGIA


    Nicolò Schepis

    parsifal.nicolo@inwind.it
    Pedagogista nel settore Salute Mentale, Tossicodipendenze, presso l'Azienda U.S.L n.5.

    Lo sguardo clinico della cura nelle problematiche psicopatologiche sta oggi modificando gradualmente la sua prospettiva; molte certezze psicoterapeutiche un tempo assodate come verità assolute si stanno sfaldando. Un processo d'espansione della conoscenza, tuttavia contraddittoria ma efficace, ritrascrive un inconsueto linguaggio delle cose. A mio avviso, non è più possibile o quanto meno, ritengo poco valido voler riportare a tutti i costi in un setting la storia dell'utente, presumere di chiarirla o addirittura supporre di ripristinare le tappe mancate, dimenticando le attese deluse, superando i significati crivellati (buchi esistenziali del linguaggio), le fluttuazioni del vuoto attraverso un linguaggio sterilizzato da un ambiente sintetico, seguendo talvolta forme artificiose di presunti saperi - io preferire chiamarli pseudosaperi - che si scontrano con le ambivalenze della vita.

    Il vissuto d'ogni persona è una rete d'eventi, episodi talvolta collegati, sconnessi, nondimeno zuppi e imbrigliati d'emozioni all'interno di una semiologia di sensi e non soltanto di significati concettuali, ma di sfumature, dissolvenze congiunte a logiche esistenziali. Mi chiedo come può un terapeuta classico sbirciare dalla sua scrivania, dalla propria stanza in bianco e nero, o da un lettino d'ospedale la densità delle tinte che scalpitano fuori nella vita del paziente o utente: modulazioni di una cultura, un vociare di parole e sguardi, racconti, passioni, vicende, fratture, suoni e sfocature stratificate nella memoria; capire, insomma, quell'altro che confonde o che assimila ai riflessi del suo sapere. C'è molto di più da conoscere, penetrare; intendere oltre una psicologia minuta, talvolta americanizzante, pragmatica, confezionata in pacchetti da srotolare ed usare per ogni evenienza, dimenticando la vita, quella che spesso è cancellata dalle parole o da chi finge d'ascoltare, interpretando, definendo, annotando. E' opportuno che qualcuno schiuda le finestre delle proprie stanze, quelle più rugginose, per osservare ciò che sta dall'altra parte, più avanti dei lettini freudiani, dei soliti ambienti cognitivo - comportamentali - sistemici.

    Sarebbe proficuo capire essenzialmente che la vita è un romanzo con una sua struttura narratologica: lineare, contorta, semplice, complicata, vuota e densa d'esperienze. Un tempo, i grandi maestri camminavano per i sentieri dell'esistenza, attraversando tutte le antinomie e le incoerenze della vita, per intendere un profumo più aromatico ed al tempo stesso stinto, per " ... sospendere le certezze ... finché se ne consumino gli ultimi miraggi" (Lacan, 1974). La trama della vita non è soltanto costituita da una realtà oggettiva ed esterna, ma è oltre lo specchio dei suoi riflessi, spesso si camuffa in un'affettività filtrata dalle percezioni e dalle infelici elaborazioni, distillata dagli spot, dalle telenovele, dalle promotion che dal piccolo schermo s'infilano nella mente. Quante discrepanze linguistiche causano problemi psico-affettivi, quando le trame immaginative sono inadeguate ai contenuti afferenti delle percezioni. Tutto scorre nella civiltà dei consumi come in un romanzo di verità e finzioni: un binomio che inverte e confonde i due sensi: " ... Il linguaggio ritorna su se stesso per abolirsi" (Baudrillard, 1979).

    La comprensione dell'intreccio romanzato della vita, dei documenti emozionali nei limiti dell'indecidibilità gòdeliana (Kurt Gòdel) può ricondursi alla lettura di un linguaggio più espanso (una semiologia che semantizza aspetti fonologici e plastico - figurativi) nelle funzioni sintagmatiche e paradigmatiche, ma soprattutto la sua forma è gremita da colori e dalle molteplici tonalità che s'incontrano e si scontrano e cantano nelle parole. In questa nuova prospettiva dei linguaggi la pedagogia, quella meno usurata, meno rugginosa, meno satura di polvere, può offrire l'opportunità di una rilettura delle trame profonde della vita, aiutando l'altro a sgomitolare i nodi di una matassa di parole, di suoni e gradazioni per superare le incoerenze dei linguaggi paradossali, stratificati nella memoria da una cultura ambigua ed incongrua. L'incontro con l'altro non può che avvenire nelle stanze della vita e non in edifici asettici, sterilizzati, specialmente, nella riscoperta dei luoghi del sentire e non solo nelle compagini del capire. L'incontro tra più linguaggi che si compendiano, accomodandosi nelle strutture della conoscenza e nelle forme della bellezza, può offrire l'opportunità di fronteggiare il dolore, la rabbia e l'angoscia.

    Chi si trova tra la risacca dei linguaggi, dove le onde s'infrangono tra gli scogli, - luoghi di turbolenza - vive una condizione di frammentarietà esistenziale. In quelle parti della mente perturbate da variabili assai complesse ed insidiose la comprensione non può essere mai lineare, poiché i contenuti rischiano di essere travolti nell'indeterminatezza del caos. I significati che attraversano l'uomo si presentano spesso come frange d'onda, fluttuazioni, sbavature molecolari sovrapposte, dove i paradossi si scontrano sommandosi ed annullandosi nella mente. La realtà umana apre nuove considerazioni, poiché molto della sua oggettività resta incomputabile, segue altre logiche da quelle incastonate nel presunto sapere occidentale. Esiste una dimensione non ricorsiva del pensiero, non prevedibile, che affoga la sua aleatorietà nella costrizione della tirannia, nella ripetizione ostinata di un supposto sapere dell'altro. Secondo Roger Penrose la nostra mente presenterebbe meccanismi paralleli assimilabili a sovrapposizioni di varie probabilità alternative: " a volte pare che i neurotrasmettitori, anziché nelle fessure sinaptiche, vengano liberati nel liquido intercellulare generale, forse per influire su altri neuroni a grande distanza ... Certamente lo stato di talune parti del cervello può essere influenzato in modo generale dalla presenza di sostanze chimiche che sono prodotte da altre parti del cervello" (Penrose, 2000).

    La nostra mente è molto più plastica di quanto possa sembrare, sarebbe utile ritrovare elementi semantici d'energie liberatorie non computabili, che per analogia sono assimilabili alla elasticità dell'armonia musicale, alle dissolvenze, alle percezioni chiaroscurali delle ombre e delle penombre. Occorre una pedagogia nuova con interventi territoriali, che supporti la persona a ritrovare una coerenza del pensiero, aiutandolo sia a superare l'incongruenza di forme comunicative vuote, stereotipate, sconvenienti, difficili da elaborare, sia a modificare stili di vita insostenibili. L'ascolto dell'altro dovrebbe realizzarsi nella dimensione del poetico, semantizzando una percezione polisemica dei linguaggi, poiché le elaborazioni mentali non sono sempre lineari (da emisfero sinistro), ma talvolta si presentano in una sovrapposizione di stadi come nella fisica quantistica. Credo molto alla riscoperta dei luoghi di silenzio, ove mondare per gradi tutte le scorie rumorose acquisite nel linguaggio come metafore negative della parola: frange d'onde turbolente che attraversano la vita di ciascuno. Quando accenno al silenzio, non mi riferisco a quello fisico, ma ad una concertazione di suoni della natura, di piccole melodie inframmezzate da cocci di vento, forme foniche tattili ed olfattive - visive, gradi di sinestesie percettive che rendono efficace qualsiasi relazione affettiva. Nelle regioni della quiete è possibile riscoprire la bellezza del ritmo, la modulazione della voce, poiché l'urlo dei grandi silenzi rende quasi unico l'alito di vita che si propaga tra le voci, tra gli sguardi.

    L'irripetibile è l'espressione figurata del meraviglioso, che svincola le sue ali da una noia corrosiva. Riscoprire la bellezza vuol significare ritrovare l'unicità dell'attimo negli spazi mentali, tra sguardi e parole che infondono stupore. Il linguaggio monocorde e monotono del quotidiano è virulento, infetta lo scoramento, accresce il disagio, sciupa la fantasia, stropiccia l'immaginazione, la fotocopia clonandola in sistemi ricorsivi vuoti. Credo che sia molto importante abilitare e riabilitare alla vita, rivedere questi due concetti non più isolati nel patologico, ma in una dimensione più ampia. Sarebbe di grande utilità dare consistenza ad una pedagogia che educhi l'altro ad osservare, ad ascoltare come se toccasse le cose, quelle sentite, viste, fiutate, assaporate, in modo che possa ritrovare un giusto equilibrio tra percezione e pensiero, a non essere travolto da un immaginario prepotente, o al contrario da una fantasia sterile. Siamo circondanti d'oggetti sempre più isomorfi, ambienti squallidi con palazzi uguali, pattumiere che gremiscono la natura di rifiuti. Che cosa vedono gli occhi di colui che è travolto dalla routine di queste copie fotografiche isomorfe? Sono svanite le antiche centralità dei vecchi sobborghi, d'altri luoghi di bellezza, simmetrie radiose oggi disabitate dalla storia. Che cosa può rappresentare la mente? Quali architetture? Come si è strutturato oggi il suo spazio interno? Che cosa resta della luce, della gioia, dell'immaginazione nel soggetto parlante, quando il linguaggio perde la sua natura polisemica, i propri colori e si fa sempre più tecnocratico, meno connotativo, polverizzando molto del suo senso?

    Riabilitare, elaborare nel giusto modo le informazioni, riconoscere, gestire i paradossi di molti messaggi ambivalenti vuol dire ritrovare un'adeguata modulazione tra le immagini interne e quelle esterne, riscoprendo il colore e le sfumature dei linguaggi non verbali, poiché una fluttuazione negativa delle forme espressive destabilizza quasi sempre la struttura sistemica dei linguaggi verbali. Per osservare occorre illuminare il mondo, interagire con le frequenze luminose, con le ombre e le penombre. I sentimenti sono come la musica, come la luce, oscillano, modulano i toni, sono come proiezioni d'ombre, bagliori tra nuvole e praterie, tra cielo e mare (le forme risaltano dai contorni delle ombre, dalle diverse inclinazioni dei raggi solari, dal difforme tasso d'umidità che rifrange la luce). La dimensione umana ha una profonda risonanza nel colore, interagisce con le forme narrative della storia della persona che parla, poiché la voce piena pullula di una fluttuazione di sensi che necessitano di nuovi linguaggi per essere compresi. I ricordi sono fotogrammi, direi piuttosto ologrammi della storia di ciascuno, immagini frattali, multidimensionali, dissolvenze trascorse, disposte in una dimensione scenica, che ingloba elementi cromatici, suoni, tattilità, odori. Quanti ricordi palpabili con le mani, percepiti con la pelle vengono cancellati dal linguaggio verbale durante il racconto della propria storia. Occorre un'elaborazione più dotata di sensi, che visualizzi in ologrammi mentali le sovrapposizioni quantiche dell'intuizioni (percezioni sinestetiche dei linguaggi). Heisenberg affermò le seguenti frasi, quando si trovò a descrivere una realtà fisica che non poteva più essere esposta con il linguaggio tradizionale. "I problemi del linguaggio sono qui veramente molto gravi. Noi desideriamo parlare in qualche modo della struttura degli atomi ... . Ma non possiamo parlare degli atomi servendoci del linguaggio ordinario" (Heisenberg, 2000). E' indispensabile che la pedagogia inventi un nuove linguaggio. L'operatore e l'altro specchiandosi, insieme troveranno,forse, pezzi di significati omessi dalla semplice e ridicola verbalizzazione. Probabilmente la riscoperta di una semantica plastica densa di sovrapposizioni (verità, falsità, timbricità, sfumature, sceneggiature espressive), potrà rispondere ai dialoghi più intimi nei palchi della vita, li guiderà entrambi, nella cura, oltre i paradossi del linguaggio binario.


    BIBLIOGRAFIA

    Lacan Jaques, Scritti - in funzione e campo della parola e del linguaggio - pag 245, Enaudi, seconda edizione, 1974.

    Baudrillard Jean, Lo scambio simbolico e la morte, pag. 231, Feltrinelli, 1979.

    Penrose Roger, La mente nuova dell'imperatore, pag. 505, Rizzoli, prima edizione, Superbur Scienza, settembre 2000.

    Heisenberg in Fritjof Capra: gli Adelphi, pag.53, gennaio 2001.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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